N.02
Marzo/Aprile 2001

La vita consacrata nella Chiesa italiana: indicazioni e prospettive per un cammino di comunione a favore di tutte le vocazioni

La Chiesa vive oggi una stagione importante. Il Giubileo ha segnato in modo evidente le dinamiche della vita pastorale, non esclusa quindi anche la pastorale delle vocazioni. Il Santo Padre con la Novo Millennio Ineunte ha tracciato delle chiare indicazioni pastorali che sono fondamentali per il cammino dei prossimi anni. Ho voluto raccogliere quanto è emerso in questi giorni di studio attorno alle indicazioni e alle priorità pastorali che ci ha offerto Giovanni Paolo II.

 

 

Per un cammino di comunione

Un riferimento chiaro al nostro lavoro e alla ricerca di comunione lo troviamo in questo brano della Lettera Pastorale, che voglio leggervi: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo… occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità” (NMI n. 43). E in rapporto alle vocazioni aggiunge: “Questa prospettiva di comunione è strettamente legata alla capacità della comunità cristiana di fare spazio a tutti i doni dello Spirito. L’unità della Chiesa non è uniformità, ma integrazione organica delle legittime diversità. È la realtà di molte membra congiunte in un corpo solo, l’unico Corpo di Cristo (cfr. 1 Cor 12,12)” (NMI n. 46).

Queste indicazioni sono state il fondamento di questo nostro incontro e hanno fatto emergere alcuni nuclei centrali, attorno ai quali la pastorale delle vocazioni nella Chiesa italiana può trovare nuovo vigore e slancio.

 

 

Alcuni principi ispirativi

A fondamento della Pastorale Vocazionale va posta la convinzione che “ogni vita umana è vocazione” (Piano Pastorale CEI, 15) e che per questo “ogni uomo ha diritto ad avviare quel dialogo vocazionale di amore con Dio che fonda la possibilità per ciascuno di crescere secondo linee e caratteristiche proprie, ricevute in dono, e capaci di ‘dare senso’ alla storia e alle relazioni fondamentali del suo esistere quotidiano, mentre è in cammino verso la pienezza della vita” (Messaggio del Santo Padre per la GMPV del 2001).

Si fa PV, allora, assecondando l’azione dello Spirito, attraverso la quale “ogni cristiano scopre la sua assoluta originalità, l’unicità della sua chiamata e, al tempo stesso, la sua naturale e incancellabile tendenza all’unità. È nello Spirito che le vocazioni nella Chiesa sono tante e assieme sono una stessa unica vocazione, all’unità dell’amore e della testimonianza. È ancora l’azione dello Spirito che rende possibile la pluralità delle vocazioni nell’unità della struttura ecclesiale: ‘le vocazioni nella Chiesa sono necessarie nella loro varietà per realizzare la vocazione della Chiesa, e la vocazione della Chiesa – a sua volta – è quella di rendere possibili e praticabili le vocazioni della e nella Chiesa’. Tutte le diverse vocazioni sono dunque protese verso la testimonianza dell’agape, verso l’annuncio di Cristo unico salvatore del mondo” (Nuove Vocazioni per una Nuova Europa, 18d).

 

 

Vocazione e vocazioni nella Chiesa

Per comprendere bene questa varietà tendente all’unità c’è certamente bisogno di fare chiarezza attorno al rapporto tra ministero ordinato, vocazione di speciale consacrazione e tutte le altre vocazioni e ministeri. La pastorale vocazionale unitaria si fonda sulla vocazionalità della Chiesa e di ogni vita umana come chiamata e risposta. Questo è alla base dell’impegno unitario della Chiesa per tutte le vocazioni e in particolare per le vocazioni di speciale consacrazione. In questa prospettiva di varietà verso l’unità si colloca la fondamentale importanza della vocazione al ministero ordinato. “Esso rappresenta ‘la garanzia permanente della presenza sacramentale di Cristo Redentore nei diversi tempi e luoghi’ (CfL 55; PdV 15), ed esprime proprio la dipendenza diretta della Chiesa da Cristo, che continua a inviare il suo Spirito perché essa non resti chiusa in se stessa, nel suo cenacolo, ma cammini per le vie del mondo ad annunciare la buona notizia” (NVNE 22a).

Anche la vocazione alla vita consacrata va letta in questa prospettiva. In un tempo, poi, come il nostro, bisognoso di profezia, è saggio favorire quelle vocazioni che sono un segno particolare di “quel che saremo e non ci è stato ancora rivelato” (1 Gv 3, 2), come le vocazioni di speciale consacrazione (cfr. NVNE 22b). “In realtà, la vita consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione, giacché ‘esprime l’intima natura della vocazione cristiana’ e la tensione di tutta la Chiesa-Sposa verso l’unione con l’unico Sposo (VC 3). Con la professione dei consigli evangelici i tratti caratteristici di Gesù – vergine, povero ed obbediente – acquistano una tipica e permanente ‘visibilità’ in mezzo al mondo, e lo sguardo dei fedeli è richiamato verso quel mistero del Regno di Dio che già opera nella storia, ma attende la sua piena attuazione nei cieli” (VC 1).

