Fragilità – disagio giovanile e vocazioni
La realtà vocazionale si riferisce all’esistenza nella sua totalità; essa non riguarda soltanto il vissuto e lo sviluppo psicologico della persona, ma anche la maturazione umana e la vita di fede, i processi formativi, le relazioni sociali ed ecclesiali, il contesto storico e culturale. D’altra parte occorre riconoscere che oggi normalmente le difficoltà nel vivere i valori vocazionali sorgono a livello psicologico; è importante quindi avere una specifica attenzione a questo tipo di fragilità. La fragilità vocazionale verrà analizzata soprattutto da una prospettiva psicologica, spirituale, morale, pedagogica.
Parlare della fragilità significa fare una lettura parziale della realtà vocazionale odierna, che per altro è ricca di risorse; si corre infatti il rischio di evidenziare soprattutto carenze, debolezze e incapacità. Il servizio alla vocazione ci chiede una cura speciale dei nostri giovani, con un’attenzione alle loro difficoltà e una valorizzazione delle loro potenzialità. Occorre trasformare la fragilità in risorsa. Il problema non è la fragilità vocazionale, che risulta un dato costitutivo del giovane di oggi; è invece il fatto che non la si accetta come occasione di ulteriore maturazione e non la si sa integrare.
Radice della fragilità vocazionale
La fragilità vocazionale ha la sua radice nella cultura dominante di oggi. Viviamo in un tempo di post-modernità: esso è caratterizzato dalla complessità, che rende la vita come un labirinto senza indicazioni e provoca disorientamento nelle scelte; esso è inoltre segnato dalla transizione, che comporta mutamenti rapidi con l’abbandono di vecchi modelli e con la mancanza di nuovi riferimenti; esso infine è immerso nei processi della globalizzazione, che conducono all’omologazione delle mentalità e alla nascita di identità confuse. In questa situazione il nodo più problematico rimane il vistoso distacco tra la proposta di fede e la cultura in continua evoluzione, che produce un relativismo accentuato con riflessi sulla chiarezza e perseveranza vocazionale.
Tale cultura debole porta con sé alcuni effetti su mentalità e stili di vita:
– il consumismo, che si riflette nella ricerca di esperienze sempre nuove e coinvolge soprattutto: la sfera emotiva del “mi sento” o del “mi piace”;
– il soggettivismo, che assume la propria visuale come l’unica misura valida della realtà;
– la fruizione dell’immediato, che rafforza la percezione del “tutto e subito”;
– la cura dell’effimero e dell’immagine, che esalta l’apparenza e l’efficientismo;
– la valorizzazione dell’antropologia dell’uomo secolarizzato, che emargina il modello dell’uomo religioso.
L’esperienza religiosa diventa perciò ricerca dello stare bene con se stessi ed esperienza di forti emozioni. In generale la formazione religiosa ha poca incidenza e non coinvolge la persona in profondità. A causa del relativismo etico poi non esistono valori condivisi.
Anche le famiglie, soprattutto quelle problematiche e disgregate, vengono influenzate da questo clima culturale; esse altalenano fra l’iperprotettività ansiosa nei riguardi dei figli e la vistosa assenza nella loro educazione, creando forti vuoti affettivi e mancanza di punti di riferimento. Le persone infine, in particolare i giovani, rivelano una persistente situazione, che porta a vivere in modo frammentato o condizionato dalle mode; tale debolezza diventa sempre più inconsistenza, incoerenza, insoddisfazione, instabilità, superficialità.
Espressioni della fragilità vocazionale
Le caratteristiche dell’attuale fragilità vocazionale si manifestano particolarmente in alcuni atteggiamenti, che si sviluppano sempre più nella persona. Qui si presentano solo alcune espressioni della fragilità delle giovani vocazioni; altre potranno e dovranno essere individuate.
