N.03
Maggio/Giugno 2005

“Senza la domenica non possiamo vivere”. Il rinnovamento spirituale e vocazionale della comunità cristiana a partire dalla Eucaristia nel Giorno del Signore

La mia relazione si pone a conclusione di questo Seminario sulla direzione spirituale, ma già si proietta verso due appuntamenti importanti per la pastorale vocazionale e per l’intera Chiesa italiana: la 42a GMPV e il XXIV Congresso Eucaristico Nazionale che si svolgerà a Bari dal 21 al 29 maggio. Questi due appuntamenti hanno illuminato il nostro cammino fin dai primi passi di questo anno pastorale, soprattutto con il Convegno Nazionale di gennaio e con i Sussidi preparati per l’animazione della 42a GMPV. E ora, mentre il nostro cuore si riempie di intima gioia nel vederli così prossimi, siamo, per questo stesso motivo, sollecitati ad intensificare il nostro impegno nella loro preparazione.

La GMPV e il CEN sono richiamati dall’incipit del titolo della relazione che mi è stata affidata: Senza la domenica non possiamo vivere. È questo, infatti, il tema del CEN e ad esso ci siamo rifatti nel formulare lo slogan per la prossima GMPV: Nel giorno del Signore… i tuoi giorni. Non è una pura coincidenza, ma una precisa scelta pastorale: far emergere la dimensione vocazionale nel cammino ordinario della Chiesa italiana. La fedeltà a questa scelta ci ha portato a non prescindere dagli avvenimenti che stanno caratterizzando il cammino della Chiesa italiana in questo decennio: la riflessione sulla parrocchia (2004), la celebrazione del XXIV CEN (2005) e il Convegno ecclesiale di Verona (2006). È superfluo ricordare che come il CNV nelle sue proposte e iniziative è sempre attento a sintonizzarsi con gli Orientamenti pastorali di questo decennio, così anche i CDV e gli animatori vocazionali degli Istituti di vita consacrata non possono ignorare il progetto pastorale della propria Diocesi, devono, al contrario, sentire sempre la responsabilità di arricchirlo con il proprio specifico contributo vocazionale.

Tenterò, per essere fedele al tema affidatomi, di delineare, a partire dall’Eucaristia nel giorno del Signore, gli elementi che possono favorire il rinnovamento spirituale e vocazionale della comunità cristiana. Nel fare questo mi lascerò guidare, come abbiamo fatto in questi giorni, dalla vita e dall’insegnamento di S. Teresa di Lisieux, così come emerge dalla sua autobiografia: La storia di un’anima. Vita e dottrina che, come ci ha ricordato p. Pigna, si richiamano continuamente a tal punto che, sovrapponendo l’una all’altra, si riscontra una perfetta adesione. S. Teresa ha realizzato ciò che dai Padri della Chiesa era continuamente ricordato: solo il Santo è vero teologo e il vero teologo non può non essere santo. Quali straordinarie ripercussioni abbia questo nella nostra vita di accompagnatori di giovani nel discernimento vocazionale è a tutti evidente: senza la testimonianza di una vita vocazionale vissuta nella fedeltà, tutte le nostre competenze, i nostri insegnamenti e le nostre indicazioni rischiano di essere poco incisive. Ricordiamo quanto affermava il filosofo americano Emerson: “Quello che tu sei grida così forte che mi impedisce di ascoltare quello che tu dici”.

Dividerò la mia relazione in due parti: nella prima mi soffermerò sul giorno del Signore, così come l’ha vissuto la nostra Santa, offrendo delle provocazioni per la nostra pastorale vocazionale; nella seconda, l’attenzione sarà rivolta all’Eucaristia, cuore della domenica, individuando, alla luce della testimonianza di S. Teresa, quei necessari atteggiamenti da suscitare e coltivare nei giovani che accompagniamo nel cammino vocazionale.

 

 

La domenica

Il termine domenica ne La storia di un’anima ricorre 16 volte. Al di là della sua frequenza, emerge con evidente chiarezza che per la Santa questo giorno non è affatto simile agli altri giorni della settimana. Nel narrare la sua Storia ci tiene a precisare che alcuni avvenimenti significativi della sua vita sono avvenuti di domenica.

Di domenica Teresa fu accompagnata dalla sorella Paolina a far visita al Carmelo per rivelare alla Madre Priora il suo desiderio di entrare nel monastero (cfr. MA 83). Sceglie una domenica, la solennità di Pentecoste, per comunicare al padre la sua volontà di entrare in Carmelo (cfr. MA 143). Di domenica, guardando una fotografia di Nostro Signore in croce, fu colpita dal sangue che cadeva da una delle sue mani divine (cfr. MA 134). Era una domenica, il giorno in cui andò in udienza dal Papa Leone XIII, durante il suo pellegrinaggio a Roma, per chiedergli il permesso di poter entrare in clausura, nonostante la sua giovane età (cfr. MA 172). Fu una domenica, vigilia della sua professione, che si alzò nella sua anima una tempesta come mai ne aveva viste (cfr. MA 217). In una domenica, facendo visita a Madre Genoveffa ammalata, riceve dalle sue parole una grande consolazione, che dona pace e serenità al suo cuore turbato (cfr. MA 221). E, infine, solo per citare i brani più significativi, il 9 giugno, festa della Santissima Trinità, – dunque una domenica – ottiene la grazia di comprendere, come non mai, quanto Gesù desideri essere amato (cfr. MA 238).

Qualcuno si potrà chiedere: tutto qui? Solo dei riferimenti cronologici? Che c’è di così straordinario in S. Teresa nel suo modo di vivere la domenica? Solo leggendo un brano che ho trovato straordinario, in cui la Santa descrive come trascorreva la sua domenica, quando era in famiglia, possiamo comprendere quale ricchezza contenga quel semplice riferimento alla domenica, che precede il racconto di alcuni avvenimenti della sua vita. In questo senso, i numeri 58-63 del MA sono una perla, oltre che una straordinaria chiave di lettura, per capire come S. Teresa viveva le sue domeniche.

 

La domenica, giorno di festa

Innanzitutto la domenica era per Lei una grande festa. Teresa, la santa che ha abbracciato per amore la sofferenza, non era affatto insensibile al fascino della festa:

§ Le feste! Ah, quanti ricordi evoca questa parola. Le amavo tanto, le feste! (MA 58).

 

La festa costituiva per lei un’occasione straordinaria per lasciarsi istruire da sua sorella Paolina sui divini misteri evocati dalla liturgia festiva, oltre che pregustare già in terra la gioia del Cielo: 

§ …Mi sapeva spiegare così bene, Madre diletta, tutti i misteri nascosti in ognuna di esse (le feste), che erano davvero per me giorni di Cielo (MA 58).

