Dai carismi alcuni itinerari di pastorale vocazionale
1. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE A PARTIRE DAGLI ESERCIZI SPIRITUALI
a cura di P. Flavio Bottaro, sacerdote gesuita
Un esempio di discernimento spirituale: la storia di Filippo
Filippo è un giovane universitario, studente di Economia e Commercio, con una brillante prospettiva di lavoro nella storica ditta della sua famiglia. A metà studi circa, si accorge che le materie che ha sempre studiato con interesse non riescono più ad attrarlo come una volta. Sente che la sua vita sta perdendo in vitalità e la prospettiva della carriera, in cui sin da piccolo si è proiettato, non riesce più a farlo sognare come una volta. Sente che la sua vita sta perdendo sapore e non sa come reagire a questo disagio. Nemmeno negli amici che frequenta, tutta brava gente come lui, riesce a trovare conforto. Loro attribuiscono il suo malessere alla classica crisi da università, che viene a tutti quando ti accorgi che hai passato tutta la tua vita sui libri senza produrre nulla di concreto. Una volta, tornando a casa dopo una serata come tante, improvvisamente gli torna alla mente una scena di quando era piccolo, durante l’ora del catechismo, mentre tutti i suoi amichetti facevano baccano e lui invece si sforzava di immaginare come Dio avesse potuto creare l’universo in sei giorni. Un’immagine che lo fa sorridere e gli lascia nel cuore una sorta di nostalgia per quella curiosità rimasta irrisolta. Nel mese successivo incontra per caso fuori casa don Claudio, il vicario parrocchiale della sua parrocchia, che praticamente l’ha visto crescere. Don Claudio, prima di congedarsi, lo invita ad un gruppo biblico giovanile e Filippo con spontaneità inaspettata accetta la proposta. Si riavvicina così progressivamente al suo ambiente parrocchiale, che aveva lasciato dopo la Cresima. Frequentando il gruppo di lectio biblica settimanale sente crescere in lui la necessità di curare di più i suoi momenti di preghiera personale. Scopre con gusto come la Parola parla di lui, della sua vita e ne rimane affascinato. Sente il bisogno di approfondire il suo rapporto con il Signore e incomincia a pregare quotidianamente. Pian piano, parlando con don Claudio, superate le paure iniziali, comincia ad emergere una certa attrattiva per la vita sacerdotale. Se non altro, come una possibilità tra le tante.
Subito però una prospettiva del genere lo spaventa: come affrontare i genitori? Come dirlo agli amici? E poi che ne sarà del lavoro promettente che ormai si sta concretizzando nelle sue mani? Com’è possibile che Dio voglia proprio questo da lui? Tutti questi dubbi lo assalgono e lo lasciano sfinito. Così decide di portare a termine gli studi dell’università, per non lasciarli incompiuti e con l’intento di prendersi un tempo disteso per il discernimento. Dopo questa decisione, alcuni segni garantiscono che le cose stanno procedendo con ordine: pur con una certa elasticità, Filippo riesce a conciliare studio e preghiera; il suo vissuto quotidiano entra sempre più spontaneamente nella preghiera. Ogni tanto capita ancora qualche momento di crisi, che però gradualmente viene superato.
Al termine degli studi, il suo sguardo è decisamente orientato al Signore più che ai suoi progetti, anche se ancora sente di non avere le idee ben chiare sul suo futuro. Sente con chiarezza che vuole servire il Signore, ma non sa in che forma. Anche perché, nel frattempo, tra le persone del gruppo biblico, Filippo ha notato una ragazza verso la quale si sente attratto. Sonia ha un anno in meno di lui e sta per laurearsi in lettere. È riservata e seria, impegnata in alcune attività della parrocchia, che svolge con convinzione e dedizione. Diventano amici e confidenti, scoprendo di avere tante cose in comune, seppure con diverse sensibilità.
Inizialmente Filippo non dà peso a quello che prova per Sonia, considerandola essenzialmente come una cara amica. Man mano che passa il tempo, però, si accorge che il suo pensiero cade sovente su di lei e spesso inventa scuse banali pur di incontrarla. È innamorato cotto. Ha la netta sensazione che la sua vita possa essere felice con lei accanto. Tuttavia, Filippo preferisce non dichiararsi apertamente a Sonia, perché sente l’esigenza di fare maggiore chiarezza. L’unica certezza che ha è che il suo cuore sembra essere diviso tra le due alternative e questo lo intristisce. Don Claudio, attento al suo cammino vocazionale, intuisce che è il momento di proporgli un corso di esercizi spirituali ignaziani, che possano aiutarlo a guardare quanto si muove dentro di lui.
