N.02
Marzo/Aprile 2006

Testimoni e narratori di speranza: il mandato del Convegno

Ringrazio con voi Dio del dono di questo nostro Convegno: un vero convenire ecclesiale annuale di tutte le vocazioni, che sono dono di Dio nella Chiesa italiana, per edificarci l’un l’altro nella preghiera, riflessione e testimonianza vocazionale, in vista dell’annuncio del Vangelo della vocazione! 

Già Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni del 1982, segnava i punti fermi della pastorale vocazionale in quattro parole: pregate, evangelizzate, chiamate, testimoniate! 

La stessa Chiesa italiana, attraverso la voce dei nostri Vescovi, ha avuto l’occasione di fare il punto sulla pastorale vocazionale attorno a tali parole, veri e propri pilastri della pastorale vocazionale, così com’è venuta crescendo in questi anni nelle nostre Chiese. 

I Vescovi, in una specifica Assemblea Generale, hanno infatti elaborato e ci hanno consegnato puntuali orientamenti di pastorale vocazionale confluiti nel Documento: Le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata nella comunità cristiana (CEI, 27 Dicembre 1999). 

Sul versante del percorso vocazionale “testimoniate” hanno sottolineato in particolare come i testimoni di vocazioni vissute sono un vero e proprio segno nelle nostre Chiese ed hanno un fascino particolare presso i giovani, ad attirare i quali non è lo status o il ruolo di una vocazione di speciale consacrazione; perché oggi essi seguono e scelgono ciò che è significativo per la loro esistenza personale: «essi hanno un sesto senso nel riconoscere i “profeti” e i “testimoni” che sono un punto di riferimento per una vita spesa tutta per Dio» (Ibidem, 13). 

Questo passaggio degli Orientamenti dell’Episcopato italiano mi sembra quanto mai riassuntivo dei lavori del nostro Convegno, che costituisce una tappa significativa della pastorale vocazionale nel cammino della Chiesa Italiana verso il Convegno Ecclesiale di Verona: «Dio, in via normale, ci raggiunge e c’interpella attraverso i suoi messaggeri. Sono coloro nella cui vita è facile vedere la presenza di Dio come spiegazione più vera e profonda di tutto ciò che dicono e fanno. Questi “messaggeri” di Dio possono essere i genitori, i sacerdoti, tante altre figure di cristiani autentici che, essendo testimoni del Signore, aiutano coloro che incontrano a diventare a loro volta discepoli del Signore. Se la grazia di Dio va riconosciuta come la prima risorsa per le vocazioni di oggi e di domani, questi testimoni sono grazia di Dio in veste umana» (Ibidem, 12). 

Una Chiesa “comunità di testimoni” è, quindi, l’habitat necessario per la fecondità vocazionale. 

Da parte mia, concludendo i nostri lavori, non intendo fare una sintesi degli orientamenti pastorali emersi: desidero piuttosto dar voce e far emergere quasi un mandato, che il Convegno mi sembra abbia fatto risuonare in ciascuno di noi. 

Questo mandato lo affido idealmente anche ai nostri fratelli e sorelle che con noi lavorano per l’annuncio del Regno di Dio, che è il “Vangelo della chiamata”, nelle nostre comunità. Questo mandato interiore ci impegna a tornare tra i nostri giovani e ragazze – non solo quelli che frequentano le nostre comunità ecclesiali, ma soprattutto quelli che non siamo soliti incontrare – come testimoni di speranza, narratori di speranza, perché testimoni del Risorto, speranza del mondo! 

In questo senso una “comunità di testimoni di vocazioni” esprime e realizza bene una pastorale vocazionale ove, pur avendo ciascuno compiti e ministeri specifici, chiama in causa tutti gli educatori alla fede in vista di una pastorale comunitaria. 

– Ai genitori cristiani si chiede di essere testimoni di speranza: nell’aper-tura e accoglienza generosa della vita; nell’accompagnamento sereno e paziente, già sin dai primi passi, della fede dei figli; nella preghiera silenziosa, come adesione alla volontà di Dio, per la vocazione dei figli; nel rispetto della loro libertà di fronte alle scelte di vita.

– Ai sacerdoti si chiede di essere testimoni di speranza: nella perenne e gioiosa gratitudine a Dio per il dono della chiamata al sacerdozio; nella fedeltà trasparente alla propria vocazione e missione, secondo le promesse fatte a Dio e alla Chiesa al momento dell’ordinazione; nell’impegno sereno nella vita quotidiana di maestro della Parola, ministro dei sacramenti e guida spirituale della comunità; nello stare con e tra la gente, porzione del popolo di Dio affidato dalla Chiesa, vivendo e seminando nel cuore della gente la carità pastorale di Cristo Buon Pastore; nel mettere in atto, nella pastorale ordinaria, il ministero di discernimento vocazionale; nell’accompagnare con amore puntuali cammini di fede per la ricerca della volontà di Dio, nonché il servizio di guida spirituale soprattutto per le ragazze e i giovani. 