 

Una gioia “cristiana”, dunque, quella che riempiva il cuore di Teresa, che attingeva senso e alimento dalla contemplazione di Cristo e dei suoi misteri. Una gioia che raggiungeva il suo culmine, estendendosi poi all’intera giornata, quando la piccola Teresa si poneva in adorazione dinanzi all’Eucaristia:

§ Amavo soprattutto le processioni del Santissimo Sacramento; che gioia spargere fiori sotto i passi del buon Dio! Ma prima di lasciarli cadere li lanciavo più in alto che potevo e non ero mai tanto felice come nel vedere le mie rose sfogliate toccare l’Ostensorio sacro (MA 58).

 

Se ogni festa le procurava tanta gioia, quella procuratale dalla domenica era indicibile: era la festa del buon Dio, la festa del riposo:

§ Le feste! Ah! se quelle grandi erano rare, ogni settimana ne portava una molto cara al mio cuore: “La domenica”. Che giorno la domenica! Era la festa del buon Dio, la festa del riposo (MA 59).

 

L’attesa, la gioia e lo stupore suscitati dalla domenica nell’animo di Teresa, ci provoca a chiederci: Quali attenzioni riserviamo alla domenica nella pastorale vocazionale? La domenica è solo un contenitore “neutro” delle nostre iniziative, o è innanzitutto vissuta come un dono, fattoci dal Risorto, che dà senso e valore a tutto ciò che diciamo e facciamo in quel giorno? Quanti di noi valorizzano la domenica per ciò che annuncia, per ciò che dona, per ciò che provoca? Potremmo, e in che misura, applicare anche alla pastorale vocazionale il tema del prossimo CEN di Bari: Senza la domenica non possiamo vivere? Se solo provassimo a declinare tutta la ricchezza contenuta e veicolata dalla domenica, anche la pastorale vocazionale certamente se ne avvantaggerebbe.

 

 

La domenica, giorno di riposo e giorno della famiglia

Tutto in famiglia, grazie alle premurose attenzioni della sorella Paolina e del suo Re (l’amatissimo padre), contribuiva a rendere la domenica del tutto diversa da qualsiasi altro giorno. Sembrano aspetti del tutto secondari, ma che si incidono indelebilmente nell’animo della piccola Teresa:

§ Per prima cosa restavo nel lettino più a lungo degli altri giorni e poi mamma Paolina viziava la sua bambina, portandole il cioccolato nel suo lettino, dopo la vestiva come una reginetta. La madrina veniva a fare i ricci alla sua figlioccia la quale non sempre era buona quando le tiravano i capelli, ma poi era proprio contenta di andare a prendere la mano del suo Re che in quel giorno la baciava ancora più teneramente del solito (MA 59).

 

La domenica, per Teresa e la sua famiglia, aveva un momento culminante che dava senso e valore all’intera giornata: la partecipazione alla Messa, alla quale tutta la famiglia si recava unita.

§ Quindi tutta la famiglia andava a Messa. Lungo tutto il cammino e anche in chiesa, la reginetta di papà gli dava la mano, il suo posto era accanto a lui e quando dovevamo scendere per la predica bisognava trovare ancora due sedie l’una accanto all’altra. Non era poi così difficile; tutti sembravano trovare talmente carino vedere un vegliardo così bello con una bambina così piccola, che la gente si spostava per cedere i loro posti. Lo zio che stava nei banchi dei fabbricieri si rallegrava nel vederci arrivare, diceva che io ero il suo piccolo raggio di sole (MA 59).

 

Non mancava mai il nutrimento spirituale, che lei sapeva attingere con abbondanza dalle labbra del predicatore.

§ Io non mi preoccupavo affatto di essere guardata, poiché ascoltavo molto attentamente le prediche delle quali però non capivo gran che. La prima che capii e che mi commosse profondamente fu una predica sulla Passione predicata da don Ducellier; da allora capii tutte le altre prediche (MA 59).

 

Ascoltava, sì, con attenzione il predicatore, senza però mai distogliere lo sguardo dal volto di suo padre: lui la educava “silenziosamente” alla fede con la testimonianza della sua vita. Quanto incide nell’animo di un fanciullo l’esempio dei genitori cristiani!

§ Quando il predicatore parlava di santa Teresa, papà si chinava e mi diceva a bassa voce: “Ascolta bene, reginetta mia, parlano della tua Santa Patrona”. In effetti ascoltavo bene, ma guardavo più spesso papà che il predicatore, il suo bel volto mi diceva tante cose! A volte i suoi occhi si riempivano di lacrime che lui si sforzava invano di trattenere, sembrava già che non ci tenesse più alla terra, tanto la sua anima amava immergersi nelle verità eterne (MA 60).

 

La gioia, procurata dallo stare insieme con gli altri familiari e di sentirsi avvolta dalle loro attenzioni, si estendeva all’intera giornata della domenica, fino alla sua conclusione, avendo nell’affetto e nella devozione del padre il suo centro da cui si irradiava pace e serenità. 

§ Cosa dire poi delle veglie d’inverno, soprattutto di quelle della domenica? Ah! come mi era dolce dopo la partita a dama sedermi con Celina sulle ginocchia di papà. Con la sua bella voce, egli cantava dei motivi che riempivano l’anima di pensieri profondi… oppure cullandoci dolcemente recitava delle poesie impregnate di verità eterne. Dopo salivamo per fare la preghiera in comune e la reginetta stava da sola accanto al suo Re; non aveva che da guardarlo per sapere come pregano i santi. Infine venivamo tutte in ordine di età a dare la buonanotte a papà e a ricevere un bacio, la regina veniva naturalmente per ultima. Il re per darle il bacio la prendeva per i gomiti e lei esclamava a voce molto alta: “Buona sera, papà, buona notte, dormi bene” (MA 63).

 

L’importanza del padre e delle sorelle nel cammino di santità di Teresa è incontestabile. L’amore tenero e forte con cui si sentiva amata e seguita dal padre, l’ha aiutata a comprendere, fin da bambina, quanto potesse amarla il Signore. S. Teresa ci provoca a non trascurare nella pastorale vocazionale l’accompagnamento dei genitori: quanto è importante che essi siano aiutati a scoprire la gioia e la responsabilità di essere i primi educatori e testimoni della fede per i loro figli. Fin dai primi anni di vita.

Inoltre, l’infanzia di Teresa sollecita la pastorale vocazionale ad uscire da quella nicchia di destinatari che è tentata di riservarsi, fatta di giovani, per lo più studenti, frequentatori assidui delle nostre parrocchie. Dove è finita l’attenzione a tutti, caratteristica dell’autentica pastorale vocazionale? I ragazzi, affidati spesso dai genitori ai “custodi di turno”, rischiano di essere trascurati anche dagli animatori vocazionali, perché “immaturi”. Quando l’ultima suora dell’ultimo asilo che si chiuderà in Italia verrà meno, a quale età i bambini potranno incontrare qualcuno che parli loro di Dio e li aiuti a sperimentare il suo amore?

