N.05
Settembre/Ottobre 2004
Studi /

I “segni dei tempi” e lo sviluppo dei congressi sulle vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata

La vocazione è una realtà molto ricca e complessa. Ne è prova la varietà e dovizia delle ricerche in questo campo, specie dei due ultimi decenni. E tuttavia la questione rimane ancora viva e la problematica attuale: ne sono intuibili le ragioni. Sia sotto il profilo culturale sia pastorale si assiste a un revival ricorrente che ripercorre la tematica. Le svolte sociali e politiche in atto, come i relativi mutamenti culturali che stiamo vivendo, impongono un serio ripensamento della propria collocazione professionale ed esistenziale nella società odierna. In modo non meno innovativo viene avvertita la realtà della vocazione a livello religioso ed ecclesiale: e non tanto per il fenomeno della sua crisi numerica, quanto piuttosto per una sostanziale esigenza di rinnovamento provocata da eventi (Concilio, Sinodi, Congressi, Convocazioni ecumeniche…), pronunciamenti autorevoli (documenti nazionali e internazionali) e soprattutto dalle sfide vitali dell’esistenza cristiana.

Il contesto della vocazione è, senza dubbio, sociale e culturale, religioso ed ecclesiale. Ma la metafora che la rende tersa sotto il profilo esistenziale ed evangelico, rimane Dio che chiama e l’uomo che risponde: è un patto di alleanza offerto, una proposta di sequela che fa appello alla libera responsabilità. Così la vocazione, che trae origine dall’Alto, trova contemporaneamente nel profondo dell’essere umano stimoli e condizioni che le permettono di essere percepita, accolta e vissuta.

Con il Concilio Vaticano II entrano nelle arterie della Chiesa e della sua cultura nuove categorie teologiche. Tra esse eccelle quella che si esprime con la formula “segni dei tempi”[1]. La visione di fondo, sul piano teologico e antropologico che supporta questo nuova impostazione, è la storicità come dimensione strutturale della persona umana. L’essere umano è visualizzato come un essere permanentemente in fieri, sia sul piano singolare sia comunitario. Ed è questo humanum fieri – risultante e sintesi di operazioni internazionali di libertà, di tentativi, di condizionamenti, di scadimenti, di fallimenti, di conseguimenti di obiettivi, all’interno di un vissuto, cioè, segnato da esperienze vive – che matura la coscienza storica. Ed è, altresì, risposta a sfide nuove che si affacciano all’orizzonte per chi s’interroga sul cammino da percorrere per rinnovare la pastorale vocazionale nelle circostanze attuali. Premesse necessarie per un approfondimento, sulla linea applicativa, di contenuti e metodi da parte dell’abbondante magistero postconciliare e teologico, nonché della coscienza e prassi ecclesiale.

I segni dei tempi sono, dunque, alla confluenza delle operazioni complesse dell’uomo – che li prepara attraverso sofferenze, contraddizioni, impegni e speranze – e dell’adventus Dei, di colui che si definisce “Colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4). E giunge sempre nella forma della gratuità salvifica. È qui che il semplice krónos si trasforma nel pregnante kairós. Il tempo misurabile si fa grembo che accoglie la grazia, che segnala e provoca. La Speranza si trasfonde nelle speranze, come la luce in un cristallo inerte. Ora, nella misura in cui i segni sono valori stimolativi di altri valori della persona non possono che provenire da Dio e, pertanto, vanno accolti con la fede che discerne.

 

 

LA SECONDA GUERRA MONDIALE E 

IL PROBLEMA DELLE VOCAZIONI

 

Erano anni durissimi. La guerra aveva travolto molte parti del mondo. Popolazioni sconvolte. Famiglie distrutte. Seminari ed altri istituti di formazione ridotti in rovina. Molti sacerdoti, religiosi, missionari uccisi. Il Papa Pio XII guardava all’avvenire e indicava una nuova via per la ricostruzione: “La Pontificia Opera per le Vocazioni Ecclesiastiche”[2]. Vennero pubblicati gli Statuti e le Norme applicative degli Statuti della P.O.V.E.[3]. L’Opera centrale veniva costituita come persona morale di Diritto pontificio[4] e doveva curare l’istituzione e l’incremento delle Opere per le Vocazioni in tutte le Diocesi; promuovere la conoscenza del sacerdozio, la preghiera specifica, abituale e costante, e una corrispettiva e aggiornata azione pastorale; e quindi produrre pubblicazioni, convocare congressi, mantenere rapporti con le opere associate, ricevere relazioni con le attività svolte, senza interferire nel regime interno delle Opere stesse. L’Opera centrale attuò il suo programma con discrezione e continuità, mantenendo i rapporti con i pastori delle Diocesi.

La sede della P.O.V.E. fu voluta dal Papa presso la Congregazione per l’Educazione Cattolica, consapevole della debolezza di tanti luoghi pedagogici (gruppi, comunità, oratori, scuole e soprattutto famiglie) e convinto che la crisi vocazionale era anche crisi di proposta pedagogica e di cammino educativo. In realtà ogni intervento del Dicastero a sostegno dell’educazione cristiana avrebbe avuto un riflesso positivo anche sulle vocazioni. Il Concilio aveva percepito la decisione libera e matura di seguire la vocazione come frutto di educazione approfondita che avesse saputo preparare il “buon terreno” ai doni dello Spirito (cfr. OT 2-3). Educazione attuata propriamente in famiglia (cfr. LG 11; GS 52) e in forma privilegiata nella scuola cattolica (cfr. GE 3). 

Circa 15 anni dopo l’istituzione della P.O.V.E., l’11 febbraio 1955, la Congregazione dei Religiosi, di propria iniziativa chiese e ottenne l’istituzione di una sua “Pontificia Opera per le Vocazioni Consacrate”, facendo propri gli “statuti” e “norme esecutive” della P.O.V.E.. L’istituzione di una nuova Pontificia Opera per le Vocazioni Religiose fece prendere coscienza all’episcopato di dare un coordinamento alla pastorale delle vocazione sotto forma unitaria[5], cioè istituendo centri unitari per tutte le vocazioni sia sacerdotali sia consacrate: si crearono i Centri Nazionali e Diocesani unici per tutte le vocazioni. Si presero provvedimenti per disciplinare il “reclutamento” e si mise personale a tempo pieno per la cura delle vocazioni.

 

 

LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI E 

L’OPERA DELLE VOCAZIONI NEL CONCILIO

 

Per la prima volta nella storia un Concilio Ecumenico dovette occuparsi di pastorale per le vocazioni. Gli atti testimoniano le sollecitudini dei Padri. Al termine, la materia risultava distribuita in vari documenti (Lumen Gentium Christus Dominus Perfectae Caritatis Optatam Totius Dei Verbum Apostolicam Actuositatem Ad Gentes Gaudium et Spes Presbyterorum Ordinis).

I Padri del Concilio conoscevano la situazione di disordine pastorale venutasi a creare nella pastorale vocazionale locale. Misero ordine alla situazione pastorale dando tre disposizioni:

– La P.O.V.E. deve promuovere tutta la pastorale delle vocazioni (OT 2).

– Il Vescovo è il primo responsabile delle vocazioni sacerdotali e consacrate (CD 15).

– I consacrati hanno il diritto di promuovere le proprie vocazioni all’interno di una pastorale d’insieme, osservando le norme della Santa Sede e delle Chiese particolari (PC 24).

 

 

L’Opera delle Vocazioni nel Concilio

Il Concilio[6] recepì l’Opera tradizionale delle vocazioni “secundum pontificia ad rem documenta” (OT 2), ma anche ne approfondì ed estese la missione. In avvenire per “mandatum” del Concilio, l’Opera delle Vocazioni avrebbe infatti dovuto: dirigere e promuovere tutta l’attività pastorale per le vocazioni sacerdotali e consacrate, operando a vari livelli di circoscrizioni ecclesiastiche (diocesani, regionali, nazionali), sotto la guida dei Pastori locali, con la collaborazione di tutti i responsabili, con l’impiego di tutti i mezzi necessari ed utili, a servizio di tutte le vocazioni, per il bene di tutta la Chiesa, guardando oltre i confini di diocesi, nazioni, famiglie religiose, riti, con particolare sollecitudine verso quelle parti che si trovassero in maggiore difficoltà. Questa è dunque la rinnovata Opera delle Vocazioni che il Concilio ha progettato, avendo come punto di riferimento il mondo di oggi e come orizzonte le necessità della Chiesa universale. I Padri conciliari esprimevano così la necessità di un una pastorale unitaria e organica delle vocazioni sacerdotali e consacrate a livello universale e locale (cfr. CD 15; PC 24). 

A partire dal Concilio, rimarrà per tutti (pastori e fedeli) chiaro che esiste una sola Opera Pontificia per le vocazioni sacerdotali e consacrate a servizio di tutta la Chiesa (cfr. Segreteria di Stato di Sua Santità, 18 marzo 1967, prot. N. 89806).

 

La pastorale delle vocazioni nel Concilio

Posta come base la pastorale generale della Chiesa, il Concilio delineò un progetto specifico di pastorale per le vocazioni. Affermò in primo luogo che il “dovere” di promuovere le vocazioni appartiene a tutta la comunità cristiana (OT 2; PO 11). Ricordò che la rappresentazione visibile della varietà e dell’unità delle vocazioni si ha particolarmente nell’assemblea eucaristica, momento più alto della vita ecclesiale (SC 14). Quindi il Concilio passò in rassegna gli operatori della pastorale per le vocazioni: l’ufficio primario del Vescovo (LG 20; CD 15; OT 2; AG 38); l’ufficio eminente del sacerdote (PO 11; OT 2; PC 24; AG 38), dei religiosi e delle altre persone consacrate (PC 24; AG 40; OT 2), dei responsabili della vita missionaria (AG 15-16; 18; 29; 36); l’ufficio privilegiato dei genitori (LG 11; OT 2; GS 52; PO 11; PC 24; AG 41) e di altri educatori (OT 2; PO 11).

Il Concilio infine enumerò i “mezzi” tradizionali e nuovi della pastorale per le vocazioni, che acquistano maggiore efficacia quando sono favoriti da un’immagine positiva della Chiesa, atta a produrre simpatia e consenso nella gioventù di oggi (OT 2; PO 11). Ma quella varietà di persone e di mezzi doveva trovare un punto d’incontro per una cooperazione concorde. E allora il Concilio, per ragioni di logica pastorale, prese in considerazione lo strumento operativo idoneo: l’Opera delle Vocazioni[7].

 

Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni

Paolo VI, in obbedienza alle direttive del Concilio e in un momento in cui i Padri avevano promulgato la Costituzione sulla liturgia e si accingevano ad approvare la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, istituiva la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni (23 Gennaio 1964), preparata dal Movimento Internazionale “Unione di Preghiera per le Vocazioni” di Sant’Annibale Maria Di Francia, come primo segno di quell’atteso coordinamento mondiale della pastorale delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Volle infatti una celebrazione “unica”, ossia per tutte le vocazioni di speciale consacrazione, mediante la “piena collaborazione” e il “mutuo accordo” delle Congregazioni interessate. Nei 41 anni successivi, nei Messaggi annuali per le Giornate Mondiali, i SS. Pontefici terranno sempre uniti i due cardini della giornata, la Chiesa e la Liturgia e sottolineeranno sempre il tema della preghiera e dell’azione per tutte le vocazioni.

 

 

I TEMPI MODERNI: 

CRISI DELLE VOCAZIONI E NUOVA EVANGELIZZAZIONE

 

Lo Spirito del Concilio pervase le comunità ecclesiali e le mosse verso un impegno evangelizzatore; la ripresa dei gruppi, le associazioni e i movimenti giovanili; il rinnovamento della catechesi; la valorizzazione della Chiesa locale; la corresponsabilità dei membri attivi delle parrocchie nell’apostolato; la riflessione più attenta sui vari ministeri e sulle diverse vocazioni specifiche all’interno dell’unica e comune vocazione cristiana.

Dopo il Vaticano II la P.O.V.E. si assumeva l’incarico del rinnovamento: sviluppava un programma di interventi di ampio respiro che possiamo distinguere in quattro fasi o momenti strettamente collegati tra di loro in un processo di continuità e sviluppo, cioè: la fase internazionale, la fase nazionale, la fase diocesana e la fase di aggiornamento e di rilancio detta continentale.

 

 

FASE INTERNAZIONALE

 

La prima fase, che possiamo definire Internazionale e abbraccia il quinquennio dell’immediato post-Concilio (1965-1970), è caratterizzata da diversi incontri promossi allo scopo di sensibilizzare innanzi tutto i direttori e i responsabili delle vocazioni delle diverse nazioni. In queste ed in altre iniziative successive viene posto in atto un procedimento ormai collaudato: raccogliere esperienze e suggerimenti da tutta la Chiesa, per poi offrirne i risultati a vantaggio della stessa Chiesa universale. Questi Congressi, convocati a breve scadenza di tempo negli anni 1966, 1967, 1969, 1971, ebbero il merito di stimolare l’approfondimento teologico su vocazione e vocazioni; di chiarire maggiormente l’inserimento della cura delle vocazioni nella pastorale organica; di sottolineare la responsabilità del clero e delle persone consacrate; di mettere in luce la collaborazione dei laici, particolarmente della famiglia; di indicare le scelte operative e i criteri pedagogici richiesti dai tempi.