Incapacità di decisioni definitive
Si nota un ancoraggio al presente, senza prospettive di futuro e senza certezze. Si vive nel disagio, perché si sperimenta il vuoto, con una inevitabile apatia ed insicurezza. La vita di fede non motiva lo slancio verso il futuro, è marginale, non influisce sulla coscienza morale. Si è portati a riempire il vuoto con forti emozioni, dando sempre maggior importanza a interessi secondari. Significativa a questo proposito è
– la ricerca ansiosa di riconoscimenti: si desiderano affetto e stima;
– poi titoli di studio e identificazioni-professionali;
– quindi valorizzazioni pubbliche e carriere ambiziose.
– Ci si sente chiamati per l’oggi e non si sa se anche per il domani.
– La vocazione nel suo impegno totale e definitivo appare irrealizzabile, per cui ci si sente fuori posto ed in frequente stato di confusione.
– Si vede allora la vocazione sempre di più come un fatto privato, che non sa andare oltre gli stati d’animo immediati.
– Si ha paura del futuro; non si ha il coraggio di guardare il passato; si temono scelte coerenti e definitive; diventa quindi debole la capacità progettuale della vita.
Incertezza di identità vocazionale
Un altro nucleo d’immaturità dipende da una debole identità, dall’insicurezza e dalla non accettazione di sé. Anche nella vita consacrata non ci si sa definire ed allora ci si proietta sul “cosa fai” e sul “che cosa hai”, più che sul “chi sei”. Oltre la mancanza di un autentico senso d’appartenenza alla persona di Gesù, alla Chiesa e alla Congregazione, permangono decisive immaturità personali mai prese sul serio, tacitate con varie coperture e mai affrontate.
Ricerca di sicurezze
Vi è la tendenza a cercare nella comunità un nido sicuro o rapporti gratificanti d’amicizia, che colmino i vuoti personali e le insicurezze, ereditate dalla famiglia e dalle esperienze di gruppo. Si nota un bisogno di conferme e d’approvazioni. C’è chi si appoggia all’istituzione in modo ligio e ossequioso, per ricevere riconoscimenti d’identità, che non sa trovare in se stesso. C’è spesso una lotta sorda tra l’autonomia e la dipendenza, a cui si aggiunge una dose di competitività, di bisogno di stima, di culto dell’immagine. Vi sono numerose aspettative nei confronti della comunità e poca attenzione al dono di sé. Emergono così difficoltà relazionali.
Cause della fragilità vocazionale
Le diverse e complesse manifestazioni della fragilità vocazionale possono essere lette attraverso una fenomenologia della fragilità. Conviene ora approfondire l’argomento, facendo una lettura delle cause. Senza una comprensione e quindi una cura radicale delle cause, non si potranno superare gli effetti della fragilità. Le quattro fondamentali cause, che qui sono presentate, non possono essere prese in considerazione separatamente; come al solito è importante un approccio sistemico alla comprensione dei fenomeni e quindi alla ricerca dei rimedi.
Carenza di maturazione umana
Un primo nucleo di fragilità è da collegare con la superficialità, la trascuratezza e l’incapacità a prendere in mano con sincerità la propria storia, con le ricchezze ed i limiti che essa racchiude. Mancano ambienti e formatori-animatori vocazionali, che siano in grado di cogliere la complessa realtà della maturità umana e di aiutare i giovani a formarsi una nuova coscienza. Troppi problemi vengono tramandati e non seriamente affrontati; i giovani non hanno il coraggio di farsi aiutare o si illudono di poter realizzare con successo un cammino di maturazione senza accompagnamento.
Le aree più scoperte sembrano essere quelle dell’identità, affettività e sessualità. Talvolta i giovani cercano la vita religiosa perché si sentono attratti, ma non sanno che cosa cercano. Spesso inoltre essi non sono più muniti dalla famiglia della maturità emozionale di base e della necessaria educazione affettiva. Non sono in grado di riconoscere i motivi inconsci della propria risposta vocazionale, sia nell’opzione fondamentale che nelle scelte quotidiane. Mancano loro dei punti di riferimento solidi. Talvolta hanno una storia di esperienze negative, che richiedono di essere integrate nella loro storia di vita.
