N.05
Settembre/Ottobre 2006
Studi /

Come aiutare i giovani all’«esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé»?

La vita ha il gusto che le dai!: non è solo l’ultima “stregata” reclame della nuova Coca Cola light, ma credo sia una grande verità. Lo è per tutte le età, ma acquista una valenza particolare se offerta a tutti i giovani. Sia alla gioventù di Lucignolo, che la trasmissione molto discutibile di Italia Uno vorrebbe presentare come il vero ritratto orribile del mondo giovanile italiano, fotografato cioè sui suoi riti e sulle sue mode, con un’operazione “bella vita”, che ammannisce una vetrina traboccante di celebrazione del denaro, della fama, della bellezza di insulse icone sexy: tutto l’accattivante possibile, eccetto la felicità. Sia ai giovani della “tregua fra generazioni”, come simpaticamente li chiama l’ultima e già nota ricerca di un cast di sociologi (F. Garelli, A. Polmonari, L. Sciolla ): una generazione “flessibile” di ragazzi più riflessivi e meno conflittuali con la famiglia, la scuola, le istituzioni, che sono anzi realtà apprezzate, se sanno mostrare comportamenti coerenti con i valori trasmessi. Ma, al di là delle due vetrine di giovani contemporanei italiani, rimane il punto interrogativo, che ci siamo posti all’inizio: come aiutare i giovani, tutti i giovani, all’«esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la liberazione del dono di sé» (DCE 6)? 

 

Oggi la bellezza è felicità? 

Prima di tentare di tracciare una qualche linea di risposta alla domanda, credo sia conveniente fermarci un momento su un punto dell’Enciclica che, a mio avviso, è stato poco sottolineato nei numerosi commenti e che, invece, potrebbe rivelarsi un’importante chiave di soluzione del nostro interrogativo. Il Papa parla di amore come «estasi», un’estasi «non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la liberazione nel dono di sé, anzi verso la scoperta di Dio» (DCE 6). Il che postula, prima di parlare di amore e di impegno ad amare, che si contempli e si scopra la bellezza di tutto questo. Si tratta di quel celebre amore di compiacenza, di cui ci hanno parlato tutti i mistici ed i grandi maestri della fede di questi 2000 anni di cristianesimo. Infatti è solo la scoperta della bellezza di un valore che porta e spinge a desiderarlo ed a volerlo realizzare nella propria vita. Il cristiano o è un uomo, una donna, che vive un’attrattiva, che subisce il colpo di un incontro affascinante o si sentirà una specie di costretto nelle file di un dio tirannico, oppure – molto più probabilmente oggi – sarà un rinunciatario nei riguardi della fede e della religione. 

È da un paio di secoli che si è diffuso, soprattutto nella cultura occidentale, un atteggiamento di sospetto nei confronti della bellezza, vista come qualcosa di abbagliante e minaccioso, una forza scapigliata e poco dominabile, rispetto ai vincenti, anche se più lenti, cammini della ragione; questi ultimi, dall’Illuminismo ad oggi, hanno fatto la parte del leone nel definire i canoni della comprensione dell’uomo e dell’universo. Ed anche il cristianesimo è stato segnato in molta parte da questo andazzo culturale, trascurando la teologia della bellezza e l’apporto che la bellezza può dare alla vita di fede ed alle implicanze decisionali della persona. Oggi che le istituzioni, i sistemi di pensiero ed i principi razionali sono alle prese con una pesante crisi ed hanno dovuto cedere il passo al predominio emotivo e psichedelico dell’esperienza soggettiva ed al lussureggiare dei sentimenti – cose su cui soffia impetuoso il turbine dei media – è venuto il momento di prendere in mano ed in maniera seria il discorso della bellezza, non solo ridandogli il “mal tolto” di due secoli, ma portandolo ad un dialogo vivace e costruttivo con la ragione e la volontà. Indubbiamente, la cura e l’esaltazione della bellezza a tutti i livelli è particolarmente avvertita nel nostro tempo. Purtroppo, il più delle volte, si riduce ad un atteggiamento soggettivistico di consumo ad ampio spettro. 