Il primo Congresso Internazionale dei Direttori Nazionali del 1966 ebbe il merito di richiamare l’attenzione su alcune recenti e importanti direttive del Concilio: approfondimento teologico; collaborazione a favore di tutte le vocazioni; attività per le vocazioni inserita nella pastorale d’insieme; attenzione ai giovani delle varie età, senza trascurare quelli più maturi, anche per colmare più presto i vuoti che si aprivano negli istituti formativi. Il secondo Congresso Internazionale del 1967 approfondì quei punti del Concilio che riguardavano il rapporto tra persone consacrate e vocazioni e ispiravano una pedagogia più attenta alle caratteristiche delle nuove generazioni.

Il terzo Congresso Internazionale del 1969 recava un buon contributo all’applicazione delle direttive del Concilio che si riferivano alla cura da dedicare anche ai giovani di maggiore età e maturità, dotati di positive disposizioni, sulle quali possono favorevolmente operare gli aiuti della grazia ed una illuminata azione educativa. Il quarto Congresso del 1971 riassumeva problemi ed esperienze del primo quinquennio postconciliare, durante il quale si era cercato di attuare gli insegnamenti e le direttive del Concilio in ordine alle vocazioni. Inoltre, il Congresso offriva un contributo agli Episcopati che stavano per elaborare i nuovi “Piani di Azione” nazionali per tutte le vocazioni. Il lavoro per applicare il Concilio entrava infatti in un fase nuova.

 

 

FASE NAZIONALE

 

La seconda fase definita Nazionale, svoltasi negli anni ’70, ha avuto come punto di riferimento:

– l’elaborazione dei Piani o Programmi Nazionali per le vocazioni da parte delle Conferenze Episcopali;

– la celebrazione del I Congresso Internazionale per le vocazioni sacerdotali e consacrate, svoltosi a Roma dal 20 al 24 novembre 1973, per studiare detti “Piani Nazionali”. In questa seconda fase, definita “nazionale”, la Congregazione rivolse l’invito agli Episcopati di elaborare e pubblicare per il proprio Paese un “Programma o Piano d’Azione Nazionale per le Vocazioni”[8].

 

 

Primo Congresso Internazionale dei Vescovi delegati dalle Conferenze Episcopali: 20-24 novembre 1973 – Roma

La Plenaria del 1970 aveva concepito il Congresso dei Vescovi in collegamento con i “Piani d’Azione” Nazionali. Difatti, tutta la ricca documentazione dei Piani pervenuti a Roma, divenne oggetto di studio di questo Primo Congresso Internazionale dei Vescovi e di altri Responsabili delle Vocazioni. Il Documento Conclusivo del Congresso del 1973, ispirandosi ai grandi temi del Concilio, cercò di applicarli alle circostanze attuali. Riaffermò:

– La necessità di una riflessione teologica sicura sulla vocazione e sulle vocazioni da presentare in forma comprensibile ai fedeli e ai giovani d’oggi.

– Rilevò le esigenze primarie di una pastorale specifica efficace.

– Espose i principi di una pedagogia aggiornata e approfondita.

– Esortò a perfezionare l’organizzazione.

In sintesi, i risultati del Congresso possiamo sintetizzarli in quattro parti.

 

Necessità di una riflessione teologica sicura

La pastorale delle vocazioni deve fondarsi su una base dottrinale espressa in un linguaggio che coinvolga i problemi dell’uomo d’oggi e deve rispettare la visione di fede. Il Signore ci invita a pregare il padrone delle Messe perché mandi operai nella sua Messe. È essenziale coglierne l’invito: senza preghiera abituale, insistente, fiduciosa, non esiste vera pastorale vocazionale. La vocazione, inoltre deve essere compresa nel quadro della Chiesa. Ogni vocazione di speciale consacrazione è anzitutto al servizio della Chiesa a sua volta è al servizio degli uomini.

Pastorale specifica delle vocazioni

Questa non può svolgersi se non all’interno di una pastorale generale, della quale è una dimensione essenziale. La pastorale specifica generale deve riguardare tutte le vocazioni di speciale consacrazione, cioè vocazione ai ministeri presbiterale e diaconale, alla professione dei consigli evangelici nelle Congregazioni

Religiose e negli Istituti Secolari; come pure vocazioni ai nuovi ministeri e alle nuove forme di vita consacrata, che lo Spirito potrebbe suscitare. Viene sottolineato anche lo sforzo generale di evangelizzazione, l’importanza della catechesi, della direzione spirituale, il ruolo della famiglia e della comunità parrocchiale, la pastorale della gioventù, senza trascurare gli adulti. Per quanto riguarda i giovani si insiste di presentare loro il messaggio evangelico nella sua totalità, incentrato nella persona di Cristo, per aiutare ciascuno a comprendere il proprio ruolo nella Chiesa. Occorre anche scoprire i valori positivi dei giovani d’oggi, prime risposte alla chiamata di Dio.

Principi per una pedagogia della pastorale delle vocazioni

Gli elementi sottolineati in questa parte del documento sono: responsabilità dei Vescovi nella pastorale delle vocazioni, la necessità della formazione alla preghiera per ogni itinerario vocazionale, il ruolo insostituibile della testimonianza del sacerdote e delle persone consacrate. “Non è nei libri, ma nel contatto diretto con le persone che si apprende che cosa è la vita di un sacerdote o di una persona consacrata”.

Organizzazione della pastorale vocazionale

Il Centro diocesano è l’organo di coordinamento più importante della pastorale delle vocazioni con il Piano Diocesano e soprattutto con la pastorale giovanile. La “Giornata Mondiale” offre ai pastori l’opportunità di illustrare l’importanza e la bellezza del servizio sacerdotale, degli altri servizi ecclesiali, come pure della vita consacrata nella Chiesa.

 

 

FASE DIOCESANA

 

La terza fase quella Diocesana, negli anni ’80, ha costituito il passo decisivo per attuare le direttive conciliari. È caratterizzata:

– dalla preparazione dei Piani Diocesani per tutte le vocazioni da parte dei singoli Vescovi;

– dalla celebrazione del II Congresso Internazionale di Vescovi e altri Responsabili delle Vocazioni Ecclesiastiche, svoltosi in Vaticano dal 10 al 16 maggio 1981;

– dalla preparazione e divulgazione del “Documento Conclusivo” come guida sicura e autorevole di tutta la pastorale vocazionale.

Non sembrava, infatti, sufficiente un Piano Nazionale che non venisse calato nella situazione concreta di ogni diocesi. In ultima istanza è nelle Chiese locali che si può svolgere un servizio decisivo sotto la responsabilità diretta dei propri pastori. I Piani Diocesani trasmessi sono stati oltre settecento e sono pervenuti da tutte le regioni del mondo. Questo fatto può essere considerato come segno di una convinzione sempre più radicata nelle comunità diocesane, che cioè non si può compiere una sapiente e feconda pastorale delle vocazioni senza un progetto organico che indichi contenuti e mezzi, strutture e iniziative, scelte pastorali e linee d’azione che coinvolgano stabilmente la comunità.

 

 

Il Documento Conclusivo

Con titolo “Sviluppo della cura pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari; esperienze del passato e programmi per l’avvenire”, è stato pubblicato il “Documento Conclusivo” del Congresso dalla Poliglotta vaticana, nelle lingue: inglese, francese, spagnola, portoghese, tedesca e italiana. Le scelte prioritarie del “Documento Conclusivo” sono state:

– Fondare la pastorale delle vocazioni su una solida dottrina biblica e teologica della vocazione alla luce del Vaticano II.

– Accettare il Concetto di “Pastorale delle Vocazioni” come azione inserita nella pastorale d’insieme.

– Costruire comunità ecclesiali vive e tutte ministeriali (diocesi, parrocchie, movimenti, famiglie, scuola, ecc.).

– Coinvolgere tutta la comunità e tutte le persone, coscientizzando soprattutto le persone che hanno maggiori responsabilità (Vescovi, Presbiteri, Consacrati, Missionari).

– Promuovere tutte le vocazioni, ma dare priorità effettiva alle vocazioni presbiterali, diaconali, religiose, consacrate negli Istituti Secolari, missionarie.

– Rispettare le scelte fondamentali indicate dalla Chiesa nella pastorale delle vocazioni (preghiera, catechesi, testimonianza) ritenendo la preghiera come “valore primario ed essenziale”.

– Privilegiare, riguardo alla vocazione, i giovani, anche se il messaggio vocazionale riguarda tutti.

– Fare la proposta vocazionale con coraggio e con chiarezza.

– Accettare un sano pluralismo nell’accompagnamento vocazionale, regionale, diocesano rispettando “i piani d’azione” preparati dai Vescovi.

 

 

FASE CONTINENTALE

 

La quarta fase, di sviluppo e di rilancio, detta Continentale, in via di realizzazione, è costituita dalla celebrazione dei Congressi Continentali o per aree geografiche affini, per una promozione delle vocazioni meglio rispondente alle necessità reali dei vari Paesi.

 

 

Il Primo Congresso Continentale

Il Primo Congresso Continentale[9] è celebrato dalle Chiese dell’America Latina, Itaici, San Paolo, 23-27 maggio 1994. Si conclude con un Documento Dichiarativo. Sua Santità Giovanni Paolo II ha sempre approvato e incoraggiato la celebrazione di tali Congressi Continentali. Per questo primo Congresso per l’America Latina, non solo ha approvato l’iniziativa (lettera della Segreteria di Stato Prot. N. 330.670, in data 30 agosto 1993), ma ha voluto inviare un proprio Messaggio agli organizzatori e ai partecipanti. “Questo congresso in America Latina – sono sue parole – è il primo a livello continentale, e con esso viene inaugurata una serie che, con l’aiuto di Dio, avranno luogo nei diversi Continenti, nei quali la Chiesa è sacramento di unità e annunciatrice del messaggio di Cristo tra le genti”.

Gli obiettivi

Gli obiettivi perseguiti dal Congresso sono stati quattro:

– “Prendere coscienza che la nuova evangelizzazione esige nel continente Latino-Americano una migliore qualità e un maggior numero di vocazioni ai ministeri ordinati e alla vita consacrata nelle sue varie forme, che rispondano alle attese del nostro tempo”;

– “Promuovere l’integrazione della pastorale giovanile con la pastorale vocazionale, impegnando la pastorale familiare e la pastorale catechetica a un maggiore coinvolgimento nell’animazione, nel discernimento e nell’accompagnamento dei giovani vocati a rispondere con generosità alla chiamata del Signore”.

– “Creare nella comunità cristiana itinerari permanenti di formazione spirituale giovanile e offrire ai giovani chiamati un adeguato accompagnamento vocazionale”.

– “Istituire organismi di collaborazione o d’integrazione per una pastorale vocazionale d’insieme e organica”.

L’organizzazione

Il Congresso, promosso dalla Santa Sede, è stato cogestito dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, dove ha sede la “Pontificia Opera per le Vocazioni”, dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, dal CELAM e dalla CLAR, ed è stato organizzato dal Segretario

Generale del Congresso Mons. Herique Chemello, Vescovo di Pelotas. I partecipanti sono stati complessivamente 187.

La celebrazione

Tre furono le tematiche di fondo affrontate dal Congresso:

– analisi della pastorale vocazionale d’oggi;

– valutazione del lavoro della pastorale vocazionale nella pastorale organica dei diversi Paesi;

– suggerimenti per un nuovo impulso da dare alla pastorale delle vocazioni di speciale consacrazione.

Ognuna di queste tematiche fu esaminata da diverse prospettive e angolature, con l’ausilio di cinque “ponencias” di studio e d’informazione e sedici “comunicaciones” di esperienze operative. Si prese atto, in seno alle commissioni, del significativo aumento in numero e qualità delle vocazioni in tutto il Continente: i Seminari ed alcune istituzioni similari, tanto diocesani che religiosi, si trovavano numericamente abbondanti di nuove vocazioni in molti Paesi. Benché le vocazioni sperimentassero un aumento reale in tutte le Chiese particolari, si era tutti consapevoli che questo incremento non fosse ancora proporzionato all’aumento della popolazione.

Il Documento conclusivo

(“Seminarium”, De primo Congressu Continentis Latinoamericanae ad vocationes fovendas, anno XXXIV, n. 3, 1994). La Celebrazione del Congresso portò in breve tempo ad alcune conclusioni, che divennero “Documento Dichiarativo del 1° Congresso Continentale Latino-Americano”. Questo breve Documento ha assunto una singolare importanza per le 23 Nazioni dell’America Latina, impegnate a dare una adeguata risposta pastorale alla scelta preferenziale della promozione delle vocazioni, indicata dalla Conferenza Episcopale di Santo Domingo.

Le istanze del Documento si possono così sintetizzare:

– La PV è azione mediatrice, che nasce dall’annuncio della Parola di Dio, è sorretta e sostanziata dalla preghiera, e mira a porre ogni credente di fronte alla responsabilità della sua chiamata. Ogni operatore vocazionale deve essere cosciente del carattere relativo, di mediazione della sua azione, senza assumere atteggiamenti che contraddicano, in pratica, l’identità e la funzione di chi deve solo facilitare la comunicazione tra due poli, tra Dio e l’uomo. La vocazione prima di essere strategia è mistero.

– Essa è opera dell’intera Chiesa: “tutta la Chiesa è costituita in stato di vocazione e di missione, e quindi ogni membro della Chiesa, ciascuno per la sua parte, è costituito in stato di vocazione e di missione”, e ha dunque precise responsabilità in ordine al problema vocazionale come “problema fondamentale della Chiesa”, come ebbe una volta a dire Giovanni Paolo II. Del tutto ingiustificato, dunque, il clima di silenzio, di delega, d’indifferenza, di deresponsabilizzazione oggi ancora rilevabile al riguardo da parte di troppi operatori pastorali ed educatori.

