Vita affettiva – educazione all’affettività
Partendo dal titolo di questo nostro Forum “I consacrati: testimoni del Risorto nella pastorale vocazionale”, proponiamo 3 articolazioni in merito al nostro ambito (“vita affettiva ed educazione all’affettività”) che servono da piattaforma per la nostra riflessione, per il dialogo, il lavoro nel nostro gruppo e per elaborare una sintesi positiva-propositiva da presentare in assemblea sabato mattina. Tutte e tre queste articolazioni ruotano attorno al termine-realtà “AFFETTIVITÀ-SESSUALITÀ” e ad alcune qualificazioni-aggettivazioni.
Un’affettività-sessualità MORTA/SEPOLTA?!
Si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte ad una sessualità-affettività morta e sepolta, e questo sul duplice versante: di noi consacrati e dei giovani e in particolare di quelli che esprimono il desiderio e l’impegno di iniziare e compiere un cammino vocazionale.
Sul nostro versante questo “morta-sepolta” si configura come “negata-latitante-compressa e ben imbottigliata”. Tra noi non se ne parla o se ne parla ben poco: diamo quasi l’immagine di persone che non sembrano capaci di amare, di avere una vita affettiva, di avere una sessualità. Questa energia vive nei sotterranei: è come una metropolitana che attraversa il nostro vissuto… ma non appare… non emerge! Provocatoriamente potremmo mettere fuori il seguente cartello: “Cercasi sessualità ed affettività”?!
Dall’altra – nei giovani – quel “morta-sepolta” si connota come “offuscata-ripiegata-banalizzata-area in cui essi avvertono fortemente la delusione, e a breve termine”. Essi ne parlano… anche in modo schietto… ma il punto di riferimento e di confronto è costituito da “loro stessi e dal proprio mondo emotivo e sentimentale fluttuante e del momento”. Si danno da fare in materia …ma non appaiono capaci di una giusta e positiva declinazione, di una coniugazione globale: per questo si barcamenano alla bell’e meglio, vanno alla ricerca e sembrano raggiungere solo pochi sprazzi appaganti di luce e di gioia, sembrano vivere questa loro dimensione “a rate”-“in leasing” o come un “vanity fair”.
Certamente la dimensione affettiva e sessuale è un’area delicata e traversale della nostra esistenza umana e spirituale che risente del nostro passato, dell’educazione ricevuta, delle situazioni che abbiamo vissuto, delle ferite che ci portiamo dentro.
– Cosa ne pensi di questo quadro ingenerale?
– Condividi – aggiungi – hai riserve in merito a quanto sottolineato tanto sul nostro versante quanto su quello dei giovani?
– Ritieni che alcune di queste aggettivazioni possano essere intercambiabili per entrambe i versanti?
– Quali provocazioni – sempre sul duplice versante – portano in sé questi tratti sul piano personale e pastorale?
– Che cosa ti verrebbe voglia di dire prima di tutto a noi e poi ai giovani?
Per un’affettività-sessualità RISORTA?!
Non c’è solo una sessualità morta, ma anche una sessualità risorta… o meglio da portare a risurrezione in noi e nei giovani! “Risorta” qui sta per “liberata-matura-viva-vivace-trasparente”.
È in gioco la “qualità” della nostra vita affettiva e sessuale, e di quella dei giovani: anzi è in gioco la nostra umanità e identità di persone e di consacrati. La sessualità e la vita affettiva sono una “tensione-energia”, una “tensione-energia verso”: sono una tensione ed energia che hanno in sé una direzionalità e che portano in sé un appello alla pienezza.
Si tratta di restituire “continuità” a questa tensione, di interrompere e sistemare i “cortocircuiti”, e di guidare e canalizzare la sua forza e il suo passaggio: senza paura e vergogna.
Come farlo? Quale direzione dare e verso quale pienezza portare questa energia così vitale?: questa è la sfida che prima abbiamo come persone e come comunità e, poi, nei confronti dei giovani!
– Quali caratteristiche deve avere per te una “sessualità risorta”?
– Quali passi siamo chiamati a compiere sul piano personale e come vita religiosa per promuovere in noi una “sessualità-affettività risorta”?
– A tal fine che cosa può risultare utile sia sotto forma d’aiuto e d’attenzione e per il nostro stile di vita e di relazione?
– Come essere “significativi” (= capaci di suscitare domande/risposte vocazionali) in materia di una “sessualità-affettività risorta” per i giovani?
– Come presentarla ed annunciarla ai giovani? Vedi qualche priorità in merito?
Quale pastorale vocazionale dell’affettività-sessualità?!
