«O giorno primo ed ultimo…». Dimensione responsoriale della vita, centralità del Cristo risorto che ricapitola la storia della salvezza
«Ci sembra fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, “giorno fatto dal Signore” (Sal 118,24), “Pasqua settimanale”, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia»[1].
Con questa affermazione i Vescovi italiani giungono al cuore dell’identità cristiana. Essa implica la comunione misterica con Cristo morto e risorto e la condivisione ecclesiale della libera risposta a vivere alla sequela di Colui che non è venuto «per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi» (Gv 3,17), «non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28), perché gli uomini «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Di conseguenza, la pastorale vocazionale avrà molto da apprendere dalla riflessione sulla domenica e dal vissuto celebrativo domenicale delle comunità cristiane e, di rimando, parecchio da riproporre ad esse nel suo umile servizio. In fondo, mettere al centro della pastorale ordinaria il Giorno del Signore, significa collocare al cuore della vita della Chiesa Cristo e la sua Pasqua.
Il primato del Messia crocifisso e risorto restituisce all’esistenza cristiana la sua connaturale valenza vocazionale e la sua dimensione escatologica. Cristo è il “Vocato vocante”, il “Veniente che chiama”, Colui che apre il tempo degli uomini all’eternità beatifica di Dio. Nella memoria pasquale settimanale la “santa Assemblea dei con-vocati”, la Chiesa, radunata dallo Spirito nella varietà dei carismi e dei ministeri, fa memoria della morte di Cristo, proclama la sua risurrezione e con ferma speranza attende la sua venuta nella gloria, quando farà entrare l’umanità intera nel “riposo” di Dio.
Così la domenica diventa un’opportunità di attualizzazione della vocazione della e nella Chiesa e di proposta vocazionale per le nuove generazioni della cultura dell’uomo “senza vocazione”[2] e senza meta, caparbiamente indaffarato a raggiungere i propri mondani progetti e dimentico della chiamata a realizzare creativamente e responsabilmente il disegno salvifico di Dio in Cristo a favore degli uomini e dell’intera creazione.
La domenica, cuore dell’identità cristiana
Il mistero della salvezza che si attua nella storia ha il suo culmine e il suo compimento in Cristo morto e risorto, principio e termine di tutta la realtà creata[3]. Egli è il fulcro da cui tutto si diffonde e a cui tutto confluisce; è l’esegeta[4] e l’esecutore del progetto salvifico di Dio in favore degli uomini, a cominciare dai primordi fino al suo ritorno glorioso. La creazione stessa, e in essa l’umanità, fin dal suo principio è protesa a Cristo e procede, lungo lo scorrere dei tempi, verso il suo definitivo compimento. Afferma l’apostolo Paolo: «Egli [Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo] ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,9-10).
L’evento Cristo, che ha il suo vertice nella Pasqua, compie la storia degli uomini e dà alla vita il suo significato ultimo: il vivente di ogni generazione è coinvolto nella sua opera redentiva, essendo il tempo umano riscattato dal limite e dalla precarietà, nonché aperto all’eterna pienezza quando Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza… perché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,24.28).
A tal riguardo, dichiarano i nostri Vescovi negli Orientamenti pastorali per il primo decennio del Duemila: «È la risurrezione il fondamento della nostra fede e della nostra speranza, come ricorda l’apostolo Paolo: “Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede” (1Cor 15,17). La risurrezione è infatti la conferma che, davanti agli uomini, Dio dà alla missione portata a compimento dal Figlio; è l’elevazione del Messia crocifisso a Signore del cosmo e della storia, la sua esaltazione a redentore e giudice dell’umanità intera. […] La Chiesa, professando la risurrezione di Gesù e la sua ascensione alla destra del Padre, riconosce che l’umanità intera è ormai con Cristo in Dio (cfr. Col 3,1-4). Infatti Dio “nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce” (1Pt 1,3-4)»[5].