Non ci dice S. Teresa che anche i piccoli, segnati dal sigillo dell’amore di Dio, ricevuto nel battesimo, sono capaci di sperimentare la sua bontà, di percepirne con chiarezza le ispirazioni, e coltivare progetti vocazionali e di santità tali da colmare di stupore e meraviglia anche l’animatore vocazionale più “esperto”?

Per una pastorale vocazionale che a volte rischia di insabbiarsi nelle elucubrazioni più ardite, la piccola Teresa è una forte provocazione a vivere nello stupore di chi sperimenta l’azione gratuita e preveniente di Dio.

 

 

La domenica, giorno della contemplazione

Il riposo domenicale per la famiglia di Teresa, lungi dall’essere una semplice astensione dal lavoro, si traduceva nella riscoperta dei rapporti familiari, pur sempre così solidi, e della contemplazione del creato. Sarà proprio questa educazione a guardare con stupore e meraviglia ciò che la circondava ad aiutare Teresa a sviluppare quello sguardo attento, capace non solo di scendere nelle profondità del proprio animo, ma anche di leggere con amore discreto l’animo di chi le era affidata.

§ Mi ricordo soprattutto le passeggiate della domenica in cui la mamma ci accompagnava sempre. Sento ancora le impressioni profonde e poetiche che mi nascevano nell’anima alla vista dei campi di grano smaltati di fiordalisi e di fiori campestri. Amavo già le lontananze. Le distese e gli abeti giganteschi i cui rami toccavano terra mi lasciavano nel cuore un’impressione simile a quella che provo ancora oggi alla vista della natura (MA 40). E quando alla sera della domenica il papà andava a riprendere le sue figlie dalla casa dello zio, Teresa lungo la via non smetteva mai di stare con il naso all’in su a contemplare il cielo stellato. Con suo grande stupore, osservando come vi fossero delle stelle che formavano una sorta di T, pensava che il buon Dio avesse scritto l’iniziale del suo nome nel cielo. Era con piacere che vedevo papà venirci a prendere. Tornando guardavo le stelle che scintillavano dolcemente e quella vista mi affascinava. C’era soprattutto un gruppo di perle d’oro che osservavo con gioia pensando che aveva la forma di una T era scritto nel Cielo e poi, non volendo vedere niente della brutta terra, gli chiedevo di guidarmi. Allora, senza guardare dove mettevo i piedi, stavo con la testolina per aria senza stancarmi di contemplare il cielo stellato! (MA 62).

 

Dove sono i contemplativi, che allenati a riconoscere i segni del passaggio di Dio, sanno suscitare negli altri lo stupore e la lode? Non siamo un po’ tutti ammalati di attivismo, da relegare la contemplazione dietro la grata della clausura, pensando che sia sprecata nelle case, nelle comunità, nelle parrocchie, nell’animo dei credenti? Quanto la nostra pastorale vocazionale è capace di educare alla contemplazione? In un mondo che cambia così repentinamente, anche la pastorale vocazionale ha preso a correre, inseguendo tutte le novità, facendo non poco affidamento su di esse. Se non più di una trentina di anni fa chi possedeva un proiettore di filmini era guardato con una sorta di invidia, non abbiamo impiegato molto tempo a fare salti da giganti: siamo passati alle diapositive, poi ai filmini, poi alle videocassette, poi ai DVD e ora riteniamo indispensabile per il nostro lavoro il Power point: il punto di forza! In una società che rischia di affogarsi nelle immagini, abbiamo pensato che fosse sufficiente servirci delle immagini per catturare l’attenzione. E poiché dinanzi ad un oggetto oggi nessuno più esclama: che bello, ma sempre e solo: a che serve? cerchiamo di stupire con l’utilizzo degli effetti speciali. Teresa sembra ricordarci che “il mondo non finirà per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia”. Forse stiamo dimenticando che l’immagine, capace di interpellare la mente e il cuore dei fanciulli, dei ragazzi, dei giovani, degli adulti e degli anziani, è quella di Cristo resa visibile attraverso la nostra vita. Parafrasando Giovanni Paolo II, mi verrebbe da dire che la pastorale vocazionale non è questione di tecnica o di propaganda, ma di santità (cfr. RM 90).

 

 

La domenica, giorno della carità

La contemplazione per Teresa, lungi dall’essere pura evasione, si accompagnava sempre con l’attenzione ai più poveri e sofferenti.

§ Spesso, durante quelle lunghe passeggiate, incontravamo dei poveri ed era sempre la piccola Teresa che aveva l’incarico di portare loro l’elemosina, cosa di cui era felicissima (MA 40).

 

Una carità che, mentre cercava di andare incontro alla povertà materiale, mai dimenticava la condivisione di ciò che Ella aveva di più caro: la fede nel Signore e la speranza della vita eterna. Significativo, a tale proposito, è un episodio da Lei raccontato nella sua autobiografia.

§ Durante le passeggiate che facevo con papà gli piaceva farmi portare l’elemosina ai poveri che incontravamo: un giorno ne vedemmo uno che si trascinava faticosamente sulle stampelle, mi avvicinai per donargli un soldo ma, pensando di non essere abbastanza povero per ricevere l’elemosina, mi guardò sorridendo tristemente e rifiutò di prendere quello che gli offrivo. Non posso esprimere quello che accadde nel mio cuore; avrei voluto consolarlo, soccorrerlo, e invece pensavo di averlo rattristato; forse il povero malato indovinò il mio pensiero, perché lo vidi voltarsi e sorridermi. Papà mi aveva appena comperato un dolce, avevo una gran voglia di donarglielo ma non osavo, però volevo donargli qualcosa che non potesse rifiutarmi, perché provavo per lui una grandissima compassione. Allora mi ricordai di aver sentito dire che il giorno della prima comunione si otteneva tutto quello che si domandava. Questo pensiero mi consolò e, benché avessi solo sei anni, mi dissi: “Pregherò per il mio povero il giorno della mia prima comunione”. Mantenni la promessa cinque anni dopo e spero che il buon Dio abbia esaudito la preghiera che Egli mi aveva ispirato di rivolgerGli per una delle sue membra sofferenti (MA 52).

 

Non una carità a basso prezzo! Quanto donava agli altri era anche il frutto delle sue privazioni. Conservava con attenzione in una scatola il denaro che il papà le regalava, come ricompensa per i suoi progressi negli studi: di lì attingeva per le sue opere di carità.

§ Per ricompensarmi papà mi donò una bella monetina da quattro soldi che misi in una scatola e che fu destinata a ricevere quasi ogni giovedì una nuova moneta sempre della stessa grandezza (era in questa scatola che andavo ad attingere quando in certe grandi feste volevo fare un’elemosina di tasca mia alla questua, sia per la propagazione della Fede che per altre opere simili) (MA 75).

