Quando la TV va in parrocchia: come una parrocchia ha vissuto la GMPV 2004
Una relazione “comunitaria”
Quando sul finire della scorsa estate [2003, ndr] mi fu chiesto di fare una relazione al Convegno del CNV, rimasi un attimino perplesso soprattutto perché il tema era allo stesso tempo interessante e impegnativo: Come la Parrocchia può essere oggi grembo fecondo di vocazioni. Tema interessante anche perché, già da qualche mese, nella mia comunità parrocchiale stavo lavorando con il Consiglio Pastorale sulla revisione del progetto pastorale per i prossimi anni e le indicazioni che emergevano nel confronto avevano, come punto centrale, la riscoperta della parrocchia come “Casa” dove ciascuno può sentirsi accolto e dare il proprio contributo come risposta generosa a Dio che chiama ed edifica, chiamando, la sua Chiesa.
Accolsi così l’invito come una pro-vocazione a tematizzare in modo più sistematico quanto il Signore stava facendo emergere dal confronto con i miei collaboratori.
Ora, a cose fatte, debbo riconoscere con gratitudine quanto è stato provvidenziale quel mio sì. Infatti, mi ha dato la possibilità di toccare con mano quanto il dialogo, l’attenzione ad accogliere il contributo e la collaborazione di ciascuno, rendono davvero adulta e feconda la parrocchia.
Una proposta imbarazzante
Arrivò così gennaio [2004, ndr] e il momento in cui dovevo intervenire alla tavola rotonda nel Convegno. Debbo dire che, contrariamente a quanto temevo, la cosa fu abbastanza tranquilla… anche perché sentivo, mentre parlavo, di non essere solo ma di avere dentro di me la ricchezza di un cammino e di un approfondimento fatto insieme alla mia comunità.
Terminata la tavola rotonda don Luca, nell’esprimere cordiale compiacimento per l’intervento, mi disse: “Perché non ospiti nella tua parrocchia la diretta TV per la messa della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni?”.
Rimasi spiazzato e non sapevo cosa dire, e, sinceramente non ricordo neanche cosa risposi, probabilmente diedi una risposta evasiva scaricando le responsabilità sul mio Vescovo che, dicevo per svicolare, è tanto occupato e non so se sarà disponibile… ma, visto che lo Spirito parla attraverso i superiori, fu proprio il Vescovo a rompere ogni indugio. Mi chiamò per telefono, dopo qualche giorno e mi disse: “Allora per il 2 maggio tutto a posto, mi sono liberato…”.
Un’occasione sorprendente
E ora, come mi dovevo muovere? Che fare? Poi colsi nell’interrogativo una sfida provvidenziale: invece di cadere nella trappola dell’ansia per l’intervento della Tv, perché non fare in modo che sia il cammino ordinario della parrocchia a prepararci alla Giornata Mondiale? E così fu. Nulla è più straordinario delle cose ordinarie, decisi perciò di tenere nascosta l’avventura televisiva e continuai a far lavorare la Comunità come da programma. Il cammino dell’anno, infatti, prevedeva un interrogarsi della comunità, e particolarmente degli operatori pastorali e dei gruppi, sul modo in cui veniva vissuta l’appartenenza ecclesiale e il servizio svolto in parrocchia. La finalità sottesa era evidente: aiutare tutti a vivere la propria ministerialità non come volontariato ma come risposta a una chiamata di Dio che ci arriva e prende forma nella parrocchia. Anche in questo caso debbo riconoscere che accogliere le provocazioni che si presentano nella vita è sempre un bene. Una proposta che ritenevo imbarazzante, per una sorta di sacro timore che la TV m’incute, si è rivelata uno stimolo ulteriore per andare in profondità nel cammino intrapreso e aiutare la comunità a chiarire la propria identità: essere quel grembo materno che accoglie e fa crescere la vocazione di ogni battezzato. Perciò, caro don Luca, grazie dell’invito!