– È parte e componente ineliminabile della pastorale ecclesiale globale: “nel quadro di un impegno generalizzato di ogni Chiesa particolare sta emergendo la consapevolezza che la pastorale vocazionale non è un semplice ambito o un settore della pastorale della comunità cristiana, bensì la prospettiva unificante di tutta la pastorale nativamente vocazionale”. “Una pastorale delle vocazioni si potrà realizzare solo all’interno di una pastorale globale che porti ad una rievangelizzazione dell’intera comunità ecclesiale, da una parte, e dell’intera comunità degli uomini in cui la comunità ecclesiale vive, dall’altra”. Se dunque la PV si inserisce in modo organico nella pastorale d’insieme, vanno superati sia il collateralismo pastorale che il processo d’emarginazione della fede, relegata accanto e quasi al di fuori di altri cammini pastorali: sia nell’attivismo che moltiplica le iniziative di natura varia, senza preoccuparsi che tutto converga attorno a un nucleo portante e convincente, sia la delega che riserva il compito a qualcuno lasciandolo isolato.

– La PV è anche parte e componente ineliminabile d’un programma di formazione permanente. Grazie a questa interdipendenza tra l’Animazione Vocazionale (AV) e la Formazione Permanente ogni consacrato e presbitero costruisce la sua unità di vita, mentre l’azione concorde di tutti acquista efficacia e incisività; grazie a questa stretta e naturale correlazione un istituto o una diocesi che s’impegna seriamente e in modo intelligente nell’AV non sottrae mezzi ed energie ad altri settori vitali, né privilegia un ambito a danno di altri, ma promuove un coinvolgimento generale; fa in realtà un discorso rivolto a tutti, discorso di formazione dei singoli e di rinnovamento delle comunità.

– Infine, la PV abbraccia tutte le espressioni possibili della vocazione cristiana. Per questo, secondo quanto dice il Documento conclusivo, “la vocazione e le vocazioni devono diventare tema fondamentale nella predicazione, nella preghiera, nella catechesi. E non basta che il tema sia trattato in forma diretta: esso deve essere presente, come annuncio indiretto, anche in altri momenti di predicazione, preghiera, catechesi”. Ovviamente non deve cessare l’indispensabile attività rivolta in modo specifico alle vocazioni consacrate. Questo significa che la comunità, da una parte, dirige la sua pastorale vocazionale verso tutti i battezzati, dall’altra, promuove, in forma articolata la vocazione ai ministeri ordinati e alle altre forme di vita consacrata, a tutte le altre forme di vocazione consacrata. Essa non è infatti attività unilaterale, come non è attività separata dalla pastorale d’insieme, né marginale, dato che si dedica al problema fondamentale della Chiesa.

 

 

Il Secondo Congresso Continentale per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata in Europa[10]

Un Congresso sulle vocazioni in Europa alle soglie del Duemila, se non era qualcosa di temerario, era senz’altro un atto di fede e di speranza nel futuro. Pastorale delle vocazioni per l’Europa che si trovava a dover ripensare globalmente la sua stessa “giustificazione”, oltre che tutta la sua metodologia, la quale, una volta, era stata nuova, che era stata anche esportata; che aveva avuto dei “ritorni” carichi di molte luci e molte ombre proprio in seguito all’elaborazione di una teologia e di una pastorale non astratte, ma attente all’inculturazione, al contesto, al dinamismo della storia… In quel momento, una simile teologia e pastorale delle vocazioni non poteva più farsi valere per l’occidente di oggi perché lo scenario era totalmente cambiato e richiedeva l’elaborazione di una strategia pastorale di evangelizzazione tout-court e di annuncio vocazionale specifico totalmente nuovi.

 

Gli obiettivi e gli Organismi

Obiettivi

La segreteria generale aveva raccolto dalla base i seguenti obiettivi:

– Approfondire maggiormente gli aspetti teologico-pastorali in sintonia con l’ecclesiologia del Vaticano II, considerando la pastorale delle vocazioni in costante relazione tra il mistero della Chiesa e l’identità sacramentale carismatica dei chiamati.

– Scambiare in modo più intenso i “doni” vocazionali tra le Chiese sorelle di tutto il Continente Europeo: conoscenza, approfondimenti dottrinali, esperienze pastorali, iniziative a livello locale e regionale, collaborazione in campo formativo.

– Inserire più organicamente la pastorale vocazionale nella pastorale ordinaria e straordinaria, particolarmente nelle attività giovanili, nella famiglia e nella catechesi: ad es. superando mentalità di delega, di passività e di pessimismo; responsabilizzando i parroci e gli altri pastori; favorendo la crescita della preghiera e della spiritualità vocazionale; incoraggiando la fattiva collaborazione tra clero diocesano e religioso nello spirito delle “Mutuae Relationes”, promuovendo la figura e il ruolo della vocazione monastica e la sua peculiare incisività nella Chiesa d’Oriente e d’Occidente; illuminando sulla duplice via d’accesso al sacerdozio della Chiesa d’Oriente: la via celibataria e la via matrimoniale.

– Infondere fiducia e speranza alle comunità e ai pastori sulle prospettive vocazionali, favorendo lo spirito di fede in Dio che chiama sempre e dovunque, proponendo gli aspetti positivi presenti nelle varie Chiese particolari e sollecitando la creatività e soprattutto le responsabilità di tutti.

Organismi

Gli Organismi responsabili dell’organizzazione e della preparazione davano un respiro internazionale al Congresso:

– Pontificia Opera Vocazioni Ecclesiastiche (per la Congregazione per l’Educazione Cattolica, per le Chiese Orientali e per gl’Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica);

– Consiglio Delle Conferenze Episcopali Europee (C.C.E.E.)

– Unione Delle Conferenze Europee Dei Superiori Maggiori (U.C.E.S.M.)

– Istituti Secolari Europei (C.M.I.S.).

 

Documentazione del Congresso[11]

Ampia consultazione[12]

Per ottenere una reale lettura della situazione continentale, in tutte le Chiese Europee è stata promossa un’ampia consultazione a diversi livelli: tra le conferenze nazionali dei Vescovi, dei Superiori e delle Superiore maggiori, dei Presidenti delle conferenze nazionali degli istituti secolari; tra le comunità diocesane considerate in se stesse; tra i Superiori e le Superiore maggiori; tra i Presidenti delle conferenze nazionali europee degli istituti secolari. Una commissione europea, sulla base delle risposte pervenute alla Segreteria Generale, ha preparato il “Documento di lavoro” per il Congresso.

 

Documento Preparatorio

Struttura del Documento

Il Documento Preparatorio ha come titolo La pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari d’Europa e costituisce già una tappa del cammino verso la celebrazione del Congresso Europeo. L’intento è quello di stimolare ed aiutare una riflessione su questa curva di storia che precede l’anno duemila dal punto di vista vocazionale; provocare un confronto a livello europeo in questi anni, in cui di Europa si parla molto con linguaggi diversi, che denunciano la lenta fatica di un farsi unitario attorno a valori alti. Soprattutto si prefigge il proposito esplicito di favorire lo scambio dei “doni vocazionali” dando risposta alle molte sollecitazioni del Santo Padre in questa direzione: La Chiesa universale conseguirà un grande profitto, se le comunità locali si sforzeranno di sviluppare reciproci rapporti, scambiandosi aiuti e beni; sorgerà così quella comunione e cooperazione delle Chiese fra di loro, che oggi è quanto mai necessaria, perché possa felicemente proseguire il lavoro della evangelizzazione( LOsservatore Romano 27 febbraio 1993). Inoltre si vuole conoscere il parere delle Chiese particolari del continente circa le intenzioni più valide da promuovere, in vista di un impulso da dare, nei prossimi anni, alla pastorale delle vocazioni: sia per proseguire sulla “opzione preferenziale dei giovani”, sia perché in ogni Chiesa non manchi un’organica, intelligente e coraggiosa pastorale vocazionale, ricca di tutti quegli elementi che ne permettano l’incisività e lo sviluppo. Il Documento è diviso in due parti, seguite da un’appendice di statistica sulla situazione vocazionale europea. La Parte Prima: “Uno sguardo al decennio 1985-1995”, descrive: La tendenza numerica delle vocazioni (cap. I); Le reazioni delle comunità cristiane di fronte alla crisi delle vocazioni (cap. II); Il livello qualitativo delle nuove vocazioni (cap. III); Gli elementi problematici nel mondo giovanile (cap. IV); La situazione della Pastorale giovanile e della Pastorale vocazionale nelle valutazioni delle Conferenze Episcopali (cap. V); (cap. VI); I rilievi sugli Istituti Secolari da parte delle Conferenze Europee (cap. VII). La Seconda Parte: “Costruire il futuro”, presenta: Il quadro teologico della pastorale vocazionale (cap. I); La pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari (cap. II); Progettare la pastorale vocazionale nelle comunità cristiane (cap. III); L’Europa delle vocazioni guarda al futuro (cap. IV).

 

Le istanze del Congresso

Il coraggio della profezia

Una domanda vuole porsi il Congresso: Che cosa manca nella pastorale vocazionale di questo tempo per favorire più efficacemente le risposte? Quale potrebbe essere “il sussulto” idoneo ad aprire stagioni nuove nelle nostre Chiese? In quale direzione va la profezia? Dalle risposte date dalle comunità ecclesiali è possibile abbozzare qualche risposta. Anzitutto nella direzione del primato dello Spirito; e di riflesso grande importanza assume la preghiera per le vocazioni nelle forme diverse: della “lectio divina”, degli esercizi spirituali, delle giornate di deserto o di silenzio presso comunità di vita contemplativa. Va rilevato la scoperta che molti giovani fanno del silenzio prolungato, anche notturno, davanti alla Santissima Eucaristia. Di solito in queste lunghe esperienze davanti a Dio si impone in modo esplicito l’autocoscienza vocazionale o una riflessione seria sul come impostare il proprio futuro.

 

Occorre prefigurare una Chiesa dei ministeri per la missione

Realismo vuole che si prenda atto dell’attuale momento di svolta in cui è tangibile la compresenza di aspetti di caducità e di passato e di germi promettenti per il futuro. In verità le statistiche a livello presbiterale e di congregazioni religiose verificano un palese processo di invecchiamento, non bilanciato da nuovi apporti vocazionali. Il discernimento pastorale chiede a tutti i Vescovi e a tutti i Superiori Maggiori il coraggio di prefigurare un’altra immagine di Chiesa: meno clericale e più partecipata da parte dei laici. Ciò accade già in tante opere di promozione umana, nelle scuole, ma non meno anche nelle comunità cristiane tradizionalmente affidate ai presbiteri.

 

Rispondere alla domanda di personalità spirituali forti

Lo richiede la pedagogia del modello; lo richiede la diffusa debolezza dell’io e degli stessi luoghi pedagogici (famiglia, parrocchia, gruppi). Un segnale positivo e promettente è la crescente domanda e proposta di direzione spirituale. In talune aree geografiche è prevalente la domanda con carenze di risposte; in altre è più generosa la proposta e la disponibilità da parte dei sacerdoti o dei religiosi e religiose a farsi guide spirituali dei giovani. Comunque è promettente per il futuro la diffusa consapevolezza, soprattutto a livello di educatori, della necessità di una pastorale più personalizzata e pertanto della direzione spirituale.

 

Puntare sugli educatori

Si ravvisa che il futuro della Chiesa e della società, nonché la pastorale vocazionale, hanno bisogno in modo particolare di nuovi educatori nel contesto della nuova evangelizzazione. Stiamo verificando infatti la debolezza di tanti luoghi pedagogici (gruppo, comunità, oratori, scuola e soprattutto la famiglia). Il ritorno di questi luoghi ad essere efficacemente educativi richiede la presenza di figure spirituali di sicuro riferimento; nonché guide spirituali motivate, robuste, limpide. Di qui l’impegno da parte delle Chiese particolari di formare i formatori.

 

Non aver paura del radicalismo evangelico come profezia

C’è infatti una diffusa sollecitazione a proporre ai giovani un Vangelo “sine glossa”, attraverso la testimonianza rinnovata e non stanca dei consacrati. Si afferma in tutti i toni l’urgenza di superare la patologia della stanchezza nei sacerdoti e nei consacrati, riscoprendo all’interno della loro stessa chiamata le ragioni di un volto pasquale. In particolare si ravvisa nel “radicalismo evangelico” il messaggio più dirompente da gridare con l’annuncio e con la vita nei venti incrociati del secolarismo, soprattutto come alternativa alla cultura malata del sessismo esasperato, vissuto ad una dimensione. Il radicalismo evangelico è da presentare in tutta la sua positività come via alla santità, quale unica, vera possibilità di autentica realizzazione umana in prospettiva evangelica.

 

Promuovere il Congresso

Il Santo Padre esprime il vivo desiderio che la celebrazione congressuale sia preceduta da un tempo di preparazione, da vivere in tutte le Chiese particolari d’Europa, nella preghiera costante, fiduciosa e specifica al “Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe”; nella meditazione e riflessione sul dovere che ha ogni cristiano di promuovere le vocazioni sacre; nella revisione e aggiornamento della pastorale liturgica, catechetica, familiare e giovanile per una più credibile azione di annuncio, proposta e accompagnamento delle vocazioni.

