Cultura giovanile, itinerario di crescita umana e spirituale e… “scelta difficile”
Affrontare una tematica di questo genere, in questi nostri giorni e nell’ambito della cultura attuale, è senz’altro qualcosa di molto impegnativo, perché domanda la capacità di coniugare insieme due realtà profonde della vita e del cuore umano, difficili da possedere entrambe… Da una parte è importante la “saggezza”, dall’altra è essenziale essere capaci di “profezia”.
La “saggezza” … per poter capire quanto accade intorno a noi, per poter leggere i segni della vita, gli accadimenti, in particolare questa particolare situazione giovanile, continuamente in fermento, e questi cambi generazionali così rapidi ed accelerati che sembra davvero impossibile provare ad inseguirli e decifrarli.
La “profezia” … è anch’essa essenziale per poter anticipare, con proposte significative e incisive insieme, quella che può essere un’educazione globale e nel nostro caso spirituale e vocazionale, che non “insegua” sempre gli eventi, ma che riesca a tenere il loro passo.
Per esprimere meglio queste due realtà vorrei proporre due piccole parabole, tratte dalla sapienza orientale. La prima racconta che: “Un giorno il discepolo chiese al maestro una parola di saggezza; il maestro gli disse: ‘Va a sederti nella tua cella e la tua cella ti insegnerà la saggezza’. A quel punto il discepolo, quasi con un cenno di stizza, rispose: ‘Ma io non ho una cella, perché non sono un monaco’. Ma il Maestro dolcemente riprese: ‘Ma sì che hai una cella, guarda dentro di te e… capirai’”.
La saggezza è allora la capacità di guardarci attorno, ma soprattutto di saper filtrare dentro di noi gli eventi che possono aiutarci ad essere al passo con i tempi e con le persone che dobbiamo aiutare, nel nostro caso, i giovani così frenati di fronte alle opportunità del… decidere e del decidersi.
Vorrei proporre anche una seconda parabola: “Un giorno un altro discepolo chiese al maestro: ‘C’è niente che posso fare per rendermi illuminato?’. Il maestro disse sorridendo: ‘Tanto poco! Quel poco che puoi fare per far sorgere il sole alla mattina…’. Allora il discepolo riprese: ‘Ma a che servono quindi tanti esercizi nello spirito o tanto impegno come tu prescrivi?’. ‘Ad una cosa sola – rispose il maestro – ad assicurarmi che tu non dorma quando il sole inizia a sorgere’”.
PERCHÉ QUESTO PROFONDO DISAGIO GIOVANILE
DI FRONTE ALLE “SCELTE” DELLA VITA?
Credo che tutti noi percepiamo chiaramente il senso del profondo malessere che percorre il mondo adolescenziale e giovanile, ma che oramai comincia a mettere radici, ahimè sempre più profonde anche nella realtà dei pre-adolescenti, di fronte alla vita stessa, alle grandi domande che essa pone, alle scelte che essa comporta… Quali i segni di questo disagio? O non sarebbe meglio chiedersi: quale la punta dell’iceberg che noi riusciamo ad intravedere?
Alcuni fatti sono lì ad interpellarci in maniera brutale ed angosciante: i suicidi sempre più frequenti tra adolescenti e giovani; gli omicidi, spesso efferati, di cui si rendono protagonisti nei confronti dei loro pari età, accompagnati quasi sempre da episodi di violenza e stupro; le grandi trasgressività che vengono vissute, con epidermica superficialità, quando essi sono nel “branco” (resta sempre emblematico, a questo proposito, un film duro e sempre attuale come quello di Marco Risi, intitolato appunto “Il branco”!); le morti, spesso assurde, per i giochi di velocità in auto e le gare clandestine notturne, all’uscita dalla discoteca il venerdì e il sabato sera (anche qui è significativo il film di Daniele Vicari, regista esordiente premiato alla Mostra di Venezia nel 2002: “Velocità massima”); l’uso così frequente di droghe e di super-alcoolici… per stordirsi, per non pensare, per sfuggire un confronto con una realtà esteriore, ma più spesso interiore, che riserva angoscia, sofferenza e grande senso di vuoto.
Proviamo allora, seppur molto brevemente, a recuperare alcuni elementi importanti per cogliere, magari in maniera sommaria, un identikit degli adolescenti e dei giovani di questo nostro tempo, per capire le cause del loro profondo malessere, per cercare, ove questo sia possibile, di cogliere quegli spiragli che essi ci lasciano, per entrare nel loro mondo interiore e incontrare la loro fragile e ferita vulnerabilità.