Se oggi si proclama, giornalisticamente ed emozionalmente, che la bellezza è felicità, sono convinto che è possibile dimostrare che è vero, ma occorre chiedersi immediatamente a quali condizioni. Per noi si tratta di riscoprire la bellezza della vita cristiana ed è importante farlo presto e bene. 

Credere è diventato senz’altro più difficile, ma è bello, a patto che si abbia voglia di fare un percorso esigente e, per di più, abbinato al coraggio di prendere delle decisioni definitive nella propria esistenza; nelle culture tecnologicamente avanzate come la nostra, invece, la propensione sempre più frequente, è quella delle opzioni costantemente reversibili ed influenzate dalla moda. Diventa allora una proposta di bellezza, con il tentativo di rendere visibile il volto umano di Gesù Cristo. Non un accumulo di proibizioni e di comandamenti paralizzanti, ma la proposta positiva della buona notizia del Vangelo, che svela le ricchezze di una vita autenticamente umana, così come Dio l’ha pensata per l’uomo e l’ha resa visibile in Gesù di Nazareth. 

Il volto splendido di Dio è stato deturpato e caricato di tanto trucco lungo i secoli, anche da parte di noi cristiani, non solo dai credenti delle altre religioni. Occorre riscoprirlo e innamorarsene, attratti dalla bellezza di quel volto. Occorre rifare, cioè, l’esperienza indimenticabile di quei due apostoli, Andrea e Giovanni, alla ricerca del volto di Gesù e della sua abitazione, là sulle rive del Giordano. E, di lì, partire per una strada lungo la quale questo volto si chiarisce sempre di più, anche se è un mistero insondabile. Incontrare e guardare quel volto rende la vita, pur con tutti i limiti, impregnata di felicità e inafferrabile dalla disperazione e dal non senso. Rapiti da questa bellezza, si impara a stare con lui e si viene trasformati da quel volto: le proprie mani si abilitano ad essere innocenti, con l’esistenza cioè illuminata dalla verità dell’amore, che vince l’indifferenza, il dubbio, la menzogna, l’egoismo; il proprio cuore, rapito da questa bellezza, arriva fino a portare impresso il volto di Cristo nel proprio centro vitale. Allora si è disposti a seguirlo anche fino al sacrificio della vita, coniugando crescita e fedeltà. Allora l’amore diventa possibile e si è in grado di praticarlo e si costata che questo amore è la forza trasformante del mondo. Dunque, la bellezza può diventare una via importante per la cucitura dei valori della vita, del senso della vita, per la trasmissione della fede, per stanare i giovani dall’io chiuso in se stesso e vivere l’esodo permanente dell’amore.

 

Il problema è essenzialmente educativo 

L’interrogativo che ci siamo posti all’inizio è essenzialmente educativo. E oggi è sempre più evidente che ci troviamo di fronte ad un’emergenza educativa. Non basta riempire la mente di nozioni culturali, né è sufficiente insegnare solo a saper fare, perché in tutto questo manca la risposta fondamentale ad una domanda di fondo, cioè: in vista di che cosa? Ogni persona ha bisogno continuamente di essere aiutata a costruirsi ed a ricostruirsi nella sua umanità. Questa deve essere la preoccupazione educativa forte. Allora non basta davvero insegnare a saper fare, cosa che in definitiva porta per lo più a disperdersi; è invece fondamentale insegnare a soddisfare l’esigenza di un incontro con una Persona, che dia effettivamente la possibilità di una vita vera, buona e piena di senso. 