 

Se l’amore è realmente, come affermiamo, l’anima che pulsa in ogni vocazione, anzi che la nativa e costitutiva vocazione dell’uomo è amare, allora il servizio gratuito e generoso ai fratelli dovrebbe costituire per la pastorale vocazionale non una delle tante esperienze proponibili, ma un’esperienza significativa ed evangelicamente motivata. Nei gesti di carità, compiuti prima e dopo il suo ingresso nel Carmelo, traspariva la costante attenzione di Teresa non solo a ciò che donava, ma soprattutto alla persona che le stava davanti. Oggi risulta essere indispensabile aiutare i giovani a passare dal fare qualcosa per gli altri (lasciando che la propria vita scorra come sempre, senza che nulla cambi) ad accogliere innanzitutto il fratello nel proprio cuore: questo è molto più esigente, perché richiede di essere disponibili ad una autentica conversione, abbandonando pregiudizi, paure, superbia… Sì, solo l’accogliere il fratello con le sue povertà e debolezze dà senso e valore anche a ciò che si fa per lui.

 

 

La domenica, ottavo giorno

La domenica, giorno di festa, di incontro con il Signore, di intimità familiare, di contemplazione del creato, di carità fraterna aveva pur sempre un termine. E ciò se da una parte era motivo di tristezza per la piccola Teresa, dall’altra la portava a fare “esercizio di desiderio”, attendendo con gioia la domenica seguente. Così, secondo l’espressione cara a S. Gregorio di Nissa, passava di festa in festa fino alla festa che non avrà mai fine. Vivendo in questo modo la domenica, ha coltivato e alimentato la speranza per quella domenica, quasi ottavo giorno, giorno senza tramonto, quando finalmente “riposeremo e vedremo, vedremo e ameremo, ameremo e loderemo” (S. AGOSTINO, De Civitate Dei, 22, 30).

§ Ma ritorno alla giornata della domenica. Questa gioiosa giornata che passava così rapidamente aveva pure il suo tocco di malinconia. Mi ricordo che la mia gioia era perfetta fino a compieta: durante quell’ufficio, pensavo che il giorno di riposo stava finendo… che l’indomani bisognava ricominciare la vita, lavorare, imparare le lezioni, e il mio cuore sentiva l’esilio della terra. Desideravo il riposo eterno del Cielo, la domenica senza tramonto della Patria! (MA 61).

 

I Vescovi italiani non mancano di far notare come la nostra società sia terribilmente appiattita sul presente, incapace di alzare lo sguardo in alto, imprigionata in un orizzonte limitato. Quale risposta dà la pastorale vocazionale a questa “cultura antivocazionale”? Non vi sembra che oggi anche la proposta della vita consacrata insista più sul fare che sul suo essere segno e profezia della vita futura? È vero, siamo soliti ripete che “alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”, ma ci siamo mai chiesto se i giovani intravedono già l’alba di un nuovo giorno, dopo “la sera della vita”, o se non sono oppressi dall’incubo che alla sera dovrà seguire inevitabilmente una notte profonda?

Non vi sembra che un elemento di debolezza nella proposta vocazionale sia dato proprio dalla perdita dell’orizzonte escatologico nella nostra cultura, perfino nei nostri ambienti cristiani? E se il nostro tempo è un tempo in cui la speranza va sempre più scomparendo, lasciando ampi spazi alla depressione e all’attivismo, non è anche perché l’orizzonte della nostra vita si va progressivamente restringendo, fino ad essere del tutto cancellato? Può un animatore o animatrice vocazionale non essere uomo o donna di speranza? La speranza oltre che un bisogno è un dovere per il cristiano! Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi scriveva: “Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo” (n. 80).

Se questo è valido per ogni evangelizzatore, non dovrebbe essere ancor più valido per l’accompagnatore vocazionale, chiamato ad offrire ragioni per cui credere e spendere la vita? Teresa ha saputo unire mirabilmente la terra e il Cielo. In una sua poesia, parlando della sua vita scriveva: “Il mio Cielo è vivere d’amore per Dio”. E pensando al suo paradiso affermava: “Io passerò il mio Cielo a fare del bene sulla terra”.

 

 

L’Eucaristia, cuore della domenica

Dopo esserci soffermati a riflettere su come la piccola Teresa viveva la domenica, fermiamo ora la nostra attenzione sull’intimo e profondo rapporto che legava la Santa all’Eucaristia e, in modo particolare, su quei valori e atteggiamenti eucaristici che hanno plasmato e permeato la sua vita. Dalla sua autobiografia emerge con chiarezza il suo grande desiderio di accostarsi quanto prima al Sacramento dell’altare. Si spiega così perché la prima Comunione della sorella Celina, fu vissuta da Teresa come se fosse stata la propria:

§ Il giorno della prima Comunione di Celina mi lasciò un’impressione simile a quella della mia. La mattina, svegliandomi da sola nel letto grande, mi sentii inondata di gioia. “È oggi! Il grande giorno è arrivato!”, non mi stancavo di ripetere queste parole. Mi sembrava di essere io a fare la prima Comunione. Credo di aver ricevuto grandi grazie quel giorno e lo considero come uno dei più belli della mia vita (MA 81).

 

Non dimenticò neppure il giorno della prima Comunione dell’altra sua sorella, Leonia:

§ Mi ricordo benissimo la sua (della sorella Leonia) prima comunione, soprattutto il momento in cui mi prese in braccio per farmi entrare con lei nel presbiterio: mi pareva così bello essere portata da una sorella grande tutta vestita di bianco come me! (MA 25).

 

Teresa, che restava a casa la domenica perché troppo piccola per andare a Messa, partecipava, comunque, alla gioia dei suoi familiari che si accostavano all’Eucaristia, mangiando il pane benedetto che le veniva portato a casa dalla sorella al termine della Messa domenicale.

§ La domenica, siccome ero troppo piccola per andare alle funzioni, la mamma restava a casa ad accudirmi: stavo buona buona e durante la messa camminavo soltanto in punta di piedi, ma appena vedevo aprirsi la porta, era un’esplosione di gioia senza pari, mi precipitavo incontro alla mia bella sorellina che allora era ornata come una cappella e le dicevo: “Oh, Celina mia, dammi subito il pane benedetto!” (MA 36).

 

Se il giorno della prima Comunione delle sue due sorelle si impresse così fortemente nell’animo di Teresa, da essere ricordato come un giorno di abbondanti grazie, possiamo immaginare quale fu la sua commozione e la sua gioia nel giorno in cui ella stessa si accostò per la prima volta all’Eucaristia: anche se piccola, fu in quel giorno che si consegnò definitivamente all’Amato.  Ascoltiamo il suo racconto:

§ Il giorno bello tra tutti finalmente arrivò; che ineffabili ricordi mi hanno lasciato nell’anima i minimi particolari di quella giornata di Cielo! Il gioioso risveglio dell’aurora, i baci rispettosi e affettuosi delle maestre e delle compagne grandi… La grande stanza piena di fiocchi di neve di cui ogni bambina si vedeva rivestire a turno. Soprattutto l’entrata nella cappella e il canto mattutino del bel cantico: “O santo Altare che circondano gli Angeli!”. Ma non voglio entrare nei particolari, ci sono cose che perdono il loro profumo non appena sono esposte all’aria; ci sono pensieri dell’anima che non possono essere espressi con il linguaggio della terra senza perdere il loro significato intimo e celeste. Sono come quella “pietra bianca che sarà data al vincitore e sulla quale è scritto un nome che nessuno conosce se non colui che la riceve”. Ah, come fu dolce il primo bacio di Gesù alla mia anima! Fu un bacio d’amore, mi sentivo amata, e perciò dicevo: “Ti amo, mi do a te per sempre” (MA 109).