I Centri Nazionali e Diocesani per le vocazioni vengono indicati come gli organi di coordinamento più importanti di questa fase preparatoria del Congresso. Ad essi il compito di sensibilizzare tutti i membri della Chiesa ad impegnare i propri doni di mente e di cuore per una più responsabile promozione delle vocazioni sacerdotali e consacrate. Le comunità ecclesiali sono invitate ad approfondire le istanze del Congresso e rispondere con conseguente responsabilità alle seguenti domande:

– Qual è l’identità dei giovani europei?

– Quali sono i valori in cui credono?

– Come la Chiesa particolare traduce in un piano pastorale la dimensione vocazionale?

– Come la parrocchia concretizza la propria coscienza vocazionale?

– Come la pastorale giovanile può aprirsi alla dimensione vocazionale?

– Come aiutare i giovani a superare l’indecisione di fronte agli impegni definitivi?

 

Impegni per le Chiese dell’Europa

Il documento finale Nuove Vocazioni per una nuova Europa viene elaborato da una speciale commissione congressuale e pubblicato due mesi dopo la sua chiusura. Tradotto in 15 lingue, è inviato a tutte le Chiese particolari del mondo.

 

Natura del Documento

Si tratta di un Documento Pastorale, frutto di una lunga esperienza delle Chiese d’Europa, che hanno segnato il cammino e lo sviluppo della pastorale vocazionale post-conciliare nel primo Continente. È un grande documento per la puntualità nel rilevare la situazione sul campo; per la teologia della vocazione davvero completa; per la sensibilità sia sul versante antropologico sia su quello ecclesiologico con il tema della reciprocità di tutte le vocazioni all’insegna della comunione; per l’attenzione pastorale rivolta non solo e non tanto ad elaborare strategie d’intervento, quanto a far passare la vocazione come dimensione connaturale ed essenziale dell’annuncio cristiano e dell’evangelizzazione alle soglie del nuovo millennio; e infine per la costante cura pedagogica nell’educazione, formazione e accompagnamento vocazionale dei giovani d’oggi. Lo scopo del documento è di condividere con tutte le Chiese europee l’evento di grazia che il Congresso è stato.

La Commissione congressuale per la stesura del testo, senza pretendere di farne una sintesi accurata, né presumere di esporre un trattato sistematico sulla vocazione, ha voluto fraternamente mettere a disposizione della Chiesa tutta che è in Europa e oltre Europa, nelle sue varie denominazioni cristiane, i frutti più significativi del Congresso stesso: con uno stile che esprima il più possibile la volontà di farsi capire da tutti, perché tutti indistintamente sono chiamati a realizzare la loro vocazione e a promuovere quella di chi è loro prossimo; con attenzione soprattutto a coniugare tra loro riflessione teologica e prassi pastorale, proposta teorica e indicazione pedagogica, per offrire un aiuto concreto e pratico a quanti operano nell’animazione vocazionale; senza alcuna pretesa di dire tutto, non solo per non ripetere quanto altri documenti hanno già ottimamente detto al riguardo, ma per rimanere aperti al mistero, a quel mistero che avvolge la vita e la chiamata d’ogni essere umano, a quel mistero che è anche il cammino di discernimento vocazionale e che solo nel momento della morte si compirà.

 

Le parti del documento conclusivo

Concretamente il testo segue la logica che ha condotto i lavori del Congresso: dal concreto dell’esistenza alla riflessione su di esso per tornare ancora al concreto esistenziale. È con la realtà d’ogni giorno che deve misurarsi la pastorale vocazionale, proprio perché è pastorale in funzione e al servizio della vita. Di conseguenza s’incomincia con un tentativo di rilevamento della situazione, per poi analizzare il tema della vocazione dal punto di vista teologico, e dare dunque un fondamento, una indispensabile struttura di riferimento a tutto il seguito del discorso. A questo punto inizia la parte più applicativa: di tipo pastorale, anzitutto, o di grandi strategie d’intervento, e poi di tipo più pedagogico, per identificare almeno alcune piste orientative sul piano del metodo e della prassi quotidiana. Forse proprio questo aspetto è quello più atteso dagli operatori pastorali.

Per tale motivo il documento si dilunga un po’ nelle sezioni pastorale e pedagogica, ma solo con l’intento d’offrire uno strumento utile ai vari operatori. Sarebbe stato desiderio della Commissione preparare un testo breve ed essenziale, ma è sembrato che l’attuale stato della riflessione sulla pastorale delle vocazioni richiedesse una certa articolazione d’analisi.

 

Il Terzo Congresso Continentale nel Nord America[13]

La celebrazione, voluta dal Santo Padre, ha interessato i due grandi Paesi del Canada e degli Stati Uniti[14], ma è da considerarsi un evento di Chiesa. I 1.500 Delegati, provenienti da 27.000 centri pastorali del Nord America si sono riuniti a Montreal e hanno lavorato dal 18 al 21 aprile 2002, sul tema: “La vocazione è un dono di Dio”.

Il Documento finale è stato inviato dalla Pontificia a tutte le Chiese particolari dalla P.O.V.E. [15] come scambio di doni, esperienze e orientamenti di pastorale vocazionale per il Terzo Millennio. Il Congresso ha avuto, per volontà del Santo Padre, uno stretto riferimento alla Giornata Mondiale della Gioventù, programmata a luglio dello stesso anno a Toronto.

Le ragioni della scelta dell’America del Nord (Stati Uniti e Canada) per la celebrazione del Terzo Congresso Continentale sulle vocazioni sono numerose e di diversa natura. Accenniamo alle seguenti:

– Dopo il Congresso del 1994 per l’America del Sud sembrava opportuno completare il servizio di animazione vocazionale per il Nord-America.

– Essendo stato già celebrato il Sinodo dei Vescovi per il Continente Americano, si riteneva utilissimo richiamare l’attenzione dei Vescovi, dei Superiori e Superiore Maggiori, dei responsabili e dei vari organismi unitari, sul “problema fondamentale della Chiesa” (Giovanni Paolo II) richiamato dal n. 40 dell’Esortazione Ecclesia in America che afferma: “Il ruolo indispensabile del sacerdote in seno alla comunità deve render consapevoli tutti i figli della Chiesa in America dell’importanza della pastorale vocazionale. Il Continente americano possiede una gioventù numerosa, ricca di valori umani e religiosi. Per questo, occorre coltivare gli ambienti in cui nascono le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata, e invitare le famiglie cristiane ad aiutare i figli qualora si sentano chiamati a seguire tale cammino (131). In effetti, le vocazioni ‘sono un dono di Dio’ e ‘nascono nelle comunità di fede, anzitutto nella famiglia, nella parrocchia, nelle scuole cattoliche e in altre organizzazioni della Chiesa. I Vescovi e i presbiteri hanno la speciale responsabilità di stimolare tali vocazioni mediante l’invito personale, e principalmente con la testimonianza di una vita di fedeltà, gioia, entusiasmo e santità. La responsabilità di promuovere vocazioni al sacerdozio compete a tutto il Popolo di Dio e trova il suo principale compimento nella preghiera costante e umile per le vocazioni’”.

– Difficoltà e problemi vocazionali di carattere quantitativo e qualitativo evidenziano sempre più la necessità di rivedere i coefficienti dottrinali e di rinnovare le metodologie perché siano più rispondenti alle nuove istanze pastorali. È molto indicativo il seguente dato statistico: mentre il numero dei seminaristi maggiori (diocesani e religiosi) nel periodo 1978-1996 è aumentato notevolmente in tutti i continenti, compresa l’Europa, nel Nord-America questi seminaristi continuano a diminuire (da 9.636 nel 1978 sono passati a 5.413 nel 1996).

– L’impegno serio e urgente della “nuova evangelizzazione” anche per quei Paesi stimola ad approfondire i contenuti fondamentali della loro pastorale vocazionale.

– Tra tanti interrogativi, sono da porsi i seguenti: quali vocazioni per la nuova evangelizzazione del Nord-America? Quale ecclesiologia sta alla base della pastorale vocazionale? Quali punti acquisiti, quali i punti deboli nel rapporto teologia e pastorale vocazionale? Se le vocazioni continuano a diminuire, quali possono essere i contesti culturali, i condizionamenti sociali, le cause e i fattori ecclesiali influenti su tali situazioni? Come si presentano i giovani e i nuovi candidati di fronte alla prospettiva di una consacrazione? Quali sono i problemi specifici riguardanti le vocazioni femminili? Come viene vista e vissuta la reciprocità e la complementarietà tra pastorale giovanile e pastorale vocazionale? Come viene attuato il discernimento e l’accompagnamento vocazionale? Quali atteggiamenti positivi sono da incoraggiare nei responsabili e quali quelli negativi da rimuovere? Quali sono le attese presenti nelle comunità ecclesiali e negli operatori pastorali? Quali esperienze significative e valide?

Queste e altre simili problematiche diventeranno oggetto di riflessione e di impegni precisi del Congresso per un servizio da rendere alla vita e la missione della Chiesa nell’America del Nord.

 

Spirito e finalità del Congresso del Nord America

Le finalità del Congresso circa la pastorale vocazionale restano quelle rapportate con il cammino fatto in questo ambito dalla Chiesa nel periodo post-conciliare ed esigite dalle necessità concrete di quei Paesi. In particolare il Congresso si proponeva il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

– creare in America del Nord un ambiente efficace e propositivo in rapporto alle vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata;

– promuovere nella Chiesa che è in America del Nord un impegno di comunione e di coordinamento nel campo vocazionale;

– accogliere con speranza i futuri operai che Dio invia per la sua messe.

Per raggiungere questi obiettivi il Comitato organizzatore del Congresso progettò un evento che proponesse:

– una celebrazione della vocazione vista come esperienza di grazia, che avesse quindi una forte componente spirituale;

– una solida riflessione pastorale e teologica su temi attinenti al ministero vocazionale nel contesto nordamericano;

– un piano pastorale per la Chiesa in America del Nord, capace di attuare, nella concretezza dell’oggi, i suggerimenti dei Delegati del Congresso.

 

Come è nato il Piano Pastorale o Documento Conclusivo?

Il Piano Pastorale è un lavoro di sintesi. Include varie priorità pastorali identificate dai delegati del Congresso (anche quelle rilevate dai giovani adulti), l’esperienza pastorale di coloro che sono stati coinvolti per molti anni in vari aspetti della pastorale delle vocazioni, e l’intuizione teologica e spirituale di molti relatori che affrontarono temi specifici. Il punto attorno a cui si centra questa sintesi – divenuto poi punto focale dello stesso Piano Pastorale – è quello di trovare risposte pratiche alla domanda seguente: Come creare una “Cultura della Vocazione” in tutta la Chiesa dell’America del Nord? Procediamo mediante cinque movimenti diversi, ma interconnessi, ognuno dei quali forma il contenuto dei successivi capitoli di questo piano pastorale:

– Poiché il piano pastorale deve misurarsi con la realtà quotidiana in cui si ascolta e si risponde alla chiamata di Dio, il capitolo secondo esamina alcune caratteristiche chiave che definiscono la società nordamericana contemporanea, identificando sia le speranze che gli ostacoli che sorgono quando si vuole creare una genuina “Cultura della Vocazione”.

– Un piano d’azione per le vocazioni, per essere effettivo dal punto di vista pastorale, deve essere teologicamente fondato. Per questo, il capitolo terzo mette al centro la ricca eredità della tradizione biblica e teologica cattolica, le cui storie, immagini, simboli e dottrine offrono un’interpretazione rinnovata della “vocazione” intesa come fondamentale realtà teologica e spirituale. Più specificatamente, il capitolo sviluppa il perenne significato pastorale e teologico delle vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata, quali elementi costitutivi della vita e della missione della Chiesa.

– Nel capitolo quarto si portano all’attenzione cinque priorità pastorali – “pregare, evangelizzare, sperimentare, accompagnare, invitare” – sulle quali tutta la Chiesa dell’America del Nord è invitata ad impegnarsi. Se si desidera che la pastorale delle vocazioni produca frutti si deve radicare l’invito ad abbracciare una vocazione particolare su fondamenta solide. E sono requisiti necessari per sane e durature vocazioni alla vita consacrata e al ministero ordinato: una vibrante vita di preghiera e pratica sacramentale, una qualificata educazione religiosa e formazione alla vita di fede, una vissuta esperienza di comunità e di servizio ed, infine, la presenza significativa di persone che sono testimoni ed accompagnano.

– Il Congresso ha cercato di promuovere in tutta la Chiesa la consapevolezza e la responsabilità verso il futuro del sacerdozio e della vita consacrata e si è impegnato a promuovere una “Cultura della Vocazione”. Tuttavia nella Chiesa ci sono gruppi specifici a cui questa responsabilità appartiene più direttamente.

In questa prospettiva il capitolo quinto affronta direttamente una serie di questioni importanti per le persone e le organizzazioni coinvolti nei vari ambiti della pastorale delle vocazioni. Si è proposto, inoltre, di aiutare vescovi, superiori maggiori, direttori delle vocazioni, formatori, educatori, direttori spirituali, cappellani di scuole, parroci, diaconi, secolari consacrati, religiosi e religiose, ministri laici, genitori, giovani adulti, comunità parrocchiali e membri di associazioni laicali ad accogliere l’impegno ad attuare i principali suggerimenti di questo piano pastorale.