Mancanza di motivazioni di fede
Strettamente collegata a questo è la debolezza nella fede, nella preghiera, nella vita interiore, nel combattimento spirituale, nella capacità di testimonianza; in questo caso i giovani risultano di fatto incapaci di sostenere il senso della vocazione. Talvolta la famiglia oppure la cultura non hanno tradizioni cristiane. In alcune situazioni la scelta religiosa non ha vere motivazioni di fede.
È difficile essere consapevoli delle vere motivazioni; ma se non si chiarificano le motivazioni e se non si verifica in che misura la fede è il movente fondamentale, qualunque difficoltà può fare abbandonare la scelta vocazionale. Ci si deve sinceramente domandare se i nostri giovani hanno veramente una vita profonda, che implica il senso della libertà interiore, il rispetto per ogni persona, la cura della coscienza, la coerenza tra pensiero ed emozioni, l’autenticità dei comportamenti.
Debolezza dei cammini formativi
La debolezza formativa più grave sta nella incapacità di attuare una personalizzazione che aiuti il giovane ad appropriarsi dei valori della crescita umana, della fede e del carisma. Occorre riconoscere che spesso la formazione che diamo è debole, non cambia, non converte, non arriva al cuore.
Malessere delle comunità
Un altro nucleo di fragilità è determinato dalla vita reale delle comunità ecclesiale e religiosa, che costituisce il cammino formativo implicito ed occulto. Le carenze nella formazione permanente determinano motivazioni vocazionali povere. La mentalità, gli stili di vita, i modelli di comportamento deboli generano per tutti, non solo per i giovani, una “vita religiosa debole”.
Priorità di intervento
Consapevole del dono prezioso di ogni vocazione, è necessario curare ogni giovane che Dio chiama, aiutandolo a superare le inevitabili fragilità e a irrobustire la sua fedeltà. Per questo si suggeriscono ora alcune priorità di intervento.
Cura delle vocazioni alla vita consacrata
Si tratta innanzitutto di curare gli ambienti educativi in cui lavorano i consacrati, in modo che siano propositivi; da questo buon terreno possono nascere solide vocazioni. La famiglia ha bisogno di sostegno perché possa essere luogo di maturazione umana e di educazione cristiana dei figli. La comunità parrocchiale può aiutare a vivere significative esperienze di fede; spetta alla scuola offrire cammini culturali seri e stimolanti; il tempo libero può presentare momenti di crescita nel dono di sé.
Metodologia formativa
La strategia principale per superare la fragilità vocazionale è la personalizzazione. Si tratta di operare una vera e propria svolta metodologica. Elementi essenziali sono: la cura di motivazioni, emozioni, affetti, sentimenti; il processo di identificazione con la vocazione cristiana; l’assunzione di responsabilità nella propria formazione e il progetto personale di vita; l’accompagnamento personale, la pratica del discernimento. In questo modo la formazione riesce a raggiungere la persona in profondità. Certo non bisogna dimenticare che i consacrati sono in un campo che tocca il mistero della libertà della persona e della grazia dello Spirito. Strumento privilegiato di tale lavoro è l’accompagnamento personale, ben equilibrato fra spiritualità e scienze umane, fatto di comprensione e di forte esigenza.
Personalizzazione dell’esperienza formativa
L’esperienza formativa è una realtà unitaria che riguarda la vita nello Spirito, la dedizione apostolica, l’esercizio intellettuale e la maturazione umana. È importante vivere quest’esperienza come cammino di personalizzazione.
La gioia per il Signore Gesù si traduce in un amore sacrificato, specialmente al servizio ai più poveri. È importante che i giovani trovino personalmente uno slancio di dedizione apostolica. Quando il senso apostolico è debole e la missione dai giovani non viene sentita come attraente, allora possono sorgere problemi d’identità vocazionale.