Il Santo Padre nella Novo Millennio Ineunte invita espressamente a dare vigore alla pastorale vocazionale per queste due particolari vocazioni. Egli scrive: “Certamente un impegno generoso va posto – soprattutto con la preghiera insistente al padrone della messe (cfr. Mt 9,38) – per la promozione delle vocazioni al sacerdozio e di quelle di speciale consacrazione. È questo un problema di grande rilevanza per la vita della Chiesa in ogni parte del mondo. In certi Paesi di antica evangelizzazione, poi, esso si è fatto addirittura drammatico a motivo del mutato contesto sociale e dell’inaridimento religioso indotto dal consumismo e dal secolarismo. È necessario ed urgente impostare una vasta e capillare pastorale delle vocazioni, che raggiunga le parrocchie, i centri educativi, le famiglie, suscitando una più attenta riflessione sui valori essenziali della vita, che trovano la loro sintesi risolutiva nella risposta che ciascuno è invitato a dare alla chiamata di Dio, specialmente quando questa sollecita la donazione totale di sé e delle proprie energie alla causa del Regno” (NMI 46,2).

 

 

Un volto di Chiesa che cambia

La Chiesa mostra oggi quasi due volti: da un lato c’è una primavera dello Spirito, una fioritura di nuove forme di consacrazione e di aggregazione che porta una freschezza giovanile all’orizzonte della Chiesa ed anche, seppur con difficoltà, attorno agli Istituti di vita consacrata; dall’altro una cultura secolarizzata che ha escluso Dio dalle scelte della vita quotidiana mette in seria difficoltà le forme tradizionali di consacrazione e di impegno apostolico. Entusiasmo, gioia, coerenza alla radicalità cristiana e capacità di presenza creativa connotano le prime, la necessità della ristrutturazione e del ridimensionamento delle opere e le difficoltà della “rifondazione” opprime i secondi.

Siamo in pieno nella crisi di cambiamento epocale avviato con il Concilio e accelerato dalle esperienze giubilari. La Chiesa ha ripreso a rimodellarsi secondo il progetto di Dio dentro la storia dell’uomo. Giustamente rileva il Card. Ratzinger: “La reformatio, quella che è necessaria in ogni tempo, non consiste nel fatto che non possiamo rimodellarci sempre di nuovo la ‘nostra’ Chiesa come più ci piace; che non possiamo inventarla, bensì nel fatto che non spazziamo via sempre nuovamente le nostre proprie costruzioni di sostegno, in favore della luce purissima che viene dall’alto e che è nello stesso tempo l’irruzione della pura libertà”[1]. La Chiesa è oggi spinta fortemente dallo Spirito ad operare quella conversione pastorale necessaria per prendere “coscienza che il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell’esistente ma della missione”[2].

Il modello di Chiesa che si va sviluppando in questi anni si connota certamente come “meno clericale” e con sempre maggiori spazi di responsabilità riservati ai laici. Ma meno clericale non significa meno preti o meno consacrati, ma una organizzazione della vita ecclesiale in cui ogni cristiano ha una sua personale vocazione e missione da vivere e attuare in relazioni di reciprocità e di comunione con tutte le altre vocazioni. Insieme al ministero stabile del Vescovo e del suo presbiterio, alla presenza vivificante dei consacrati e delle consacrate troviamo nelle comunità cristiane la presenza significativa dei fedeli laici nel seno della realtà sociale ed ecclesiale con la loro capacità di esprimere la fede nelle dimensioni fondamentali della cultura e di interpretare le istanze profonde della società.

Proprio gli ultimi grandi sinodi dei Vescovi sui laici, sulla formazione dei Presbiteri e sulla Vita Consacrata, hanno tracciato di fatto le linee di sviluppo per un nuovo modello di vita ecclesiale, che supera da un lato il tentativo di “omogeneizzare” vocazioni, ministeri e ruoli pastorali, dall’altro quello di dividerli e contrapporli mettendoli quasi in lotta tra di loro per la conquista di spazi vitali. C’è in questi documenti una cultura ecclesiale fatta di reciprocità, di relazionalità, di collaborazione e di comunione. Si tratta di superare la vecchia divisione che faceva dei Presbiteri gli operatori del “Sacro” a servizio dei fedeli, dei Consacrati coloro che avevano scelto di “fuggire dal mondo” e dei laici coloro che si dedicavano e si dedicano al secolare con una vita cristiana di “serie B”.

Dentro questo cammino di “novità” di vita evangelica va collocata la Pastorale delle Vocazioni, che per natura sua è sempre un “fatto di Chiesa”, anche quando riguarda le vocazioni ad ogni singolo Istituto o a qualsiasi altra forma di vocazione cristiana, e richiede interventi prima di tutto sul piano della cultura e delle relazioni. Non serve continuare a lamentarsi perché le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata sono poche, come se questo fosse una colpa di “qualcuno” o un ineluttabile cammino della storia. Questo rischierebbe solo di fare terra bruciata intorno a queste vocazioni. È in atto una sfida, che coinvolge persone ed opere, a ritrovare le autentiche motivazioni evangeliche, perché la Chiesa tutta diventi “comunità profetica”, ricca di santità e di quel “lievito evangelico” che solo fa fermentare il bene nell’umanità.

Nasce da qui l’esigenza di “novità evangelica” che la vita consacrata è chiamata ad essere, e per questo si esige una nuova qualità delle “vocazioni” e di “giovani”, inculturati nel contesto moderno e postmoderno. È qui la sfida posta alla vita consacrata e alla sua capacità di proporre stili di vita “alternativi al mondo” e di offrire cammini di iniziazione ai grandi valori spirituali della vita umana. “Alla luce di questa sfida, non si può parlare di pastorale delle vocazioni di speciale consacrazione senza prima mettere in discussione un modo di evangelizzare la vita e di proporre la fede, senza verificare l’incontro della fede con la cultura oggi prevalente. Una delle sfide più forti della nuova evangelizzazione è quella di restituire alla vita la sua intangibile sacralità di dono, da accogliere, rispettare, amare e orientare secondo Dio. E con tale sfida va coniugata l’altra: il nostro dovere di evangelizzare la libertà e con essa la persona che su questa libertà progetta la sua vita. La libertà è il luogo misterioso della più intensa ed efficace presenza di Dio in noi, e allo stesso tempo lo spazio della nostra irripetibile originalità. Accogliere e seguire la propria chiamata vuol dire diventare autenticamente liberi”[3].