La Chiesa la domenica incontra sacramentalmente il Cristo[6] che con la sua Pasqua ha ricapitolato in sé tutta la storia della salvezza. Già il termine greco kyriaché, da cui il latino dies dominicus, e quindi il nostro “domenica”, dice riferimento al Signore: è il giorno del Kyrios[7], il giorno del Signore glorioso, della vittoria di Cristo sulla morte. Come attesta S. Giustino, è il giorno, «nel quale Gesù Cristo, nostro Salvatore, risuscitò dai morti»[8].
Ha dunque un nesso inequivocabile con il grande evento pasquale e per questo motivo viene detta Pasqua della settimana, perché è il giorno della risurrezione del Signore, intrinsecamente segnata dall’evento centrale e riassuntivo della storia della salvezza. Come sostiene il Vaticano II, «secondo la tradizione apostolica, che trae origine dal giorno stesso della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente giorno del Signore o domenica»[9].
La celebrazione liturgica consente all’avvenimento storico, nel suo contenuto redentivo, di diventare un presente di salvezza per quanti ne fanno memoria. Chi partecipa al memoriale settimanale della Pasqua è coinvolto, in forza dello Spirito, nell’evento della salvezza operata da Dio in Cristo, riconosce l’opera salvifica di Dio ed esprime la gratitudine e la lode. Nella liturgia eucaristica domenicale, «in cui si compie l’opera della redenzione»[10], infatti, «Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale lo invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre»[11].
Non esiste un’autentica celebrazione della domenica senza questa consapevolezza: la comunità cristiana è coinvolta esistenzialmente nell’evento totale di Cristo che celebra nel rito. Essa vive questo mistero di comunione che la rende indissolubilmente congiunta al suo Signore. La Pasqua del Messia crocifisso è resa realmente presente e i discepoli di ogni tempo possono vedere e incontrare il Risorto[12].
In questo giorno la Chiesa[13], essendo nello Spirito intimamente unita a Cristo come suo corpo e sposa, prende coscienza di essere lei pure con-vocata per partecipare all’in-vocazione e alla risposta del Figlio al Padre.
Come afferma S. Agostino: «Nessun dono maggiore Dio potrebbe fare agli uomini che costituire loro capo il suo Verbo, per mezzo del quale ha creato tutte le cose, e a lui unirli come membra, così che egli fosse Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, un solo Dio con il Padre, un solo uomo con gli uomini. Così quando pregando parliamo con Dio, non per questo separiamo il Figlio dal Padre e quando il corpo del Figlio prega non separa da sé il proprio Capo, ma è lui stesso unico Salvatore del suo Corpo, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, che prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo dunque in lui le nostre voci e le sue voci in noi»[14].
Il sacrificio pasquale dell’Eucaristia, cuore della domenica, è un atto costitutivo della realtà della Chiesa che in esso «mirabilmente nasce e si edifica»[15]. Cristo ha reso culto al Padre, e continua a darlo, con il suo corpo donato e con il suo sangue versato. Di questo la comunità cristiana fa memoria la domenica: nell’anamnesi eucaristica partecipa dell’unica offerta di Cristo, si comprende come suo Corpo donato, offre se stessa in unione a lui suo Capo. Così nell’in-vocare il Nazareno morto e risorto la Chiesa si scopre “pro-gettata” verso il compimento del disegno d’amore di Dio in favore dell’umanità intera.
La domenica ha il potere di liberare il sì di adesione incondizionata della Chiesa alla vocazione che ha ricevuto nella Pasqua del Signore: ogni credente, unito a tutti gli altri fratelli, prende parte all’Eccomi di Cristo: «Ecco io vengo, Signore, per fare la tua volontà» (Eb 10,9). La comunità dei credenti mentre invoca il Signore partecipa dell’unica sua risposta al Padre e pronunzia il sì libero e pieno alla divina volontà.
Nel Giorno di Cristo Signore, dunque, tutto si costruisce in termini dialogici e vocazionali. In-vocando il Signore la Chiesa si ravvisa in lui e partecipa alla sua libera donazione al Padre e agli uomini per condividere un giorno il suo stesso destino di gloria. Così nell’in-vocazione, riceve le energie necessarie per edificarsi come corpo di Cristo arricchito di ogni carisma e ministero, nella completezza e diversità delle sue membra[16].
