L’anima e lo stile della nostra pastorale vocazionale
Tavola rotonda introdotta e moderata da Antonio Ladisa, Vice Direttore del CNV, con Marcello Longhi, Religioso; Clarice Gengaroli, Religiosa; M. Concetta Gelsomino, Laica consacrata.
PRESENTAZIONE
Antonio Ladisa
Vice Direttore del CNV
Questa tavola rotonda, nell’economia del Forum occupa un posto centrale: ha, infatti, il compito di collegare le prime due relazioni con i lavori di gruppo e le indicazioni e prospettive che ci verranno offerte nella relazione conclusiva di P. Volpi. Si tratta ora, prima di fermarci nei gruppi di studio per un arricchente e coinvolgente scambio delle esperienze capace di mettere a fuoco le luci e le ombre della pastorale per verificare, di vedere se e in quale misura quell’ecclesiologia di comunione, su cui si sono soffermati sia Don Luca Bonari che Don Beppe Roggia, costituisce realmente l’anima e lo stile della nostra pastorale vocazionale, o se, al contrario, è solo una delle tante affermazioni di principio che fanno poi fatica ad essere incarnate nel nostro agire.
Per questo abbiamo chiesto a tre amici di aiutarci a leggere le esperienze in atto nella nostra Chiesa italiana per far emergere non solo le difficoltà e gli ostacoli che tutti incontriamo in questo cammino di comunione, ma anche le esperienze positive in atto che possono costituire un ottimo antidoto contro la rassegnazione e la sfiducia. In questa lettura “a tre voci”, ci è parso opportuno non allontanarci dall’orizzonte delle “relazioni degli Istituti di Vita Consacrata nella pastorale vocazionale”, focalizzando, però, la nostra attenzione a tre ambiti specifici, quelli che ci sono sembrati più significativi in questo senso e su cui i tre amici, rappresentanti rispettivamente della CISM, dell’USMI e della CIIS, si soffermeranno: Fr. Marcello Longhi ci aiuterà, a partire dalla sua esperienza, a misurare la temperatura delle relazioni esistenti tra la Vita Consacrata e la Chiesa locale, con una attenzione particolare alla capacità della pastorale vocazionale di collaborare con le parrocchie, i CDV, i CRV, e gli uffici diocesani; Sr Clarice Gengaroli ci presenterà il cammino di comunione e di collaborazione in atto tra i diversi istituti di Vita Consacrata; M. Concetta Gelsomino ci accompagnerà sulle strade, forse non ancora molto frequentate, della collaborazione della Vita Consacrata con le Associazioni, Movimenti e Aggregazioni Laicali.
Mi piace terminare questa breve presentazione della tavola rotonda con le parole di Dietrich Bonhoeffer: “Fare ed osare non una cosa qualsiasi, ma il giusto non ondeggiare nella possibilità, ma affermare coraggiosamente il reale non nella fuga dei pensieri, solo nell’azione è la libertà. Lascia il pavido esitare ed entra nella tempesta degli eventi sostenuto solo dal comandamento di Dio e della tua fede e la libertà accoglierà giubilando il tuo spirito”.
RELAZIONI NELLA CHIESA LOCALE:
PARROCCHIA, CDV, CRV, UFFICI DIOCESANI
Marcello Longhi, dei Frati Minori Cappuccini della Lombardia
Pace e bene a tutti!
Sono Fra Marcello Longhi, religioso della Provincia Lombarda dei Frati Minori Cappuccini, ordinato sacerdote nel 1985. Nei miei primi dodici anni di vita sacerdotale ho servito come coadiutore d’oratorio in una grossa parrocchia in città di Milano. Da circa quattro anni sono responsabile della Pastorale Giovanile e Vocazionale per la mia provincia religiosa. Il presente scritto è frutto del confronto con i frati che collaborano con me nell’animazione vocazionale e con P. Augusto Bussi Roncalini dei Padri Somaschi, Segretario uscente dell’Ufficio Vocazioni della Conferenza Regionale Lombarda CISM e membro uscente del Centro Regionale Vocazioni della Lombardia. La mia esperienza personale diretta si base sui rapporti che noi Cappuccini abbiamo in essere nell’ambito della Pastorale Vocazionale con le Diocesi di Bergamo, Brescia, Como, Cremona e Milano.
Una iniziale osservazione di metodo
Relazioni pastoralmente significative e produttive per l’animazione vocazionale sono possibili tra religiosi e chiesa locale quando il CDV è realmente il luogo nel quale viene condivisa tutta la pastorale vocazionale in uno stile di “pari opportunità”, di fiducia, di comunione e corresponsabilità attiva. Quando invece l’Opera Vocazioni del Seminario Diocesano progetta e promuove in proprio il grosso della animazione vocazionale, il CDV si riduce ad essere una agenzia “marginale” con il compito di occuparsi del “resto”.
In questo ultimo caso le relazioni tra religiosi e Chiesa locale rimangono ad un livello formale e insignificante: vengono meno le motivazioni per un coinvolgimento attivo e si fatica a trovare anche le persone disponibili ad assumersi responsabilità nei vari organismi. Nei religiosi scatta allora la logica poco ecclesiale riassunta nella antica ed infelice massima vocazionale “ognuno per sé, Dio per tutti”.
Alcune attenzioni generali per una pastorale vocazionale di comunione
All’interno di ogni CDV dovrebbe essere richiesta e offerta la presenza attiva e corresponsabile dei rappresentanti delle diverse forme di vita consacrata presenti in Diocesi. Non è ancora dappertutto così, a volte anche per la ritrosia dei religiosi a lasciarsi coinvolgere. Nella pastorale vocazionale di base promossa “sul campo” dal CDV bisognerebbe far conoscere tutte le diverse vocazioni, valorizzando insieme al Seminario Diocesano anche i luoghi dove vivono le comunità consacrate.
Per un religioso è naturale sapere chi è il prete diocesano, mentre non è sempre vero il reciproco. Sarebbe bello che i seminaristi avessero la possibilità di conoscere almeno a grandi linee, la vita consacrata e la sua teologia. A questo proposito la lettera post-sinodale “Vita Consecrata” e la stessa esperienza del Sinodo costituiscono un importante punto di arrivo e di partenza. A livello locale sarebbe utile far conoscere ai seminaristi il carisma tipico degli istituti religiosi presenti nelle singole Diocesi così da approfondire e stimare la ricca pluriformità delle vocazioni religiose presenti nella Chiesa (vita attiva e contemplativa, società apostoliche, istituti secolari, istituti missionari…).
CON LA PARROCCHIA
È importante cercare di lavorare in spirito di collaborazione con le iniziative proposte dai sacerdoti che seguono la fascia giovanile e dai Parroci. È necessario essere attivamente presenti nei Consigli pastorali parrocchiali e zonali. Una via che consigliamo di privilegiare è quella di offrire ai catechisti parrocchiali delle varie età occasioni di incontro per valorizzare gli spunti vocazionali presenti nei Catechismi della CEI. Particolarmente richiesti sono i ritiri con taglio vocazionale in preparazione ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana (Prima Confessione, Eucaristia e Cresima).