 

 

 

QUALE PASTORALE VOCAZIONALE È IMPEGNO DEI CONSACRATI?

 

La pastorale vocazionale dei Consacrati è strettamente legata al loro essere e al loro operare nella Chiesa e nella società. Lo riconosceva molto bene l’Instrumentum laboris del Sinodo dei Vescovi sulla vita consacrata: “Se il futuro della comunità dipende dal rinnovamento e dall’adeguata formazione dei loro membri, la vitalità della vita consacrata dipende oggi dalla promozione vocazionale, accompagnata dalla preghiera al Padrone della messe e datore di ogni vocazione, e dalla formazione iniziale e permanente, a livello teologico, morale, spirituale”[4].

La testimonianza di una tensione costante verso la santità e la perfezione cristiana, fatta nella preghiera e nell’impegno della nuova evangelizzazione è, allora, lo spazio privilegiato per mostrare a tutti, gli orizzonti della radicalità evangelica. In un società pluralista e frammentata in cui tutto è relativo, frutto solo di compromessi esistenziali e sociali, la luce della radicalità cristiana può provocare interrogativi e mostrare prospettive impensate di vita piena, specialmente per i giovani. La prima pastorale vocazionale si fa mostrando nei fatti come chi segue Gesù, chi si sottomette al suo giogo soave, trova in questo la forza per camminare sulla via della santità senza stancarsi. Oggi c’è bisogno di radicalità e totalità nella proposta vocazionale. “La grazia a buon prezzo”[5], scriveva D. Bonhoeffer, è il nemico mortale di ogni proposta vocazionale.

Le vocazioni possono fiorire solo in ambienti di fede, attraverso forti e sane esperienze spirituali e un adeguato accompagnamento, a contatto con persone gioiose della loro vocazione e inserite positivamente nella Chiesa. Per questo è necessario che la Chiesa locale dimostri maggior preoccupazione per la vita consacrata e che le Conferenze dei Superiori Maggiori, in coordinazione con le conferenze episcopali, favoriscano riunioni di animatori vocazionali. Bisogna creare e incrementare gli organismi di coordinamento della pastorale vocazionale di preti diocesani e consacrati; elaborare un direttorio per la pastorale vocazionale; creare istituti di formazione per gli animatori della pastorale vocazionale; articolare la pastorale vocazionale con la pastorale ordinaria della comunità cristiana. Certamente è necessario anche un lavoro congiunto tra i vari Istituti di vita consacrata e le diocesi per mostrare la complementarità delle vocazioni nella Chiesa e la loro importanza per il servizio al Vangelo. Queste indicazioni erano contenute in modo esplicito nel dibattito del Sinodo per la vita consacrata del 1994. E mi sembra che il nostro incontro vada in questa direzione.

 

 

Ripartire dalla universale vocazione alla santità

Il punto di partenza per tutta la pastorale della Chiesa, quindi anche per quella delle vocazioni, il Santo Padre nella NMI lo pone nella santità. “In primo luogo non esito a dire – egli scrive – che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità… Occorre allora riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, dedicato alla ‘vocazione universale alla santità…’. Professare la Chiesa come santa significa additare il suo volto di Sposa di Cristo, per la quale egli si è donato, proprio al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26). Questo dono di santità, per così dire, oggettiva, è offerto a ciascun battezzato” (NMI 30). … “Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni ‘geni’ della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno” (NMI 31).

La “santità” è una delle note caratteristiche con cui il cristiano esprime la sua fede nella Chiesa[6], ed è quella a cui aderisce in modo particolare la vita consacrata[7]. L’apostolo Paolo nella lettera agli Efesini, spiegando in che cosa consiste la nostra benedizione da parte di Dio in Cristo, dice che “in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” (1,4); lo stesso Apostolo nella prima lettera ai Tessalonicesi precisa che “questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (4,3). Certamente la vocazione alla santità è per tutti i cristiani, ma è innegabile che la vita consacrata ha in questa vocazione della Chiesa una ministerialità particolare.

La LG al n. 44 afferma che la professione dei consigli evangelici appartiene indiscutibilmente alla vita e alla santità della Chiesa. A partire da questa indicazione in questi ultimi tempi sono stati molti gli interventi con cui il Magistero ecclesiale ha illuminato il disegno di Dio sulla vita consacrata, indicandone il punto focale nella peculiare vocazione alla santità[8]. Lo ha ribadito con forza e chiarezza l’Esortazione Apostolica Vita Consecrata: “La vocazione alla santità, in quanto vocazione fondamentale e costitutiva dei battezzati coglie in maniera globale ed essenziale il progetto originario di Dio sulla vita consacrata”.

In particolare possiamo dire che ministero proprio della vita consacrata è non solo l’essere segno di “santità” nella radicalità delle sue scelte di vita, ma anche di essere in modo particolare a servizio della santità nella Chiesa. Un servizio che trova indicazioni preziose nella pedagogia della santità di cui parla il Papa nella Novo Millennio Ineunte. Proporre itinerari pedagogici di santità qualifica il servizio dei consacrati e delle consacrate alla pastorale vocazionale delle comunità cristiane e nello stesso tempo sono proprio questi itinerari ad essere il loro modo migliore di proporre quell’esistenza spirituale e apostolica che è alla base del carisma proprio di ogni Istituto di vita consacrata.