Va sottolineato, inoltre, il mistero della fecondità della Madre Chiesa che risalta nel Giorno del suo Signore e Sposo. Cristo unendosi alla sua Sposa genera alla vita i nuovi figli di Dio. La comunità dei credenti dunque partecipa attivamente alla generazione e all’educazione dei figli della redenzione, ricoprendo un importante ruolo pedagogico: far comprendere la vita cristiana come libera e consapevole risposta a Cristo che chiama alla sua sequela e operare il discernimento della sua specifica concretizzazione. La domenica alimenta la spiritualità vocazionale e induce nel popolo Dio il senso responsoriale e missionario del discepolato. Ciò porta al superamento dell’appartenenza formale alla Chiesa e della visione individualistica della fede che sta a fondamento del disimpegno ecclesiale di buona parte dei fedeli nel partecipare all’Eucaristia domenicale. La retta comprensione e celebrazione del Giorno del Signore si rivela essenziale per promuovere e formare un’autentica coscienza comunitaria. Chi celebra il mistero pasquale di Cristo, pur prendendovi parte personalmente, è parte di un tutto, membro di un corpo[17], intimamente compaginato al tutto e intimamente congiunto al corpo.
Il frutto della domenica: la vita in-vocazione
Nell’Eucaristia domenicale la Chiesa ritrova la sua identità e si scopre, soprattutto nella nostra cultura utilitarista e individualista, al servizio – come predilige definirla il Concilio Vaticano II – della vocazione divina dell’uomo[18].
Il Risorto è l’Uomo nuovo perché è l’uomo compiuto, «l’Uomo perfetto»[19] pensato e voluto da Dio, rispondente al suo “eterno disegno”. Partecipe della nostra stessa “carne” e della condizione terrestre, è l’uomo che realizza fino in fondo la volontà di Dio; l’uomo che supera l’illusione di poter “progettare” se stesso con le sole sue forze.
Il Cristo glorioso, la domenica, visitando la sua Chiesa, le comunica lo Spirito che trasforma e dispone il cuore dei credenti facendolo passare dal monologo all’in-vocazione, dal delirio dell’autosufficienza alla coscienza della respons-abilità. Dentro la cultura “monologica” dell’uomo senza vocazione e senza meta, la domenica dischiude il tempo dell’uomo all’eternità di Dio, rivela la responsorialità della vita e le restituisce il suo significato originario di vita in-vocazione.
Oggi, infatti, nonostante la ricomparsa del “bisogno di religione”, si afferma sempre più un modello antropologico segnato da una forte accentuazione immanentistica[20]. La vita umana è così privata della dimensione “misterica” e l’uomo assurge a signore assoluto della propria esistenza. Non essendoci più un giorno “primo ed ultimo”, “primo e ottavo”[21], il tempo umano non è più “gravido” né di memoria né di futuro.
La nostra è una società appiattita sul presente avendo perso il senso del tempo e del suo orizzonte definitivo. È una cultura che non ha più memoria della vocazione del tempo. Non essendoci più un “tempo altro” (un tempo del compimento e un compimento del tempo[22] – da qui la riduzione attuale della domenica a un giorno feriale) – il tempo dell’uomo è votato alla futilità e la vita piomba nel vuoto delle illusioni.
Nell’enciclica Evangelium vitae, Giovanni Paolo II registra questa forte riduzione antropologica operata dall’uomo contemporaneo: «Chiuso nel ristretto orizzonte della sua fisicità, si riduce in qualche modo a “una cosa” e non coglie più il carattere “trascendente” del suo “esistere come uomo”. Non considera più la vita come uno splendido dono di Dio, una realtà “sacra” affidata alla sua responsabilità e quindi alla sua amorevole cura, alla sua “venerazione”. Essa diventa semplicemente “una cosa”, che egli rivendica come esclusiva proprietà, totalmente dominabile e manipolabile»[23].