È stata un’esperienza bella e arricchente l’animazione vocazionale di una giornata all’interno dei Centri ricreativi estivi organizzati per bambini e ragazzi dagli Oratori: in Diocesi di Bergamo negli ultimi sei anni abbiamo raggiunto circa 70 parrocchie. Un servizio importante che offriamo alle parrocchie dove risiediamo è quello della disponibilità all’ascolto dei giovani e alla Direzione Spirituale, scegliendo il metodo dell’accompagnamento personale continuativo più che non quello degli “spot spirituali brevi”. Ci pare sia particolarmente gradita la disponibilità ad accogliere nel nostro Centro di Pastorale Giovanile e Vocazionale gruppi giovanili per ritiri, incontri o testimonianze vocazionali.
CON IL CDV
La nostra presenza nel CDV è stata richiesta e offerta in quasi tutte le Diocesi nelle quali siamo presenti. Particolarmente fruttuosa e vivace è la collaborazione con il CDV di Bergamo e Brescia e Como e Cremona che si esprime nella richiesta di “gestione in comunione” dei cammini di discernimento vocazionale rivolti ai giovani (Giornate vocazionali ed Esercizi Spirituali). Efficace è stata anche la collaborazione nella preparazione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni e delle varie veglie o testimonianze vocazionali. Occorrerebbe da parte dei Religiosi un maggior coinvolgimento “produttivo” (non limitarsi alla presenza fisica…) che talvolta manca per l’impegno già oneroso all’interno del proprio istituto.
CON IL CRV
La presenza dei religiosi nel CRV è stata richiesta, apprezzata e produttiva. Si è lavorato in buon accordo promovendo iniziative di studio di alto livello. Va rilevato che la comunione tra i membri del CRV dipende molto, come in ogni altro gruppo di lavoro, dalla sintonia e dalla affinità che si creano col tempo. Da questo punto di vista si rimprovera ai religiosi la troppa mobilità: non solo non possiamo farci niente, ma forse la nostra itineranza potrebbe essere letta e sfruttata come una ricchezza.
CON GLI UFFICI DIOCESANI
Abbiamo vissuto una concreta collaborazione con gli Uffici degli Oratori, della Catechesi, della Pastorale scolastica, della Pastorale familiare. Particolarmente interessante è stata l’attivazione della collaborazione con l’Ufficio Immigrati della Diocesi di Bergamo nella gestione delle giornate di Animazione vocazionale dei Centri Ricreativi Estivi.
RELAZIONE DEGLI ISTITUTI
DI VITA CONSACRATA TRA DI LORO
Clarice Gengaroli, FMM
Innanzi tutto un grazie al Centro Nazionale Vocazioni, per aver promosso un Forum sulla “Vita Consacrata nella Chiesa particolare”. Mi sono sentita interpellata a rivedere la mia esperienza alla luce dell’Esortazione Apostolica “Vita Consecrata”. Un grazie a nome dell’USMI (Unione Superiore Maggiori d’Italia, organo che rappresento in questo Forum). L’USMI, è la voce delle migliaia di religiose impegnate nelle varie regioni d’Italia che testimoniano con la semplicità della loro vita e della loro donazione, il mistero del Regno di Dio che opera nella storia. Il tema del Forum ci pone una domanda-sfida: Come realizzare una pastorale vocazionale di comunione? Non possiamo prescindere da una seppur breve analisi della realtà in cui viviamo. Quale oggi vivono le consacrate, come si pongono nell’affrontare le sfide quotidiane e come la gente recepisce la loro testimonianza?
Come interpretare questo tempo culturale di post-modernità. Come cogliere le domande significative (di senso, di voglia di sacro, di ricerca di compagnia, di armonia) i linguaggi (gesti, simboli, modelli), il senso o non senso dato al vissuto…. Tutto ciò ha riflessi sulla capacità di sentirsi parte di un processo e di saper interagire con le persone che lo vivono senza dimenticare che le giovani religiose, sono esse stesse il prodotto culturale di questo tempo e si portano dentro gli interrogativi delle loro coetanee. Possiamo affermare che viviamo una situazione culturale di secolarizzazione, dove prevale un progressivo disorientamento etico, che conduce all’indifferentismo e alla tentazione della non-scelta; si è abbandonata la tradizione come criterio di orientamento, ma è anche vero che si vive un certo ritorno al passato come rifugio di fronte alle incognite del futuro.
Il Documento Nuove Vocazioni per una Nuova Europa esprime la seguente analisi contestuale di cui riporto un brano: “Mai come in questo tempo il vecchio continente, nonostante mostri ancora le ferite di recenti conflitti e di contrapposizioni anche violente al suo interno, ha avvertito forte la chiamata all’unità” (11d)
Quest’unità è poi analizzata dal documento, sotto vari aspetti, non solo politico, economico, ma anche e prima di tutto spirituale e morale. Il documento firmato nel 1998 propone una realtà già in atto e ne delinea la traiettoria. In effetti, credo che sia stato impegno costante di tutti gli istituti in questi ultimi decenni quello di pensare, di riflettere, di lavorare insieme su tutti i versanti. Conosciamo le esperienze concrete non di sola collaborazione, ma di vera condivisione, partecipazione, solidarietà nel saper mettere insieme beni, luoghi, spazi, opere, e soprattutto persone e carismi. Dalle parrocchie alle diocesi, alle regioni, ai centri nazionali, gli Istituti e “le chiese che sono in Italia” hanno sviluppato in questi anni molteplici esperienze, in coesione di intenti e di progetti, per testimoniare la dimensione di comunione che li trascende e offrire risposte concrete alla crisi vocazionale che affligge le nostre Comunità.
La pastorale vocazionale è anzitutto testimonianza (Gv. 1, 40-41). Il Santo Padre, ci ha invitate, a più riprese, ad essere testimoni gioiose nel servizio del Regno, ben sapendo che la nostra vita è presenza sempre significativa accanto ai giovani. La prima proposta vocazionale è offerta da una testimonianza coerente di Cristo risorto. La nostra testimonianza è manifestazione dell’essere interamente conquistate da Dio; una testimonianza di radicalità, d’entusiasmo, di valori, che è vissuta nella relazione con gli altri. Così com’è ricordato dagli Atti degli Apostoli (At 2, 42 ss).
“Lo sguardo al cammino compiuto ci colma di sincera gratitudine al Signore per la coscienza vocazionale che ha fatto maturare nelle nostre Chiese e ci fa guardare con animo grato a tutte le persone che hanno prestato, e continuano a prestare il loro servizio alla crescita di questa coscienza”. Quest’affermazione che i Vescovi hanno sottoscritto alla XLVI Assemblea generale della CEI è vera anche, per la vita delle nostre famiglie religiose. Dopo un lungo lavoro di preghiera, di studio, di dialogo, le congregazioni, almeno nella maggior parte delle diocesi, si impegnano “insieme” ad educare le famiglie, i giovani, e gli adolescenti ad una cultura della vita come “dono”. Nei piani pastorali in genere, c’è una vera e propria catechesi per la ricerca vocazionale. Non c’è un documento a livello nazionale o locale che non affronti il problema vocazionale. La CEI lo chiama “il caso serio di tutta la pastorale”.