– I delegati hanno esplicitamente formulato la speranza che, sul modello degli incontri regionali e diocesani tenuti per la preparazione, si dia ora seguito al Congresso con incontri simili per diffondere e attuare il lavoro fatto. Per facilitare l’organizzazione nel capitolo sesto si offre uno strumento semplice e fraterno da usare per le riunioni post-congressuali. Esso permetterà ai partecipanti di pregare e riflettere sui contenuti di questo piano pastorale, di identificarne gli elementi più attinenti alla loro situazione e di formulare un piano pastorale realistico nel quale l’associazione (la congregazione, la parrocchia, la diocesi, ecc.) sia disposta ad impegnarsi.

 

Il Congresso e la Chiesa universale

Il Congresso sulle vocazioni per la Chiesa in America del Nord non è stato un evento isolato, bensì una risposta ad un invito specifico della Santa Sede, la cui sollecitudine pastorale si estende alla Chiesa universale. È il primo di questi Congressi che si celebra in America del Nord e naturalmente ha fatto tesoro degli incontri precedenti tenutisi in America Latina (Sao Paulo, Brasile) nel 1994 ed in Europa (Roma) nel 1997, in cui si stilarono documenti messi poi a servizio della Chiesa universale. Anche se i contesti sociali e pastorali sono diversi, le acquisizioni principali di questo Congresso completano quelle dei due precedenti; come anche le indicazioni tratte dall’insegnamento e dall’esperienza della Chiesa universale: la Sacra Scrittura e la tradizione, i documenti del Concilio Vaticano II e, in particolare, le esortazioni apostoliche che hanno fatto seguito ai recenti sinodi sul laicato, la formazione dei sacerdoti, la vita consacrata ed il ministero dei vescovi.

Nello stesso tempo, si spera che l’opera di questo Congresso Continentale sulle Vocazioni al Sacerdozio ed alla Vita Consacrata in America del Nord porti frutto alla Chiesa universale. Nel corso della preparazione del Congresso e del suo svolgimento, i rappresentanti della Santa Sede assicurarono gli organizzatori ed i delegati del Congresso che la “crisi” vocazionale in America del Nord non deve essere vista solo come una minaccia, bensì come un’opportunità per crescere ed avere vita nuova. Affermarono che la Chiesa universale avrebbe guardato in questo tempo verso l’America del Nord per trarne ispirazione e indicazioni pratiche.

In questo senso, il Congresso sulle Vocazioni dell’Anno 2002 è stato per la Chiesa dell’America del Nord un kairos, un “tempo favorevole”. È stato un tempo di conversione, di pentimento, di purificazione: un tempo di ascolto rispettoso e vicendevole, segnato da un amore profondo per Cristo e da un impegno non meno profondo per la missione della Chiesa nel mondo; un tempo di ricerca di nuovi cammini per rispondere alla chiamata a vivere il messaggio evangelico con integrità e libertà; ed un tempo per rispondere con fedeltà ed amore alla chiamata di un Dio sempre fedele e di amore infinito.

La sfida che ci venne lanciata fu raccolta in questi termini da un relatore del Congresso, Padre Donald Senior:

“Coloro a cui è affidata l’animazione delle vocazioni al sacerdozio ed alla vita religiosa in questo momento della vita della Chiesa in America del Nord, devono essere segno di speranza per una Chiesa ferita. Solamente se crediamo con passione nella Chiesa e nel suo ministero, e solamente se crediamo con tutto il cuore che Dio non ci abbandonerà e che Dio ci chiamerà alla vita, solamente se questa fede e questa speranza sono vive in noi, saremo capaci di parlare senza esitazione e senza imbarazzo ai giovani Cristiani che si sentono chiamati a portare il Vangelo al mondo. Solamente quando saremo capaci di fare appello ai nostri migliori ideali ed alla nostra più profonda fede, solo allora saremo degni di questa nuova generazione di Cristiani che cercano una vita di santità”.

Speriamo – hanno scritto i redattori del Documento Finale – che la scintilla divina che è stata vissuta dai delegati del Congresso nei giorni dell’incontro a Montreal, dal 18 al 21 aprile c.a., diventi la fiamma di una nuova Pentecoste. Con lo Spirito Santo come punto focale della nostra unità, possiamo crescere e diventare una Chiesa i cui membri, accogliendo la loro personale vocazione come ‘dono di Dio, dato per il popolo di Dio’, sono resi capaci di gettare la semente con generosità ed abbondanza per poi raccogliere un frutto abbondante per il regno di Dio nell’America del Nord. Possa questo Piano Pastorale dare un volto concreto alla nostra comune vocazione, possa la nostra Chiesa in America del Nord diventare ‘sacramento di speranza’ nel contesto in cui siamo chiamati, per la missione a cui siamo mandati”.

 

La sfida culturale del dopo-Congresso

Quanto viene esaminato ed elaborato dal Congresso chiede un confronto tra “cultura” e “vocazione”, due termini apparentemente non componibili. Il problema non è solo quello di creare nel sentire comune delle persone una mentalità che sia favorevole all’idea di vocazione, e alle vocazioni; quanto, piuttosto, di far accedere il discorso vocazionale nel suo complesso a dignità culturale, sottraendolo a un tecnicismo pastorale che lo vorrebbe confinato a mera strategia di sopravvivenza da parte dell’istituzione ecclesiale. Oggi si pone tra le sfide culturali: la centralità del problema educativo. Qual è la sfida che proviene oggi dalla cultura o dal contesto sociale in cui, per vocazione, siamo chiamati a vivere? quali sfide alla Chiesa? alla sua missione? La risposta, universalmente condivisa, indicata più volte dal Papa, è la nuova evangelizzazione. Quale domanda alla pastorale giovanile? alla pastorale vocazionale? (da intendersi come unico soggetto destinatario). Credo che si possa affermare che le sfide convergano nella coscienza più attenta e più vigile della società e della Chiesa, per reclamare che si metta al centro il problema educativo, come esplicitazione o precisazione di un più generale movimento di nuova evangelizzazione della cultura contemporanea. La centralità del problema educativo è davvero richiesta da più parti, ma soprattutto dalle situazioni oggettive di cui tutti siamo fatti consapevoli:

– dalla condizione di orfananza in cui si trovano le nuove generazioni, a causa della drammatica latitanza della famiglia, provocata da seri complessi di inferiorità o di impotenza di fronte ai problemi dell’educare;

– la centralità del problema educativo è reclamato dalla stessa condizione di orfananza che ragazzi e giovani vivono nella scuola, là dove viene teorizzato, o comunque vissuto, un “minimalismo educativo”, anche per un diffuso “cristianesimo latente” in regime di sommersa libertà;

– la centralità del problema educativo è posto dall’urgenza di recuperare alcuni valori latenti della soggettività giovanile: soprattutto quelli della coscienza, della persona;

– la centralità del problema educativo è fortemente richiesta dalla crisi degli stessi modelli “istituzionali”, verso i quali si orientava quasi spontaneamente, per simpatia, la vita dei giovani.

La coscienza del problema educativo, da riscattare e riaffermare in simbiosi con una cultura vocazionale, non può che puntare sul modello “persona”, per riaccreditare, semmai dopo, la significatività della categoria. Quali domande si pongono oggi a tutti i responsabili delle vocazioni e in particolare agli animatori, quali esigenze si possono esprimere? Anzitutto viene richiesta una “seria coscienza ecclesiale”. L’educazione all’appartenenza ecclesiale, per altro non facile, non si fa soltanto parlando della chiesa, ma facendo sperimentare una presenza attiva, là dove si rende visibile la diversità dei doni e delle vocazioni. Anche l’animatore vocazionale, che si propone occasionalmente nella comunità cristiana, non può limitarsi ad accendere interessi passeggeri; ma deve farsi “animatore di animatori” per assicurare un’attenzione vocazionale nel cammino ordinario, feriale, della comunità stessa.

Si postula una “chiara coscienza educativa”; e pertanto la coscienza dei fini che devono orientare una sapiente animazione, la conoscenza avveduta ed aggiornata dei giovani uomini e delle giovani donne di fronte alla proposta di fede, ed una buona capacità metodologica nel far passare i valori. Oggi c’è un bisogno estremo di “educatori” o di “animatori-educatori”. L’animatore non può accontentarsi di “aggregare” attorno a sé. Per questo basta una chitarra, un campeggio, un campo-scuola. L’educatore sa appassionare di “qualcuno” o di “qualcosa” che sta oltre; e fa crescere; è capace di suscitare amore per la vita. Si chiede infine, una “esplicita coscienza vocazionale”. La coscienza educativa non può non essere “coscienza vocazionale”. Che cos’è quel “più” verso cui puntare nel cammino di fede? Non sono soltanto dei valori. I valori non affascinano più di tanto, soprattutto se sono a mezza misura. Quel “più” è l’adesione ad una Persona – Gesù Cristo –; è un progetto interessante, che dà senso alla vita.

Pertanto nella mente dell’educatore alla fede, la coscienza vocazionale deve essere esplicita, proprio per aiutare la persona a realizzarsi nella verità. Per questo possiamo dire che ogni vero educatore (sia animatore, catechista, prete o laico) è nativamente animatore vocazionale. Ora tutto questo non si improvvisa, perché nell’educatore si è già verificato o si deve verificare quel famoso passaggio dei criteri di realizzazione della vita: l’educatore è davvero l’esperto del mondo sconosciuto, del mondo nuovo, dell’“essere” della persona, dei suoi dinamismi spirituali. Di qui un impegno esplicito, coraggioso, di investire in persone; l’impegno di ogni comunità cristiana per la formazione dei formatori. Diversamente ogni progetto pastorale s’arena sulla stessa scrivania su cui, forse, è stato pensato. Non si riesce a pensare progetti o piani di pastorale vocazionale senza prestare un’attenzione privilegiata, oserei dire, particolarissima, alla mediazione educativa, agli educatori.

 

Conclusione e prospettive

La pastorale delle vocazioni ha bisogno, oggi soprattutto, di essere assunta con un nuovo, vigoroso e più decisivo impegno da parte di tutti i pastori e fedeli, nella consapevolezza che essa non è un elemento secondario e accessorio, né un momento isolato o settoriale, quasi una semplice parte, per quanto rilevante, della pastorale globale della Chiesa; è piuttosto un’attività intimamente inserita nella pastorale generale di ogni Chiesa, una cura che deve essere integrata e pienamente identificata con la “cura delle anime”, una dimensione connaturale ed essenziale della pastorale della Chiesa, ossia della sua vita e della sua missione. S’impone allora un discorso nuovo sulla vocazione e sulle vocazioni, sulla cultura e sulla pastorale vocazionale.

 

Rievangelizzare

I Congressi voluti dal Santo Padre sono un ricco contributo alla nuova evangelizzazione del mondo, essa è stata richiamata nel suo triplice significato:

– quello cronologico: “nuova”… perché viene dopo quella prima grande e fondamentale opera di evangelizzazione da cui è nata e si è forgiata, lungo il corso dei secoli, la nostra esperienza di Chiesa e, in particolare, la cultura cristiana dei Continenti cattolici;

– quello socio-culturale: perché deve fare i conti, nelle nostre società occidentali, col fenomeno persuasivo del secolarismo, con questo tipo di famiglie e con questa generazione di giovani uomini e giovani donne, senza continuare a sognare tempi passati che non verranno più;

– quello pastorale: perché la pastorale: catechetica, giovanile e familiare deve diventare nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’Assemblea dei Vescovi del CELAM, 9 marzo 1983).

Il mondo, pur essendo secolarizzato, conosce situazioni e ambiti in cui la fede continua ad essere vissuta o in cui emerge almeno il bisogno di un rimando religioso e di un riferimento al sacro. Non mancano, infatti, esempi genuini e positivi di adulti, famiglie e giovani che vivono e incarnano il Vangelo nella loro esistenza quotidiana e lo testimoniano nelle pieghe della storia e nei diversi ambiti del loro impegno lavorativo, professionale, sociale, ecclesiale. Come pure esistono forme diffuse di religiosità, cariche di valenze anche positive, che vanno interpretate e spesso purificate. Basti pensare, ad esempio, alle numerose tradizioni di pietà popolare, ai molti che cercano manifestazioni straordinarie e accorrono in luoghi in cui si spera di ottenere una guarigione o in cui si annunciano apparizioni, al diffondersi dell’interesse per modi di preghiera e di meditazione connessi con le religioni orientali, al rapido proliferare di nuovi movimenti religiosi o pseudoreligiosi, di gruppi, di sette. Per non dire tutti coloro che, nei momenti cruciali dell’esistenza, si rivolgono alla Chiesa e, nonostante tutto, da essa si attendono vicinanza, accompagnamento, gesti rituali, una parola che aiuti a ritrovare il senso globale della vita.

Nell’odierna situazione apparentemente caratterizzata solo da fatti esteriori di ordine politico, economico-sociale, assistiamo anche alla ricerca di nuovi valori e scopriamo la presenza di un profondo anelito alla libertà politica, alla costruzione di una società pluralista, ad una prosperità e libertà anche economiche. Soprattutto però, come mette in risalto anche la Centesimus annus, i popoli sono chiamati a interrogarsi profondamente sulla direzione da imprimere ai cambiamenti intervenuti nei Continenti, sui principi e sui pilastri sui quali impostare la futura convivenza.