È di sicuro questo uno dei motivi per cui nel sentire dell’uomo ordinario, ma anche nella visione antropologica della filosofia esistenzialista, si dà enorme rilievo alla progettualità umana[24] come equivalente secolarizzato del termine “vocazione”[25].
Se il culto del “soggetto” blocca l’uomo sul “mero presente”, non gli resta che trafficare il “fuggevole oggi” dovendo rinunziare all’esperienza del passato e al conseguimento del futuro: privo di memoria e sprovvisto di speranza. In questo modo si è affermata la figura del man-ager, dell’uomo che pianifica il tempo da lui stesso privato di apertura escatologica. L’esistenza umana sta sotto il segno della progettualità; è la programmazione che dà significato alla vita e al tempo svuotato di “Senso”.
Ma la progettualità umana, pur manifestando la nota dell’autonomia e della creatività – un bene d’altronde irrinunciabile! – se non è parte di un pro-getto trascendente (il disegno salvifico di Dio!), induce il soggetto all’autorealizzazione e all’autoreferenzialità e quindi a un fuorviante ripiegamento in sé, proprio perché non c’è più l’idea del Creatore e del “compimento del tempo” e, dunque, della “chiamata”, della relazione, del dialogo, della reciprocità, della risposta, del conseguimento di una meta, dell’interpretare il pro-getto di Dio, l’unico a cui, in definitiva, si addice questo termine e il suo contenuto. L’uomo si trova immerso nel mondo e nella storia e qui è all’opera nel libero esercizio della sua libertà, impegnato a tracciare da solo il sentiero della sua vita senza meta, senza futuro, senza speranza.
Non c’è spazio per l’in-vocazione in questa antropo-logia. Non c’è respons-abilità; non il dialogo, bensì il monologo. Al gesto dell’“alzare le mani” per accogliere con gratitudine il dono della vita e svilupparlo (in questo senso progettarlo) corrisponde un indefinito atto “manipolativo” consumato nell’illusorio “laboratorio” del suo irrefrenabile dominio dove vuole essere, come afferma il Vaticano II, «unico artefice e demiurgo della sua storia»[26]. Se l’esistenza dell’uomo non è in-vocazione non serve pregare; al fine di “maneggiare” la vita e “consumare” il tempo è inutile. Ma soltanto colui che in-voca entra nel disegno divino. Colui che non prega, poiché non deve rispondere a nessuno, “costruisce” individualisticamente la sua vita; non vive una relazione (d’amore: di dono e di accoglienza), non è partecipe del comune grande (eterno!) pro-getto uscito dalla paterna creativa intelligenza di Dio.
La domenica, Giorno “primo e ultimo”, annunzia piuttosto che la vita non è un monologo dentro un tempo indefinito o ciclico. In Cristo, che con la sua morte, risurrezione e ascensione ha dato compimento alla storia della salvezza, la vita è in-vocazione; si rivela vita-in-vocazione. Il tempo dell’uomo si muove verso il compimento inaugurato dalla risurrezione di Cristo. In lui siamo stati pensati e creati, in lui siamo stati redenti, in lui verremo definitivamente riscattati dalla morte per entrare nel Giorno senza tramonto dell’eterno amore di Dio, unica vera eredità degli uomini[27]. Cristo è al centro della storia dell’uomo di ogni tempo, dal primo uomo genesiaco agli uomini della pienezza dei tempi. In lui morto e risorto la storia umana ha un paradigma e un’ermeneutica. Il Crocifisso risorto spiega la storia, ne fa l’esegesi e la apre definitivamente ad un futuro di speranza. Egli, dunque, non soffoca l’essere umano; non è il suo concorrente, non gli si pone in alternativa; anzi, lo costituisce nella sua specifica e irripetibile identità. L’uomo rinviene in Cristo risorto il significato supremo della sua esistenza e il suo pieno compimento.