C’è un invito incessante che sale dalle comunità a collaborare perché diventino veri laboratori della fede, con itinerari di vita spirituale solidi e sperimentati. Qui la vita consacrata può portare energie vive, tratte dalle sorgenti della loro tradizione spirituale con nuova creatività, verso una rinascita che prima di essere vocazionale è di fede e di esperienza di carità.

 

 

Contemplare, annunciare e “rendere visibile” il volto di Cristo dolente e risorto

Il Santo Padre nella NMI rilancia per noi a nome degli uomini e donne del nostro tempo l’invito che alcuni ebrei fanno all’apostolo Filippo: Vogliamo vedere Gesù (Gv 12,21). La vita consacrata dovrebbe ripensare la propria immagine a partire dalla contemplazione del volto di Gesù e liberarla da tutte le deformazioni. Il cammino ci è tracciato da quella che Giovanni Paolo II chiama il “nucleo essenziale, la grande eredità”, cioè la “contemplazione del volto di Cristo: lui considerato nei suoi lineamenti storici e nel suo mistero, accolto nella sua molteplice presenza nella Chiesa e nel mondo, confessato come senso della storia e luce del nostro cammino” (NMI 15).

Le comunità della vita consacrata sono chiamate ad essere segni permanenti della ricerca di Cristo Salvatore e luoghi dove l’esperienza di Dio permea tutta la vita umana quotidiana. In esse deve trovare nuovo splendore il volto dolente di Cristo unitamente al volto del Risorto[9]. Il P. H. Schalück, già Superiore Generale dei Frati Minori, così scrive in una relazione fatta ai Superiori Generali: “Nonostante la loro dipendenza dal tempo, esse (le comunità religiose) sono segni ‘escatologici’ che interpretano il tempo e, insieme, lo scavalcano, rammentando che la storia dell’umanità e del cosmo è essenzialmente una storia di salvezza e di liberazione continua che aspetta ancora il suo compimento; una storia non solo di tragicità e di colpa, ma anche di perdono donato, di nuovi orizzonti e di una nuova incarnazione del Vangelo. Chi ricorda ancora all’uomo postmoderno queste prospettive? Il senso della vita consacrata non sta in ciò che fa, ma in ciò che è o dovrebbe essere: un luogo dell’esperienza di Dio, testimone di Dio nel mondo di oggi”[10].

L’invito del santo Padre a ripartire da Cristo dà ai consacrati un nuovo slancio per ri-annunciare con la loro vita Gesù Cristo figlio di Dio servo obbediente al Padre, che non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ed ha amato l’uomo fino alla fine”[11]. È questo il ministero più proprio della vita consacrata. Essa “più fedelmente imita e continuamente rappresenta nella Chiesa, per impulso dello Spirito Santo, la forma di vita che Gesù, supremo consacrato e missionario del Padre per il suo Regno, ha abbracciato ed ha proposto ai discepoli che lo seguivano (cfr. Mt 4, 18-22; Mc 1, 16-20; Lc 5, 10-11; Gv 15, 16). Alla luce della consacrazione di Gesù, è possibile scoprire nell’iniziativa del Padre, fonte di ogni santità, la sorgente originaria della vita consacrata. Gesù stesso, infatti, è colui che ‘Dio ha consacrato in Spirito Santo e potenza’ (At 10, 38), ‘colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo’ (Gv 10, 36). Accogliendo la consacrazione del Padre, il Figlio a sua volta si consacra a Lui per l’umanità (cfr. Gv 17, 19): la sua vita di verginità, di obbedienza e di povertà esprime la sua filiale e totale adesione al disegno del Padre (cfr. Gv 10, 30; 14, 11). La sua perfetta oblazione conferisce un significato di consacrazione a tutti gli eventi della sua esistenza terrena. Egli è l’obbediente per eccellenza, disceso dal cielo non per fare la sua volontà, ma la volontà di Colui che lo ha mandato (cfr. Gv 6, 38; Eb 10, 5.7). Egli rimette il suo modo di essere e di agire nelle mani del Padre (cfr. Lc 2, 49). In obbedienza filiale, adotta la forma del servo: ‘Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo […], facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce’ (Fil 2, 7-8). È in tale atteggiamento di docilità al Padre che, pur approvando e difendendo la dignità e la santità della vita matrimoniale, Cristo assume la forma di vita verginale e rivela così il pregio sublime e la misteriosa fecondità spirituale della verginità. La sua piena adesione al disegno del Padre si manifesta anche nel distacco dai beni terreni: ‘Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà’ (2 Cor 8, 9). La profondità della sua povertà si rivela nella perfetta oblazione di tutto ciò che è suo, al Padre. Veramente la vita consacrata costituisce memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli. Essa è vivente tradizione della vita e del messaggio del Salvatore” (VC 22). La pastorale vocazionale offre alla comunità ecclesiale una visione di vita consacrata non fondata sulla rinuncia, ma che trova slancio nella radicalità dell’amore, del rischio e del servizio alla vita… perché ognuno ne abbia in abbondanza (cfr. Gv 10,10).