 

Il braccio del Signore non si è accorciato

Oggi, il problema del numero sufficiente di sacerdoti e di consacrati si fa sentire in modo più preoccupante e coinvolge da vicino tutti i fedeli: non solo perché ne dipende l’avvenire religioso della comunità cristiana, ma anche perché questo problema è il preciso e inesorabile indice della vitalità di fede e di amore delle singole comunità parrocchiali e diocesane e la testimonianza della sanità morale delle famiglie cristiane. La situazione vocazionale si presenta attualmente in modo variegato, a seconda delle problematiche diversificate dei cinque continenti:

– in faticosa ripresa nei Paesi del Nord America, dell’Europa e dell’Australia;

– in costante incremento nei Paesi dell’Africa e dell’Asia;

– in aumento nei Paesi dell’America Latina.

 

La crisi delle vocazioni si manifesta:

– nei Paesi ad elevato tenore di vita , come crisi numerica degli aspiranti;

– nei Paesi ad alto carico pastorale (particolarmente in America Latina) come crisi di formatori e pertanto crisi di animazione, di orientamento, di accompagnamento e di formazione;

– nei Paesi poveri e ad elevato incremento demografico (Africa, Asia…) come crisi di strutture educative, di personale specializzato e d’inculturazione.

 

Se in occidente il declino delle vocazioni obbliga a una ristrutturazione delle presenze, nel terzo mondo l’aumento dei candidati esige formazione adeguata e inculturazione vera nei diversi contesti etnici. In questo contesto articolato e complesso, ci si può e ci si deve domandare qual è il profilo più adeguato dell’annuncio del Vangelo della vocazione.

 

Una fede matura e consapevole

Se la “nuova evangelizzazione” chiede di operare il passaggio da una fede di consuetudine a una fede che sia scelta personale, illuminata, convinta e testimoniante, la prima caratteristica fondamentale delle “nuove vocazioni” riguarda la fede. È necessaria, infatti, una fede matura e consapevole a livello personale e che sappia rendere ragione di se stessa anche nelle difficili e variegate frontiere della nostra civiltà. C’è bisogno, in altre parole, di un “sapere di Gesù”, che diventi sempre più “comprensione” oggettiva di lui, fino ad arrivare ad una genuina “comprensione teologica”. In questo modo, in particolare ai presbiteri, sarà possibile prendersi cura della fede dei fratelli. A tale scopo, una condizione si presenta come irrinunciabile: è quella di una adeguata formazione teologica, che non consiste nel puro possesso di una serie di contenuti, ma che è in grado di far nascere e coltivare il “gusto del pensare teologico”. Solo così sarà possibile affrontare la nuova situazione alla luce della Parola e in una corretta ottica di fede. Anche Giovanni Paolo II ha parlato di una “preparazione intellettuale seria, dal punto di vista delle scienze umane e sacre” come di “un’esigenza fondamentale” per avere nuovi evangelizzatori per la nuova evangelizzazione.

 

Spirito di “incarnazione”

C’è bisogno, in secondo luogo, di presbiteri, religiosi e religiose che sappiano vivere in continuo contatto con la gente, partecipi dei loro problemi, delle loro attese, difficoltà e speranze. In altre parole, le “nuove vocazioni” sono chiamate a nutrire e a vivere la dimensione tipicamente “popolare” del loro ministero. Questo profondo spirito di “incarnazione”, per un verso, non può non stimolare ancora di più il “gusto del pensare teologico” e, nello stesso tempo, lo aiuta a non cadere in un astrattismo sterile e distaccato, che farebbe torto sia al Vangelo sia alla teologia.

 

Capacità di un “rapporto culturale”

Nella medesima linea, alle “nuove vocazioni” di oggi e di domani è chiesto di conoscere seriamente la cultura contemporanea e di sapersi confrontare fino in fondo con i dinamismi della modernità e della post-modernità. Ciò che è in gioco è, infatti, la paziente capacità di curvarsi con amore e umiltà sulla nostra società – con tutte le sue miserie, fatiche e pesantezze – per aiutarla a vivere in rinnovata e maggiore pienezza il messaggio profondamente liberante del Vangelo nella concretezza della nostra storia e della nostra civiltà. Come pure è richiesto un impegno intelligente e continuo per una nuova inculturazione del Vangelo, la quale – come ricorda la Redemptoris missio – non consiste in “un puro adattamento esteriore, poiché l’inculturazione ‘significa l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture’” (n. 52). È, quindi, necessario condividere appassionatamente le vicende di questa storia e sentirsi fino in fondo cittadini di questo mondo, pur vivendo e testimoniando la “paradossalità” di una appartenenza che si lascia sempre giudicare e ispirare dalla fede, memori delle parole che Paolo VI disse sul mondo nel suo testamento: “Non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo”. 

 

Familiarità con la Parola di Dio

Il riferimento alla Parola di Dio e una profonda e quotidiana familiarità con essa – secondo le preziose indicazioni del messaggio che il Santo Padre ha inviato alla Chiesa per la 34a GMPV – è condizione imprescindibile e prioritaria per una nuova e rinnovata pastorale delle vocazioni. Ne consegue che “nuove vocazioni” hanno da crescere nella conoscenza e nell’amore delle Scritture, attraverso uno studio umile e orante e nutrendo ogni loro giornata con la “lectio divina”. E sarà proprio la Parola di Dio vivamente custodita, soavemente assaporata, profondamente meditata ed esistenzialmente assimilata quanto avranno di più importante da onorare e da annunciare. Essa sola, infatti, può risvegliare anche l’uomo contemporaneo dalle sue illusioni e sottrarlo da una esistenza senza significato: di questa Parola, perciò, le “nuove vocazioni” si presenteranno come messaggeri umili e incisivi.

 

Il valore della testimonianza

Nello stesso tempo, è necessario che, oltre ad annunciare il Vangelo, esse siano un vangelo, in opere e in parole. È, infatti, nel contesto di una Chiesa vivente che ogni cristiano di oggi potrà vedere e sperimentare realmente come, anche nel contesto delle conquiste della tecnica… grazie alla luce e alla forza che vengono dal Vangelo, si possa conferire maggiore umanità alla vita delle persone. I presbiteri, i religiosi e le religiose, per primi, devono sentirsi interpellati da questa considerazione. E anche per loro vale quanto scriveva già Paolo VI nella Evangelii nuntiandi: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (n. 41); “il mondo […] reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia loro familiare, come se vedessero l’Invisibile” (n. 76). Sarà soprattutto attraverso la testimonianza della carità che ci si potrà presentare come vangelo e come testimoni autentici: una carità verso tutti specialmente verso i più piccoli e i poveri, una carità che si fa vicinanza ad ogni uomo e amore preferenziale per chi è maggiormente nel bisogno.

 

Le attese

* Urge una reimpostazione della pastorale giovanile e vocazionale che implichi una revisione del modo di vivere stesso delle nostre comunità. I giovani spesso non vedono nella Chiesa l’oggetto della loro ricerca ed il luogo di risposta delle loro domande e attese. Si rileva che non è Dio il problema, ma la Chiesa. La Chiesa deve riconoscere la sua difficoltà a comunicare con i giovani, la carenza di veri progetti pastorali, il permanere dell’individualismo, l’insufficiente presa di coscienza dei carismi e dei ministeri, la debolezza teologica/antropologica di certe catechesi. Da parte di tanti giovani perdura il timore che un’esperienza nella Chiesa limiti la loro libertà. Rimangono aperte le domande: “Perché determinate teologie o prassi pastorali non ‘producono’ vocazioni, mentre altre le producono? Quale tipo di vocazioni si sta oggi generando e quale conseguenza questo avrà nella vita della Chiesa?”.

* In diversi Paesi manca una Pastorale vocazionale organica (con strutture e persone) ed un Piano vocazionale, sia a livello nazionale che diocesano e parrocchiale. Allo stesso tempo, però, si constata la presenza di molte vocazioni, soprattutto in alcuni Paesi dell’Est. La dimensione vocazionale appartiene al cuore di ogni attività pastorale: catechesi, liturgia, preghiera, carità, pastorale giovanile, familiare, sociale, culturale, sanitaria, missionaria… Il fine è che ciascuno dei credenti corrisponda e sviluppi la sua vocazione cristiana fino alla scoperta e assunzione della propria responsabilità nella Chiesa. I Consigli Pastorali diocesani e parrocchiali, in rapporto con i Centri vocazionali, sono gli organi competenti per curare e promuovere responsabilmente questa coscienza vocazionale in tutte le comunità ed in tutti i settori della pastorale ordinaria.

* La pastorale vocazionale ha il compito di presentare le tappe fondamentali di un itinerario di fede:

l’annuncio: in particolare con l’incontro di testimoni e di comunità vive per entrare nella dinamica propria di Gesù: “Vieni e vedi!”;

la catechesi: l’approfondimento della fede ed un forte nutrimento spirituale;

la proposta: le iniziative di appello personale per permettere ai giovani di formulare un progetto di vita alla sequela di Gesù;

la guida: per il discernimento e l’accompagnamento di chi è in cammino.

* L’obiettivo cardine di un piano pastorale vocazionale è quello di favorire l’esperienza di Dio, all’interno della Chiesa “comunione”. Solo nel contatto vivo con Gesù Cristo Salvatore i giovani possono sviluppare la capacità di comunione, maturare la propria personalità e decidersi per Lui. La preghiera, la “lectio divina” e le esperienze di deserto, gli esercizi spirituali aprono a questa comunione con Dio. La liturgia risulta per se stessa un appello. Essa è un luogo privilegiato dove tutto il popolo di Dio si ritrova in modo visibile e si realizza il mistero della fede. Ogni evangelizzatore deve prendere coscienza di diventare una “lampada” vocazionale, capace di suscitare un’esperienza religiosa che porti i bambini, gli adolescenti, i giovani e gli adulti al contatto personale con Cristo, nel cui incontro si rivelano le vocazioni specifiche.

* I luoghi educativi da privilegiare per un’educazione vocazionale sono, soprattutto, la famiglia, la scuola, la parrocchia, le associazioni e i movimenti. L’esperienza pastorale mostra che la prima manifestazione della vocazione nasce, nella maggior parte dei casi, nell’infanzia e nell’adolescenza. Per questo sembra importante recuperare o proporre formule che possano suscitare, sostenere e accompagnare questa prima manifestazione vocazionale, quale si rivela nei seminari minori, nei pre-seminari, nei gruppi di pre-adolescenti e adolescenti, etc. Siccome i dati culturali ci mostrano che il processo di discernimento e di decisione dura a lungo e spesso è in età adulta, occorre un accompagnamento adeguato. Particolare attenzione va rivolta alle università e alle scuole secondarie, poiché queste sono per molti giovani l’unica e reale fonte di esperienza di comunità cristiana.

* Il sorgere dell’interesse per il Vangelo e per una vita dedicata radicalmente ad esso nella consacrazione, dipende in grande misura dalla testimonianza personale di sacerdoti e religiose/i felici della loro condizione. La maggioranza dei candidati alla vita religiosa ed al sacerdozio dice di attribuire la propria vocazione ad un incontro avuto con un sacerdote o religiosa/o. Il primo luogo di testimonianza è la vita di una Chiesa che si riscopre “comunione” e dove le parrocchie e le realtà associative sono vissute come comunione di comunità. La comunione armonizza i ministeri e i carismi in modo che ognuno possa sperimentare la comunità di Cristo e il sostegno reciproco. Ogni vocazione ha infatti bisogno dell’aiuto, della stima e della promozione da parte di tutti. Un punto delicato e importante è la ricerca di un rapporto tra le generazioni e tra le varie esperienze di Chiesa. Occorre testimoniare una sincera comunione tra i carismi, i gruppi e ministeri, non dando spazio allo spirito di concorrenza. È invece importante la conoscenza e la diffusione delle varie forme di vita consacrata. Il Vescovo è garante della stima verso tutti e della reciproca accoglienza. Vi è necessità di un rapporto costruttivo tra Chiesa particolare e vita consacrata.

* Perché il mondo creda e possa di nuovo “avere la vita”, la Chiesa ha il dovere di fornire ai giovani dei responsabili che li accompagnino. Di grande importanza è infatti l’esistenza, a tutti i livelli della Chiesa, dei pedagoghi, mistagoghi, accompagnatori, discernitori che riescano a rendere trasparente e “contagiare” quindi, con la loro testimonianza, le strutture, i piani e le strategie pastorali. In una situazione religiosa e culturale che sta cambiando rapidamente, diventa indispensabile formare gli animatori di base: catechisti, parroci, diaconi, consacrati, vescovi e curare la loro formazione permanente.

* I giovani hanno il diritto di conoscere tutte le diverse vocazioni. Si deve parlare sia della vocazione del laicato come di quella del sacerdozio, del diaconato e della vita consacrata. Si devono far vedere anche gli altri ministeri e compiti della Chiesa. Nella pastorale tradizionale il matrimonio, per esempio, spesso non era presentato come una vocazione. Oggi è importante considerare il matrimonio come una vocazione. Sarebbe utile un miglior chiarimento su questa tema nella teologia pastorale.

* Per aiutare i giovani a superare l’indecisione di fronte agli impegni definitivi bisogna prepararli progressivamente ad assumere responsabilità personali. Per questo è necessario:

favorire la scoperta fondamentale della vita che è il sentirsi amati da Dio, in modo che scaturisca la fiducia nel Padre che chiama e garantisce i mezzi per la risposta nella fedeltà;

maturare la consapevolezza che la donazione definitiva è una grazia donata da Dio e non solo sacrificio;

educare ad affrontare la fatica e l’incertezza della decisione come una delle esperienze privilegiate della presenza di Dio, alla luce del Cristo crocifisso;

presentare vocazioni di forte impatto spirituale che possano portare all’incontro personale con Gesù, in ambiente comunitario;

affidare responsabilità e compiti adeguati alle capacità e alla loro età;

incoraggiare le famiglie ad educare i figli per l’assunzione progressiva di responsabilità;

rendere possibile l’accompagnamento personale curando la formazione di persone preparate e spazi di accoglienza;

inserire i giovani nei gruppi in cui si condivide la vita di fede, si prega insieme e si sperimenta l’aiuto fraterno;

favorire un’educazione progressiva alle piccole scelte quotidiane di fronte ai valori (gratuità, costanza, sobrietà, onestà…).