Nel nostro contesto attuale, la giovinezza è divenuta un tempo sempre più lungo da vivere, e questo perché la nostra società è divenuta via via sempre più complessa (e complicata!); per essere in grado di produrre, vengono notevolmente allungati i tempi di preparazione… Potremmo dire che oggi la giovinezza spazia in un “continuum” tra i 14 e i 35 anni. Una giovinezza, quindi, che diviene sempre più una grande area di parcheggio. Non è questo un modello che viene scelto dai giovani, ma è quasi imposto dall’attuale modo di vivere… anche se è un mondo che ci riserva delle sorprese con delle straordinarie ricchezza interiori: il senso dell’amore, della amicizia, della solidarietà e, paradossalmente, anche di un profondo bisogno d’interiorità.
Quel … “Ci vuole più vivere dentro!”, gridato tante volte dal Papa nelle GMG e negli incontri con i giovani di tutto il mondo, è quanto mai attuale! Occorre dire che anche l’intervento educativo sul mondo adolescenziale e giovanile, oggi, è più consapevole, mirato ed incisivo. Eppure il disagio non viene colmato, anzi… aumenta! È essenziale individuare alcuni fenomeni tipici del mondo giovanile, per dar loro un nome e cercare di comprenderli meglio.
La frammentazione del vissuto
L’ambiente attuale della nostra società è come un grande supermercato. Nessuno sembra accollarsi il compito e l’impegno di fornire delle indicazioni precise, di dove andare e come regolarsi; ognuno, quindi, è chiamato a scegliere da solo… che gli piaccia o no!
Il giovane, oggi, frequenta tanti ambienti, ha molteplici appartenenze e tante opportunità di scelta, e questo comporta una grossa fatica a fare unità interiore, ma soprattutto a cogliere la propria identità profonda. Il rischio è di poter fare una serie quasi infinita d’esperienze, anche per una certa disponibilità economica che i nostri giovani hanno, e questo dà all’adolescente e al giovane l’idea e la sensazione d’essere lui, l’ombelico del mondo… la misura unica di se stesso e degli altri.
L’altra alternativa, sicuramente più positiva, è data dal fatto che non avendo vie obbligate da percorrere, egli può costruirsi con più consistenza e quindi arrivare anche a scelte impegnative di vita; ma non è una via percorsa abitualmente, questa… Il grande nodo della Pastorale Giovanile e Vocazionale, oggi, è “come aiutare i giovani ad orientarsi” nel costruirsi una realistica “map road” per la propria esistenza… Il vero e profondo lavoro è proprio sul nucleo della persona, i suoi valori, le sue scelte, le sue decisioni.
– La proposta educativa può essere quella di offrire loro delle “relazioni interpersonali significative”, perché ogni relazione significativa riduce i margini della frammentazione.
La marginalità sociale
Se da una parte il giovane, oggi, sembra sperimentare ampli margini di libertà personale, dall’altra, dal punto di vista sociale, è in uno stato di marginalità, è un essere “borderline” (di confine), cioè egli conta poco, perché produce poco e pesa sulla collettività. Anche qui due sono gli esiti possibili di questa situazione: uno negativo, quando la forza rinnovatrice del giovane viene imbrigliata e tutto viene ridotto alla utopia di sogni non realizzabili; uno più positivo, quando i giovani continuano a desiderare e a lottare per un mondo diverso: dove il terrorismo venga sconfitto, dove la pace sia una realtà che non è frutto delle violenze della guerra, dove i vari fondamentalismi religiosi lascino spazio ad una realtà di vita segnata dalla tolleranza e dalla accoglienza del “diverso”.
– L’aiuto che si può dare ai giovani, in questo senso, è quello di proporsi loro in maniera discreta e credibile, per guidarli in una vera e propria “iniziazione”: imparare a guardare la realtà con occhio disincantato e critico, ma senza comprimere le loro potenzialità. È un aiutarli a muoversi da protagonisti, (in questa nostra cultura ammalata di un protagonismo sempre più appariscente… “da veline” o da “Grande Fratello”, – guardate il ruolo davvero assurdo che hanno assunto i “reality show” nel calamitare l’interesse del pubblico!!! –), per trovare dei modi realistici in cui possono veramente contare per quello che sono. Torna il primato dell’Essere su quello dell’Avere, così caro ad Erich Fromm[1].
La paura del domani
Il supermercato non ti dà una direzione obbligatoria da percorrere, a meno che non si entri in un autogrill, lungo l’autostrada… La vita, oggi, assomiglia molto più ad una “rete di collegamenti”, come su Internet, e questo fa sì che ogni giovane dovrebbe avere il suo percorso di vita. Teniamo conto che, oggi, il giovane non ha, dopo lo studio, il lavoro pronto e assicurato. C’è una sicurezza ancorata al presente, ma non c’è la sicurezza del domani. Questo porta molto spesso i giovani a non fare dei progetti per il proprio futuro, a vivere l’immediato, l’attimo presente, per cui non c’è un vero interesse proiettato sul domani. Anche vocazionalmente (e credo che tutti noi ne siamo buoni testimoni!), succede la stessa cosa, ed ecco la difficoltà a progettarsi per il futuro, soprattutto per un futuro vissuto nella stabilità e nella fedeltà, con tutta la propria vita.