Se c’è un inizio, un presente e un fine, se c’è un Altro, la vita smette di essere un monologo e assume i tratti di un dialogo costruttivo e beatificante che ha sulla terra il suo inizio e si proietta verso il faccia a faccia del compimento definitivo[28]. Mai come nel giorno di domenica la Chiesa percepisce la grazia della divina chiamata che la qualifica e la segna: il Padre la convoca, lo Spirito la raduna, il Cristo la unisce a sé e la nutre nel cammino terreno verso i pascoli della vita eterna. Così, sostenuta dal suo Signore e Maestro, con il cibo essenziale che è la Parola e l’Eucaristia, plasmata nell’unità dallo Spirito, la Chiesa in-voca il Padre perché tutta la creazione possa entrare nel riposo dello shalom di Dio. In definitiva essa, in questo singolare giorno, mentre riconosce e pregusta la con-vocazione definitiva della domenica senza tramonto[29], narra una teologia della storia, ne annunzia il senso profondo e rende nota la sua chiamata alla beatitudine eterna. Cristo risorto è la chiave interpretativa dell’intera vicenda umana. È l’éschatos definitivo. E la Chiesa, intimamente unita a lui, è parte integrante di questo evento pregno di futuro, lo attesta e lo confessa davanti a tutti gli uomini.
Il giorno della conversione alla corresponsabilità ecclesiale
La domenica è il Giorno del Cristo totale, Capo e corpo, Sposo e sposa, uniti in un’unica “carne” dal vincolo indissolubile dello Spirito[30], il Christus totus che si dona in oblazione al Padre. È dunque anche il giorno della responsabilità della Chiesa che, nella diversità di carismi e ministeri, presenta a Dio una risposta personale e comunitaria. La Chiesa in-voca il suo Signore, il Risorto che tutto ricapitola in sé, tenendo aperto il dialogo tra Dio e l’uomo, tra il Creatore e le creature, tra il Misericordioso e i peccatori, tra il Vocante e i chiamati, tra l’Immortale e i pellegrini nel tempo. L’in-vocazione (la preghiera) è veramente l’ermeneutica della vita, il parametro di una fede che coinvolge il vissuto personale e comunitario. La domenica è giorno responsoriale[31] dove, congregati dallo Spirito, si entra in dialogo con il Dio tre volte santo che, nel Figlio, ci ha voluti e creati respons-abili. Quella cristiana è una chiamata che abbraccia l’esistenza intera. L’in-vocazione presuppone la concreta e specifica risposta di tutta la vita e la sostiene. Solamente a questa condizione essa è gradita a Dio. Nel Giorno del Signore, la Chiesa, nella preghiera presentata a Dio, fa entrare tutta la sua vita di corpo di Cristo nella diversità e complementarietà delle membra. La preghiera è respons-abilità, cioè capacità di risposta (a Dio) dell’uomo, di tutto l’uomo. La respons-abilità è preghiera; vita divenuta risposta[32], storia umana che tiene le braccia sollevate[33].
Così ha fatto Gesù Maestro e Signore. Lui, sommo ed eterno Sacerdote che offre sull’altare della sua vita il suo corpo come offerta vivente al Padre. In un arguto passaggio dell’enciclica Evangelium vitae Giovanni Paolo II, puntando gli occhi su Cristo, afferma: «Gesù, che entrando nel mondo aveva detto: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (cfr. Eb 10,9), si rese in tutto obbediente al Padre e, avendo “amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine” (Gv 13,1), donando tutto se stesso per loro. Lui, che non era “venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto di molti” (Mc 10,45), raggiunge sulla croce il vertice dell’amore. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Ed egli è morto per noi mentre eravamo ancora peccatori (cfr. Rm 5,8). In tal modo egli proclama che la vita raggiunge il suo centro, il suo senso e la sua pienezza quando viene donata»[34].