Il documento finale del congresso europeo sulle vocazioni “In verbo tuo” ci interpella profondamente. Affronta il problema alla radice, chiedendo a noi impegnate nella pastorale vocazionale, di essere preparate a scoprire e a proporre alle nuove generazioni il “vieni e seguimi” di Cristo. Ne deriva da qui l’impegno di una continua formazione: i convegni, i seminari di studio, la scuola per animatrici vocazionali. Nella pastorale vocazionale a livello diocesano e parrocchiale tante sono le iniziative: dalla catechesi ai campi scuola, dagli incontri di preghiera alla lectio divina, agli esercizi spirituali, agli impegni e alla solidarietà con gli “ultimi” i più poveri; alle esperienze di collaborazione, di gratuità, di condivisione di tempo, di vita, sia in Italia come nei luoghi geografici di “povertà”, o come risposta alle emergenze più sfidanti… Tra gli obiettivi operativi dell’USMI una nota importante è la seguente: “Sviluppare la comunicazione, la collaborazione, la comunione tra congregazioni come visibilità di una testimonianza evangelica”. Domenica 11 marzo inaugureremo una delle due comunità inter-congregazionali sorte a Roma come risposta alle nuove povertà.
Mille esperienze di generosità, d’impegno nuovo… dove c’è una povertà materiale o morale ci sono donne consacrate pronte a lenire dolori, soprattutto dove c’è da riabilitare la dignità umana perduta. Il senso ecclesiale di comunione è alla base e alimenta la “conoscenza reciproca e la stima”… l’Esortazione Apostolica Vita Consecrata ci ricorda che “persone che sono fra loro unite dal comune impegno della sequela di Cristo ed animate dal medesimo Spirito non possono non manifestare visibilmente, come tralci dell’Unica vite, la pienezza del Vangelo dell’amore” (VC 52).
Nella pastorale vocazionale, la relazione tra i vari istituti favorisce il discernimento nel rispetto dei doni personali e la scoperta del progetto di Dio sulla giovane. Non è certo reclutamento per il mio istituto, ma possibilità di conoscere i vari doni che Dio ha così abbondantemente elargito in seno alla sua Chiesa. Lavorare in sinergia e complementarietà impegna ad una testimonianza personale e di comunità. Le giovani vogliono vedere donne profondamente umane, ma profetesse; le martiri della carità e della fede le affascina, così come le attira le fraternità aperte a sostenere i valori dell’accoglienza, della solidarietà, della condivisione. Le consacrate che sono capaci di mettersi dalla parte degli oppressi per tutelare i valori della giustizia, della non violenza, della pace; quelle che sanno dare voce a chi non ha voce diventano provocazione, quindi interpellano la giovane e l’aiutano a decidersi a dare una risposta generosa al Signore che la chiama a “seguirlo…”.
Ancora oggi la voce del Signore si fa sentire a molte giovani dicendo: l’attirerò nel deserto e parlerò al suo cuore, affinché le donne non si smarriscano nel deserto della solitudine e dell’individualismo di un vivere disperato o sprecato. La pastorale vocazionale, oggi, richiede più che mai complementarietà di carismi; né divise né massificate, ma insieme con quella varietà armonica che è dono dello spirito e che diventa concreta ed operativa attraverso i piani di pastorale delle nostre chiese diocesane. Proprio una sapiente interazione reciproca ci risparmia il rischio di chiuderci nelle nostre crisi interne o dentro i problemi del nostro invecchiamento e della riduzione numerica. Confrontandoci “insieme” ed unendo le risorse possiamo rendere il nostro servizio meglio rispondente alle reali necessità di oggi per una nuova evangelizzazione. Essere in relazione è compito di tutte, siamo quindi sollecitate a ristabilire una relazionalità più profonda con il rispettivo carisma fondazionale per reinterpretare le indicazioni della chiesa secondo la specificità e la peculiarità di ogni Istituto. È, infatti, nella varietà dei carismi che si manifesta la ricchezza e l’unità della Chiesa.
Scuola USMI triennale per animatrici vocazionali
Un’esperienza intercongregazionale nella Chiesa: uno “spazio” ed un “tempo” (tre anni) in cui diversi Istituti Religiosi Femminili (più di venti), “accordano” la propria, distinta “nota” carismatica, in modo tale da eseguire armonicamente il “tema” portante della Pastorale Giovanile Vocazionale della Chiesa italiana, senza stonature, seguendone le direttive, e così eseguire esattamente quella sinfonia e comunione pastorale che, sola, può esprimere la ricchezza del volto di Dio e, insieme, manifestare al complesso mondo giovanile il vero volto della Chiesa, comunità di chiamati. Si tratta di una vera e propria “Scuola”, in cui attraverso tre anni di periodici incontri, relazioni, laboratori, verifiche, ogni religiosa e, attraverso essa, l’Istituto cui appartiene, imparano la difficile “arte della collaborazione” ecclesiale, della compartecipazione alla funzione pastorale e materna della Chiesa, soprattutto nell’ambito della pastorale vocazionale. Questi anni di “preparazione”, questa “storia di esercizi”, conducono ad un inserimento ecclesiale e ad una maturazione vocazionale tali da permettere ad ogni religiosa di vivere la collaborazione ecclesiale al servizio delle vocazioni con assoluta libertà e naturalezza, esprimendo pienamente la propria identità carismatica.
Il corso triennale, che è già alla sua terza esperienza, è iniziato ben 9 anni fa, nel 1992, su proposta dall’Ufficio di Pastorale Vocazionale dell’USMI nazionale. È nato come risposta all’istanza delle religiose italiane di un’adeguata formazione pastorale in questo specifico ministero che, tante volte, è stato definito il più difficile e il più delicato nella Chiesa, sia a motivo dell’odierna cultura antivocazionale, sia per la complessità del mondo giovanile. Molteplici sono pertanto i requisiti richiesti agli animatori vocazionali, soprattutto una notevole capacità di discernimento per una lettura attenta dei “segni della presenza del Verbo” nella vita del giovane e una passione educativa per “annunciare la vocazione” con coraggio, nella consapevolezza che il carisma ricevuto nella Chiesa è un bene da donare ai giovani come possibile itinerario educativo e vocazionale.
Ormai da diversi anni si riscontrava da parte delle religiose l’esigenza di individuare alcune linee pastorali che dessero solidità e completezza all’opera vocazionale e garantissero un’azione pastorale in sintonia con le direttive della Chiesa italiana. In alcuni casi, tra le religiose dei diversi Istituti, si rilevava:
– senso di inadeguatezza nel comprendere e nell’accostarsi alla realtà giovanile e difficoltà ad esprimere i valori vocazionali in un linguaggio decodificabile per i giovani;
– esigenza di formazione psico-pedagogica, per avviare un serio cammino di accompagnamento vocazionale, nel rispetto della storia di ognuno;
– necessità di conoscere il cammino della Chiesa italiana e delle sue indicazioni pastorali;
– difficoltà ad inserirsi in modo significativo negli organismi della Chiesa (CDV, CRV);
– urgenza di cambiare alcune modalità di condurre la pastorale vocazionale: non più pastorale di “reclutamento” ma pastorale vocazionale aperta al piano di Dio, al servizio della vocazione di ogni giovane; non più pastorale delegata esclusivamente agli incaricati, ma assunta da tutti i membri dell’Istituto; non più pastorale fatta solo di iniziative, ma realizzata per progetti che nascono dal cuore stesso del carisma di ciascun Istituto religioso;
– desiderio di “ripensare e riproporre” il proprio carisma, come risposta alle domande di spiritualità dei giovani.