Consistenza delle équipes dei formatori
È ovvio che tale formazione personalizzata richieda la presenza di équipes qualificate di formatori, che in dialogo ed interazione con i giovani sappiano confrontarsi con le loro idee e convinzioni e riescano ad aiutarli a penetrare le proprie motivazioni e sentimenti. Purtroppo, l’attenzione alle scienze umane nell’accompagnamento è ancora disattesa e non è valutata nella sua importanza. Dappertutto si lamenta la difficoltà di trovare direttori spirituali, formatori e docenti preparati e disponibili. Diventa allora impellente il compito di trovare tempi e modalità per la formazione dei formatori.
Vita significativa delle comunità
Per i giovani la comunità è un fattore importante nella decisione di abbracciare la vita consacrata, come anche nella decisione di abbandonarla. La testimonianza gioiosa di fraternità e di spirito di famiglia, lo zelo pastorale e il lavoro per i più poveri, la vita spirituale della comunità costituiscono una forte attrazione alla vita consacrata e una spinta per crescere in essa. In comunità significative i giovani saranno stimolati a crescere; i giovani saranno aiutati ad assumersi le prime responsabilità; tutti troveranno slancio e gioia vocazionale.
È importante quindi assicurare comunità vivibili, sia nei ritmi giornalieri, sia negli ambienti, sia soprattutto nei rapporti. Se occorre superare la frammentazione personale con un irrobustimento della maturità e identità della persona, altrettanto importante è arginare la frammentazione comunitaria, ridonando spazio e significatività alla vita fraterna, alla preghiera e all’impegno pastorale della comunità. Queste note scritte vengono offerte come avvio alla riflessione; perciò è importante fare una lettura formativa della radice, delle espressioni e delle cause della fragilità vocazionale.
– Partendo da “fragilità – disagio giovanile e vocazioni”, quali provocazioni per una pastorale vocazionale?
– Che cosa annunciare ai giovani che vivono fragili – vocazionalmente?
– Come annunciare la vocazione testimoniando (quale metodo)?
– Criteri e presupposti per una pastorale vocazionale dentro la Chiesa locale.
– Quale testimonianza dei consacrati nell’ambito in questione può essere vocazionalmente significativa, dunque capace di suscitare domande e risposte vocazionali?
Tre gruppi hanno lavorato su questo ambito: questa breve sintesi non rende ragione della ricchezza dei contributi che sono emersi dai tre gruppi, che hanno vissuto un momento di profonda condivisione.
La nostra fragilità nella logica pasquale
La fragilità tocca la vita di ogni persona, non va guardata solo come problema, ma è il luogo in cui si manifesta la grazia di Dio. Non possiamo dimenticare che il Signore risorto ha i segni delle piaghe. Accettare, comprendere, saper gestire la nostra fragilità, significa farla diventare cammino di conversione e risorsa per noi e per gli altri. Questo vuol dire riconoscere i propri sbagli, saperli accettare, riconoscere la nostra debolezza nell’umiltà, accettando che gli altri vedano anche le nostre emozioni: abbiamo un tesoro in vasi di argilla, trasformare la fragilità nostra e dei giovani in opportunità, far cogliere anche a loro la ricchezza della fragilità.
Questo vale anche per le nostre comunità, non dobbiamo mirare a costruire comunità ideali.
Anche il nostro confrontarsi serve per poterci purificare, per metterci più in ascolto dello Spirito.
La fragilità dei giovani ci provoca
La fragilità dei giovani è richiamo a costruire la nostra vita consacrata in una risposta più reale, più umana, che permette di sperimentare la forza che viene dal Signore. Il confronto con loro è richiamo ad essere più fedeli.
Per alcuni giovani l’annuncio di Pasqua: “Cristo è risorto”, non ha significato. Questo mi stimola a chiedermi che cosa vuol dire in concreto per me, per la mia vita. I giovani chiedono risposte sincere, perché si accorgono se sei vero, hanno fiuto per chi è trasparenza di Dio. Provocano ad un’autenticità più profonda, a diversi livelli:
– ad una maggior verità su me stesso: non posso raccontare storie, mi lascio interrogare dai giovani a dare le risposte o pormi le domande che non mi ero ancora posto;
– i giovani mettono a nudo anche le nostre forme di vita: ciò che è fragile, da rifare, da ricostruire, viene messo in crisi.