Nella sua in-vocazione domenicale, la Chiesa (corpo composto dalla molteplicità e diversità delle membra, e sposa feconda di Cristo), esprime la multiforme “con-divisione” della respons-abilità (correspons-abilità), come adesione del cuore[35] (cor-respons-abilità), partecipando così all’unica risposta al Padre del Cristo suo Capo (il dono totale di sé nel corpo spezzato e nel sangue versato!), nell’attesa del ritorno definitivo del suo Sposo. È il giorno in cui si attua la “conversione” dei discepoli alla correspons-abilità ecclesiale. Visitata dal Risorto, la comunità cristiana lo in-voca perché la renda capace di corrispondere alla vita in-vocazione, cioè al dono di sé. Quella della Chiesa, e di ogni cristiano in essa, dunque non può che essere un’esistenza pasquale, un continuo passaggio dal monologo all’in-vocazione, dall’individualismo alla corresponsabilità, dalla vita-possesso alla vita-dono.
È quanto, peraltro, ci ha ricordato il Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa Nuove vocazioni per una nuova Europa: «Nella comunità celebrante il mistero pasquale ogni cristiano prende parte ed entra nello stile del dono di Gesù, diventando come Lui pane spezzato per l’offerta al Padre e per la vita del mondo. L’Eucaristia diventa così sorgente di ogni vocazione cristiana; in essa ogni credente è chiamato a conformarsi a Cristo Risorto totalmente offerto e donato. Diventa icona di ogni risposta vocazionale; come in Gesù, in ogni vita e in ogni vocazione, c’è una difficile fedeltà da vivere sino alla misura della croce. Colui che vi prende parte accoglie l’invito-chiamata di Gesù a “fare memoria” di Lui, nel sacramento e nella vita, a vivere “ricordando” nella verità e libertà delle scelte quotidiane il memoriale della croce, a riempire l’esistenza di gratitudine e di gratuità, a spezzare il proprio corpo e versare il proprio sangue. Come il Figlio. L’Eucaristia genera al fine la testimonianza, prepara la missione: “Andate in pace”. Si passa dall’incontro con Cristo nel segno del Pane, all’incontro con Cristo nel segno di ogni uomo. L’impegno del credente non si esaurisce nell’entrare, ma nell’uscire dal tempio. La risposta alla chiamata incontra la storia della missione. La fedeltà alla propria vocazione attinge alle sorgenti dell’Eucaristia e si misura nella Eucaristia della vita»[36].
La domenica, con al centro la celebrazione eucaristica, rivela così la vocazionalità della vita cristiana e forma alla corresponsabilità ecclesiale. Essa è puro spazio vocazionale.
Note
[1] CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti pastorali per il primo decennio del Duemila Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 47.
[2] «…nell’Europa culturalmente complessa e priva di precisi punti di riferimento, simile a un grande pantheon, il modello antropologico prevalente sembra essere quello dell’uomo senza vocazione» (PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Documento finale del Congresso sulle
Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa Nuove vocazioni per una nuova Europa, n. 11c).
[3] Cfr. Ef 1,4-5; Col 1,16-17.
[4] Così afferma l’evangelista Giovanni: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (exeghesato)» (Gv 1,18).
[5] CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo
decennio del Duemila Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 24.
[6] «La domenica è la celebrazione della viva presenza del Risorto in mezzo ai suoi» (GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Dies Domini, n. 31).
[7] Cfr. Tertulliano, De idolatria, 14, PL 1, 757; ID., De Corona, 3; 11, CSEL, 70, 125 ss.
[8] S. GIUSTINO, Apologia 1, 67, 7.
[9] CONCILIO VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum concilium, n. 106.
[10] Ibid., n. 2.
[11] Ibid., n. 7.
[12] Cfr. Lc 24,30-35; GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica sull’Eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa Ecclesia de Eucharistia, n. 11.
[13] Nella domenica, grazie alla visita del suo Signore, appare in tutta la sua evidenza l’intrinseca identità vocazionale della Ekklesía (Qahal Jhwh): assemblea con-vocata da Dio, raduno dei con-vocati, comunità che Dio convoca insieme.
[14] Enarrationes in Psalmos, “En. in psalmum LXXXV”, PL 37, 1081.
[15] MESSALE ROMANO, Domenica di Pasqua, Orazione sulle offerte.
[16] Come vedremo più avanti l’in-vocazione che la Chiesa innalza non è solamente un atto di culto ma rivela la vocazionalità della vita e dunque la sua dimensione responsoriale.