– Ai consacrati e consacrate – negli istituti religiosi, missionari e secolari, nell’ordo virginum, nonché nella vita contemplativa – si chiede di essere testimoni di speranza: nella radicalità vissuta dei consigli evangelici, come esperienza di libertà e gioia vera, dentro la misteriosità e la fatica della vita quotidiana; nella vita comunitaria, come segno della possibilità di vivere relazioni vere, con al centro la persona umana; nella fedeltà trasparente ad un carisma che si fa ascolto profondo, accoglienza reale, in breve “caritas christi”, per l’uomo e la donna di oggi, nella risposta gratuita ai bisogni spirituali e umani dell’uomo di oggi.

– Ai catechisti e agli educatori alla fede (animatori di gruppi, movimenti, associazioni), che offrono il loro servizio educativo alle giovani generazioni nelle nostre comunità cristiane, si chiede di essere testimoni di speranza: nella fedeltà personale alla vocazione battesimale, vivendo come cristiani autentici; nell’annuncio, con la propria vita, della necessità di un serio impegno per il discernimento della propria vocazione personale e della risposta fedele alla vocazione specifica; nella passione e gratuità del proprio servizio educativo alla fede, che a null’altro mira se non a far incontrare Gesù Cristo, “unico salvatore” dell’uomo; nell’accompagnare con la preghiera vocazionale e nell’offrire il servizio di un primo discernimento vocazionale ai giovani e alle ragazze che Dio mette nel cammino di educatori.

– Ai seminaristi, novizi e novizie che stanno vivendo in prima persona il cammino di discernimento e formazione verso il proprio Eccomi definitivo, si chiede di essere testimoni di speranza: nella serena fedeltà agli impegni quotidiani di preghiera, studio, vita comunitaria, propri del tempo di formazione alla vita sacerdotale o di speciale consacrazione; nella generosa e gioiosa condivisione vocazionale della propria esperienza, in tutte le occasioni e luoghi ove hanno la grazia di incontrarsi con i loro coetanei, consapevoli che “nessuno è più adatto dei giovani per evangelizzare i giovani” e che “a titolo personale e come comunità sono i primi e immediati apostoli della vocazione in mezzo ad altri giovani” (Ibidem, 22).

 

Una comunità cristiana siffatta, nella quale si riverbera la “luce” e fermenta il “lievito” di testimonianze vocazionali feriali di speranza, torna senza far rumore, ma efficacemente, a farsi carico del proprio futuro vocazionale. 

Propongo volentieri, a questo proposito, e come conclusione, l’identikit di un prete “testimone di vocazione”, che traggo da un manoscritto medievale ritrovato a Salisburgo, rielaborato da Mons. Bruno Forte e musicato da Mons. Filippo Strofaldi: identikit nel quale si possano ravvisare caratteristiche testimoniali valide anche per le altre vocazioni che sono dono di Dio alla Chiesa. 

 

Un prete deve essere contemporaneamente piccolo e grande, nobile di spirito,

quasi fosse nato in una reggia, semplice e naturale, di ceppo contadino.

Un prete deve essere contemporaneamente un eroe alla conquista soprattutto di se stesso,

un uomo che si batte con il suo Dio, sorgente della Grazia, peccator che Dio perdona.

Un prete deve essere contemporaneamente un mendicante dalle mani largamente aperte,

ma un portator di numerosi doni, un uomo coraggioso sul campo di battaglia.

Un prete deve essere contemporaneamente una madre per lenire le sofferenze altrui

con la saggezza dell’età matura e la semplicità, la fiducia di un bambino.

E’ teso in alto, ma i piedi sulla terra, fatto per la gioia, ma esperto nel soffrire,

lontano dall’invidia, lungimirante sempre, che parla con sapienza, amico della pace del Regno.

Un prete deve essere contemporaneamente fedele al suo Signore, fedele ai suoi fratelli; 

un prete deve essere contemporaneamente fedele all’uno e agli altri…così differente da me!

 

Che il Signore, per opera dello Spirito che abbondantemente in questi giorni è stato effuso nei nostri cuori, ci dia la grazia di tornare nelle nostre comunità cristiane come narratori di speranza, trasparenti e gioiosi!