– Il punto essenziale ed importante è quello di aiutare questi nostri giovani a gustare “il momento presente”, per preparare meglio il tempo del domani. Il grande compito educativo, allora, è aiutare i giovani ad amare la vita quotidiana; perché è proprio dentro alla capacità di amare il presente che si matura anche la capacità di amare il proprio futuro[2].
La crisi della morale e delle norme
Le indicazioni circa i comportamenti sono in gran parte rifiutate e ciò comporta una soggettività nell’impostare le scelte di vita, sempre più dilagante, dove … “decido io quello che va bene per me!”. D’altra parte non si può neppure affermare che c’è un rifiuto aprioristico del valore. Spesso i valori presentati dal mondo adulto sono valori “effimeri”, legati a una “silly choice” (una scelta sciocca…), che non interessano (e giustamente!) il mondo giovanile; vengono presentate loro delle priorità che così non sono, anche se sono vendute come tali dal mondo, spesso illusorio, dei mass-media…
– Il vero e sapiente intervento educativo, quindi, è nella educazione ad approfondire alcuni grandi valori della vita, nel recupero della via della propria coscienza, nel rientrare in se stessi e “nel compiere il cammino verso ciò che dà SENSO alla Vita”. È la famosa “logoterapia” di Victor Frankl, oggi più che mai attuale. È la ricerca di un bisogno di senso, che spesso si presenta come un “vuoto assoluto” aperto sulla voragine di tante forme di depressione e di suicidio giovanile…
La religione emozionale
Questo è uno spazio oggi davvero interessante e insieme problematico. La fede è vissuta in modo molto personale e c’è il rifiuto dell’aggancio o della mediazione della “istituzione”. Il rischio, però, è quello di fare collezione e di mettere nel paniere della vita un po’ di tutto, da Gesù Cristo alla New Age… Molto del religioso viene vissuto sull’onda di una forte emotività, e non è casuale che nella lingua inglese una delle parole più usate sia “I feel… Io sento…”. Anche la religione, quindi, è un prodotto da grande supermercato.
– È veramente fondamentale una mediazione del Vangelo, sostenuta da figure attuali di testimoni. Dedicare del tempo ai giovani, è un grande segno di attenzione per loro, ma anche per il domani di questa nostra società, e il giovane percepisce subito se qualcuno si interessa davvero a lui. È anche importante prendere sul serio le motivazioni religiose che essi esprimono, per quanto immature ed inadeguate esse siano, perché in esse c’è sempre e comunque un grande potenziale di crescita[3].
Certo, è una zoomata piuttosto veloce e incompleta, quella che abbiamo compiuto sul mondo adolescenziale e giovanile. È una realtà ricca di chiaroscuri, di momenti di grande sofferenza ma anche di profonde possibilità di gustare la vita. Mi pare più che mai attuale applicare ai nostri giovani, oggi, quanto affermava della sua esperienza personale il grande scrittore inglese C.S. Lewis, nel suo “Diario di un dolore” (Adelphi): “La sofferenza di oggi prepara la gioia di domani”[4]. È un compito che tocca agli adulti, quello di lenire la sofferenza e l’angoscia presente in tanti giovani, custodirla con delicatezza e accompagnarla verso una crescita di maggiore armonia e riconciliazione interiore: saremo noi in grado di accogliere e di svolgere questo impegno che la vita ci consegna?
IL CUORE DELLA CRISI…
NEL “MISTERO” DEL CUORE DEI GIOVANI
Due semplici premesse, anche in questo caso, possono aiutare a collocare meglio la nostra riflessione e proposta. Il cuore umano è una realtà quanto mia profonda e misteriosa…[5]. È come guardare dentro ad un caleidoscopio, dove le sfumature di colore e le combinazioni possibili sono sempre diverse e non c’è posto per il fissismo. Inoltre, non possiamo mai dimenticare che l’accelerazione del tempo e degli eventi che accadono intorno a noi, fanno sentire già vecchio quello che è appena stato presentato come nuovo, sia nella sensibilità che negli stili di vita degli adolescenti e dei giovani.
Quale psicologia e spiritualità per vivere “il tempo della scelta”?
Vorrei proporre in maniera piuttosto semplice e sintetica, alcune linee di lettura che siano insieme anche “opportunità psico-pedagogiche e spirituali” per interpretare la realtà giovanile di fronte alle “scelte difficili”, legate al senso della vita o alla sua stessa valenza vocazionale.