[17] Annunzia l’apostolo Paolo: «Voi però siete il corpo di Cristo, le sue membra» (1Cor 12,27).
[18] «Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale. Tale e così grande è il mistero dell’uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. […] Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abbà, Padre!» (CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n.22; cfr. nn. 3, 19).
[19] Ibid., n. 41. Nella Costituzione pastorale, di Cristo «uomo perfetto» se ne parla anche ai nn. 22, 38, 45.
[20] Sulla provocazione dell’attuale modello antropologico si veda C. LOREFICE, Ripensare il significato della vita. Dalla propiziazione all’in-vocazione, dal possesso al dono, in Magia superstizione e cristianesimo (a cura di S. CONSOLI – E. PALUMBO – M. TORCIVIA), Quaderni di Synaxis 16, Giunti, Firenze-Milano 2004, 173-191.
[21] Il giorno escatologico che preannuncia l’alba dell’eternità. «Il primo giorno dopo il sabato» (Mc 16,2.9; Lc 24,1; Gv 20,19). Cfr. J. DANIELOU, Bibbia e Liturgia, Vita e Pensiero, Milano 1958, 297-386.
[22] Cfr. Gal 4,4; Rm 8,19-24.
[23] GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana Evangelium vitae, n. 22.
[24] È un motivo che ritorna, per esempio, nella produzione del filosofo francese J. P. SARTRE: «[Ne segue che] la mia libertà è l’unico fondamento dei valori, e che niente, assolutamente niente, mi giustifica e adotto questo o quest’altro valore, questa o quella scala di valori […] Emergo solo, e nell’angoscia di fronte al progetto unico e primo che costituisce il mio essere, tutte le barriere, tutti gli ostacoli crollano, annullati dalla coscienza della mia libertà» (L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 19755, 76-77).
[25] Non viene qui affrontata la questione della mutazione semantica del termine vocazione determinatasi nel secolo scorso e la sua conseguente equivocazione (vocazione intesa come attitudine o capacità personale). Su tale problematica cfr. W. MAGNI, Fare pastorale vocazionale oggi, in “La rivista del Clero Italiano” 6 (1991) 426-435.
[26] CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 20.
[27] «Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l’uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, “il punto focale dei desideri della storia e della civiltà”, il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni» (CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 45).
[28] Cfr. 1Cor 13,12.
[29] Cfr. Prefazio delle Domeniche del Tempo Ordinario X.
[30] Cfr. Gen 2,25; Ef 5,21-33.
[31] È questo il motivo per cui sarebbe da prendere con maggior serietà il canto del Salmo responsoriale nelle nostre assemblee domenicali.
[32] Cfr. Rm 12,1-2.
[33] A tal riguardo, in un suo lucido scritto sulla preghiera, il padre A. LOUF sostiene che «a una preghiera vera non si può mai rimproverare di essere fuori della vita o di perdersi nell’irreale. Una preghiera che meritasse questo rimprovero per ciò stesso non sarebbe più preghiera. Non sarebbe altro forse che puro formalismo o introspezione sterile. Una preghiera vera si tiene sempre un po’ “nel cuore della terra” (Mt 12,40). È motore di ogni essere, è la forza segreta della sorgente che sostiene le cose nell’esistenza. Un’anima di preghiera, è nel senso più letterale l’anima del mondo. Più vive esclusivamente dello Spirito di Dio, tanto più intensamente vive del mondo e per il mondo» (Signore insegnaci a pregare, Marietti, Casale Monferrato 1976, 121). Sul tema “Vocazione e preghiera” e per un itinerario parrocchiale di preghiera per le vocazioni cfr. C. LOREFICE, Gettate le reti. Itinerario parrocchiale di preghiera per le vocazioni, Paoline, Milano 2004.
[34] GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Evangelium vitae, n. 51.
[35] Nella visione antropologia integrale biblica il cuore esprime “tutto” l’uomo. Cfr. H. W. WOLFF, Antropologia dell’Antico Testamento, Queriniana, Brescia 1975.
[36] PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa Nuove vocazioni per una nuova Europa, n. 17d).