Filippo accoglie di buon grado la proposta di don Claudio: si tratta di una nuova esperienza e per come gli è stata presentata sembra il luogo giusto per prendere una decisione. Non vede l’ora di iniziare questi esercizi, anche se tutto quel silenzio un po’ lo spaventa. “Come farò a passare una settimana in completo silenzio?” pensa tra sé, mentre si reca nella casa di esercizi. Nonostante questo, la voglia di fare chiarezza è tanta. Inizia così questa esperienza con disponibilità e desiderio vivo di scoprire la volontà di Dio sulla sua vita. La guida degli esercizi non si stupisce nel constatare la situazione complessa del giovane, man mano che Filippo gliela racconta. Anzi, pur senza dirglielo, è contento che il giovane si trovi di fronte ad un’alternativa così forte, perché è convinto che una scelta vocazionale può maturare in modo più vero e autentico quando si configura come una scelta tra due alternative positive e possibili. Gli suggerisce così di portare la relazione con Sonia nella preghiera e di lasciare che la Parola lo interpelli.
Filippo, nei giorni successivi, dopo ogni ora di preghiera annota sul suo quaderno i pensieri e le emozioni riguardo al suo rapporto con Sonia. Da quanto scrive, emerge che sta vivendo questa esperienza di innamoramento come una cosa bella, piena di poesia e di trasporto, senza sensi di colpa o di tradimento rispetto alla prospettiva sacerdotale. Ma si accorge anche che questa storia non ha mutato la prospettiva di una vita sacerdotale. Infatti, a volte Filippo si sorprende a fantasticare sul suo futuro, vedendosi impegnato in ministeri sacerdotali più che in una famiglia: annuncio della Parola, confessioni, accompagnamento…
Riguardando i suoi appunti, Filippo nota a riguardo una cosa interessante: quando questi pensieri si affacciano nella sua mente, di Sonia non vede neppure l’ombra. Quando invece si pensa accanto a lei, impegnato in parrocchia, il suo progetto iniziale rimane sempre sullo sfondo. Eppure, pensando a Sonia sente che il suo cuore è infiammato d’amore. Visto l’atteggiamento disponibile di fondo del giovane, il suo equilibrio davanti ai due modi possibili di servire il Signore (pur nella profonda diversità di risonanza delle due ipotesi), la guida intuisce che è tempo di avviare i preparativi dell’elezione, in un clima di preghiera più intenso.
Durante un’adorazione serale, Filippo prega chiedendo insistentemente al Signore cosa vuole da lui. L’immagine del volto dolce di Sonia continua ad apparirgli davanti e lui è mosso da grande trasporto; nella sua mente affiora il ricordo della prima volta in cui l’ha incontrata nel gruppo e si sente riempire di una consolazione pacificante. Al termine, rileggendo quanto è avvenuto nel suo cuore, riconosce come il Signore l’ha visitato e si rende conto che è pieno di gratitudine per il dono di aver incontrato Sonia. Ora vede ancora davanti a sé il suo viso, ma qualcosa è cambiato. Nonostante che il suo pensiero e i suoi affetti siano rivolti ancora alla ragazza, nell’intimo avverte che il suo sguardo verso di lei è cambiato, perché scopre che il suo cuore è infiammato d’amore per il Signore. Il senso di leggerezza che prova gli conferma che la decisione è finalmente avvenuta.
Dopo aver terminato gli esercizi, nelle settimane successive, Filippo, pur avvertendo che davanti a Sonia non è un pezzo di legno, si rende conto che la scelta di dedicare la sua vita interamente al Signore si configura sempre più come compimento, che conferma l’intera sua vita come storia di vocazione. E con il passare del tempo, la fiamma che si era accesa per Sonia a poco a poco si affievolisce e non costituisce più un’alternativa per la sua scelta. Ora Filippo si trova in Seminario e sembra molto contento della strada che ha intrapreso.
SINTESI
Come premessa al nostro lavoro, abbiamo constatato come quella degli esercizi spirituali sia un’esperienza che almeno una volta nella vita ciascun membro del gruppo ha vissuto.
Questa constatazione ci ha consentito di muoverci lungo una duplice linea:
1) abbiamo potuto condividere le nostre esperienze personali concrete, evitando di ragionare su modelli astratti inesistenti;
2) abbiamo sin da subito applicato uno dei principi basilari della pedagogia ignaziana e cioè la rilettura dell’esperienza, fatta in chiave vocazionale.
Senza poi dimenticare che lavorare attorno ad un’esperienza comune ha significato lavorare realmente insieme, perché ciascuno ha potuto portare il proprio contributo.
Abbiamo suddiviso il tempo a nostra disposizione in tre momenti.