Il passaggio dall’amnesia alla… memoria
C’è una storia interessante, che troviamo riportata da Martin Buber e che trae origine dai racconti dei Chassidim, una miniera di saggezza e di spiritualità presente nella tradizione ebraica. Ecco la bella parabola di Rabbi Hanoc[6].
Egli racconta: “C’era una volta uno stolto, ma così stolto e così insensato che era chiamato Golèm (in ebraico significa stupido, uomo senza intelligenza). Quando si alzava al mattino non riusciva proprio a trovare i propri abiti… Così alla sera, al solo pensiero di questo fallimento mattutino che si ripeteva quotidianamente, aveva oramai paura di andare a dormire. Poi una sera si fece coraggio; prese matita e foglietto e, spogliandosi, annotò minuziosamente dove posava ogni capo di vestiario. Il mattino seguente si alzò; finalmente era tutto contento. Prese la sua lista in mano e cominciò a leggere: ‘I calzini sono lì, i pantaloni di qua, il maglione dall’altra parte, le scarpe sono in fondo, il berretto eccolo là’, e se lo mise in testa tutto contento completando così il suo vestiario. Ma a quel punto il povero Golèm si bloccò e disse: ‘Ho trovato tutto stamattina, ma… io dove sono, dove sono rimasto?’. E si ripeté questa domanda in maniera ossessiva in preda all’ansia. Invano Golèm si cercò e ricercò: non riusciva proprio a trovarsi. Così succede spesso anche a noi”, concluse Rabbi Hanoc… “Ma come è possibile cominciare da se stessi e nello stesso tempo dimenticarsi?”, potrebbe essere un’ulteriore domanda che ci facciamo.
Per uscire da questa trappola c’è un’opportunità: sarebbe necessario chiedersi ogni tanto: “A che scopo sto facendo questo?”. E la risposta corretta dovrebbe essere: “Non per me!”. Vale a dire che comincio da me stesso ma non finisco su me stesso; mi prendo come punto di partenza ma non come meta di arrivo; mi conosco, ma non mi preoccupo eccessivamente di me stesso. Tutto questo è ben descritto da una stupenda massima ricordata sempre da Martin Buber: “Nel tempo che passo a rivangare in me stesso, posso infilare perle per la gioia del Cielo…”.
Uno dei drammi del nostro tempo, ben presente anche in tanta parte della letteratura contemporanea, è il vuoto disorientante del non sapere più chi sono IO: il grande filosofo M. Heidegger la chiamava… “spaesatezza”. Questo comporta anche una costante amnesia, che viene vissuta come dissociazione in vari aspetti della vita stessa: tra pensare e sentire; tra settori di vita tra loro “scotomizzati”, cioè vissuti come compartimenti stagni; tra IO e l’ALTRO; come “dis-locazione” e frattura tra la propria storia personale e la tradizione a cui dovremmo attingere e che invece viene totalmente rimossa… [7].
Vorrei proporre un’icona biblica di riferimento: le tentazioni di Gesù in Mt 4,1-11, dove Gesù stesso è “portato dal tentatore” verso una possibile spersonalizzazione dalla sua vera identità, tentato di essere un Messia secondo le attese della gente… Come è forte l’attrazione del ruolo appariscente e visibile, oggi così presente a livello mass-mediatico! Come non ricordare il film-scandalo di qualche anno fa del regista Martin Scorsese: “L’ultima tentazione di Cristo”?
Il passaggio dall’efficientismo al “senso delle cose”
Oggi imperversa più che mai il mito del “lifting” per avere corpi e volti sempre giovani e piacevoli; con uno slogan di facile comprensione potremmo dire: “Belli di fuori ma spesso vuoti di dentro…”. Questo ci porta a vivere nel segno del “possesso delle cose” da cui poi siamo inevitabilmente… posseduti: valgo in base a ciò che ho o a ciò che produco! È la caduta della “grande domanda” che sta alla base della ricerca di ogni senso di vita e di ogni scelta vocazionale: “Perché vivo? Perché amo!” era la stupenda risposta del teologo orientale Paul Evdokimov.
– Siamo assetati di “contemplazione”, con un grande bisogno di tornare a percorrere quelle vie che già ci indicava la straordinaria intuizione di Teilhard De Chardin: la via della “Super-centrazione”, cioè dell’adorare, che viene vissuta alla luce di un ulteriore percorso di “In-centrazione”, cioè un cammino lungo la via dell’essere[8].
