Pastorale familiare, giovanile, vocazionale: perché e come lavorare insieme
Tutta la giovinezza ha dimensione vocazionale
Penso che sia necessario, per lavorare insieme, mettere al centro dell’attenzione le persone cui il lavoro di tutti e tre gli Uffici intende dirigersi, cioè i giovani. La giovinezza ha una innata dimensione “vocazionale”. Negli anni dell’adolescenza e della giovinezza vengono infatti poste le basi e fatte le scelte per il futuro cammino di vita. La vita – ebbe a dire Paolo VI – è la realizzazione del sogno della giovinezza. È chiaro che la scelta dello “stato di vita” si inserisce in un processo assai ampio e complesso, in cui molte scelte di altro genere sono implicate. La fede – e la sequela – sono dinamiche che si inseriscono nel percorso di maturazione della persona, di definizione dell’identità e del ruolo sociale. Come tali, risentono delle problematiche ad esso collegate. Mi sembra dunque che sia necessario confrontarci con la giovinezza tenendo presente in senso complessivo la sua dinamica vocazionale.
Fatiche e problemi del decidersi
Oggi più che in qualunque epoca del passato, essere giovani significa dover affrontare una enorme quantità e una varietà di scelte. Le opportunità si moltiplicano, ma parallelamente cresce anche l’incertezza sul futuro che le diverse scelte garantiscono. Basti un esempio: la riforma degli studi universitari ha fatto sì che un giovane si trovi davanti non più le dieci-quindici facoltà tradizionali, ma qualcosa come cento diversi percorsi di studi, alcuni dei quali del tutto nuovi e spesso in cambiamento nella denominazione e nei piani di studio. Alcuni indirizzi, dietro titoli e programmi accattivanti, lasciano nell’incertezza in quanto agli sbocchi futuri, nonostante gli atenei puntino a volte proprio su di essi per attrarre quella clientela studentesca della quale l’università dell’autonomia ha ormai assoluto bisogno. Ma potremmo però menzionare anche altri ambiti di vita, nei quali scegliere diviene operazione, un’attività sempre più difficile.
Un altro elemento di tipicità legato alla dimensione vocazionale si collega ai fenomeni della competizione e della dilazione. Nelle società occidentali la competizione sociale tende a venire sempre più anticipata: senza giungere agli estremi del Giappone, anche da noi iniziano a manifestarsi fenomeni di selezione sociale, legati soprattutto all’istruzione, ma non solo: molti nostri allenatori di calcio potrebbero testimoniare della pressione che tanti ragazzi, ma anche bambini, sentono su di sé da parte della famiglia nel praticare lo sport. Dall’altra parte la giovinezza è un’età che tende costantemente ad allungarsi. Se i primi rapporti IARD prendevano in considerazione l’arco di età tra i 15 e i 25 anni, l’ultimo prende in esame la fascia 15-35 anni (che – si noti – è la medesima per i partecipanti alla GMG). I motivi del prolungamento della giovinezza e le modalità di transizione all’età adulta sono molteplici. Sta di fatto che ai giovani si chiedono scelte sempre più anticipate, con esiti invece sempre più lontani. La relazione di causa-effetto tra una decisione e le sue conseguenze tende così a sbiadire, lasciando ad ogni scelta un alone di indeterminatezza.
In ultimo, una serie di fenomeni (come ad esempio quello legato al mercato del lavoro, dove sono in constante crescita i contratti interinali o a tempo determinato) consegna alla precarietà anche una serie di ambiti, come il lavoro, il rapporto affettivo, che erano la porta maestra per l’ingresso nell’età adulta, con scelte stabili e tendenzialmente definitive. Conseguenze tra le più evidenti di tutti questi fenomeni sono la difficoltà nel fare scelte impegnative e l’idea della reversibilità di ogni decisione: si può sempre cambiare, tornare indietro…
Sicuramente il mondo giovanile è caratterizzato da una buona adattabilità a questa situazione: i giovani sono flessibili, connessi in rete, capaci di mettere insieme mondi diversi e appartenenze parziali, pronti a “switchiare” da una situazione ad un’altra, da un impegno all’altro. Questo però non vuole dire che ciò non provochi disagio. A fronte dei pochi cui la fluidità giova ed esalta, ci sono molti giovani che sentono la difficoltà di far fronte alla vita. Ci vuole un fisico bestiale – recitava una canzonetta di qualche anno fa – e non tutti ne sono provvisti.
Un comunità cristiana assente
Come risponde la comunità cristiana a tale situazione? A prima vista in maniera piuttosto inefficace. Per farmi capire meglio mi permetto di essere un po’ caricaturale ed esagerato. Per questo comincio dal lavare qualche panno sporco di casa.