Ecco, allora, la proposta di tre passi educativi per passare dal culto illusorio di una bellezza esteriore alla bellezza profonda, che è catalizzatrice delle scelte di vita e porta alla felicità. Sono indicazioni pedagogiche non teoriche, ma che esigono il camminare insieme con i nostri giovani, sperimentando e vivendo noi per primi quello che proponiamo loro, in modo da accompagnarli come nuovi Mosè in questo esodo esigente, ma particolarmente affascinante. 

 

Educare a decifrare la bellezza 

Il culto della bellezza, come dicevamo più sopra, è uno dei più grandi ingredienti della cultura attuale, un vero condensato di felicità, dalla cura della bellezza del corpo – il proprio e quello degli altri – a quella delle abitazioni, alla musica, al semplice stare insieme, alla riscoperta dell’arte, della natura e dell’ecologia, fino alla moda,… Purtroppo nella maggioranza dei casi si tratta di una bellezza imprigionata nel consumismo. La prima operazione consiste allora nell’educare a decodificare la bellezza, scrostandola e liberandola proprio dalle forme consumiste, al fine di scoprirne il valore allo stato nativo, come mozione insita causale e finale: siamo mossi dalla bellezza e siamo fatti per la bellezza. Una risorsa allo stato nativo, che dal corpo alle altre sfaccettature, coglie la bellezza nella sua gratuità, senza sfruttamento. È un lavoro di intelligenza, ma anche di cuore e di volontà, perché si tratta di vedere come si muovono le varie dinamiche del proprio io nei riguardi delle stimolazioni della bellezza, con la capacità di saperle indirizzare verso il canale giusto. 

 

Educare all’esperienza della bellezza profonda 

Qui c’è tutta l’iniziazione all’uso dei sensi interiori, per incamminarsi alla ricerca del volto di Dio attraverso la lectio divina, l’adorazione, la preghiera liturgica, le oasi e le pause di silenzio, i ritiri spirituali,…; e contemporaneamente l’iniziazione a scoprire la bellezza del servizio e del dono di sé, in un cammino progressivo di liberazione, dalla ricerca irresistibile di gratificazione fino al dono gratuito. Ma anche qui ci vuole un affiancamento ed un accompagnamento, prima di tutto per testimoniare e poi per incoraggiare a non demordere, quando queste esperienze diventano pesanti e fanno “mordere duro”. 

 

Educare ad innamorarsi del suo Volto 

Ma non basta ancora: occorre un terzo passo come effetto della maturazione degli altri due. Si tratta di innamorarsi di Dio a tal punto da scoprirlo dietro ad “ogni parete” (cf Ct 2): nell’Eucaristia, oltre il velo del pane e del vino; nella Parola, oltre i sigilli della cultura del libro; nel profondo del proprio cuore, oltre le pareti dei propri limiti e della propria storia quasi banale; nel cuore degli altri, oltre gli steccati e gli sbarramenti di ogni apparenza di attrazione e di rifiuto; nella natura e negli eventi, oltre la nebbia del caso;…Una ricerca appassionata, che oramai non fa più distinzioni, perché Lui lo si trova in tutti ed in tutto. Qui lavora in pieno il proprio cromosoma mistico, in stretta collaborazione con lo Spirito del Signore. Dunque, una vita alienata o una vita felice? Se è vero che la bellezza salverà il mondo, giochiamo la carta della Sua bellezza, riscoperta e riproposta a tutti i giovani. Scopriremo con stupore che la capacità di amare non è venuta meno né in noi né in loro, ma potremo insieme compiere un magnifico esodo di speranza verso la civiltà dell’amore, che è il grande sogno di Dio. 

 

Bibliografia 

BENEDETTO XVI, Deus caritas est, Roma, ed. Vaticana, 2006;  Trasformati dal suo sguardo, in «L’Osservatore Romano», 2 settembre 2006. 

AA.VV. (F. GARELLI, A. PALMONARI, L. SCIOLLA a cura di ), La socializzazione flessibile, Bologna, Il Mulino, 2006

SARTWELL, I sei nomi della bellezza, Torino, Einaudi, 2006.