I voti religiosi portano il cristiano, che è chiamato alla vita consacrata, verso una conformità più grande e radicale con la vita di Gesù e lo rendono partecipe di tutto il suo pellegrinaggio terreno fino alla sua passione, morte e risurrezione. I voti, infatti, non significano rinuncia a qualche cosa, ma scelta di un amore più grande: essi rendono partecipi della risurrezione di Gesù, della sua gloria, dell’effusione dello Spirito e, infine, della trasformazione del mondo verso il suo assetto definitivo. I voti sono a servizio della perfezione della creazione e a servizio della vita. Essi sono nel mondo, in modo specifico e particolare, “memoria” viva di Gesù e “profezia” nello Spirito che “procede dal Padre e dal Figlio”. E proprio dei consigli evangelici l’atteggiamento fondamentale della libertà e della grande disponibilità di mettersi al servizio del Regno di Dio e della sua giustizia. La loro intenzione fondamentale è l’amore e questa intenzione non è “dettata dalla legge”, ma può essere solo spontanea, creativa, intuitiva e liberante[12]. Risplende così, in unità, il volto dolente di Cristo sulla Croce e quello festante di Cristo che appare risorto agli apostoli, che li accompagna per via, ecc.

La vita consacrata trova qui spazio e provocazioni forti per il suo servizio alle comunità cristiane. E la sfida della spiritualità e della qualità della vita cristiana alla quale non può sottrarsi, e dalla quale, a mio avviso, deve partire ogni programmazione pastorale anche quella vocazionale. Il Santo Padre nella NMI ha invitato a porre la qualità della vita spirituale e della cultura della vita prima di ogni progettazione pastorale o impegno apostolico. I Consacrati e le Consacrate in questa prospettiva possono con il loro stesso stile di vita portare alla comunità cristiana, particolare testimonianza della fecondità di tale scelta. Essi dovranno dar conto della fede e della speranza che li anima e come la loro esistenza è fondata e guidata solo sullo Spirito di Dio che riempie non solo la Chiesa ma anche tutto il mondo.

Per la vita consacrata la contemplazione del volto di Cristo sarà incontro con lui nella preghiera, nell’ascolto della Parola e nella celebrazione della Liturgia, specialmente nell’Eucaristia. E questa contemplazione diventerà per la comunità cristiana splendore del volto di Cristo e per le comunità religiose una costante ricerca del volto di Cristo là dove Lui ha detto di essere presente, specialmente nel volto dei fratelli più poveri.

 

 

Aiutare a “servire i poveri” con la carità di Cristo

Il servizio della carità è sempre stata una nota caratteristica della vita consacrata. Il “servizio dell’ospitalità” secondo le più svariate forme, da pellegrini e viandanti in cerca di Dio e di protezione, ai poveri, piccoli, emarginati, handicappati, ecc. è un aspetto fondamentale che qualifica quasi tutti i carismi della vita consacrata. Certamente oggi nell’ambito del servizio s’impone l’esigenza di un rinnovamento di qualità evangelica – ecclesiale – carismatica. Il valore vocazionale della comunità non è dato dalla grandezza delle opere o dal peso sociale del servizio ma dalla forza spirituale che esso esprime, dall’umiltà e profondità dell’amore che rende presente. I sentieri da percorrere in questa fatica possono essere ricondotti a tre basilari:

 

Un servizio recepito e vissuto come “mandato ricevuto da Dio”

che necessita assidua preghiera e annuncio. Il consacrato che serve, trascurando di stare con il Signore e di frequentarlo assiduamente, diventa sì uomo fra gli uomini e per gli uomini, ma non uomo di Dio fra gli uomini e per gli uomini. Senza preghiera vera, profonda, insistente si approda al puro attivismo; senza il cibo della Parola del Signore non si è in grado di mettersi dalla parte di Dio, assimilando i principi ispiratori, gli atteggiamenti interiori, i criteri di giustizia offerti dal Vangelo. Questo primato si deve vedere! Perciò, il servizio pastorale va liberato dalla frenesia dell’azione per essere immerso nella sapienza della contemplazione.

 

Un servizio recepito e vissuto come “mandato della Chiesa”

che reclama di essere svolto nella Chiesa: cioè in totale fedeltà ad essa, ossia in piena comunione ecclesiale; per la Chiesa: vale a dire a favore della sua crescita vocazionale, missionaria e di cooperazione tra le Chiese.

 

Un servizio recepito e vissuto come “ministero comunitario”

che richiede due particolari impegni:

a) salvaguardare la fedeltà alla propria identità spirituale, perché una rinnovata presenza dei consacrati nella Chiesa non risulterebbe pienamente autentica se dovesse rinunciare, anche solo in parte, alle caratteristiche della vita consacrata e all’indole specifica di ciascun Istituto;

b) questo apparirà in tutta la sua forza se il servizio non sarà frutto solo del geniale carisma e impegno di qualche religioso, ma nascerà dalla vita e dalla coscienza apostolica dell’Istituto e dall’azione fattiva delle sue comunità locali. Gli operatori pastorali e gli animatori vocazionali hanno bisogno di un chiaro riferimento nell’Istituto e nelle comunità per mostrare al popolo di Dio e particolarmente ai giovani il Vangelo attuato nella vita, per educare ad un sano senso di appartenenza.

 

 

 

ELEMENTI SPIRITUALI E PASTORALI, PSICOLOGICI E PEDAGOGICI
NUOVI DI PASTORALE VOCAZIONALE DEI CONSACRATI

 

Programma spirituale della pastorale vocazionale

I progetti di pastorale vocazionale hanno qui il loro fondamento, perché senza una autentica cultura della vita spirituale, che vive e cresce con la contemplazione, tutti i nostri progetti saranno costruiti sulla sabbia. Partendo da un programmazione fondata sulla contemplazione del volto di Cristo, mostrato in modo speciale dall’identità spirituale e carismatica di ciascun Istituto di vita consacrata, sarà possibile dare spessore alla nostre proposte vocazionali e mostrare al vivo il loro fascino e la speranza che le anima. È l’attuazione del “programma di sempre” della Chiesa: “Esso si incentra, in ultima analisi, – scrive il S. Padre – in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio” (NMI 29). Ed ancora nella NMI troviamo quattro indicazioni date alle comunità cristiane che hanno dei chiari risvolti per l’impegno pastorale della vita consacrata e la sua pastorale vocazionale.