Si tratta dell’attenzione e della cura che come persone e consacrati impegnati nella pastorale vocazionale siamo chiamati ad avere in merito alla sessualità-affettività sia sul piano relazionale che del cammino da proporre ai giovani. Sottolineiamo relazione e cammino: quindi necessità di relazione e necessità di un itinerario.
Concretamente si tratta di chiederci e di rispondere a questi interrogativi:
– Come deve essere questo cammino?
– Come deve essere la relazione con la guida e quale relazione la guida deve stimolare ed attuare?
– Di quali azioni deve essere fatto e nutrito questo accompagnamento nell’area affettiva e sessuale?
In chiusura
– Ritieni che debba essere fatto presente qualche punto importante che non è stato oggetto e materia di esempio in questa scheda (sempre in relazione al nostro tema)?
La situazione
I consacrati leggono la situazione e il contesto giovanile
Visione piuttosto pessimistica. La famiglia e la società non educano ma danno stimoli negativi sul piano dell’affettività. C’è debolezza e mancanza di formazione; i giovani sono lasciati a se stessi; banalizzano; mancano dei fondamenti e di un tessuto valoriale; fanno fatica a parlare del problema o c’è una certa paura; sono bombardati dalla pubblicità, dalla virtualità, dal mondo di internet.
Anche se talvolta i giovani non sono solo questo: una volta che s’instaura un rapporto attento a loro e con loro, mostrano apertura e schiettezza nell’affrontare e nel dialogare su questo ambito.
I consacrati leggono la propria situazione
Si evidenzia (soprattutto nel passato) la presenza di una cultura tabuizzante, un’affettività congelata-repressa-compressa che però attualmente rischia di esplodere a livello personale, comunitario e con i giovani; il rimpianto per una formazione chiusa e troppo impostata sulla rinuncia e sul sacrificio; gli stessi voti vengono visti e vissuti per certi versi come pesantezza e con fatica; per altri come garanzia e sicurezza personali e comunitari, con l’illusione così di vivere separati dal mondo. Nelle comunità e nelle relazioni interpersonali emerge la mancanza di un linguaggio appropriato sull’affettività: spesso non se ne parla.
Ci sono comunque dei segni positivi: si avverte e si vive sempre più la forza liberante dell’amicizia; si ha voglia di crescere in questa dimensione; si evidenzia un bisogno di formazione e di un percorso di educazione all’amore; da parte dei religiosi più giovani emerge più apertura, più capacità di affrontare e di dialogare sul tema e su quest’area. Nelle religiose c’è una riscoperta del senso della maternità.
Alcune condizioni della testimonianza
La capacità di testimoniare la dimensione affettiva in modo maturo in mezzo ai giovani per i religiosi dipende da alcune condizioni. Da:
– una formazione personale e mirata in questo campo;
– l’impegno a vivere con più umanità la propria sessualità;
– la necessità di sperimentare una vita comune più fraterna e una maggiore collaborazione tra le diverse generazioni;
– la promozione di un approccio affettivo alla fede;
– l’assumersi la responsabilità della propria affettività e umanità, rileggendo e accogliendo il proprio passato anche ferito;
– riscoperta dell’amicizia come spazio e possibilità di crescita (molto meglio un cuore che batte che essere persone dure e spietate);
– accettazione del proprio mondo-emotivo (vivere i sentimenti, l’affetto, avere la capacità di guardarsi negli occhi);
– gestione dei conflitti interni e relazionali presenti sul piano personale e comunitario (amare i propri nemici anche nelle nostre comunità).
Il nostro contributo
I religiosi che cosa hanno da dare?
– La possibilità di far fare esperienza di fraternità e di accoglienza grazie allo strumento della “comunità”;
– l’offerta di spazi di serietà e serenità di confronto e di dialogo su questo ambito;
– la possibilità di un accompagnamento e di un’educazione veri che non siano per sé o attorno a sé ma per il giovane e per il suo bene.
Con quali modalità?
Proporre la tecnica dell’autobiografia prima umana e poi spirituale (= rilettura della propria vita per ritrovare il filo della propria storia vissuta e sperimentata come un unicum e un’unità). Aiutare il giovare a dare un nome a cosa prova. Quindi promuovere una conoscenza di sé non solo intellettuale ma vitale e approfondita del mondo dei propri sentimenti, emozioni, tendenze che porta dentro di sé.
Il tutto all’interno di una relazione accogliente e coinvolgente, di ascolto e di comunione. Nella gradualità e attraverso quella pazienza che sa farsi attesa che arrivi il momento opportuno soprattutto quando possono emergere maggiori resistenze o possibili traumi.
Ricordando e facendo attenzione che la guida deve aver affrontato e integrato la sua dimensione affettiva: non possiamo aiutare gli altri se prima non abbiamo affrontato noi stessi questa dimensione, “risolto” i nostri problemi e “sanato” le nostre ferite.