* È diventato urgente un lungo periodo di discernimento prima di entrare in seminario o in noviziato, per avere la garanzia che il candidato comprenda ed apprezzi il valore della definitività come “impegno per tutta la vita”. Certamente il noviziato e il seminario possono essere anche intesi come un periodo più esteso di discernimento. Circa la formazione degli studenti di teologia è importante che non sia solo intellettuale, ma unita ad una forte esperienza spirituale. Ugualmente occorre evitare il rischio che studenti-seminaristi diventino “anti-intellettuali e anti-clericali”. Così pure è decisivo un rapporto profondo tra i seminari e le diocesi.

* La pastorale vocazionale oggi deve avere una dimensione ecumenica. Tutte le vocazioni, presenti in ogni Chiesa, sono impegnate insieme ad assumere la grande sfida dell’evangelizzazione per il terzo millennio, dando una testimonianza di comunione e di fede in Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo.

 

 

 

Note

[1] La troviamo al n. 4 della Humanae salutis del 25 dicembre 1961, la bolla di convocazione del Concilio. La ritroviamo nella Pacem in terris (n. 18), come sua struttura portante, giacché ognuna delle sue quattro parti si conclude con l’indicazione di taluni segni caratterizzanti il secolo. Parimenti, ad essa si rifà Paolo VI nell’Ecclesiam suam (6.8.1964), assegnandole il ruolo di fattore metodologico di fondo dell’osservatorio della Chiesa nel servizio del mondo. E, finalmente, entra in tanti testi conciliari. Esplicitamente, in tre fondamentali. Parlando dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo si afferma: “Per svolgere questo compito è dovere permanente della Chiesa scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo” (GS 4). E ancora: “Questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica” (UR 4). Nel discorso sul presbiterato, il Concilio raccomanda ai presbiteri “che siano pronti ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell’attività umana, in modo da poter assieme riconoscere i segni dei tempi”(PO 9).

[2] Cfr. AAS 33, 1941, pag. 479; AAS 35, 1943, pp. 369-373.

[3] AAS 1943, 369-373.

[4] Il Motu Proprio Cum nobis di Pio XII, istitutivo della Pontificia Opera Primaria per le Vocazioni, e i successivi Statuti e Norme Esecutive, emanati dalla Congregazione dei Seminari e degli Istituti di Studi, (cfr. AAS 33, 1941, pag. 479; AAS 35, 1943, pp. 369-373) furono concepiti alla luce degli elementi di diritto e di fatto esistenti. 

Sotto il profilo canonico, la Pontificia Opera, fu configurata come persona morale non collegiale, di diritto pontificio; modellata sullo schema delle pie unioni primarie del Codice; retta da norme del diritto comune e da proprie norme; governata da un Presidente e da un Vice Presidente che sono, “durante munere”, il cardinale Prefetto e, rispettivamente, il Prelato Segretario della Congregazione, sotto l’immediata responsabilità di un Direttore. Le fu assegnata, da Pio XII, la finalità di promuovere le vocazioni sacerdotali in tutta la Chiesa. Per indulto apostolico, in quanto opera “primaria” ebbe la facoltà di aggregarsi persone fisiche ed enti di ogni titolo, e di comunicare ad essi, all’atto d’aggregazione, i favori spirituali elargiti dai Sommi Pontefici alla stessa Pontificia Opera. 

Sotto il profilo pastorale, la Pontificia Opera doveva curare l’istituzione e l’incremento, nelle Chiese locali, delle Opere specifiche, ma senza ingerenze nel regime interno. Per autonoma iniziativa, ma specialmente attraverso le Opere locali, la Pontificia Opera poteva produrre pubblicazioni, convocare congressi ordinari e solenni, mantenere rapporti con gli enti associati, ottenere da essi relazioni sull’attività svolta, ricevere, eventualmente, e amministrare mezzi economici.

[5] Dopo il Congresso Internazionale del 1973, costitutivo dei Centri Nazionali Unitari per le Vocazioni scompare dall’Annuario Pontificio la “Pontificia Opera delle Vocazioni dei Religiosi” dando attuazione ad un’unica Pontificia Opera Unitaria dei sacerdoti e dei consacrati secondo il dettame conciliare dell’Optatam totius n. 2 e il rispettoso ossequio al documento del Congresso dei delegati delle Conferenze dei Vescovi e dei Consacrati. 

L’Annuario Pontificio spiegava in nota: “Presso la medesima Congregazione è stata eretta la Pontificia Opera delle Vocazioni sacerdotali (Motu Proprio di Pio XII Cum nobis, del 4 nov. 1941), la cui azione ha ricevuto maggiore impulso e illustrazione dal Decreto Conciliare Optatam totius, n. 2 del 28 ottobre 1965”. Nonostante la grande sollecitudine pastorale dei Pontefici per le vocazioni, e dei Padri Conciliari, coloro che hanno collaborato all’estensione sia della Regimini Ecclesiae Universae sia della Pastor bonus hanno completamente ignorato l’esistenza della P.O.V.E. e il rinnovamento voluto dal Concilio di quest’unica istituzione centrale della Chiesa per la promozione mondiale delle vocazioni sacerdotali e consacrate. L’ultima Plenaria del 2001 della Congregazione per l’Educazione Cattolica ha risollevato il problema, chiedendo la sostituzione delle Pontificia Opera con un Pontificio Consiglio per le vocazioni, che potesse attuare il mandato del Concilio di organizzare adeguatamente la pastorale vocazione per i 5 continenti e sostenere e accompagnare le Chiese in questo compito così grave (cfr. Archivio: Ufficio Vocazioni, Verbale della Plenaria 2001, Voto di Sua Em. Card. Somalo E. Martinez, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica).

[6] Il Concilio approfondì il tema della vocazione nel suo “oggetto”, come vocazione generale e come vocazioni particolari. Infatti, illustrò la vocazione dell’umanità alla salvezza (LG 2; 9; 13. DV 2); la vocazione della Chiesa ad essere sacramento di salvezza (LG 1; 5). La vocazione cristiana fondamentale o battesimale alla fede, alla santità, alla missione evangelizzatrice (LG 10-11; 17; 39-42). E quindi le vocazioni particolari ai ministeri gerarchici (LG 18-28; 28-29), alla vita consacrata mediante i voti o altri sacri legami (LG 43-44. PC 1; 7-11), alla vita missionaria (LG 17. AG 2-5; 16; 17; 23; 38).  Infine, la vocazione dei laici a certi uffici ecclesiali e alle ordinarie condizioni e mansioni della vita laicale (LG 11-12; 30-33; 34-36. AA 2-3). Per illustrare la “natura” della vocazione in sé, il Concilio accolse i dati della rivelazione e della tradizione ed insegnò che la vocazione è oggettivamente dono divino (LG 12; 19. PO 2; 11. OT 2. PC 1); appello della Chiesa attraverso i legittimi Pastori (LG 12; 20-29; 33. OT 2. PO 2; 11); appello della coscienza individuale illuminata dalla fede (LG 12. GS 52. OT 2. PO 11). Il Concilio pose ancora in rilievo che il “fine” di ogni vocazione è la gloria di Dio e la salvezza dell’umanità (LG 9; 10-12; 12-20; 24; 29; 31. OT 2. PO 2; 4-5. PC 1. AG 1; 5-7). Quell’ampia visione dottrinale del Concilio poteva e doveva dunque ispirare l’intera attività a servizio delle vocazioni.

[7] Il Dicastero accolse rispettosamente la struttura della P.O.V.E. rinnovata dal Concilio e con l’art. 4 e 11 del Regolamento interno s’impegnava a custodirne le finalità e le competenze, mentre l’interesse di tutti e la cooperazione di ognuno per la causa delle vocazioni furono la risposta immediata delle Diocesi, dove l’apposita Opera delle Vocazioni si trasformava ormai in istituzione Diocesana ben definita, per garantire coordinamento e impulso, nel settore specifico, alla pastorale dei sacerdoti, dei consacrati e all’apostolato dei fedeli. L’Opera delle vocazioni locale assumeva il nuovo nome di “Centro Nazionale o Diocesano per le Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata”, ben regolati da statuti e ordinamenti adatti e aggiornati, al servizio di una pastorale vocazionale organica e d’insieme.

[8] Le Conferenze Episcopali risposero prontamente. Alla Congregazione giunsero una quarantina di Piani Nazionali dai seguenti Paesi: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perù, Portorico, Repubblica Dominicana, Uruguay, Venezuela, Canada, Stati Uniti, Giordania, Israele, Cipro, Libano, Siria, Irak, Malabar, Austria, Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Svizzera, Scozia, Spagna, Filippine. 

I “Piani di Azione” degli Episcopati costituiscono una documentazione notevole degli sforzi compiuti ovunque per dare fedele esecuzione agli insegnamenti e alle direttive del Concilio. In particolare sotto l’aspetto dottrinale i documenti degli Episcopati illustrano la vocazione cristiana fondamentale, sulla quale, per speciali chiamate, si collocano le vocazioni consacrate, ognuna con la propria dignità e necessità nell’insieme della vita della Chiesa. Sotto l’aspetto delle persone responsabili, sottolineano la primaria missione dei Vescovi nelle loro Chiese e degli Episcopati nelle proprie giurisdizioni, coadiuvati dal clero, religiosi, famiglie, educatori e, in genere, da tutta la comunità credente. Sotto l’aspetto dell’attività pastorale, presentano la pastorale delle vocazioni come momento privilegiato, con i suoi tempi (ad esempio: le Giornate Mondiali) ed i suoi metodi caratteristici, ma con l’aspirazione ad inserirsi ordinatamente e profondamente nella normale cura d’anime. Sotto l’aspetto pedagogico, richiamano l’esigenza di un’educazione personale alla fede, alla vita cristiana, all’impegno apostolico, come premessa all’ulteriore approfondimento educativo in ordine alle vocazioni consacrate. Nella pedagogia della vocazione acquista particolare rilievo il valore dell’esemplarità e della testimonianza delle persone consacrate. Ogni scelta in tale direzione ha bisogno, in via ordinaria, di essere sorretta dalla presenza esemplare di altre vite consacrate, che sappiano essere serene, fiduciose, operanti. Ogni residua incertezza giovanile di fronte alla scelta ecclesiastica può essere più facilmente superata, quando l’ambiente ecclesiastico sappia offrire un’immagine positiva di se stesso e della sua missione tra gli uomini d’oggi. Sotto l’aspetto organizzativo, confermano che in seno alle Conferenze Episcopali operano apposite Commissioni competenti per il settore delle vocazioni. Dalle stesse Conferenze dipendono, quasi ovunque, i Centri o Segretariati nazionali per le vocazioni, con collegamenti a livelli regionali e diocesani. L’insieme di questa organizzazione, modellata sulle direttive del Concilio, più o meno complessa nelle varie nazioni, risponde al criterio di garantire la necessaria unità d’indirizzo insieme con l’adattamento richiesto dalle circostanze locali. Sotto l’aspetto operativo dimostrano che non si può fare affidamento su iniziative spontanee e senza collegamento, ma che occorre riunire le forze disponibili per attuare un vero programma, attentamente elaborato, così che il meglio delle possibilità apostoliche si ponga umilmente a servizio dello Spirito che dispensa i suoi doni come vuole.

[9] “La Pastorale delle Vocazioni nel Continente della Speranza” è stato il tema del Primo Congresso Continentale Latino-Americano sulle vocazioni celebrato a Itaici, San Paolo, dal 23 al 27 maggio 1994, con la partecipazione di 187 membri tra Cardinali, Vescovi, Sacerdoti, Diaconi, Consacrati, Consacrate e Laici. Il Santo Padre (Lettera della Segreteria di Stato, prot. 330.670 del 30 agosto 1993 d’indizione del Congresso) ha voluto mettere in particolare rilievo questo avvenimento annunciando la celebrazione del Congresso nel messaggio per la XXXI Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: “La celebrazione della GMPV coincide, quest’anno con un importante avvenimento ecclesiale: l’inaugurazione del ‘Primo Congresso Continentale Latino-Americano sulla cura pastorale in favore delle vocazioni di speciale consacrazione nel Continente della Speranza’. Tale assemblea si propone di svolgere un approfondito lavoro di verifica, di animazione e di promozione vocazionale. Mentre esprimo vivo apprezzamento per questa iniziativa pastorale, rivolta al bene spirituale non solo dell’America Latina, ma della Chiesa intera, invito tutti a sostenerla con preghiera unanime e fiduciosa”.

[10] Dopo il Congresso Continentale Latino-Americano svoltosi dal 23 al 27 maggio 1994 a Itaici (S. Paolo del Brasile), la Sede Apostolica ha avviato la progettazione e realizzazione del “Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa”.  I Dicasteri che parteciparono più direttamente alla preparazione del Congresso Europeo sono stati: a) la Congregazione per l’Educazione Cattolica, nella quale ha sede la Pontificia Opera per le Vocazioni; b) la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; c) la Congregazione per le Chiese Orientali

Il Congresso ha avuto come luogo e data celebrativa Roma, presso la Domus Mariae, dal 5 al 10 maggio 1997, con la partecipazione dei responsabili delle diverse vocazioni consacrate e come tema: “Nuove Vocazioni per una nuova Europa”. Sono numerose e di vario genere le motivazioni che suggerirono di puntare con decisione sull’Europa per la celebrazione del Secondo Congresso Continentale.