 

Una autentica pedagogia della santità

Leggiamo al n. 31: “È ora di riproporre a tutti con convinzione questa ‘misura alta’ della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane (quindi a maggior ragione delle comunità religiose) deve portare in questa direzione. E però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa”.

 

Le nostre comunità vere scuole di preghiera

Al n. 33 leggiamo: “le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche ‘scuole’ di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero ‘invaghimento’ del cuore. Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non distoglie dall’impegno nella storia: aprendo il cuore all’amore di Dio, lo apre anche all’amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio”[13]. E subito dopo al n. 34: “Certo alla preghiera sono in particolare chiamati quei fedeli che hanno avuto il dono della vocazione ad una vita di speciale consacrazione: questa li rende, per sua natura, più disponibili all’esperienza contemplativa, ed è importante che essi la coltivino con generoso impegno”.

 

Partire da un rinnovato ascolto della Parola di Dio

Ed ancora al n. 39: “Non c’è dubbio che questo primato della santità e della preghiera non è concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della parola di Dio”.

 

Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione

Infine al n. 43: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo”. Ecco: diventare operatori della “pedagogia della santità”, fare delle comunità religiose delle “scuole di preghiera e di ascolto della Parola”, e questo vissuto e attuato per fare della Chiesa “la casa e la scuola della comunione” esplicitate le azioni che meglio possono creare quello “spazio pastorale” nel quale ogni vocazione può essere annunciata, conosciuta e portata a maturazione. Sono queste infatti le azioni pastorali in cui il servizio alle vocazioni si esprime al meglio.

 

 

Programma psicologico e pedagogico della pastorale vocazionale

Da queste considerazioni mi sembra che emerga una connotazione primaria per la pastorale delle vocazioni, quella di attuarsi all’interno di relazioni ecclesiali e sociali da rendere sempre più stabili e feconde. 

Nella molteplicità delle relazioni e nella profondità e verità di esse la Pastorale vocazionale della Vita Consacrata trova il suo spazio vitale e la sua azione più proficua. La vocazione – infatti – è dialogo, è sentirsi chiamati da un Altro e avere il coraggio di risponderGli. Come può maturare questa capacità di dialogo in chi non ha imparato, nella vita di tutti i giorni e nelle relazioni quotidiane, a lasciarsi chiamare, a rispondere, a riconoscere l’io nel tu? Come può farsi chiamare dal Padre chi non si preoccupa di rispondere al fratello? (NVNE 27b).

Per il credente cristiano la prima relazione è con Cristo e la sua Chiesa, trova nella preghiera il linguaggio più usuale, vede nel matrimonio uno dei segni più grandi, realizza nella verginità una parabola di gratuità feconda, riconosce nel morire per l’altro, come Gesù, l’esperienza altissima della carità, nella quale la libertà raggiunge il suo vertice. La pastorale vocazionale di un Istituto di vita consacrata religiosa deve, però, fare i conti con una serie di mediazioni e situazioni che la qualificano e, insieme, la rendono più difficile. In particolare la pastorale vocazionale dipende dalla “immagine culturale e spirituale” che l’Istituto ha nella Chiesa e nella società. E questa immagine, poi, è strettamente legata alla natura e profondità delle relazioni che sa intrattenere con la comunità cristiana, con gli “evangelicamente poveri” e con tutto ciò che compone il tessuto sociale della convivenza umana.

I consacrati e le loro comunità sono chiamati, attraverso la loro vita e il loro servizio apostolico, ad offrire la possibilità di conoscere Cristo e sperimentare la sua salvezza. La conoscenza non è però un fatto intellettuale, è, secondo la logica biblica, una relazione vitale sperimentata dentro la vita. L’incontro con Cristo deve diventare scoperta della verità su se stessi, sugli altri, su Cristo, sulla Chiesa, sul Padre Celeste. È incontrare la vita nuova. La pastorale giovanile vocazionale deve allora operare su due versanti: offrire cioè itinerari che mirino a dare da un lato nuove capacità di accoglienza e di testimonianza alle comunità religiose; dall’altro nuove speranze e orizzonti di vita ai giovani: camminare con i giovani… “stare con i giovani non è questione di età e tantomeno di atteggiamenti compiacenti! Si aprano invece ad una vera paternità spirituale, nutrita da un cuore al tempo stesso ‘giovane’ e ‘maturo’, attento, capace di relazionalità, premuroso, rispettoso della gradualità, ma anche esigente, che non fa sconti sulla verità… A tutti i sacerdoti chiediamo grande disponibilità nell’accompagnamento dei giovani mediante la direzione spirituale. Lo stesso è richiesto a religiosi e religiose, presenza preziosa non solo per il servizio che fanno, ma soprattutto per il dono di vita cristiana che sono”[14].

Inizia così il cammino per rendere capace di ospitalità la comunità religiosa e per aiutare il giovane ad entrare in comunione con quello Spirito che è l’anima della vita cristiana e, ancor più, di quella consacrata. Questo cammino mira a trovare il luogo, lo spazio e il linguaggio, importante capire dove, quando e come avviare un vero dialogo tra la comunità religiosa e il mondo dei giovani. Si tratta di percorrere un itinerario che va dalla comunità religiosa al mondo dei giovani, dal mondo dei giovani alla comunità cristiana, dalla comunità cristiana alla Chiesa e dalla Chiesa alla “vocazione del mondo” ad essere Regno di Dio.