Quindi il momento della fragilità del giovane diventa punto-forza che ci spinge a ritrovare nuove strategie di intervento.
Atteggiamenti nei confronti dei giovani
È importante un atteggiamento che privilegi il rapporto umano: andare a cercarli, interessarsi a quello che a loro interessa (senza omologarsi), essere attenti e sensibili a quanto vivono, essere attenti anche a quello che non dicono, come S. Paolo: “Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnare a tutti i costi qualcuno”. Farsi compagni, accompagnare, essere disponibili a qualunque ora, mai rifiutare una proposta di incontro, riconoscendo che camminare con loro richiede percorsi lunghi e graduali, stare con loro, essere capaci di simpatia e di perdono, come Gesù.
Il giovane ha bisogno di accoglienza e ascolto personalizzati e senza preconcetti: se il giovane si sente accolto e voluto bene (per se stesso e non perché abbiamo bisogno di lui, per il campo o la veglia) ci apre il cuore. E questo per tutti: l’accompagnamento è un diritto del giovane, non solo di alcuni, i più bravi. Non posso accostarmi all’altro pensando al suo problema, pensando che è una persona malata o in difficoltà, l’altro è sempre dono di Dio. Chi è più debole ha bisogno di maggior fiducia. Puntare più sulla positività: che cosa possiamo fare per aiutarlo ad essere più felice. Già chiamare “disagio” è porre delle distanze. Non sono chiamato a risolvere i problemi, ma a farmene carico. Non sono io l’Onnipotente, sono solo suo strumento.
Aiutarli a coltivare desideri grandi, a tirar fuori ciò che sono e desiderano essere. Nella molteplicità dei riferimenti che spesso confondono il giovane siamo chiamati ad essere riferimento di cui il giovane possa fidarsi. Quando Gesù dice: “siate perfetti” non ci chiede di essere senza difetti, ma chiede sintonia tra ciò che diciamo e ciò che facciamo: da qui viene la nostra autorevolezza nei confronti dei giovani.
Far acquisire consapevolezza dell’importanza della chiamata mette il giovane nella condizione di trovare la motivazione di fondo alla risposta. Aiutarli, mettersi accanto, perché trovino il proprio progetto personale, facendo scelte in relazione a sé, agli altri, a Dio, facendo leva sulla persona e non su un desiderio o un’emozione.
È essenziale dare una formazione solida che raggiunga il cuore, una formazione personalizzata, che aiuti il giovane a capire le motivazioni e il perché di quello che fa, perché si renda responsabile della propria vita: se il giovane non accetta se stesso e fugge le responsabilità non può essere uomo o donna di speranza. Può anche essere utile farsi aiutare di più dalle scienze umane. Per una crescita nella fede i ragazzi e i giovani hanno bisogno di ambienti in cui possano crescere ed esprimersi. Dio è l’artefice della vocazione: il giovane mi è dato dal Signore e non è mio: occorre pregare molto quando si accompagna un giovane.
Annuncio e testimonianza
Annunciare la paternità di Dio che ci ama perché figli. Annunciare che la nostra vita è una vita amata proprio nella sua fragilità e debolezza, che, se consegnata radicalmente a Dio, ci porta alla pienezza della vita. Testimoniare la luce e la gioia che abbiamo visto nel Risorto. Vivere la nostra vocazione come scoperta del mistero della gioia. Vivere con gioia anche la dimensione comunitaria, perché possa esser apprezzata. Essere anche presenza significativa nelle realtà di frontiera, scendere in campo. Essere persone di Dio, attirati dalla presenza continua del Signore con noi, persone che rispondono “eccomi” tutti i giorni al Signore.
Comunità
La fragilità e frammentazione che vivono i giovani ci provoca ad una pastorale vocazionale come coralità, a crescere nella cura dei rapporti umani nel contesto parrocchiale, alla comunione fra le diverse realtà locali. Ci chiede anche una maggiore attenzione alla cura della famiglia come prima Chiesa.