L’icona biblica a cui vorrei rimandare è la storia di Simone il Mago, in Atti 8,9-25: è veramente una parabola del nostro tempo, dove ciò che conta è l’apparenza, non importa come questa sia acquisita…
Il passaggio dalla frenesia alla… pazienza
È più che mai evidente la cultura del “tutto e subito” in cui siamo immersi e nella quale i nostri ragazzi crescono. Viviamo tutti una vita concitata, in cui ciascuno di noi è “schiavo” persino del proprio tempo. Quante volte non sappiamo più distinguere l’urgente dall’essenziale, e questo comporta scelte davvero sballate di vita. Ci sono delle possibili vie per rispondere a queste modalità “incaute” del vivere? Credo di sì!
Una prima possibilità è quella di lasciare spazio, là dove ci è possibile, alla ricerca di un ritmo più calmo e quieto nell’impostare le nostre scelte e le nostre giornate. “Non è facile…” – direte. È vero, ma non possiamo abdicare a questa modalità “salva-vita”… Una seconda opportunità è quella di continuare a ricercare la “gratuità”, intesa come il fare qualcosa per gli altri, senza necessariamente volere il contraccambio. E una terza possibilità è collegata al fatto che “ognuno di noi rispetti il suo passo”, senza voler strafare e… “senza andare in cerca di cose grandi e superiori alle nostre forze” (cfr. Salmo 131).
L’icona biblica di riferimento mi pare qui molto chiara e suggestiva; è il cap. 1 di Qohélet: per ogni realtà di vita c’è il suo “giusto” tempo affinché essa sia vissuta in pienezza. Questo origina anche la capacità di “calarsi dentro” agli eventi o al cuore delle persone, sapendo sporcarsi le mani: è la via della intimità[9].
Il passaggio dal “faccio io” al lasciarmi fare da LUI
È importante ricordare che la nostra legittima ricerca di autonomia non è autosufficienza né autoreferenzialità, come oggi troppo facilmente viene proposto. Corriamo tutti il rischio di cadere nella trappola dei “self-made men/women”: uomini e donne in carriera. E spesso dimentichiamo anche che c’è una particolare forma di depressione (peraltro piuttosto diffusa!), che coglie proprio queste persone: si chiama “depressione da… successo”. Quando uno è arrivato al top e si accorge che quello a cui aveva mirato con tutte le proprie forze, non era poi l’elisir della felicità e della serenità, si chiede inesorabilmente: “Tutto qui?”. E si rende conto che, al Moloch del successo, ha immolato impunemente relazioni, affetti, amicizie, famiglia e tante, troppe altre opportunità di vita.
Ci sono delle possibili vie per salvarci da questa “escalation” del bricolage nelle scelte di vita. Innanzitutto nel riscoprire l’importanza dell’aiuto degli altri: sono relazioni, amicizie, mediazioni che ci aiutano a non perdere il senso vero della realtà. In ultima analisi significa ricordarci che… “sono io il vaso da plasmare, con pazienza”.
Quindi, l’icona biblica di riferimento è il bellissimo testo del profeta Geremia al cap. 18: noi siamo come vasi sul tornio, chiamati a vivere la psicologia e la spiritualità dell’abbandono!
Il passaggio dal linguaggio virtuale e “mass-mediatico” al linguaggio “del cuore”
La cultura mass-mediatica da cui siamo avvolti, ci porta tutti a vivere allo stesso modo. Eppure questo ci rende terribilmente “omologati”, anche nel modo di esprimerci, che dovrebbe invece interpretare quanto di più personale noi siamo e riusciamo a trasmettere di noi stessi. Siamo diventati tutti dei super-esperti nel linguaggio tecnologico dei cellulari, dei palmari, dei PC, ma stiamo perdendo sempre di più la dimestichezza con il linguaggio del cuore, con la capacità di esprimere o di leggere il mondo dei sentimenti: è di questo linguaggio, antico quanto la vita stessa, che abbiamo nostalgia!
Come sarebbe importante ritrovare la via delle proprie “risonanze interiori”, capaci di esprimere quello che di più profondo ci portiamo dentro. E c’è anche un altro aspetto che è essenziale recuperare, se vogliamo ritrovare una certa dimestichezza con la strada della scelta: non possiamo considerare un “divieto di accesso” la strada della consapevolezza verso la propria vulnerabilità.
Ma è davvero così vietato riconoscerci fragili e vulnerabili? È così strano se non impossibile mostrare anche il proprio lato di fragilità e di umanità? Forse questo ci aiuterebbe a vivere le nostre piccole o grandi scelte in maniera “meno ansiosa”, senza quelle aspettative di onnipotenza che riponiamo su noi stessi, secondo una logica infantile, e che sono poi fatalmente deluse[10]. Dovremmo recuperare un cuore che non sia ammalato di sclerocardìa, (cioè di un indurimento che lo porta al cinismo e alla indifferenza…), né di scleropistìa, (cioè di una totale incapacità di abbandono e di donare fiducia all’altro).