 

Teresa ha saputo non solo vivere con devozione e amore l’incontro con Cristo nell’Eucaristia, ma ha soprattutto fatta propria la logica eucaristica, realizzando quei tre passaggi che Giovanni Paolo II, nella recente Lettera apostolica Mane nobiscum Domine, così sintetizza: “È necessario che ogni fedele assimili, nella meditazione personale e comunitaria, i valori che l’Eucaristia esprime, gli atteggiamenti che essa ispira, i propositi di vita che suscita” (n. 25).

 

 

Ringraziare

La lode e la gratitudine costituiscono il filo rosso che attraversa non solo tutta la celebrazione eucaristica, ma anche l’autobiografia di Teresa a tal punto che la sua volontà di “cantare le misericordie del Signore”, forma una sorta di inclusione di tutto il Manoscritto A. All’inizio si legge:

§ Non farò che una cosa sola: cominciare a cantare quello che devo ripetere in eterno – “Le misericordie del Signore!!!” (MA 1);

 

e queste sono le parole con cui si conclude il Manoscritto A:

§ Come finirà questa “storia di un fiorellino bianco?”. Forse il fiorellino sarà colto nella sua freschezza oppure trapiantato su altre rive… lo ignoro: ma ciò di cui sono certa è che la Misericordia del buon Dio l’accompagnerà sempre, è che mai il fiorellino smetterà di benedire la Madre diletta che l’ha donato a Gesù; eternamente si rallegrerà di essere uno dei fiori della sua corona. Eternamente canterà con questa Madre diletta il cantico sempre nuovo dell’Amore (MA 239).

 

Leggendo la sua autobiografia, si nota come Teresa non desideri affatto attirare gli sguardi su di sé, ma solo fissarli su Dio e sulle sue infinite grazie ricevute per lodarlo e benedirlo. Ecco con quali parole canta il suo Magnificat al Signore, rileggendo con cuore sapiente la sua vita: 

§ Il fiore che racconterà la sua storia si rallegra di dover far conoscere le premure del tutto gratuite di Gesù, riconosce che niente in lui sarebbe capace di attirare i suoi sguardi divini e che solo la sua misericordia ha fatto tutto ciò che c’è di bene in lui. È Lui che l’ha fatto nascere in una terra santa e come tutta impregnata di profumo verginale. È Lui che l’ha fatto precedere da otto gigli splendenti di candore. Nel Suo amore, Egli ha voluto preservare il suo fiorellino dal soffio velenoso del mondo; non appena la sua corolla cominciava a schiudersi, questo divino Salvatore l’ha trapiantato sulla montagna del Carmelo dove i due gigli che l’avevano attorniato e cullato dolcemente nella primavera della sua vita spandevano già il loro soave profumo. Sette anni sono passati da quando il fiorellino ha messo le radici nel giardino dello Sposo delle vergini e ora tre gigli dondolano vicino a lui le loro corolle profumate; un po’ più lontano un altro giglio sboccia sotto gli sguardi di Gesù e i due steli benedetti che hanno prodotto questi fiori sono ora riuniti per l’eternità nella Patria Celeste. Là essi hanno ritrovato i quattro gigli che la terra non aveva visto sbocciare. Oh, Gesù si degni di non lasciare a lungo sulla riva straniera i fiori rimasti nell’esilio! Che ben presto il cespo di gigli sia completo in Cielo! (MA 10-11).

 

Lodare, benedire, ringraziare Dio non sono questi gli atteggiamenti che più e meglio caratterizzano la celebrazione eucaristica? Teresa li ha talmente interiorizzati che non riesce più a pensare a se stessa e alla sua vicenda senza sentire forte, nel contempo, il bisogno di lodare il Signore.

 

 

Abbandonarsi docilmente alla voce di Dio

Mettersi in ascolto di Dio che parla e disporsi, nell’obbedienza della fede, a lasciarsi illuminare dalla sua Parola perché tutta la vita si trasformi in costante e filiale dialogo: è quanto viviamo durante la Liturgia della Parola ed è anche l’atteggiamento che essa suscita in tutti i credenti. Anche in Teresa era forte il desiderio di lasciarsi istruire direttamente da Dio e di entrare con lui in dialogo. Questo episodio ci dice quanto fosse presente in lei questa convinzione, fin dalla sua infanzia:

§ Un giorno una delle mie maestre dell’Abbazia mi chiese cosa facevo nei giorni di vacanza quando ero sola. Io le risposi che andavo dietro il mio letto, in uno spazio vuoto che c’era, e che mi era facile chiudere con la tenda e là “pensavo”. “Ma a cosa pensi?” mi disse. “Penso al buon Dio, alla vita… all’ETERNITÀ, insomma penso!”. La buona religiosa rise molto di me; più avanti le piaceva ricordarmi il tempo in cui pensavo, e mi chiedeva se pensavo ancora… Adesso capisco che facevo orazione senza saperlo e che già il buon Dio mi istruiva in segreto (MA 104).

 

Altro non chiedeva la piccola Teresa che di essere aiutata a scoprire l’amore che il Signore aveva per lei, a saper riconoscere la sua voce e accogliere la sua volontà. Per questo accettava volentieri di essere guidata dalle sue sorelle nel cammino di vita cristiana. Così parla della sua sorella Paolina:

§ Fin dal mattino lei veniva da me, mi chiedeva se avevo offerto il mio cuore al buon Dio, dopo mi vestiva parlandomi di Lui e poi vicino a lei dicevo la mia preghiera. In seguito veniva la lezione di lettura; la prima parola che riuscii a leggere da sola fu questa: “Cieli” (MA 46).

 

E quando Paolina entrò nel Carmelo, si lasciò docilmente guidare dalla sorella Maria:

§ Nel mio caso era Maria che prendeva il posto di Paolina. Mi sedevo sulle sue ginocchia e là ascoltavo avidamente quello che mi diceva. Mi sembra che tutto il suo cuore, così grande, così generoso, passasse nel mio; come i guerrieri illustri insegnano ai loro figli il mestiere delle armi, così mi parlava dei combattimenti della vita, della palma data ai vittoriosi. Maria mi parlava anche delle ricchezze immortali che è facile ammassare ogni giorno, della disgrazia di passare senza voler faticare per tendere la mano e prenderle. Poi mi indicava il modo di essere santa con la fedeltà alle cose più piccole, e mi diede il foglietto: “Della rinuncia” che meditavo deliziata. Ah, come era eloquente la mia cara madrina! (MA 103).

