L’annuncio del vangelo della “morte come guadagno” nella vita di famiglia
Nella lettera ai Romani, Paolo mette in guardia i cristiani dal pericolo ricorrente di assuefarsi alla mentalità del secolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2). C’è nell’Apostolo la consapevolezza di due logiche contrapposte e tra loro inconciliabili: quella del mondo e quella del Vangelo: “Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria” (1Cor 2,6-7). E più oltre aggiunge: “L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito” (1Cor 2,14).
La logica di Dio si può comprendere solo a partire dal mistero dell’incarnazione: Cristo, infatti, ha rivelato il volto più autentico del Padre e con la sua esistenza, con la sua passione, morte e resurrezione ha mostrato all’umanità la grandezza dell’amore di Dio e la modalità della sua manifestazione. Logica di amore, dunque, logica di dono, di gratuità, di offerta, secondo un dinamismo di kenosis, di totale spogliamento, di svuotamento, di umiliazione. La modalità del dono di sé costituisce parte integrante del mistero rivelato.
Il binomio perdere-guadagnare, nel Vangelo, diventa chiave di lettura della logica divina “chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?” (Lc 9,24-25). La stessa logica condotta alle estreme conseguenze è rappresentata dall’immagine del chicco di grano che, caduto in terra, muore e dà frutto (cfr. Gv 12,24). È la parabola dell’esistenza del Cristo, è la ragione stessa dell’incarnazione. Si tratta di un’opzione che include l’accettazione della croce come elemento qualificante dell’autenticità della sequela: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23)
E poiché “il discepolo non è da più del maestro” (Lc 6,40), ogni discepolo è perfetto se è come il maestro. Ma essere come il Maestro significa lasciarsi conformare dallo Spirito a Cristo morto e risorto, non opponendo resistenza e credendo fino in fondo che solo questo percorso conduce ad una pienezza di umanità elevata soprannaturalmente fino a divenire figli nel figlio e coeredi di Cristo. Vivere in famiglia la logica della morte come guadagno diventa possibile solo se il Vangelo costituisce il punto cardine, la roccia su cui la vita familiare è costruita.
L’ascolto comunitario della Parola, la meditazione e il confronto costante, la preghiera specie nei momenti di prova, il frequente ricorso al sacramento della Riconciliazione, la celebrazione eucaristica nel giorno del Signore costituiscono tutti momenti qualificanti della graduale ma costante assimilazione a questa logica in un mondo sempre più contrassegnato dall’egoismo, dal mito del denaro e del potere, del benessere proprio a discapito degli altri… I genitori, in modo particolare, devono manifestare, gestis et verbis, con i comportamenti e le scelte concrete, ma anche con le parole la capacità di vivere all’insegna di questa logica, che prima di tutto capacità di andare controcorrente, di non temere il giudizio altrui e di volere acquisire una sempre più profonda coerenza tra fede e vita, tra Vangelo e quotidianità. Il che non significa affatto “fuga mundi” perché anzi la logica della morte come guadagno, all’insegna della sapienza della croce, “scandalo per i Giudei, stoltezza per pagani” (1Cor 1,23) va vissuta e giocata tra le pieghe della storia, nella concretezza dell’esistenza, come risorsa possibile di cambiamento e di rinnovamento.
La qualifica di cristiano va attribuita alla famiglia solo nel caso in cui l’accoglienza del Vangelo è un’accoglienza globale e consapevole del messaggio e non parziale e superficiale. Uomini e donne pronti a dare testimonianza in ogni circostanza della fede nel Cristo morto e risorto, consapevoli che la morte non è l’ultima parola, ma è parola penultima rispetto alla vittoria finale già in atto ottenuta dal Cristo. Considerare la morte a se stessi e al peccato come via che conduce al Regno, la morte come porta che apre alla vita senza fine. È questo il cuore della vita in Cristo. E tutto questo si può annunciare in modi e momenti differenti. Dalla capacità di rinunzia e di sacrificio vissuta nel quotidiano, al modo in cui si vive il lutto per la scomparsa di una persona cara manifestando la fede, che va oltre il tunnel buio della morte, capace di contemplare la luce che promana dalla croce.
Il nostro tempo ha bisogno di una chiave di lettura del mistero della morte, avendo fatto di questa realtà un tabù. Si tratta di dare senso al mistero del dolore, di testimoniare che la sofferenza fine a se stessa tende alla distruzione della persona ma che la sofferenza accettata e donata diviene esperienza privilegiata di fecondità incomparabile. Il dialogo tra le generazioni, la cura per l’altro in una dimensione di condivisione, l’accoglienza del bisognoso, la coerenza nella prova, la testimonianza autentica in ogni circostanza, diventano vera e propria palestra per apprendere l’arte del vivere e del morire, in vista della vita che non muore.
Ci vuole coraggio, parresia, forza, perseveranza: tutti doni da chiedere allo Spirito Santo che è Spirito di vita. Solo nella consapevolezza profonda che “ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,25), la famiglia cristiana compie il disegno salvifico della SS. Trinità. Una famiglia “afferrata da Cristo”, che si lascia plasmare dalla reciprocità dei rapporti e dagli eventi per imparare l’abbandono senza riserve tra le braccia del Padre. Una famiglia che impara giorno per giorno la pazienza da ogni sorta di prova, sopportate con fede (cfr. Gc 1,2-3). Una famiglia che si apre al dolore altrui per trasmettere con umiltà il senso ultimo e finale nascosto tra le pieghe della sofferenza.
Morte, dunque, come vita, morte come nuovo inizio, morte come dono che apre a nuovi orizzonti, morte come guadagno di ciò che vale, di ciò che dura per l’eternità. Ma tutto questo implica una continua e difficile crescita nell’ottica della volontà di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr. 1Pt 4,13) e della percezione della croce come vanto (cfr. Gal 6,14). Una logica che sconvolge la diffusa mentalità del mondo, logica che è stata vissuta dai santi e dai martiri nella storia della Chiesa e consegnata di generazione in generazione perché l’umanità trovi segni concreti e punti di riferimento per orientarsi verso il Regno.