In fondo noi sappiamo che queste due resistenze Gesù stesso le rimprovera ripetutamente ai suoi discepoli (cfr. Mc 16,14). Questo ci aiuterebbe a recuperare la visione del nostro cuore come… mistero e ricchezza, come capacità di umanità vera in grado di ritrovare le vie della positività. E questa sarebbe un’iniezione di totale fiducia sulla via delle scelte.
L’icona biblica che vorrei qui proporre è quella di Matteo 15,10-20: ciò che davvero conta è quello che viene dal cuore, non quello che viene dall’esterno o appare all’esterno.
Il passaggio dalla competitività all’ospitalità
Un altro segno evidente del nostro modo di essere, di pensare e di vivere è il fatto che la legge della competitività economica, politica, sociale, culturale, etnica… rende i rapporti molto più difficili e insieme inasprisce i cuori, non rendendoli sereni di fronte alle scelte della vita stessa. Si vive nel segno della legge del più forte e nella idolatria dell’avere più dell’altro, proprio perché la visibilità ed il successo si misurano con la perversa logica dell’avere. È come se ciascuno di noi sentisse una voce interiore che ossessivamente lo tortura e gli sussurra: “Io devo avere più di te, per essere più forte e più bravo di te!”.
Questo comporta una serie di sentimenti assolutamente negativi, che assorbono tante energie vitali, anche quelle che si potrebbero liberare verso scelte positive e di crescita nella vita: insaziabilità e invidia… paura e diffidenza… rabbia e ostilità verso l’altro. La via delle scelte non può prescindere dal recuperare, nel profondo del proprio essere, il senso della reciprocità, intesa come un dare ed un accogliere. Qui si innesta quella che potremmo davvero definire un’offerta impagabile per l’altro: l’accoglierlo così come lui è! Qui trova spazio ulteriore una delle strade che possono poi portare concretamente a vivere scelte di dono per gli altri: imparare a comunicare; ma soprattutto divenire discepoli dell’ascolto[11].
Mi sembra che un’icona biblica meravigliosa di riferimento potrebbe qui essere il Cantico dei Cantici 5,2-8. “Ho cercato e non l’ho trovato… Ho cercato e ho incontrato l’amato del mio cuore”. Il tema della ricerca, della accoglienza e della ospitalità amorosa ed intima trova qui uno dei suoi vertici sommi.
Il passaggio dall’autosvalutazione alla amabilità di se stessi
Lo aveva già ben sottolineato lo psicanalista Erik Erikson: ai nostri giorni potrebbe essere davvero forte, se non fatale, il peso della sfiducia che tende ad asciugare, come un’idrovora, energie vitali nei cuori: ecco allora prendere sempre più piede una cultura della “vergogna”, in cui se non si è omologati agli altri, si viene inesorabilmente scomunicati dalla grande massa; e anche una dilagante cultura della negatività, intesa come indifferenza, sospetto, diffidenza, cinico rifiuto di ciò che l’altro ha di bene da propormi. Molte persone, e anche tanti giovani, vivono sotto la cappa di piombo di uno scetticismo fatalistico e rassegnato, dove la frase forse più ricorrente è: “non serve a nulla… Tanto, non cambia niente nella mia vita, perché io sono fatto così”. Attenzione: questo può divenire un alibi vero e proprio, che blocca ogni risorsa e scelta di prospettive future, seppur faticose e legate ad un prezzo da pagare: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Lc 9,23 – XII domenica per Annum/C).
Questo comporta una fondamentale conseguenza, che sarebbe interessante analizzare molto più in profondità: la caduta dell’utopia e del “desiderio”, il venire meno della forza calamitante degli Ideali, come superamento della dilagante legge della mediocrità[12]. L’invito che sarebbe giusto proporre a noi stessi prima che ai nostri giovani, potrebbe risuonare così: “Torniamo a volare alto… Alzatevi e andiamo!”.
Perché, ricorda…
“Lassù, qualcuno ti ama…”.
“La vuotezza si fa pienezza e la debolezza diviene forza…” (2Cor 12,10).
“Scendi dal tuo piedistallo: starai meglio con te stesso e con gli altri…”.
“Credi con forza che il vittimismo e l’autocommiserazione sono una trappola per farci notare, ma non per farci amare…”.
E allora, l’icona biblica di riferimento viene spontanea alla mente e al cuore: Gesù perdona la donna adultera in Gv 8,1-11: ovvero, come ridare dignità ad una vita totalmente svalutata.