 

Anche Teresa, a sua volta, sperimentò la gioia di accompagnare dei bimbi nella scoperta dell’amore di Dio e nella gioia di poter dialogare con Lui nella preghiera, quando la sua famiglia accolse in casa sua due orfani. Colpisce la sua profonda convinzione dell’utilità di educare alla vita cristiana i bambini fin dalla più tenera età.

§ Vedendo da vicino queste anime innocenti, ho capito che sfortuna era di non formarle bene fin dal risveglio, quando somigliano ad una cera molle sulla quale si può deporre l’impronta delle virtù, ma anche quella del male. Ho capito quello che ha detto Gesù nel Vangelo: che sarebbe meglio essere gettati in mare che scandalizzare uno solo di questi piccoli. Ah, quante anime arriverebbero alla santità, se fossero ben dirette! (MA 148).

 

Ella era ben consapevole che il Signore è il grande educatore, ma sa anche che Egli non disdegna di servirsi di chi ci sta accanto, soprattutto dei genitori, per accompagnarci nel nostro cammino di fede:

§ Lo so, il buon Dio non ha bisogno di nessuno per compiere la sua opera, ma come permette ad un abile giardiniere di coltivare piante rare e delicate e gli dà per questo la scienza necessaria, riservando a Se stesso la cura di fecondare, così Gesù vuole essere aiutato nella sua divina cultura delle anime. Cosa accadrebbe se un giardiniere maldestro non innestasse bene i suoi arbusti? se non sapesse riconoscere la natura di ognuno e volesse far sbocciare delle rose su un pesco? Farebbe morire l’albero che tuttavia era buono e capace di produrre frutti. È così che bisogna saper riconoscere fin dall’infanzia ciò che il buon Dio chiede alle anime e assecondare l’azione della grazia, senza mai precederla o rallentarla. Come gli uccellini imparano a cantare ascoltando i loro genitori, così i bambini imparano la scienza delle virtù, il canto sublime dell’Amore Divino, accanto alle anime incaricate di formarli alla vita (MA 149).

 

Anche se a guidarci sono le persone che la Provvidenza pone accanto a noi, per Teresa è scontato che la risposta va, comunque, sempre data al Signore. Fu confermata in questo suo convincimento da quanto un giorno le disse il suo Confessore:

§ Il buon Padre mi disse anche queste parole che mi si sono impresse dolcemente nel cuore: “Figlia mia, che Nostro Signore sia sempre il suo Superiore e il suo Maestro di noviziato”. Lo fu infatti e anche “Mio direttore” (MA 196).

 

Fu ancor più sollecitata ad avere il Signore come “sua guida”, anche dalla difficoltà, una volta entrata in convento, di incontrare il suo padre spirituale, come lei stessa racconta:

§ Ho detto che Gesù era stato “il mio Direttore”. Entrando al Carmelo feci conoscenza con colui che avrebbe dovuto esserlo, ma mi aveva appena accolta nel numero delle sue figlie che partì per l’esilio. Così l’avevo conosciuto solo per rimanerne subito priva. Ridotta a ricevere da lui una lettera all’anno su 12 che gli scrivevo, il mio cuore si volse ben presto verso il Direttore dei direttori e fu Lui che mi istruì in quella scienza nascosta ai sapienti e ai saggi che Egli si è degnato di rivelare ai più piccoli (MA 199).

 

Teresa prova una grande gioia e un’intima pace nello sperimentare come sia realmente il Signore a guidarla ed accompagnarla, non facendole mai mancare il suo aiuto:

§ O Gesù, mio Amato! Chi potrà dire con quale tenerezza, con quale dolcezza conduci la mia piccola anima e come ti piace far risplendere il raggio della tua grazia anche in mezzo alla tempesta più cupa? (MB 246).

 

Il voler essere guidata direttamente dal Signore non fu in lei segno né di autosufficienza né, tanto meno, di mancanza di stima nei confronti dei superiori o del padre spirituale, tutt’altro:

§ Non che io voglia dire con questo che la mia anima sia stata chiusa per le mie Superiore, ah, al contrario! Ho sempre cercato che fosse per loro un libro aperto (MA 197).

 

In un episodio da lei stessa raccontato, emerge chiaramente il senso che lei dava alla direzione spirituale: dal padre spirituale non si aspettava che possedesse chi sa quali doti umane o quale sapienza spirituale. Ma riteneva indispensabile trovare in lui una qualità: la capacità di aiutarla a discernere la volontà di Dio. Un giorno un Padre chiamato a parlare alle Suore, non fu da loro molto apprezzato; Teresa seppe andare al di là delle qualità del predicatore e si accostò a lui per ricevere nella confessione la grazia del Signore e con questa ritrovare la pace interiore. Non fu delusa:

§ Il buon Dio volendo dimostrarmi che era Lui solo il direttore della mia anima si servì proprio di quel Padre che fu apprezzato soltanto da me. Allora avevo grandi prove interiori di ogni genere (fino a chiedermi talvolta se c’era un Cielo). Non mi sentivo portata a dire niente delle mie disposizioni interiori, non sapendo come esprimerle; appena entrata in confessionale, mi sentii dilatare l’anima. Dopo aver detto poche parole, fui capita in modo meraviglioso e perfino indovinata… la mia anima era come un libro nel quale il Padre leggeva meglio di me. Mi lanciò a vele spiegate sulle onde della fiducia e dell’amore che mi attiravano così fortemente, ma sulle quali non osavo andare avanti (MA 227).

 

Il padre spirituale non deve attirare a sé, per le sue qualità umane e spirituali, ma deve essere “un uomo di Dio”: far parlare Lui, far intravedere Lui, favorire l’incontro con Lui, suscitare il desiderio di abbandonarsi interamente alla sua volontà… È questo ciò che Teresa cercava nella direzione spirituale: 

§ la via per la quale camminavo era così diritta, così luminosa che non mi occorreva nessun’altra guida che Gesù. Paragonavo i direttori a degli specchi fedeli che riflettevano Gesù nelle anime, e dicevo che per me il buon Dio non si serviva di un intermediario ma agiva direttamente! (MA 140).

 

Questo Teresa non lo dimenticherà mai, neppure quando le fu affidato il compito di accompagnare le novizie. Sarà lei stessa a confessare che riuscì ad assolvere questo difficile compito solo perché si tenne saldamente legata al Signore:

§ Madre mia, da quando ho capito che mi era impossibile fare qualcosa da sola, il compito che mi ha imposto non mi è più parso difficile: ho sperimentato che l’unica cosa necessaria era di unirmi sempre più a Gesù e che il resto mi sarebbe stato dato in aggiunta. Infatti mai la mia speranza è stata delusa: il buon Dio si è degnato di riempire la mia piccola mano tutte le volte che ciò è stato necessario per nutrire l’anima delle sorelle. Le confesso, Madre amata, che se mi fossi appoggiata minimamente alle mie sole forze, avrei subito ceduto le armi.