La pastorale giovanile semplicemente si disinteressa della questione. Troppo spesso i cammini formativi sono di fatto “asettici” nei confronti della vita. Gli ambienti dell’esistenza di ogni giorno, le problematiche legate al modo di starci dentro ed alle scelte da fare, rimangono fuori dalla porta del luogo di riunione. Forse parliamo un po’ di droga, un po’ di sesso… ma quasi mai di scuola, di lavoro, di quartiere, di politica, di università… Dove per “parlare” intendo proporre un confronto che consenta di dotarsi di quegli strumenti che sono poi essenziali per scegliere bene. Questa indifferenza alla vita si sposa con l’assenza dai luoghi di vita. Che sono i luoghi formali (scuola, università, lavoro, spazi istituzionali…) ma anche i luoghi e i tempi dell’informalità, i quali appaiono sempre più decisivi per la vita dei giovani e le loro scelte. I giovani spostano il loro sentire e le energie necessarie per decidersi sulla vita parallela che essi si ritagliano negli spazi informali: muretti, pub, discoteche, spiagge, corridoi delle scuole, parchi pubblici… Sono questi i tempi e i luoghi in cui maturano molte delle decisioni dei giovani. Tempi e luoghi lasciati in larga parte privi di accompagnamento educativo.
La pastorale vocazionale è attenta ad una sola dimensione della dinamica vocazionale: quella legata alla scelta dello stato di vita, e non dà attenzione a tutti quei processi decisionali che sono ad essa inevitabilmente correlati e che ne costituiscono quasi la base. Il che puzza un po’ di reclutamento e poco di autentico servizio ed amore alla vita. Non solo: ma porta con sé il disagio di introdurre l’attenzione vocazionale in un momento dell’esistenza dei giovani in cui molte scelte – sia pure non quelle relative allo stato di vita – sono state già fatte, e con esse spesso viene compromessa buona parte della capacità o della disponibilità a lasciarsi interpellare da una prospettiva “diversa”.
La pastorale della famiglia sembra poco attenta a quegli aspetti della vita familiare che vanno ad incidere sulla vita concreta dei giovani e possono influire sulle loro scelte. A parte la questione cruciale del fidanzamento (per il quale urge promuovere percorsi di accompagnamento prolungati e caratterizzati da una attenzione educativa ben diversa dai corsi in zona Cesarini), la famiglia andrebbe aiutata a risolvere il paradosso in cui oggi si trova. Da una parte, infatti, resta in cima alla graduatoria dei consensi da parte dei giovani; dall’altra sembra poco capace di incidere e accompagnare le loro scelte. È una sorta di comodo nido, che però perde sempre più la capacità di costituire la base da cui spiccare il volo con scelte di vita adulte e responsabili. A fronte di tale difficoltà, la pastorale familiare non sembra impegnata ad offrire ai genitori strumenti e indicazioni per interagire (in prospettiva vocazionale) con i figli adolescenti e giovani nelle tante scelte che essi si trovano a compiere.
Spesso così i giovani, di fronte al difficile, ma ineludibile, compito di scegliere, si ritrovano soli. E queste assenze della comunità cristiana sono tanto più “colpevoli” in quanto la disponibilità degli adolescenti e dei giovani a dialogare con gli adulti su questi aspetti della propria esistenza è davvero notevole. Mentre per altre proposte siamo costretti a correre dietro ai giovani, alcune esperienze mostrano che sono loro, anche se fuori dal giro, a provare interesse per un aiuto sincero, disinteressato e competente a prendere alcune decisioni importanti.
Una conversione pastorale
Cosa fare? Direi che non si tratta di qualche aggiustamento tattico, ma di un cambio di prospettiva strategica. È necessaria una conversione pastorale che conduca la comunità cristiana a prendersi in carico dal punto di vista vocazionale tutta la vita del giovane. Perché con i giovani di oggi o si è vocazionali sempre o non lo si è mai. In altre parole: o la comunità cristiana diventa capace di accompagnare le scelte di vita del giovane e di orientarle in prospettiva vocazionale, oppure si deve rassegnare a fare della vocazione un tema di nicchia, ristretto a pochi fortunati o – dobbiamo dirlo con onestà – a persone che a un certo punto della loro esistenza non sanno più cosa fare della vita. È di fondamentale importanza aiutare i giovani a confrontarsi in prospettiva vocazionale con le decisioni principali del proprio percorso di crescita. Sostenere un decidersi che si fondi su alcuni basilari “ascolti” – ascolto di sé, ascolto degli altri, ascolto della storia – e che sia capace di riconoscere in queste voci quella – sempre misteriosa – di Dio. Non ci sfugge a questo proposito lo stretto nesso tra educazione e proposta di fede (quell’attenzione a tutto ciò che è umano e alla maturazione personale richiamate dagli OP): educare i giovani a scegliere in modo pienamente umano (perché di questo si tratta) è la base per dare consistenza alla dimensione teologale della vocazione. Ho l’impressione che su questo terreno (della pienezza umana della scelta) o ci impegniamo noi, oppure dobbiamo rassegnarci al prevalere di logiche di tipo emozionale od utilitaristico, sulle quali non si costruisce né un percorso di crescita umana, né l’apertura alla chiamata di Dio.