LA GIOIA DI DECIDERSI PER LUI
Cosa interviene nell’esistenza di un uomo per sospingerlo a cambiare tutta la sua impostazione di vita e per immettersi nella avventura dell’ignoto? Quale forza misteriosa agisce perché un uomo o una donna consegnino totalmente la speranza della propria vita a quella coinvolgente e… “dolente” Luce che si chiama Dio come, con sofferta intuizione, afferma Agostino di Ippona?[13]
Vorrei concludere questa riflessione, aiutandoci a comprendere questo con il racconto della chiamata di Levi Matteo, così come ce lo presenta l’evangelista Marco (2,13-17)[14].In questo caso il Vangelo sembra collegarsi direttamente ad una “provocazione” del profeta Osea (6,6): “Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.
“Poi Gesù tornò presso la riva del lago. Tutta la folla gli andava dietro ed egli continuava ad insegnare. Passando, vide un certo Levi, figlio di Alfeo, che stava seduto dietro il banco dove si pagano le tasse. Gesù gli disse: ‘Vieni con me’. Quello si alzò e cominciò a seguirlo. Più tardi Gesù si trovava in casa di Levi a mangiare. Con lui e con i suoi discepoli c’erano molti agenti delle tasse e altre persone di cattiva reputazione. Molta di questa gente, infatti, andava con Gesù.
Alcuni maestri della legge, i quali erano del gruppo dei farisei, videro che Gesù era a tavola con persone di quel genere. Allora dissero ai suoi discepoli: ‘Perché mangia con quelli delle tasse e con quelli di cattiva reputazione?’. Gesù sentì le loro parole e rispose: ‘Le persone sane non hanno bisogno del medico; ne hanno bisogno invece i malati. Io non sono venuto a chiamare quelli che si credono giusti, ma quelli che si sentono peccatori’”.
Un “cambiamento” di vita non è mai il risultato di un puro caso: già molto tempo prima, esso si preannuncia come una breccia aperta in una diga, che davvero per troppo tempo ha represso il desiderio intenso delle acque di fuoriuscire. È paragonabile a quella vena d’acqua, nascosta in profondità, sotto terra, che da secoli attende di essere scoperta per scorrere all’esterno, in un rivolo sempre più scrosciante e gioioso. È la scarcerazione di un desiderio segreto, forse da sempre ritenuto impossibile. Se il pubblicano Levi fosse stato pienamente soddisfatto della sua vita, non avrebbe prestato la seppur minima attenzione alla chiamata di Gesù; proprio non se ne sarebbe accorto… Potremmo dire che in lui si è stabilita quella concentrazione di alta tensione, tipica di nubi che si condensano e danno luogo alla scarica del lampo, che preannuncia il temporale imminente. È un contrasto tra forze interne, che libera la scintilla e l’incanalamento di una nuova forza.
La sola parola di Gesù “Vieni con me”, basta all’esattore delle tasse, Levi, per abbandonare, in un istante solo, la propria deludente autosufficienza e ritrovarsi in una… libertà nuova. (…) Levi, per una parte della sua vita, si comporta come colui che è vittima di un intenso dolore interiore, ma preferisce “congelarlo e ibernarlo” con un processo di anestesia che non è liberatoria, ma un’operazione di vero e proprio stordimento. Gesù ha certamente percepito la situazione esistenziale di Levi, così come fin qui abbiamo cercato di coglierla anche noi; nei suoi occhi deve avere visto il riflesso del volto del Padre che va alla ricerca del proprio figlio… Egli sa di essere venuto per i malati, non per i sani.
Spesso abbiamo anche noi persone accanto che vivono questi drammi esistenziali, eppure non le vediamo: i nostri occhi sono miopi, annebbiati, confusi… Gesù ha occhi acuti: sono gli occhi del cuore, che sanno vedere al di là della semplice facciata, delle maschere auto-imposte; egli percepisce e vede le ferite di un’umanità oramai accasciata e stanca. Sa che in questi cuori c’è una ricchezza da sprigionare, da rivitalizzare, da liberare, perché sa leggere e decodificare il cuore dell’uomo. A questo uomo vuole ridare il suo vero volto, vuole risvegliare la coscienza e l’umanità, che ora se ne stanno con le ginocchia piegate, ma con lo sguardo implorante aiuto. E queste catene cadono di colpo, al suono di una parola liberatoria: SEGUIMI!
La via ora è aperta; e non esprime forse questa stessa via e questa parola il senso più vero e dinamico della vita stessa? Che cos’è se non la gioia profonda di avere ritrovato se stessi, in un’intimità profonda, creduta “smarrita” nel fondo del proprio cuore, e poter decidere per un reale cambiamento di vita che ci pone al seguito del Maestro e mette il nostro volto di fronte al volto di Dio, per assorbire le parole giuste che possono accendere la scintilla di una vita: “Coraggio, vieni con me”
– La grande scoperta di Levi Matteo è stata quella di “sentirsi amato” in profondità da Gesù. Nella mia vita ho questa percezione che Lui mi vuole bene, che Lui è presente, che in maniera talvolta strana o misteriosa per i nostri occhi umani, non si tira indietro dal manifestarmi questo bene? E quali sono le persone dalle quali mi sento veramente voluto bene?