 

Teresa mette in guardia i direttori spirituali da un pericolo in cui possono facilmente cadere: seguire le proprie convinzioni anziché mettersi in ascolto della volontà di Dio. Solo chi è interiormente libero può accompagnare altri! Da lontano sembra tutto rose e fiori far del bene alle anime, far loro amare Dio sempre di più, insomma modellarle secondo le proprie vedute e idee personali. Da vicino è tutto il contrario: 

§ le rose e i fiori spariscono, si capisce che far del bene è una cosa tanto impossibile senza l’aiuto del buon Dio quanto far brillare il sole di notte! Si sente che bisogna assolutamente dimenticare i propri gusti, le proprie opinioni personali e guidare le anime sul cammino che Gesù ha tracciato per loro, senza cercare di farle camminare sulla propria strada (MA 311).

 

Che lezione straordinaria Teresa dà a tutti coloro che sono chiamati ad accompagnare altri fratelli nel camino di fede-vocazionale. Quando la guida non è preoccupata di guadagnarsi a tutti i costi la benevolenza di coloro che le sono affidati, allora è anche capace di far loro notare cose che possono dispiacere, perché ciò che più le sta a cuore è la loro crescita e la loro salvezza:

§ So bene che le sue agnelline mi trovano severa. Se leggessero queste righe, direbbero che sembra non costarmi niente inseguirle, parlare loro con tono severo facendo loro vedere il loro bel vello insudiciato oppure riportare loro qualche leggero fiocco di lana che si sono lasciate strappare dalle spine del sentiero. Le agnelline possono dire tutto quello che vogliono; in fondo, sentono che io le amo di un amore vero, che mai imiterei il mercenario che, nel veder venire il lupo, abbandona il gregge e fugge via. Sono pronta a dare la mia vita per loro, ma il mio affetto è così puro che non desidero lo conoscano. Mai, con la grazia di Gesù, ho cercato di attirare a me i loro cuori: ho capito che la mia missione era di condurle a Dio e far loro comprendere che quaggiù, è lei, Madre mia, quel Gesù visibile che devono amare e rispettare (MA 313).

 

 

Conformarsi al Cristo nel dono di sé

“La partecipazione all’Eucaristia – afferma S. Leone magno – non mira ad altro che a renderci conformi a Colui che riceviamo”. Teresa di Lisieux questo lo aveva così ben compreso da farne il programma della sua vita. Offrire tutta la propria esistenza in olocausto, una sorta di martirio spirituale, per amore a Colui che per amore era morto in croce. E questo lo considera non tanto un suo atto eroico, da farla insuperbire, quanto piuttosto un dono, un privilegio del Suo amore:

§ L’Amore ha scelto per olocausto me, debole e imperfetta creatura! Questa scelta non è forse degna dell’Amore? Sì: perché l’Amore sia pienamente soddisfatto, bisogna che si abbassi, che si abbassi fino al niente e che trasformi in fuoco questo niente (MB 255).

 

Teresa ben comprende che il Signore non vuole le cose, ma l’offerta della propria volontà: è questo il sacrificio che più Gli è gradito e che maggiormente ci rende simili a Lui, il Quale “entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7). Non appartenersi più, ma lasciarsi quotidianamente espropriare da Dio: è la logica eucaristica che permea così totalmente la sua vita. 

§ Allora come nei giorni della mia prima infanzia ho esclamato: “Mio Dio, scelgo tutto. Non voglio essere una santa a metà, non mi fa paura soffrire per te, non temo che una cosa: conservare la mia volontà. Prendila, perché “scelgo tutto” quello che vuoi tu!” (MA 37).

 

Ogni celebrazione eucaristica, mentre ci fa pregustare l’intima comunione di vita con il Signore, alimenta in noi il desiderio di poter contemplare in eterno in suo Volto e ci dona la forza per sostenerci in questo cammino verso la Patria. Teresa vive proiettata verso il Cielo e a questo anela. Confida, però, nel Signore perché sa bene che con le sue sole forze sarebbe incapace di arrivare in Paradiso; altro non desidera che essere afferrata dall’Aquila divina per lasciarsi immergere definitivamente nel fuoco dell’Amore:

§ Gesù, io sono troppo piccola per fare grandi cose! E la mia follia, è di sperare che il tuo Amore mi accetti come vittima! La mia follia consiste nel supplicare le Aquile mie sorelle di concedermi la grazia di volare verso il Sole dell’Amore con le stesse ali dell’Aquila Divina! Per tutto il tempo che vorrai, o mio Amato, il tuo uccellino resterà senza forze e senza ali, egli sempre terrà gli occhi fissi su di te: vuole essere affascinato dal tuo sguardo divino, vuole diventare la preda del tuo Amore! Un giorno, ne ho la speranza, Aquila Adorata, tu verrai a prendere il tuo uccellino e, risalendo con lui alla Fornace dell’Amore, lo immergerai per l’eternità nell’Abisso ardente di quell’Amore al quale si è offerto come vittima! (MB 264).

 

 

Amare i fratelli come Gesù ci ama

Teresa non ha mai trasformato il suo profondo desiderio del Cielo in alibi per non amare i fratelli. Tutt’altro. Vivere d’amore, quaggiù in terra e per sempre in Paradiso: questo era il suo programma di vita. Un amore, quello verso le consorelle, non limitato ai buoni sentimenti e ai “santi propositi”, ma capace di trasformare l’istintiva antipatia verso qualche consorella in stima e affetto sincero:

§ C’è in comunità una sorella che ha il talento di dispiacermi in tutto: i suoi modi di fare, le sue parole, il suo carattere mi sembravano molto sgradevoli; eppure è una santa religiosa che deve essere molto gradita al buon Dio, perciò non volevo cedere all’antipatia naturale che provavo. Mi sono detta che la carità non doveva consistere nei sentimenti, ma nelle opere; perciò mi sono impegnata a fare per questa sorella ciò che avrei fatto per la persona che amo di più. Ogni volta che la incontravo pregavo per lei il buon Dio, offrendoGli tutte le sue virtù e i suoi meriti. Sentivo bene che questo faceva piacere a Gesù, perché non c’è artista che non ami ricevere lodi per le sue opere, e Gesù, l’Artista delle anime, è felice quando non ci fermiamo all’esteriorità, ma penetriamo fino al santuario intimo che Egli si è scelto come dimora e ne ammiriamo la bellezza. Non mi limitavo a pregare molto per la sorella che mi procurava tante lotte: mi sforzavo di farle tutti i favori possibili e, quando avevo la tentazione di risponderle in modo sgarbato, mi limitavo a farle il mio più gentile sorriso e mi sforzavo di sviare il discorso, perché è detto nell’Imitazione: “È meglio lasciare ognuno nella propria idea piuttosto che far nascere una contesa”. Spesso poi, quando non ero in ricreazione (voglio dire durante le ore di lavoro), avendo alcuni rapporti di ufficio con questa sorella, quando le mie lotte erano troppo violente, fuggivo come un disertore. Poiché ella ignorava assolutamente ciò che provavo per lei, mai ha supposto i motivi del mio comportamento ed è persuasa che il suo carattere mi sia simpatico. Un giorno in ricreazione mi disse con un’espressione contentissima press’a poco queste parole: “Vorrebbe dirmi, mia suor Teresa di Gesù Bambino, cosa l’attira tanto verso di me, che ogni volta che mi guarda la vedo sorridere?”. Ah, ciò che mi attirava era Gesù nascosto in fondo alla sua anima, Gesù che rende dolce ciò che c’è di più amaro! Le risposi che sorridevo perché ero contenta di vederla (beninteso, non aggiunsi che era dal punto di vista spirituale) (MC 292).

 

Una carità la sua non episodica, straordinaria, ma “feriale”, senza apparenti gratificazioni, vissuta nella piena consapevolezza di servire il Signore nelle sorelle, che la Provvidenza le poneva accanto, anche in quelle più “problematiche”, come la famosa Sr. S. Pietro:

§ Non sempre ho praticato la carità con questi impeti di esultanza, ma all’inizio della mia vita religiosa Gesù volle farmi sentire quanto è dolce vederlo nelle anime delle sue spose; perciò, quando accompagnavo Suor San Pietro, lo facevo con tanto amore che mi sarebbe stato impossibile fare meglio se avessi dovuto accompagnare Gesù in persona. Non sempre la pratica della carità mi è stata così dolce (MC 327).

 

 

Sentirsi responsabili della felicità dei fratelli

Dinanzi all’Eucaristia, Teresa comprende con chiarezza quale deve essere lo scopo della sua vita nel Carmelo:

§ Quello che venivo a fare al Carmelo, l’ho dichiarato ai piedi di Gesù Ostia nell’esame che precedette la mia professione: “Sono venuta per salvare le anime e soprattutto a pregare per i sacerdoti”. Quando si vuol raggiungere uno scopo, bisogna prenderne i mezzi; Gesù mi fece capire che era per mezzo della croce che Egli voleva darmi delle anime, e la mia attrazione per la sofferenza crebbe a mano a mano che aumentava la sofferenza (MA 195).

 

Pur vivendo in clausura, il suo amore verso i fratelli non è stato imprigionato nelle mura del Monastero. Non per nulla è la “patrona delle missioni”. Alimentandosi quotidianamente nella contemplazione della passione di Cristo, il suo apostolato è andato ben oltre, non desiderando altro che di condividere con il divino Sposo il suo grido: “ho sete!”, e di conquistare il maggior numero di anime al Suo amore:

§ Una domenica, guardando una fotografia di Nostro Signore in croce, fui colpita dal sangue che cadeva da una delle sue mani Divine: provai un grande dolore pensando che quel sangue cadeva a terra senza che nessuno si desse premura di raccoglierlo, e decisi di tenermi in spirito ai piedi della Croce per ricevere la rugiada Divina che ne sgorgava, comprendendo che avrei dovuto, in seguito, spargerla sulle anime. Anche il grido di Gesù sulla croce mi riecheggiava continuamente nel cuore: “Ho sete!”. Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e vivissimo (MA 134).

 

Teresa ha compreso che la preghiera per i peccatori non poteva essere disgiunta da quella per coloro che hanno il compito di far loro sperimentare la misericordia di Dio: i sacerdoti e i missionari.

§ Pregare per i peccatori mi avvinceva, ma pregare per le anime dei sacerdoti,,che credevo più pure del cristallo, mi sembrava strano!… O Madre! Che bella la vocazione che ha per scopo di conservare il sale destinato alle anime! Questa è la vocazione del Carmelo, poiché l’unico fine delle nostre preghiere e dei nostri sacrifici è di essere l’apostola degli apostoli, pregare per loro mentre evangelizzano le anime con le parole e soprattutto con gli esempi. Bisogna che mi fermi, se continuassi a parlare di questo argomento non finirei mai! (MA 157).

 

 

 

Conclusione

Andando via da questi luoghi, ci portiamo nel cuore l’immagine del porto sottostante, che abbiamo potuto ammirare nelle ore più diverse della giornata. Proprio le barche ormeggiate nel porto, mi hanno ricordato una poesia di Edgar Lee Master, in Antologia di Spoon River. Il poeta immagina di visitare un cimitero e di conoscere come hanno vissuto coloro che vi sono sepolti, attraverso la letture delle lapidi. Su una di questa si legge:

 

Ho osservato tante volte

il marmo che mi hanno scolpito –

una nave alla fonda con la vela ammainata.

In realtà non rappresenta il mio approdo

ma la mia vita.

Perché l’amore mi fu offerto ma fuggii le sue lusinghe;

il dolore bussò alla mia porta ma ebbi paura;

l’ambizione mi chiamò, ma paventai i rischi.

Eppure bramavo sempre di dare un senso alla vita.

Ora so che bisogna alzare le vele della sorte

dovunque spingano la nave.

Dare un senso alla vita può sfociare in follia

ma una vita senza senso è la tortura

dell’inquietudine e del vago desiderio –

è una nave che desidera il mare ardentemente

ma ha paura.

 

Il nostro impegno non può che essere quello di aiutare i giovani a vincere le paure e i dubbi e a spingersi nel mare aperto, confidando nell’aiuto del Signore.

Sì, Duc in altum! Come ha esortato Giovanni Paolo II, nel suo ultimo Messaggio per la GMPV di quest’anno. Duc in altum! Deve essere il nostro costante invito rivolto ai giovani che il Signore ci affida. Duc in altum! Ci dice la testimonianza di vita di Teresa di Lisieux, che utilizzando l’immagine della barca, così si esprime: “La mia vita è come una barca a vela; ed io spiego le mie vele perché il soffio dello Spirito mi conduca dove vuole”. Non credo ci sia immagine più bella e coinvolgente di questa per esprimere il senso di una vita vissuta vocazionalmente. In questo siamo tutti provocati personalmente. Solo se noi per primi vinceremo la tentazione di rifugiarci nelle acque sicure di un porto, potremo suscitare nei giovani il desiderio di navigare in mare aperto, lasciandosi sospingere dal soffio dello Spirito.

 

Alla memoria di Madre Alessandra Macajone

Superiora delle Monache Agostiniane di Lecceto

Cara amica del Centro Nazionale Vocazioni

e compagna di viaggio di tanti giovani

verso il centro della loro vita…