Il primo passo va fatto nello stile di Cristo. Egli “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome”[15]. La comunità religiosa per offrirsi come luogo di incontro deve diventare “spazio abitabile” per i giovani, deve passare da un atteggiamento di “docenza” e di “controllo” ad un atteggiamento di vera “accoglienza”. Se i giovani saranno considerati solo come persone bisognose di essere entusiasmate, aiutate a discernere il progetto della loro vita…, cioè solo come destinatari di un servizio pastorale, o usati come collaboratori, difficilmente potranno considerare “loro” la comunità, i suoi ideali, il suo apostolato[16]

È necessario stabilire un generoso “scambio di doni”, verso quella comunione piena con Cristo nella Chiesa e per mezzo della comunità che è il punto di arrivo del cammino vocazionale. Il giovane deve iniziare a sentire la comunità come “casa” e come “famiglia”, perché è in questi luoghi che vive profondo il desiderio di dialogo, di confronto, di amore; qui si trovano naturalmente gli strumenti adatti ad una crescita integrale. La comunità diventa così un laboratorio, in cui tutti si sentono partecipi nella edificazione di qualcosa di comune. Le idee condivise fanno convergere gli animi e con l’azione corale si sperimenta la corresponsabilità. Si dà vita così a un clima e un ambiente, carico di valori, che facilitano scelte e impegni.

Si tratta di mettere in atto uno scambio di doni tra comunità religiosa, chiesa locale, mondo giovanile e pastorale familiare, atto a creare quella casa dove si vive una vera “spiritualità di comunione” in cui ogni vocazione è se stessa nel servire le altre vocazioni. Cerchiamo di dare un rapido sguardo allo scambio che viene messo in atto da questo incontro, in particolare alle esigenze formative che abilitano la vita consacrata a questo scambio di doni.

Finora il travaglio postconciliare è stato in buona parte incentrato nell’identificare meglio il carisma proprio di ciascun Istituto rispetto agli altri, un recupero di identità a partire dalla storia passata e dai valori ricevuti dal carisma di fondazione. Oggi si guarda al carisma proprio in quanto si intreccia, non senza un complesso gioco di complementarità e reciprocità, con l’intera vita ecclesiale, nella quale il mondo dei giovani rappresenta una sfida ed un impegno pastorale non secondario. Il Sinodo dei Vescovi sulla Vita consacrata nella Chiesa, e l’esortazione apostolica “Vita Consecrata” hanno messo in luce alcuni punti nodali per lo sviluppo della Vita Religiosa, punti che rivestono una importanza particolare per il cammino vocazionale e formativo. Prima di tutto occorre ridare forza e chiarezza alla testimonianza: “Una certa separazione dalla famiglia e dalla vita professionale, dal momento in cui una persona entra in noviziato, parla in modo potente della assolutezza di Dio… e man mano che cresce il distacco da altre legittime relazioni, occupazioni e forme di distensione, si manifesta, lungo tutta la vita, l’assolutezza di Dio… Di sua natura la Vita Religiosa è una testimonianza che deve manifestare in tutta chiarezza il primato dell’amore di Dio e agire cosi con una forza che viene dallo Spirito Santo”. Nasce qui l’invito pressante a ritrovare oggi l’audacia dei fondatori e ad accogliere, custodire, approfondire, vivere e a costantemente sviluppare “l’esperienza dello Spirito” del Fondatore “in sintonia con il cammino della Chiesa, Corpo di Cristo in continua crescita” (cfr. MR 11). Fondamentalmente, si tratta di esprimere l’identità dell’istituto, condizione necessaria per la comunione e la collaborazione alla missione nella Chiesa particolare e universale. “In questi nostri tempi in modo particolare si esige dai religiosi quella stessa genuinità carismatica, vivace e ingegnosa nelle sue inventive, che spiccatamente eccelle nei fondatori, affinché meglio e con zelo s’impegnino nel lavoro della Chiesa tra coloro che oggi costituiscono di fatto la maggioranza dell’umanità e sono i prediletti del Signore: i piccoli e i poveri” (MR 2.3f). L’urgenza delle scelte concrete di rinnovamento “richiama ad una fedeltà capace di riportare all’oggi della vita e della missione di ciascun istituto l’ardimento con il quale i fondatori si erano lasciati conquistare dalle intenzioni originarie dello Spirito” (RPU 30).

Ma c’è comunque un problema non indifferente da superare: le situazioni difficili di molte comunità, per l’età delle persone, per l’inamovibilità, per le correnti di pensiero, per le fragilità delle persone, per il “mistero della persona” e del cuore umano. Il richiamo dei documenti ecclesiali sopra citati, sembrano una utopia, anche se poggiano sulla forza dinamica della vocazione, che richiede le necessarie condizioni di vita nello spirito di comunione fraterna ed ecclesiale che permettono alle persone di maturare e di esprimersi. Ma ogni cammino, anche questo, porta sempre i tratti dell’esperienza pasquale e quindi l’esigenza di una kenosi vissuta nell’unione con Dio e nella carità fraterna per essere feconda. E questo in tutte le stagioni della vita sia delle persone singole, sia delle comunità.