L’USMI nazionale, in collaborazione con alcuni esperti, rappresentanti della CEI e del CNV, raccolte le suddette istanze, ha dato origine ad un corso teorico-pratico, della durata di tre anni, attraverso il quale far maturare tra le religiose una sensibilità e mentalità vocazionale, che le renda capaci di evangelizzare la vita e di collaborare attivamente e creativamente nella Chiesa. Per realizzare il fine proprio di questa scuola – essere “centro di studio, di pensiero, di collaborazione” al servizio della missione ecclesiale – si è pensato di articolarla sviluppando tre ambiti formativi: la Pastorale Giovanile nella Chiesa italiana (Don Domenico Sigalini, facendo riferimento alle iniziative e agli itinerari già in atto nella Chiesa, pone in rilievo gli elementi che costituiscono l’odierna pastorale giovanile nella Chiesa italiana, al fine di abilitare le suore alla stesura di un proprio piano educativo d’Istituto); la dimensione psicologica e spirituale dell’accompagnamento vocazionale (Don Nico Dal Molin, grazie alla sua esperienza, riesce a coniugare in un’unica visione, lo studio psicologico e biblico della persona e le dinamiche psicologiche che ne determinano la crescita e la realizzazione vocazionale, delineando così un preciso “identikit” dell’accompagnatrice vocazionale, e delle sue competenze di animazione, comunicazione, discernimento; l’inserimento delle religiose negli organismi di partecipazione (Don Antonio Ladisa, attraverso lo studio dei documenti magisteriali, in particolare del documento “Nuove vocazioni per una nuova Europa”, individua le modalità di un corretto inserimento degli Istituti Religiosi negli organismi della Chiesa locale, perché la presenza delle religiose nella Chiesa sia sempre più puntuale e significativa).
La Scuola prevede che i dati teorici vengano poi puntualmente verificati e approfonditi attraverso numerosi laboratori che permettono alle religiose di confrontare e condividere le diverse esperienze apostoliche già in atto.Tale condivisione favorisce la conoscenza e la stima reciproca tra gli Istituti Religiosi e la scoperta di esperienze nuove e significative. Si viene a creare, in tal modo, una “piattaforma comune” di obiettivi, criteri di riferimento, atteggiamenti ecclesiali, convinzioni, progetti, condizione necessaria per poter effettivamente collaborare. È questo il frutto più significativo dell’esperienza della Scuola per animatrici vocazionali; la comunione profonda e l’inserimento corretto delle religiose negli Organismi ecclesiali. costituiscono la premessa di una positiva ed efficace collaborazione tra Istituti Religiosi. Un ulteriore aspetto che rende questa Scuola un’esperienza intercongregazionale tra le più significative nella Chiesa italiana, è la sua impostazione non esclusivamente scolastica, ma preferenzialmente esperienziale, vissuta in un clima di fraternità, stima, sostegno reciproco. La Scuola per molte religiose è momento di “ricarica” spirituale e pastorale, di rilancio. Di solito, si arriva alla Scuola stanche, un po’ sfiduciate, con tante domande, e si riparte con zelo apostolico rinnovato, con idee e domande nuove… con il desiderio di autentica collaborazione e partecipazione nella Chiesa per il bene dei giovani.. La Scuola vuole essere così un’espressione della maternità della Chiesa che incoraggia e indica con chiarezza nuovi orizzonti, nuove prospettive, per vivere una fedeltà dinamica a Dio e ai giovani che ci aspettano…
Il dialogo tra le religiose continua anche durante l’anno, attraverso scambi di esperienze, richieste di consiglio, la partecipazione a momenti significativi delle vita delle partecipanti (Professione Perpetua) o la collaborazione ad iniziative di pastorale giovanile. Nasce una rete di rapporti significativi tra religiose che condividono lo stesso ministero nella Chiesa, seppur in realtà e situazioni totalmente diverse. A partire dalla sintonia profonda che si è creata e che è destinata a crescere, è già sorta naturalmente tra le partecipanti la proposta di “costruire” insieme, tra membri di Istituti diversi, alcune iniziative, al servizio dei giovani, di “lavorare” insieme per “mettere a frutto” il bagaglio di esperienza assunto in questi tre anni di cammino condiviso. È questo il presupposto più fondato per una autentica collaborazione tra Istituti Religiosi nella Chiesa italiana e negli organismi ecclesiali.
Un contributo rilevante offerto dalla Scuola è inoltre quello di favorire negli Istituti, mediante opportune provocazioni, la rilettura del proprio carisma e la sua attualizzazione nella realtà odierna. Molte delle partecipanti infatti, svolgendo all’interno dei propri Istituti ruoli di responsabilità o di coordinamento nell’ambito della pastorale giovanile-vocazionale, hanno la possibilità di applicare alla situazione del proprio Istituto le indicazioni e gli strumenti che vengono offerti dalla Scuola. Si verifica, di riflesso, una crescita ed una maturazione in questo ambito dell’intero Istituto.
La durata del corso che si protrae per tre anni favorisce negli Istituti una graduale revisione di quegli elementi organizzativi e pastorali che non collimano perfettamente con le direttive ecclesiali.
La collaborazione intercongregazionale è possibile?
Sì, è possibile, si sta preparando. Proprio a partire da questa esperienza, è già nata l’idea di creare all’interno dell’Ufficio USMI nazionale di pastorale vocazionale, un “laboratorio di pensiero”, uno spazio di riflessione, nel quale le religiose possano offrire il servizio della riflessione, del “pensare pastorale”, per aprire orizzonti sempre nuovi di impegno. Nella Chiesa italiana ormai o si cammina insieme, o non si cammina più.
Una proposta: è nostro desiderio che la collaborazione pastorale possa realizzarsi allo stesso modo con i membri degli organismi ecclesiali (CDV e CRV), con i quali le religiose faticano ancor molto a lavorare in compartecipazione e corresponsabilità. Non si potrebbero prevedere spazi di formazione, analoghi alla nostra scuola, cui possano partecipare sia le religiose, sia i sacerdoti o i laici impegnati in questo settore? Potrebbero forse costituire un presupposto per una autentica crescita nella comunione e compartecipazione ecclesiale. In tal modo si potrà rendere evidente ai giovani la natura della Chiesa: spazio di comunione, in cui ogni credente può e deve fare esperienza di quella unione fra gli uomini e con Dio che è dono dall’Alto. Questa medesima comunione diventa itinerario vocazionale; gustandola il giovane potrà aprirsi alla propria vocazione che, in ogni caso, è sempre vocazione alla comunione.
RELAZIONI CON ASSOCIAZIONI,
MOVIMENTI, AGGREGAZIONI LAICALI
M. Concetta Gelsomino, I. S. Missionarie del Vangelo
La Nota pastorale CEI del 1993, Le Aggregazioni laicali nella Chiesa, definisce queste realtà ecclesiali nell’ottica dell’Esortazione Apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II, del Codice di Diritto Canonico e degli Orientamenti pastorali per gli anni ‘90, Evangelizzazione e testimonianza della carità, e le considera effettivo dono dello Spirito alla Chiesa, aventi lo scopo di offrire ai fedeli preziose occasioni di educazione alla fede e di crescita cristiana ed ecclesiale (cfr. n. 51). Nella Introduzione al Documento, il Cardinale Salvatore De Giorgi le definisce segni “della ricchezza e della versatilità delle risorse che lo Spirito del Signore Gesù alimenta nel tessuto ecclesiale”, ed esortandole a vivere nella comunione ecclesiale, prosegue: “la fedeltà al medesimo Spirito esige, di conseguenza, che tutte convergano nella comunione ecclesiale; in essa trovano la loro origine, la principale ragione d’essere e la più autentica finalità; ad essa devono offrire il proprio contributo nel cuore di ogni Chiesa particolare e nella necessaria apertura alla Chiesa universale, per essere fermento di Cristo nel mondo e rifare il tessuto cristiano del nostro paese”.