In vista della nuova evangelizzazione. L’Europa contiene in sé tre importanti culture di influenza mondiale: Greco-Latina, Anglosassone, Slava. La persistente “mancanza di unità” che si rileva posando lo sguardo sul Continente è controbilanciata dagli sforzi per costruire la “Comunità Europea” e per condividere così valori umani, morali e religiosi che hanno fatto di questa terra un punto di riferimento per molti altri Paesi. Gli ultimi eventi nell’Europa centro-orientale e le trasformazioni socioculturali dell’Europa occidentale richiedevano un intervento ecclesiale forte e unitario per il futuro delle vocazioni europee. L’istanza centrale e prioritaria della “nuova evangelizzazione” in Europa, secondo il costante insegnamento del Santo Padre, fa avvertire non solo la necessità di fare il punto sulle situazioni quantitative e qualitative delle vocazioni, ma ancor più rende evidente l’urgenza di approfondire il significato e il contributo della pastorale vocazionale nelle diverse Chiese particolari. “La cura della formazione sacerdotale e della pastorale vocazionale – sono parole del Santo Padre – si inserisce come momento privilegiato nel programma di nuova evangelizzazione” (8.7.1991). “Per questa sublime missione di far fiorire una nuova età di evangelizzazione in Europa si richiedono oggi evangelizzatori particolarmente preparati” (11.10.1985).

Negli anni del post-Concilio l’Europa ha dato un contributo notevole nell’approfondimento della teologia e della pastorale delle vocazioni ai ministeri sacri e alle varie forme di vita consacrata; ha vissuto una ricca esperienza in campo organizzativo e programmatico, consolidatasi nei Centri Unitari nazionali, regionali e diocesani, cardini di tutta la pastorale vocazionale europea; esperienza di cui si sono avvalse e continueranno ad avvalersi anche comunità cristiane di altri continenti. Le Chiese d’Europa hanno svolto un ruolo provvidenziale nell’annuncio missionario di Cristo ai popoli degli altri Continenti. Tale opera è oggi particolarmente necessaria e urgente nello spirito di un reciproco scambio di doni con le Chiese sorelle. Perché si attuino questi impegni si ritiene di fondamentale importanza individuare le scelte prioritarie di una pastorale vocazionale rispondente alle nuove istanze emerse alle soglie del terzo millennio.

L’opportunità del Congresso si vede più accentuata considerando le numerose difficoltà che tuttora incontra la pastorale delle vocazioni in Europa. Sono di grandissima attualità i rilievi fatti dal Santo Padre parlando al VI Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (11.10.1985): “Unanalisi della situazione oggi in Europa, mostra, insieme con confortanti segni di vitalità e di ripresa, anche una persistente crisi di vocazioni e il doloroso fenomeno delle defezioni. Le cause di questo doloroso fenomeno sono molteplici, ed occorrerà affrontarle con vigore, soprattutto quelle riconducibili allinaridimento spirituale o ad un atteggiamento di dissenso corrosivo. Da questi ambienti non nascono vocazioni”. La pastorale delle vocazioni nelle nazioni d’Europa è impegnata a superare le difficoltà poste dalla nuova cultura, a essere attiva nel rinnovare metodologie, a intraprendere una pastorale giovanile in dimensione vocazionale con una presenza coraggiosa e una fiducia nelle risorse spirituali delle Chiese.

In alcuni Paesi europei, soprattutto quelli del settore occidentale, si presenta la grande sfida dell’elevata media etaria dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, con la previsione statistica di un non facile ricambio nelle attività apostoliche ad ogni livello. Le vocazioni negli Istituti religiosi sono insufficienti per mantenere le comunità e le loro opere, e alcuni di essi vedono in pericolo il futuro della loro sopravvivenza. Nelle nazioni dell’Est europeo, specialmente in quelle che sono giunte da poco a un’esperienza di libertà, fioriscono le vocazioni, ma resta difficile il loro discernimento e l’adeguata formazione. In queste circostanze il Congresso fu chiamato a rispondere ad alcuni interrogativi: quali sono le cause esterne e interne che stanno alla base della diminuzione delle vocazioni e della loro perseveranza? quali nuove vocazioni per la nuova evangelizzazione dell’Europa? quali soluzioni presenta la pastorale vocazionale di fronte ai vari problemi e alle sfide di carattere sociale e religioso? come promuovere l’aiuto tra le Chiese dell’Ovest, del Centro e dell’Est del Continente, “in un clima di genuino ascolto e di reciproca accoglienza delle proprie esperienze, difficoltà e ricchezze”?

Di fronte a questi e altri interrogativi, venne riconosciuto che la decisione di confrontarsi sull’Europa delle vocazioni era un segno della consapevolezza dell’importanza e della gravità del problema che andava permeando molto le nostre Chiese particolari. La pastorale vocazionale è per sua natura un servizio essenziale al futuro della Chiesa. Non si tratta solo di un ambito, ma della vita stessa della Chiesa e della sua presenza nella storia. Si tocca la struttura della fede come esperienza e responsabilità, come risposta alla chiamata di Dio. Per questo si va prendendo coscienza che la pastorale vocazionale è una prospettiva unificante di tutta la pastorale. Essa chiede fede, fatica e pazienza agli operatori pastorali e alle comunità cristiane come in nessun altro ambito, perché chiede soprattutto ai giovani non scelte “ad tempus” come un anno di volontariato, di catechesi o altro; ma chiede scelte per la vita. Ma non meno è impegno per gli operatori pastorali, per gli educatori e per le famiglie, perché si tratta di mettersi accanto alle nuove generazioni ed aiutarle a maturare in pienezza la propria libertà su scelte durature, giocate su valori socialmente perdenti. Di qui uno degli obiettivi più volte enunciati nella prospettiva del Congresso: promuovere la speranza, soprattutto in coloro che nelle comunità cristiane sono chiamati nativamente a portare il “pondus diei et aestus” (Mt 20, 12).

[11] De Congressu abito ad Vocationes ad Presbyteratum et ad Vitam fovendas in Europa, in “Seminarium”, anno XXXVII, n. 2-3, 1997.

[12] Le risposte al Questionario, totali o parziali, sono pervenute dai seguenti Paesi Europei: Austria, Belgio, Bielorussia, Bosnia e Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Serbia e Montenegro, Malta, Paesi Bassi (Olanda), Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania, Scozia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria.

[13] Terzo Congresso Continentale sulle Vocazioni al Ministero Ordinato e alla Vita Consacrata nell’America del Nord, in “Seminarium”, anno XLII – n.1, 2002.

[14] I segni di una nuova generazione: Il 18 aprile 2002, 1500 delegati, soprattutto del Canada e degli Stati Uniti, si riunirono nell’Hotel Queen Elizabeth nel cuore di Montreal. Erano i rappresentanti del Messico, delle Antille, dell’America Latina, dell’Europa, dell’Australia e della Santa Sede che diedero al Congresso un’impronta internazionale, quindi più pienamente “cattolica”. I delegati incarnavano il pluralismo culturale ed etnico oggi tipico della Chiesa Cattolica in Nord America. Erano donne e uomini di profonda fede e con un impegno personale e specifico verso la Chiesa: vescovi, sacerdoti e diaconi, suore e fratelli, secolari consacrati, missionari e contemplativi, novizi e seminaristi, direttori di formazione, diocesani e religiosi, formatori ed educatori, pastori e teologi, direttori di attività giovanili, cappellani di scuole ed università, membri di associazioni laiche coinvolti nella pastorale vocazionale. Era presente anche un numero significativo di genitori e di giovani adulti. Questa variegata assemblea si era riunita per uno scopo comune, immediatamente visibile nel logo del Congresso che ne illustrava il tema: Vocazione: Dono di Dio, dato per il Popolo di Dio, e faceva riferimento alla figura biblica del Seminatore, che generosamente semina il dono della vocazione nel cuore umano, invitando ad un raccolto abbondante. La celebrazione di apertura, centrata nel segno del cero pasquale, ricordava ai partecipanti che è Cristo Risorto che chiama alla vita, alla testimonianza, al discepolato, al ministero. Un canto su questo tema ricordava a tutti che ognuno di noi è chiamato “alla missione di amare e servire il Signore”, ed identificava Gesù – Maestro, Guida, Pastore, Salvatore – come la fonte ed il compimento della nostra chiamata personale, come Colui che rende possibile una risposta generosa. Il Cardinale Jean-Claude Turcotte, Arcivescovo di Montreal, trasmise ai delegati i saluti del Santo Padre Giovanni Paolo II, sottolineando che questo incontro che si realizzava nella Chiesa dell’America del Nord era chiaramente in comunione con la Chiesa locale che ospitava l’evento e con la Chiesa universale che ne aveva suscitato la convocazione.

Per quattro giorni i relatori, le guide dei gruppi di studio e i rappresentanti della Santa Sede hanno condiviso la loro ricerca e la loro saggezza con i delegati del Congresso. Le loro parole erano caratterizzate da una conoscenza e da un amore profondi per la tradizione cattolica, da intuizioni teologiche acute, da un’analisi sociale penetrante, da una vasta esperienza pastorale e da una solida riflessione teologica. Hanno affrontato il tema della così detta “crisi vocazionale” invitando i delegati a non considerarla immediatamente come una minaccia, bensì come un momento di grazia per discernere i cammini di conversione e di rinnovamento che la Chiesa è chiamata a percorrere qui ed ora. Essendo nel cuore del tempo pasquale e impegnata a rispondere all’invito alla conversione e al rinnovamento, l’assemblea sperimentò veramente la presenza viva del Signore Risorto. La presenza di Dio animò i delegati alla preghiera e li riunì nella celebrazione dell’Eucaristia. La sua presenza la si riconobbe nella condivisione della Parola e nello spezzare il pane. Lo Spirito di Dio ha nutrito la gioia che ha segnato le discussioni in gruppo e le sessioni plenarie, caratterizzate da un attento ascolto, da una rispettosa condivisione e da un discernimento orante. Con questo atteggiamento i delegati presero parte al compito di “leggere i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo”. Proprio queste loro intuizioni sono state raccolte nel Documento Finale o Piano Pastorale al fine di creare una vera “Cultura della vocazione” nella Chiesa dell’America del Nord. Nell’adempiere questa responsabilità, i delegati del Congresso rispondevano ad un invito diretto di Sua Santità Giovanni Paolo II, mediato attraverso l’Opera Pontificia per le Vocazioni Sacerdotali. Poiché si erano già svolti due congressi sulla vocazione: nell’America Latina (São Paulo 1994) e nell’Europa (Roma 1997), le Conferenze del Canada e degli Stati Uniti furono invitate a celebrare un congresso con le stesse finalità nel continente nordamericano. Fin dalle prime consultazioni è stato evidente che se si voleva che il Congresso portasse frutti duraturi era necessario coinvolgere nella sua preparazione e celebrazione una molteplicità di voci, di esperienze e di servizi alle vocazioni. L’équipe esecutiva del Congresso rispecchiava chiaramente questo interesse per la diversità. Tre vescovi – uno degli Stati Uniti e due del Canada (settori inglese e francese) assicuravano la supervisione delle rispettive Conferenze Episcopali. Due sacerdoti diocesani – uno Canadese e l’altro Americano – ne furono i co-presidenti. A loro si unirono 15 persone, generose e competenti: suore, fratelli e secolari consacrati; laici e laiche; diaconi e sacerdoti. Dell’équipe facevano parte anche rappresentanti di congregazioni religiose ed incaricati della pastorale vocazionale del Canada e degli Stati Uniti, nonché altre persone con vasta esperienza in questo campo nel più ampio contesto della vita della Chiesa.

Da queste diversità era necessario forgiare l’unità. Le polarità linguistiche e regionali che dominano lo scenario della Chiesa in Canada differiscono dalle polarità di razza e di ideologia dominanti negli Stati Uniti. Nonostante questo c’erano sfide ed elementi comuni che potevano essere affrontati e studiati insieme. Così le diversità diventarono segno di speranza e di futura collaborazione per tutta la Chiesa dell’America del Nord, nel campo delle vocazioni e della missionarietà.Per preparare il Congresso si tennero “mini-congressi” diocesani o regionali nelle Chiese locali in tutto il territorio. Tra Settembre 2001 e Marzo 2002, questi mini congressi riunirono oltre 10.000 partecipanti che rappresentavano circa 136 diocesi del Continente. Anche una realtà teologica centrale contribuì a costruire l’unità, cioè che ogni vocazione cristiana è veramente un “dono di Dio, dato per il popolo di Dio”, è una chiamata alla santità, al discepolato ed al servizio, orientato verso l’edificazione del Corpo di Cristo nel mondo. Ed inoltre, qui ed ora, Dio continua ad invitare donne e uomini a vivere un impegno permanente e pubblico, mediante la generosa testimonianza ed il servizio disinteressato nelle vocazioni particolari della vita consacrata e del ministero ordinato.

[15] Cfr. Discorso programmatico del Congresso del Nord America di S.E. Mons. Giuseppe Pittau ai Vescovi Delegati del Canada e degli Stati Uniti, Roma, Congregazione per l’Educazione Cattolica, 15 ottobre 1999.