 

 

 

CONCLUSIONI OPERATIVE

 

La comunità che cammina su questi sentieri di pastorale vocazionale e di servizio evangelico:

– potrà diventare un faro luminoso tra le tanti luci della “grande piazza” che è la nostra società;

– imparerà a parlare con il linguaggio di Cristo che giunge al cuore;

– si aprirà come possibile luogo di incontro e spazio di crescita per tutti coloro che Dio chiama;

– è urgente più unità di percorsi e un dialogo più stretto tra pastorale vocazionale, pastorale giovanile, pastorale familiare[17];

– importante sviluppare il dialogo e la comunione soprattutto nelle comunità ecclesiali a livello locale, poi a livello diocesano e infine a livello nazionale;

– è importante intensificare le presenze e la comunione tra gli organismi ecclesiali esistenti con più continuità nelle persone. Già nella esortazione apostolica Vita Consecrata il Papa, dopo aver richiamato la necessità della comunione tra le Conferenze dei Superiori Maggiori, dice: “…Un rapporto attivo e fiducioso dovrà pure essere intrattenuto con le Conferenze Episcopali dei singoli paesi. Nello spirito del documento Mutuae relationes, sarà conveniente che tale rapporto assuma una forma stabile, così da rendere possibile il costante e tempestivo coordinamento delle iniziative via, via emergenti. Se tutto questo sarà attuato con perseveranza e spirito di fedele adesione alle direttive del magistero, gli organismi di collegamento e di comunione si riveleranno particolarmente utili per trovare soluzioni che evitino incomprensioni e tensioni sul piano sia teorico che pratico”[18]. Lo stesso concetto Giovanni Paolo II lo ribadisce con forza nella NMI: “Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello, nel tessuto della vita di ciascuna Chiesa. La comunione deve qui rifulgere nei rapporti tra Vescovi, Presbiteri e Diaconi, tra Pastori e intero popolo di Dio, tra clero e religiosi, tra associazioni e movimenti ecclesiali. A tale scopo devono essere sempre meglio valorizzati gli organismi di partecipazione previsti dal Diritto Canonico, come i Consigli presbiterali e pastorali[19];

– urgente e particolare è l’impegno di riuscire a collegare le scelte di vita o i progetti operativi dei singoli Istituti esistenti in una diocesi con il piano pastorale del vescovo. È chiaro, che per realizzare questo, sono necessari l’intesa, il dialogo e il confronto prima della stesura del piano pastorale diocesano;

– di fondamentale importanza lo scambio di doni. Ce lo ricorda ancora l’esortazione apostolica Vita Consecrata: “Uno dei frutti della dottrina della Chiesa come comunione, in questi anni, è stata la presa di coscienza che le sue varie componenti possono e devono unire le loro forze, in atteggiamento di collaborazione e di scambio di doni, per partecipare più efficacemente alla missione ecclesiale”[20];

– da ultimo, mi pare interessante il richiamo fatto dal Presidente della Conferenza Italiana Superiori Maggiori, P. Vittorio Liberti, alla XL Assemblea Generale a proposito della necessità della promozione vocazionale reciproca: “Una buona cartina al tornasole della serietà con cui ciascuna componente dell’unica Chiesa si gioca in questa direzione (la collaborazione) è l’impegno per la promozione vocazionale reciproca. Se noi consacrati religiosi sapremo pregare e lavorare in risposta alle reali esigenze dei fedeli laici, e se questi, specialmente nelle famiglie, sapranno promuovere le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, allora tutti cresceremo nella comprensione della vita cristiana e la Chiesa recupererà la pienezza della propria vocazione, che lo Spirito vuole multiforme nella complementarità e complementare nella diversità”.

 

 

 

Note

[1] J. RATZINGER, La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, Ed. Paoline, Milano 1991, pp. 100-102.

[2] GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’assemblea del III Convegno ecclesiale, Palermo 20-24 Novembre 1995.

[3] Cfr. Assemblea CEI sulle Vocazioni, maggio 1999.

[4] Instrumentum Laboris, Sinodo dei Vescovi sulla vita consacrata, n. 32.

[5] Cfr. D. BONHOEFFER, Sequela, Brescia 1975, p. 21 e ss.

[6] …Credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica…

[7] LG 39: “La santità della Chiesa poi si manifesta e si deve continuamente manifestare nei frutti di grazia che lo Spirito produce nei fedeli. Nei singoli essa si esprime in forme diverse, perché ognuno tende alla perfezione della carità e edifica gli altri nel proprio genere di vita. In modo tutto speciale si manifesta nella pratica di quei consigli che si è soliti chiamare evangelici: per impulso dello Spirito Santo questa pratica viene abbracciata da molti cristiani, sia privatamente sia in una istituzione o stato sancito dalla Chiesa. La pratica dei consigli porta e deve portare nel mondo una luminosa testimonianza e un esempio vivente di questa santità”; cfr. anche 40-44; MR 4.

[8] Ibidem.

[9] Cfr. NMI 20.28.

[10] H. SCHALUCK, in: Le vocazioni alla vita consacrata…, Roma 1999. 

[11] Cfr. Fil 2, 5-11.

[12] H. SCHALUCK, ibidem, p. 49.

[13] Cfr. Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. su alcuni aspetti della meditazione cristiana Orationis formas (15 ottobre 1989): AAS 82 (1990), 362-379.

[14] Documento CEI: Educare i giovani alla fede, n. 1, p. 3. 

[15] Fil 2,6-9.

[16] Cfr. Documento CEI: Educare i giovani alla fede, n. 2, p. 5.

[17] Ibidem n. 3. La mediazione educativa di tutta la comunità cristiana, p. 6.

[18] VC n. 53, 3. 

[19] NMI, n. 45, 1. 

[20] VC n. 54, 1.