Nella Premessa al Documento, che usa per tutti il termine generico Aggregazioni laicali, sono presentate le diverse forme di aggregazione: le Associazioni che possiedono una struttura organica ben definita e istituzionalmente caratterizzata relativamente agli organi direttivi e all’adesione dei membri; i Movimenti caratterizzati da una adesione vitale ad alcune idee-forza e ad uno spirito comune; i Gruppi caratterizzati da una certa spontaneità di adesione, libertà di auto-configurazione, dimensioni ridotte, omogeneità degli aderenti. Il Documento è composto da tre parti. Nella prima parte sono richiamati i principi ecclesiologici che fondano e regolano il diritto di aggregazione dei fedeli laici nella Chiesa; nella seconda è spiegata la normativa del nuovo Codice di Diritto Canonico riguardante le associazioni dei fedeli; nella terza vengono offerte alcune indicazioni pastorali: la partecipazione, nella comunione, alla missione e alla pastorale della Chiesa particolare; l’urgenza che esse siano luoghi di formazione permanente e integrale della persona; la necessità della collaborazione effettiva tra le diverse realtà aggregative nella reciproca stima e in un vicendevole scambio dei doni. Per favorire tale comunione e collaborazione tra le diverse realtà è sorta, sia a livello di Chiesa locale o particolare, sia a livello di Chiesa universale, la Consulta per l’Apostolato dei Laici.
Le aggregazioni ecclesiali laicali e la pastorale vocazionale
Tutta la comunità cristiana è impegnata ad adoperarsi per l’incremento delle vocazioni. Negli ultimi decenni, in special modo dopo il Vaticano II, la Chiesa ha richiamato l’intera comunità cristiana al dovere di aiutare ciascun uomo e ciascun cristiano a percepire e seguire la propria vocazione.
Il Decreto conciliare Optatam Totius esorta le famiglie e gli educatori a farsi promotori vocazionali e continua: “Il dovere di dare incremento alle vocazioni spetta a tutta la comunità cristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una vita perfettamente cristiana (…). Specialmente le Associazioni Cattoliche, cerchino di coltivare gli adolescenti loro affidati in maniera che essi siano in grado di scoprire la vocazione divina e di seguirla con generosità” (cfr. n. 2). Nel testo citato è sottolineato che il primo e fondamentale impegno di ogni cristiano, la prima chiamata, che è rivolta a tutti indistintamente, è la chiamata alla santità della vita: “Siate santi perché io sono santo” (Lv 11,44). “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”(Mt 5,48). “Dio ci ha chiamati con una vocazione santa” (2 Tm 1,9).
La vocazione alla santità deve essere percepita da tutti i cristiani come segno luminoso dell’infinito amore del Padre che rigenera alla vita di santità. La vita cristiana è un continuo cammino di perfezione che si sviluppa e cresce nell’assiduo ascolto della parola di Dio e nell’incontro con il Signore Gesù nei sacramenti. Ogni fedele deve, quindi, seguire il cammino di perfezione evangelica richiesto da Gesù Cristo e “tendere alla santità e alla perfezione del proprio stato” (LG 40) per essere segno tra i fratelli.
In particolare devono avvertire questa chiamata alla santità quanti, facendo parte di una realtà associativa ecclesiale, devono accogliere, incarnare ed amministrare un carisma specifico per il bene della comunità. Tra i criteri di ecclesialità delle Aggregazioni laicali Christifideles laici pone “Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, manifestata nei frutti di grazia che lo Spirito produce nei fedeli come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità”. Da ciò deriva che “ogni aggregazione, mentre favorisce nei suoi membri l’unità tra la vita e la fede, deve essere essa stessa strumento di santità nella Chiesa” (Le Aggregazioni laicali nella Chiesa, n. 17)
“Questa visione vocazionale a spettro aperto si compone con la pur legittima preoccupazione del Concilio per una oculata pastorale vocazionale al servizio del ministero ordinato, proprio per il ruolo che tale vocazione comporta nella comunità cristiana al servizio di tutte le vocazioni” (La pastorale vocazionale nelle Chiese particolari d’Europa, n. 4).
Il Piano pastorale per le vocazioni, pur ammettendo che le Aggregazioni laicali non hanno una specifica finalità in ordine alle vocazioni consacrate, tuttavia ne riconosce il valore e ne delinea i compiti. Nel Documento, infatti leggiamo: “Nella Chiesa sono fioriti numerosi gruppi, movimenti, associazioni, comunità ecclesiali di base. Tali esperienze comunitarie non hanno per lo più una specifica finalità in ordine alle vocazioni consacrate, ma si stanno rivelando un campo particolarmente fertile alla manifestazione di vocazioni consacrate, veri e propri luoghi di proposta e crescita vocazionale. Essi assolvono il ruolo insostituibile del ‘gruppo’ per la crescita nella fede e nella ricerca vocazionale sostenuta dall’accompagnamento individuale e personalizzato della direzione spirituale. Perché siano veri e propri luoghi di crescita vocazionale specialmente delle giovani generazioni, tali gruppi, movimenti, associazioni, comunità ecclesiali di base devono presentare una forte capacità di educazione alla preghiera, all’ascolto metodico della parola di Dio, ad una profonda esperienza sacramentale, al servizio, unitamente ad una chiara fede nella Chiesa, un’abituale apertura missionaria ai bisogni della comunità e del mondo, ed una cosciente appartenenza alla comunità parrocchiale e diocesana. Sono tre, dunque, le fondamentali condizioni perché un gruppo riesca a maturare vocazionalmente delle persone: il clima di fede che lo anima, alimentato dalla parola di Dio che diventa preghiera; la sua passione missionaria, come concreta consapevolezza che esiste una Chiesa locale e come attenzione ai problemi dell’uomo (vicino e lontano); la presenza di una guida spirituale matura. Movimenti, gruppi, associazioni, comunità ecclesiali di base, mentre costituiscono a livello parrocchiale e diocesano significativi itinerari di fede, devono qualificarsi sempre meglio come itinerari di vocazione” (CEI, Vocazioni nella Chiesa italiana [1985], n. 39).
Tutti per tutte le vocazioni: è l’esortazione costante rivolta al popolo di Dio dai molteplici Documenti del Magistero ecclesiale. “Nel ministero delle vocazioni nessuno può isolarsi e lavorare solo per la sua Istituzione: è necessario che l’opera delle vocazioni con larghezza di vedute si apra oltre i confini delle singole Diocesi, nazioni, famiglie religiose e riti, guardando alle necessità della Chiesa universale” si lavora insieme, restando se stessi. “Rendere conto della propria vocazione è una ricchezza per tutti. Guardare oltre i particolari interessi è dovere di ciascuno” (Cura pastorale delle vocazioni nelle chiese particolari, n. 37). Per portare frutto è indispensabile un cammino d’insieme, una ricerca comune su come annunciare la gioia del servizio al Cristo che vive in mezzo a noi nei fratelli, specialmente nei più bisognosi e oppressi. “È urgente oggi passare da una pastorale vocazionale gestita da un singolo operatore a una pastorale concepita sempre più come azione comunitaria, di tutta la comunità nelle sue diverse espressioni: gruppi, movimenti, parrocchie diocesi, istituti religiosi, secolari… Ogni evangelizzatore deve prendere coscienza di diventare una lampada vocazionale, capace di suscitare un’esperienza religiosa che porti i bambini, gli adolescenti, i giovani e gli adulti al contatto personale con Cristo, nel cui incontro si rivelano le vocazioni specifiche” (POVE, Nuove Vocazioni per una nuova Europa [1997], n. 26). Giovanni Paolo II, nella Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (1992), afferma che “tutti siamo responsabili delle vocazioni sacerdotali” (il Vescovo, i sacerdoti, la famiglia cristiana, la scuola, i fedeli laici…) e considera gruppi, movimenti e associazioni di fedeli laici “campo particolarmente fertile alla manifestazione di vocazioni consacrate… L’annuncio del ‘Vangelo della vocazione’ non può, quindi, minimamente essere delegato ad alcuni incaricati (…), perché essendo un problema vitale che si colloca nel cuore stesso della Chiesa, deve stare al centro dell’amore di ogni cristiano verso la Chiesa” (n. 41).