– Essere amati è la “benedizione” più grande nella vita di una persona (Henry Nouwen). Forse abbiamo vissuto o possiamo vivere ora, dei momenti difficili nei quali ci si sente più “maledetti” che “benedetti”. Come posso riuscire a zittire le molte voci che nel mio cuore si accavallano e dubitano della “bontà” del Signore e anche della “bontà” che c’è nella mia vita? Come imparare a confidare che sentirò anch’io la voce della “benedizione”? Credo ci sia una sola via per arrivare a ciò, e per giunta non facile: abbracciare la propria solitudine ed entrare nel silenzio. Solo allora ci si accorge di tante presenze amiche e di tante voci buone che sono qui, accanto a me, a contatto di gomito della propria vita e del proprio cuore.
– Levi Matteo, benedetto perché “chiamato”. Forse la mia vita può fare un salto di qualità, se accetto la Sua chiamata non con la paura di una minaccia, ma con la meraviglia e la trepidazione di una benedizione per la serenità, per la gioia, per il gusto del vivere. E allora quelle parole: “Coraggio, vieni con me”, avranno un effetto totale e benefico di guarigione e di consolazione su tutta una vita.
Signore, fa’ di me un benedetto,
perché anch’io possa benedire.
Fa’ di me una persona consapevole di essere scelta,
perché anch’io sappia scegliere.
Donami la convinzione che: “È camminando… che si apre il cammino”.
Note
[1] E. FROMM, Avere o Essere, Mondadori, Milano 1977.
[2] V. SION, Vivere l’attimo presente, Gribaudi, Torino 1995.
[3] Per un approfondimento sulla religiosità giovanile cfr. N. DAL MOLIN, Verso il Blu: lineamenti di psicologia della religione, Messaggero, Padova, 2a ed. 2001, pp. 221-242.
[4] C.S. LEWIS, Il diario di un dolore, Adelphi, Milano 1990 (su questo libro autobiografico cfr. anche il film di Richard Attenborough, Viaggio in Inghilterra, 1993).
[5] Per una lettura profonda e mirata di questo appassionante aspetto della vita umana, cfr. F. IMODA, Sviluppo umano, psicologia e mistero, Piemme, Casale Monferrato, 2a ed. 1995.
[6] Cfr. Verso il Blu, op. cit., 2a ed. 2001, pp. 106-107.
[7] Su questo aspetto è interessante l’analisi sulla “condizione sull’uomo nucleare” che propone H.J.M. NOUWEN, Il guaritore ferito, Queriniana, Brescia 1982, pp. 9-20.
[8] Cfr. T. DE CHARDIN, Sulla felicità, Queriniana, Brescia 1990; cfr. anche una rilettura di questa tematica in Verso il Blu, op. cit., pp. 78-84.
[9] Cfr. N. DAL MOLIN, Itinerario all’Amore, San Paolo, Cinisello Balsamo, 6a ed. 1994, pp. 123- 138.
[10] H.J.M. NOUWEN, Il guaritore ferito, op. cit., pp. 75-92; su questa importante tematica di crescita personale cfr. anche A. GRUN, Come essere in armonia con se stessi, Queriniana, Brescia 2000.
[11] Il tema dell’Ascolto è stato ben sviluppato in uno dei numeri di ‘Vocazioni’ che il CNV ha dedicato in questi anni al Seminario sulla Direzione Spirituale: cfr. ‘Vocazioni’, n° 3/2002, in particolare gli articoli di G. Tripani e N. Dal Molin.
[12] Sul tema del “desiderio”, vorrei rimandare ad alcuni spunti di riflessione in N. DAL MOLIN, Verso il Blu, op. cit., pp. 36-40; potrebbe essere utile anche il riferimento a N. DAL MOLIN, Cammini di Speranza: per liberare la vita, Apostoline CSV, Castelgandolfo 1996.
[13] Una serie di spunti molto belli sul tema della scelta e delle fatiche e resistenze con cui essa può essere vissuta, si può trovare in C.M. MARTINI, Conoscersi. Decidersi. Giocarsi, CVX ed., Roma 1993.
[14] Una rilettura più approfondita e completa di questo tema è presente in N. DAL MOLIN, Diventare Dono, per far fiorire la vita, CSV Apostoline, Castelgandolfo 1997, pp. 43-60.