Una comunità matura
Si avvicinava ormai il 2 maggio e, mancando poco più di un mese, avvisai il coro della Messa in diretta TV. Il fatto, dopo un attimo di panico, ha suscitato l’entusiasmo e la collaborazione di tutti. Così anche quando ne ho parlato con il Consiglio Pastorale e gli altri collaboratori. Insieme abbiamo stilato un programma per recuperare il cammino svolto in chiave più esplicitamente vocazionale: un’assemblea parrocchiale, la marcia vocazionale con la Diocesi, incontri con i ragazzi della catechesi, l’Adorazione Eucaristica, sono stati momenti importanti per prepararci come comunità alla celebrazione della Giornata. La cosa che mi ha colpito è la sensazione di tranquillità che si percepiva tra le persone e il desiderio di ciascuno di fare il proprio meglio.
Molto tranquillo è stato anche il contatto coi i professionisti della RAI, gente preparata, semplice e disponibile.
A cosa è servito?
Vorrei concludere il racconto di quest’esperienza con alcune osservazioni che ritengo essere il frutto di quanto abbiamo vissuto come comunità.
La straordinarietà dell’ordinario
L’usare il cammino ordinario della comunità come preparazione credo sia stata la riprova dell’importanza del messaggio della Giornata: In parrocchia la tua vocazione nella sua. Sì la pastorale vocazionale ha senso solo se si radica nel tessuto ordinario della vita parrocchiale e, al tempo stesso, la parrocchia perderebbe la sua identità più profonda se non vivesse nel quotidiano la sua chiamata ad essere grembo materno di nuove vocazioni. A questo proposito sottolineo l’utilità dei sussidi che ogni anno il CNV fornisce… Sono un esempio di come anche all’attività ordinaria della parrocchia si possa dare un taglio vocazionale.
L’importanza dell’incontro
Ho toccato con mano davvero la preziosità di ogni persona, di ogni volto, di ogni parola. La fecondità viene dall’incontro che non teme la diversità e la novità. Preparare la Giornata ha significato accogliere, ascoltare, confrontarci con persone, situazioni, sensibilità e prospettive diverse… e l’arricchimento è stato grande! Ed è questa disponibilità ad arricchirsi nell’incontro che dona giovinezza e fecondità alle nostre comunità.
Incisività del linguaggio
Andrea, il presentatore di A Sua Immagine, prima della diretta TV mi ha fatto una domanda e io gli ho risposto nel modo che credevo migliore… Lui mi ha replicato: “Questo va benissimo se lo dici ai vescovi o ad un convegno, ma la gente, ti assicuro, non comprenderebbe niente…”. Andrea è un professionista che certo non è facile imitare. Ma la provocazione che lui ha fatto a me ora la giro a voi: siamo sicuri di usare gli strumenti e i linguaggi adatti per entrare in dialogo e farci capire da tutti, specialmente dai giovani? Anche qui ringrazio il Signore per la salutare provocazione…
La storia nelle storie
Rileggendo a ritroso quanto vi ho raccontato, possiamo vedere come un intrecciarsi di storie, di eventi e di “Sì” ha reso possibile un’esperienza importante. Sì, la Parrocchia è feconda se accoglie e fa impiantare nel proprio grembo le storie delle persone. E questo può avvenire solo con l’ascolto e l’accompagnamento di tutta la comunità. Solo se c’è una parrocchia che accoglie e sostiene i ragazzi e i giovani verso una scelta di vita cristiana, può essere fruttuoso l’accompagnamento personale da parte del sacerdote, che, se lasciato solo, non potrebbe fornire ai giovani quel grembo materno dove crescere che è la comunità. Solo Gesù, infatti, può accompagnare il giovane verso una scelta radicale di dono. Gesù ha scelto di essere nostro compagno di viaggio in modi molteplici e necessari uno all’altro: il Pane eucaristico, la Parola e il suo corpo che è la Chiesa, capo e corpo, prete e comunità. Ecco perché solo una parrocchia che prende comunitariamente su di sé la responsabilità dell’accompagnamento spirituale, affiancando e sostenendo l’opera insostituibile del sacerdote, può essere grembo fecondo di nuove vocazioni.