“Se un tempo la promozione vocazionale si riferiva solo o soprattutto ad alcune vocazioni, ora si dovrebbe tendere sempre più verso la promozione di tutte le vocazioni, poiché nella Chiesa del Signore o si cresce insieme o non cresce nessuno… lo scopo è il servizio da dare alla persona, perché sappia discernere il progetto di Dio sulla sua vita per l’edificazione della Chiesa, e in esso riconosca e realizzi la sua propria verità. L’animazione vocazionale deve diventare sempre più azione corale, di tutta la comunità… di tutta la parrocchia… di tutta la diocesi, di ogni presbitero o consacrato/a o credente e per tutte le vocazioni in ogni fase della vita” (POVE, Nuove Vocazioni per una nuova Europa [1997], n. 13). La realtà esistente, “movimenti, gruppi, associazioni non hanno, per lo più, una finalità specifica in ordine alle vocazioni consacrate. Ma, di fatto, molte vocazioni si manifestano precisamente in tali organizzazioni e portano in sé vocazioni non scoperte”(Cura pastorale delle vocazioni nelle chiese particolari, n. 44)
“Le nuove vocazioni (…) provengono ormai in numero crescente dai gruppi giovanili, dalle scuole di preghiera, dalle esperienze di volontariato (obiezione di coscienza, servizio ai poveri, alle missioni, al mondo dell’emarginazione…) dalla scuola, dall’università. In molte Chiese particolari provengono dai cammini dei ‘gruppi vocazionali’, animati e guidati da sacerdoti o da religiosi/e a pieno tempo” (La Pastorale delle Vocazioni nelle Chiese Particolari d’Europa, n. 23). Per conoscere le relazioni che intercorrono, nella Pastorale vocazionale, tra Istituti di vita consacrata e Aggregazioni ecclesiali laicali ho tentato un’indagine, certamente molto semplice e per niente scientifica. Ho inviato un questionario a cinquanta Istituti di vita consacrata (religiosi, religiose, Istituti Secolari, un Istituto di vita contemplativa, una Società di vita Apostolica) e a venti Aggregazioni laicali.
Mi sono rivolta ai responsabili della mia Diocesi pregandoli di farsi portavoce della realtà generale del proprio Istituto o della propria Aggregazione. Il primo dato, per me significativo, già potrebbe essere questo: delle realtà contattate, sia Aggregazioni laicali, sia Istituti di vita consacrata, le risposte pervenute sono state soltanto il 25%. Cosa può significare: indifferenza alla richiesta di collaborazione di una persona sconosciuta? Chiusura, mancata volontà di porsi in relazione? Che non si ha esperienza in merito? Dalle risposte pervenute ho raccolto i seguenti dati:
a) il 90% delle aggregazioni ecclesiali laicali ha risposto di svolgere pastorale vocazionale organizzando tempi di ricerca e di discernimento, campi scuola, momenti di studio e di spiritualità, accompagnamento di gruppo e talvolta anche personale.
b) La proposta vocazionale è rivolta a tutti gli aderenti all’Aggregazione, per aiutarli a vivere il senso di appartenenza alla stessa e ogni scelta di vita come chiamata di Dio. Soltanto alcuni scrivono che è rivolta ai giovani.
c) Dichiarano di essere al servizio di tutte le vocazioni; soltanto il 10% aggiunge che è privilegiata la vocazione di speciale consacrazione.
d) Alcune Aggregazioni seguono le indicazioni del CNV o dei CDV ma “con molta libertà”.
Dall’esperienza personale e dalla lettura di documenti sappiamo che alcune Aggregazioni ecclesiali laicali di maggiore rilievo portano avanti progetti di pastorale vocazionale ben definiti e mirati, e che hanno al loro interno dei seminari, ma soltanto due di esse hanno risposto al mio questionario.
Dalle risposte pervenute dagli Istituti di vita consacrata si evince:
– Gli Istituti religiosi maschili hanno in genere un progetto di pastorale vocazionale ben definito, portato avanti da alcuni di essi in collaborazione con le Aggregazioni laicali che vivono la loro stessa spiritualità e sono animati dagli stessi sacerdoti religiosi, ma la proposta vocazionale è quasi sempre limitata all’annuncio del proprio carisma. Sono pochi gli Istituti che dichiarano di rivolgere il loro annuncio vocazionale a favore di tutte le vocazioni presenti nella Chiesa.
– Gli Istituti religiosi femminili e l’Istituto di vita contemplativa contattati, non hanno un progetto di pastorale vocazionale nel quale sono coinvolte altre realtà. Essi rivolgono la loro attenzione e la proposta vocazionale alle ragazze con le quali vengono a contatto nel loro servizio di catechesi nelle parrocchie o che sono ospiti delle loro case-pensioni per universitarie.
– Tra gli Istituti secolari uno risponde che porta avanti un progetto di pastorale vocazionale in collaborazione con un’Associazione che vive la stessa spiritualità e lo stesso carisma.
– Il 50% degli Istituti di vita consacrata dichiara di seguire le indicazioni del CNV e dei CDV, anzi qualcuno aggiunge: “Le indicazioni pastorali di questi Organismi ecclesiali sono preziose per portare avanti l’impegno vocazionale sia in Italia che in terra di missione”.
– A questo punto possiamo dire che ogni Istituto ha un progetto vocazionale e, in genere, c’è un’attenzione alla pastorale vocazionale e all’accompagnamento dei giovani in ricerca, ma relazioni tra Istituti di vita consacrata e aggregazioni laicali esistono quasi esclusivamente tra realtà che hanno la stessa matrice di spiritualità e vivono lo stesso carisma, difficilmente c’è relazione tra spiritualità diverse e con la Chiesa locale.
– A proposito della mancata relazione con la Chiesa locale qualcuno tra coloro che hanno risposto si pone il problema e si chiede il perché: troppi impegni da parte dei membri dei vari Istituti? Poca sensibilità delle Diocesi verso i religiosi? Poca attenzione alla Chiesa locale da parte degli Istituti di vita consacrata che preferiscono “coltivare il proprio orticello”?
Le domande restano aperte. Mi si permetta un accenno alla mia esperienza personale. Faccio parte di un’Aggregazione ecclesiale, il Movimento Presenza del Vangelo, e sono membro di un Istituto Secolare che ha avuto origine proprio da questo Movimento. La mia comunità, l’Istituto Secolare, inserita negli organismi di partecipazione della Chiesa locale al servizio di tutte le vocazioni e nel rispetto del progetto che Dio ha su ogni persona, vive l’esperienza di pastorale vocazionale con totale apertura all’interno della Chiesa; accoglie le tematiche pastorali del CNV e, quindi, dei CDV, e progetta sulle direttive di questi Centri in collaborazione con altre realtà ecclesiali: Istituto-Movimento che hanno la stessa matrice e la stessa spiritualità, e con un Istituto Religioso maschile col quale da alcuni anni insieme programma e conduce il lavoro.