Il più immediato oggetto di questa rinnovata attenzione pastorale potrebbe essere individuato in quelli che potremmo definire “momenti sensibili” dell’esistenza di un giovane: si tratta di situazioni di vita in cui l’urgenza di scegliere si fa più pressante. La scelta del percorso di studi; il tempo di passaggio dagli studi al lavoro; la realtà del fidanzamento; il servizio civile o militare… sono situazioni cui attribuire grande valore educativo in dimensione vocazionale. Sono momenti in cui i giovani accolgono volentieri il confronto e l’aiuto. Sono anche situazioni in cui essi appaiono disposti a mettere in discussione il proprio sistema di valori e la propria visione della vita. Sono infine momenti in cui il riferimento ad un Altro che interpella, perché ha creato ed ama, risuona più naturale. Vorrei dunque suggerire che si parta da qui per dare un nuovo spessore vocazionale alla pastorale della comunità cristiana con i giovani.
Sogni vocazionali
Come lavorare insieme? E cosa fare in concreto? È chiaro che le tre pastorali hanno bisogno di maggiore collaborazione: non una collaborazione puntuale, fatta di qualche iniziativa, ma una integrazione reale, che porti ad un reciproco rinnovamento, a partire dalla centralità del giovane, della sua vita, delle sue scelte. Ogni pastorale è chiamata a mettere sul tappeto il proprio specifico e le proprie risorse. Provo a esemplificare:
– La pastorale giovanile possiede la conoscenza e le relazioni con i soggetti, i giovani. Chi sono i giovani? Cosa vogliono? Come vivono? Come parlano? Cosa hanno di fronte? Dove e come decidono?
– La pastorale vocazionale possiede il know-how vocazionale. Come scegliere? Come ascoltare le “voci” mediante le quali parla Dio? Come discernere gli spiriti? Come far entrare il riferimento vocazionale nelle scelte di vita? Come accompagnare la scelta?
– La pastorale familiare è in relazione con la famiglia, che può tornare ad essere luogo e l’humus delle scelte dei giovani.
In concreto, sogno un’attività vocazionale nelle Chiese locali, in cui la collaborazione tra i tre Uffici (e anche con altri settori), pur conservando le iniziative proprie di ciascuna, faccia nascere tutta una serie di proposte nuove, per sostenere le scelte dei giovani: un orientamento scolastico ed universitario, un centro servizi (magari del Progetto Policoro) per l’orientamento al lavoro, una proposta per le coppie di adolescenti e giovani che stanno insieme, un servizio alla genitorialità con specifica attenzione all’adolescenza e alla giovinezza, un servizio di consulenza psicologica, una serie di esperienze comunitarie, dove i giovani possano respirare il fascino di persone, comunità e famiglie significative. Sogno che in tutti i percorsi formativi ci sia grande attenzione agli ambienti di vita e alle scelte relative (magari molte di queste cose esistono già, ma hanno bisogno di essere integrate di alcune attenzioni mancanti).
In questo modo, la comunità cristiana avrebbe anche la possibilità di incontrare molti adolescenti e giovani che sono “fuori dal giro” e nel contempo potrebbe dare alla pastorale con i giovani quel respiro vocazionale, che – non ho alcun dubbio – non tarderebbe a produrre frutti anche in relazione alle vocazioni di speciale consacrazione. Sono persuaso infatti che, se un giovane ha scelto la propria facoltà perché qualcuno lo ha aiutato ad interrogarsi profondamente su di sé, sul progetto che Dio ha scritto nella sua carne, nella sua vicenda e nella storia che sta vivendo, avrà le competenze ed il sospetto giusti per porsi anche domande più “inquietanti”. E, in ogni caso, avrebbe fatto esperienza di una Chiesa che è stata a servizio gratuito e disinteressato della sua vita, sostegno al suo desiderio di una esistenza piena e felice.