Non posso fare a meno, a questo punto, di menzionare con grande senso di stima e di riconoscenza un grande amico di noi tutti, Don Peppino Puglisi, che è stato per noi ispiratore di questo tipo di esperienza ecclesiale della collaborazione e della comunione. A conclusione penso che si possa affermare che la relazione tra Istituti di vita consacrata e Aggregazioni laicali è possibile nella misura in cui si è capaci di lavorare insieme, liberi da ogni particolarismo e aperti allo Spirito e alla Parola che suscita le vocazioni, consapevoli che ogni vocazione è per la Chiesa e va vissuta nella Chiesa, unica Famiglia dei Figli di Dio. Purtroppo talvolta avviene che più che veicolare la Parola che invita alla sequela di Cristo, nella Chiesa, noi veicoliamo la struttura delle nostre Istituzioni. Qualche esperienza di comunione è stata già messa in atto, conosco una realtà di Chiesa particolare dove una Società di Vita Apostolica ha messo a disposizione della Chiesa locale, per la pastorale vocazionale, un membro della società che vi lavora a tempo pieno oltre che i locali per un Centro Ascolto Giovani al quale fanno capo giovani di varie parrocchie e di diversi gruppi ecclesiali e dove prestano servizio membri di diversi Istituti e Aggregazioni laicali. È il centro d’ascolto “Padre Puglisi” nella Diocesi di Palermo. Sicuramente ci saranno tante altre esperienze simili nella Chiesa ma io non ne sono a conoscenza.
SECONDO CONTRIBUTO
Indicazioni emerse dai lavori di gruppo tra verifica, criteri e prospettive
di Maurizio Spreafico, Coordinatore dell’animazione vocazionale dei Salesiani in Italia
Nel pomeriggio di Sabato 17 febbraio, i partecipanti al Forum si sono suddivisi in otto gruppi di studio, in cui erano invitati a confrontarsi sulle loro esperienze di pastorale vocazionale (PV), secondo le tre piste qui indicate.
1. A partire dalle nostre esperienze di PV, verificare le finalità, gli obiettivi e i criteri che orientano e guidano il nostro servizio concreto.
2. Nel nostro servizio di animazione, quale attenzione di fatto abbiamo nell’operare secondo un’“ecclesiologia di comunione”? Come possiamo verificarlo? Quali dovrebbero essere i criteri con cui operare?
3. Nel nostro servizio di animazione: quali sono le relazioni positive che stiamo costruendo? Quelle problematiche? Quelle da intensificare e da curare maggiormente?
Domenica mattina 18 febbraio, i diversi contributi del ricco confronto in gruppo, sono stati presentati in sintesi a tutta l’assemblea.
COLLABORAZIONE E COMUNIONE NELLA PASTORALE VOCAZIONALE
Esperienze positive
Sono state segnalate varie e molteplici esperienze che si realizzano nella PV, sia come singoli Istituti, sia come collaborazione tra più Istituti e Chiesa particolare (ad esempio attraverso il CDV). Tra le esperienze presentate, si segnalano soprattutto:
– incontri di preghiera e celebrazioni particolari;
– itinerari biblici e formativi;
– esercizi spirituali per ragazzi e ragazze;
– campo-scuola e convivenze con i giovani;
– centri di ascolto;
– servizio di accompagnamento e direzione spirituale.
Sono invece un po’ carenti le esperienze proposte nella linea della carità, del servizio e del volontariato. Quando queste proposte e iniziative sono condotte insieme da un’équipe di persone delle diverse categorie vocazionali, diventano un annuncio vocazionale immediato e incisivo: “Ogni vita è vocazione”, che si concretizza nella varietà dei carismi e dei ministeri.
Una cultura della comunione che deve crescere ancora
Questa “cultura della comunione” deve indubbiamente crescere ancora a tutti i livelli, primariamente all’interno degli stessi Istituti. D’altra parte sta facendosi sempre più strada la convinzione che l’incontro con le diversità e le differenze è una grande opportunità di crescita e di arricchimento reciproco. C’è poi da superare ancora una PV di “reclutamento” o di “accaparramento”, che spesso si annida dietro tante preoccupazioni e scelte concrete: la si considera superata in linea di principio, ma è ancora presente di fatto.
LA COMUNIONE È UN FATTO DI PERSONE PIÙ CHE DI ORGANISMI
La scelta di operare secondo una logica di collaborazione e di comunione, dipende moltissimo dalle persone che operano nella PV. D’altra parte gli “organismi” sono mediazioni necessarie e importanti per realizzare concretamente la comunione. Soprattutto coloro che sono chiamati a dirigere e a coordinare questi organismi, abbiano come requisiti indispensabili la capacità di promuovere la collaborazione e di sostenere la corresponsabilità
UN ITINERARIO DI COMUNIONE
Nelle varie relazioni che i gruppi hanno consegnato per la sintesi, ci sono alcuni termini ricorrenti che possono essere organizzati secondo un itinerario crescente di comunione:
– dall’isolamento al “fare qualcosa insieme”;
– dal fare insieme alla stima reciproca;
– dalla stima alla condivisione;
– dalla condivisione alla reciprocità;
– dalla reciprocità alla comunione.
LIVELLI DI COMUNIONE
All’interno del medesimo Istituto: è la comunione interna da custodire continuamente e da rendere sempre più segno evidente e trasparente.
All’interno della Famiglia religiosa attorno ad un carisma particolare: è lo spazio della condivisione nella spiritualità e nella missione che promuove la comunione tra consacrati e laici, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra celibi e sposati.
Gli Istituti di vita consacrata tra loro: deve crescere la comunicazione, la stima e la collaborazione, non soltanto attraverso gli organismi istituzionali (CISM, USMI, CIIS, CIMI), ma soprattutto nella realtà concreta di un territorio e di una Chiesa particolare
Gli Istituti di vita consacrata nella Chiesa particolare: sono da cercare, promuovere e rafforzare maggiormente tutte quelle relazioni ecclesiali di cui si è parlato nella “tavola rotonda” (Vescovi, Parroci, CRV, CDV, Uffici diocesani, Aggregazioni laicali, ecc…).
UNA PASTORALE VOCAZIONALE COME SERVIZIO ALLA PERSONA
Servizio da rendere alla persona
Si nota una crescente attenzione a fare della PV un servizio da rendere alla persona, prima che all’Istituto. A tal proposito è opportuno richiamare quanto suggerito dal Documento “Nuove Vocazioni per una Nuova Europa”: “Se l’obiettivo di un tempo sembrava essere il reclutamento, e il metodo la propaganda, spesso con esiti forzosi sulla libertà dell’individuo o con episodi di ‘concorrenza’, ora deve essere sempre più chiaro che lo scopo è il servizio da dare alla persona, perché sappia discernere il progetto di Dio sulla sua vita per l’edificazione della Chiesa, e in esso riconosca e realizzi la sua propria verità” (n.13c)
Atteggiamento di gratuità
All’operatore di PV deve stare a cuore il vero bene di ogni giovane che incontra e avvicina, affinché possa scoprire e realizzare la sua personale vocazione secondo il progetto di Dio, qualunque essa sia. Si tratta di assumere un atteggiamento di gratuità infinita, che si saprà dimostrare ad esempio, quando nel discernimento vocazionale di un giovane si è disposti a “non trattenerlo” forzosamente per sé una volta individuato che il suo vero bene è quello di indirizzarlo altrove!
Una forte tensione missionaria
Diversi gruppi hanno manifestato l’urgenza e la necessità di ascoltare i giovani, di accoglierli al punto in cui si trova la loro libertà e la loro fede, di far emergere le loro domande di vita e di senso spesso inespresse. Questo oggi è il primo e fondamentale servizio vocazionale alla vita, soprattutto nei confronti dei “ragazzi del muretto”, dei giovani lontani e indifferenti: come annunciare loro, che sono i più, il Vangelo della vocazione?
UNA PASTORALE VOCAZIONALE COME SERVIZIO ECCLESIALE
Un altro criterio importante per una buona e corretta PV, è quello di lavorare innanzitutto per amore a Dio e alla sua Chiesa, prima ancora che per il proprio Istituto. D’altra parte, può essere espressione di autentico amore al Signore e alla sua Chiesa una giusta preoccupazione nei confronti del proprio carisma, affinché possa continuare a risplendere per il bene di tutti. Si tratta di custodire una preziosa “eredità” che ci è stata affidata da coloro che ci hanno preceduto e che noi abbiamo il compito di rivitalizzare continuamente, consapevoli certamente che i tempi e le modalità dello Spirito Santo sono imprevedibili e sorprendenti.
CENTRI DIOCESANI E REGIONALI PER LE VOCAZIONI
Per crescere insieme nella Chiesa del Signore
La presenza dei consacrati negli organismi di comunione si presenta con luci ed ombre. C’è da ricordare innanzitutto che il CDV e il CRV dovrebbero essere davvero l’ambito concreto per la valorizzazione e la promozione di tutte le vocazioni nella Chiesa, perché “nella Chiesa del Signore o si cresce insieme o non cresce nessuno” (Nuove Vocazioni per una Nuova Europa, n.13c). La presenza perciò di tutte le categorie vocazionali dovrebbe essere auspicata e richiesta e, al contempo, la loro disponibilità dovrebbe essere offerta con più attenzione e continuità.
Presenza dei consacrati non sempre richiesta e valorizzata
Dobbiamo riconoscere che la presenza dei consacrati non è sempre richiesta né ricercata; qualche volta pare sopportata (quasi che vengano a farci concorrenza!); altre volte è accolta soltanto in termini funzionali e strumentali per organizzare alcune attività.
Presenza dei consacrati non sempre offerta con disponibilità e continuità
Altre volte sono invece i consacrati che non si rendono disponibili (soprattutto a livello maschile). Talvolta, questa mancata disponibilità, è dovuta ad un lavoro di animazione per il proprio Istituto che assorbe moltissimo e che si estende su un territorio assai vasto, rendendo di fatto difficoltosa la partecipazione al CDV o al CRV.
Esperienze positive e frutti vocazionali
Dalle esperienze presentate, dove la collaborazione si realizza di fatto, nascono esperienze, progetti e iniziative di “ampio respiro”, con frutti vocazionali significativi. Resta fondamentale, prima ancora delle attività realizzate insieme, il segno “dell’essere insieme” nella stima e nella condivisione reciproca.
Livelli crescenti di comunione
Anche in questi organismi di collaborazione, possiamo individuare livelli crescenti di comunione: incontrarsi insieme per qualche riunione di scambio e di confronto;
organizzare ogni tanto qualche momento di preghiera o di celebrazione insieme;
progettare e realizzare insieme la PV, passando da iniziative sporadiche a itinerari seri e continuativi nel tempo.
UNA CULTURA DI COMUNIONE ANCHE DA PARTE DI CHI È COSTITUITO IN AUTORITÀ
La mentalità e la scelta conseguente di lavorare maggiormente “in comunione” nella Chiesa, deve senz’altro crescere tra i Superiori degli Istituti di vita consacrata, affinché i consacrati che operano nella PV siano invitati e messi nella condizione effettiva di potere realmente offrire la propria disponibilità alla partecipazione e alla collaborazione per la PV unitaria. D’altra parte anche tra i Vescovi e i Parroci deve crescere questa “cultura della comunione” affinché favoriscano e promuovano realmente tutte le vocazioni all’interno della porzione di Chiesa loro affidata.
UN’ ESIGENZA DI UNITÀ DA RENDERE OPERATIVA
Progettazione pastorale
“L’esigenza di unità si traduce in termini operativi a livello di progettazione pastorale. Qui è da superare un limite che attraversa tanta n9ostra pastorale e che vede ambiti, settori e preoccupazioni camminare gli uni accanto agli altri, senza effettiva comunicazione e comunione” (Educare i giovani alla fede, Documento CEI della XLV Assemblea Generale, n 3).
Piano vocazionale
Nel contesto di questa unità progettuale, potrebbe trovare spazio anche la realizzazione di un “Piano di PV”, a cui concorrono nella progettazione tutte le categorie vocazionali presenti nella Chiesa particolare. Potrebbe essere uno strumento concreto per riflettere insieme sulle sfide del mondo giovanile, per chiamare a raccolta tutte le risorse disponibili (persone, strutture, ecc.) e per programmare insieme iniziative e attività vocazionali appropriate.
Attenzione al territorio
L’attenzione al territorio in cui si è inseriti, dovrebbe essere maggiormente tenuta in considerazione. Partendo dalle sfide e dai bisogni del territorio, si potrà insieme verificare quali risposte si stanno offrendo nella varietà dei carismi e dei ministeri, anche in prospettiva vocazionale.
RELAZIONI PRIVILEGIATE DA CONSOLIDARE
In vari gruppi sono state evidenziate varie esperienze di positiva collaborazione oltre che nella PV anche nella pastorale giovanile. Lavorare insieme per il bene e la salvezza dei giovani è infatti un a premessa importante per proseguire poi in una collaborazione più efficace anche nella PV. D’altra parte è importante assicurare che non vi sia soltanto un orientamento vocazionale generico, ma siano previsti anche itinerari e scelte specifiche di PV. Tra le relazioni ecclesiali da privilegiare si segnalano soprattutto quelle tra pastorale giovanile, pastorale vocazionale e pastorale familiare; infatti, se l’orientamento vocazionale deve qualificare una genuina pastorale giovanile, è necessario poi il lavoro specifico della PV per le vocazioni di speciale consacrazione e il lavoro della pastorale familiare per le vocazioni al matrimonio e alla famiglia.
AUSPICI CONCLUSIVI
Educarsi e formarsi insieme alla comunione tra consacrati, ministri ordinati e laici, valorizzando le iniziative già in atto e attivandone di nuove. Questo sia fatto in una sincera e leale reciprocità, attraverso una scambio di doni nella pari dignità e nell’arricchimento vicendevole. Offrire maggiormente il “segno” concreto della comunione, attraverso comunità aperte e accoglienti, dove tutti si sentano “a casa” e possano sperimentare concretamente quella “spiritualità di comunione” nella ferialità e nella quotidianità: una spiritualità possibile, accessibile e desiderabile (cfr. Il riferimento a Betania, casa dell’accoglienza).
Atteggiamento di pazienza e fiducia, consapevoli che i tempi per maturare nella comunione sono lenti e i passi sono graduali. La testimonianza gioiosa e trasparente dei consacrati: convinti e contenti e perciò convincenti!