– In un primo momento abbiamo esplorato il tema del nostro laboratorio attraverso un doppio brainstorming, attraverso il quale ciascun membro del gruppo è stato invitato a pensare singolarmente tre parole connesse con il termine “esercizi spirituali” e “discernimento”. Le tre parole potevano essere associazioni di pensiero, emozioni o immagini. A partire da questo abbiamo cercato di trovare una definizione soddisfacente per dire che cosa sono gli esercizi spirituali e che cosa è il discernimento e il legame tra i due. Ne è emersa una curiosa verità: non è così scontato, nemmeno per religiosi che fanno gli esercizi ogni anno, che il discernimento è intimamente legato con gli esercizi spirituali. Forse perché il termine discernimento è stato in questi ultimi tempi un po’ troppo abusato e travisato. Pian piano abbiamo cercato di recuperare il suo vero significato, proprio a partire dagli esercizi fatti: abbiamo così riscoperto come fare discernimento non significhi prendere una decisione, e nemmeno prendere una decisione per il proprio bene, bensì “compiere una scelta in due”. Si tratta cioè di far entrare il Signore nella propria vita e lasciargli dire la sua Parola su di noi. Si tratta, quindi, di “permettere” al Signore di decidere, insieme con me, della mia vita.
Questa, a mio avviso, è una definizione semplice e bella, perché spazza via eventuali ambiguità con cui è usato il termine: non è una decisione che prendo da solo, ma non è neanche indovinare la volontà di Dio. Piuttosto è un costruirla insieme. Quello che spesso dimentichiamo è che non esiste discernimento senza preghiera, perché non è qualcosa da capire con la testa, ma è piuttosto una verità da sentire con il cuore. Il nostro padre Ignazio era convinto che Dio parla direttamente al cuore dell’uomo, il quale è creato in modo tale da poter ascoltare la sua Parola. La piccola conferma di questo è che noi siamo naturalmente inclinati a ricercare uno stato di consolazione, piuttosto che la desolazione. È così che ha raccolto nel suo libretto di esercizi tutti quei suggerimenti che a lui sono stati utili per liberarsi dai suoi affetti disordinati e predisporsi a fare la volontà di Dio per la salvezza della sua anima.
Ci invita, allora, ad utilizzarli nella misura in cui sono utili anche a noi per incontrare intimamente il Signore. Chiarito questo, abbiamo riportato alla memoria le strutture fondamentali del metodo ignaziano di esercizi, che fa del discernimento degli spiriti la componente fondamentale. L’uomo è, infatti, un campo di battaglia in cui si agitano voci diverse: quella di Dio, quella del “nemico” e la propria, che in ogni situazione, ascoltando le prime due, si inclina e decide di seguirne una scartando l’altra.
– Nel secondo momento abbiamo analizzato un caso concreto di discernimento vocazionale fatto attraverso gli esercizi. Da qui sono emerse alcune considerazioni da tenere presente per il fine del nostro laboratorio: innanzitutto gli esercizi non sono un’esperienza a cui tutti sono chiamati, ma solo una delle tante modalità che la Chiesa offre per incontrare il Signore nella verità. Poi, il discernimento non si fa con un corso di esercizi! Ma è un processo che si distende nella storia della persona che vuole scoprire la sua vocazione.
Gli esercizi sono dunque “solo” una tappa, che permette di acquisire un metodo spirituale per distinguere le mozioni del cuore, ma che deve essere poi applicato con pazienza nella vita quotidiana, perché è lì che il Signore parla realmente! E qui emerge il requisito fondamentale degli esercizi ignaziani, che è quello di portare nella preghiera la propria vita, fatta di successi e di fallimenti, per scoprire che il Signore vuole davvero prendere tutto di noi e trasformarlo in bene, per noi e per gli altri. Ed in questo il Vangelo non è altro che un libro di istruzioni, che i primi discepoli hanno scritto per noi. Da qui l’importanza di pregare attraverso le Scritture.
– Nell’ultimo momento, infine, ci siamo chiesti come l’itinerario degli esercizi possa essere inserito nella pastorale ordinaria della Chiesa locale. Una prima considerazione riguarda il fatto che la natura “artificiale” del tempo degli esercizi, uniti al fatto che non tutte le persone sono predisposte ad essi, li rende un’esperienza di pastorale “straordinaria”. D’altra parte è pur vero che negli itinerari educativi di una parrocchia possono essere previsti dei percorsi che promuovano l’esperienza degli esercizi tra i giovani, seguendone poi le evoluzioni attraverso forme di accompagnamento spirituale. Essendo, come abbiamo detto, il discernimento un processo che si distende su un arco di tempo che deborda dagli esercizi, l’accompagnamento spirituale in parrocchia diventa realmente il naturale spazio che garantisce continuità a questo processo.
Per esempio, la lectio divina che abitua a pregare partendo dalla Sacra Scrittura è un ottimo strumento per far entrare la vita quotidiana della gente nella preghiera, oltre che abituare all’utilità del silenzio come strumento per ascoltare le voci che si agitano nel cuore. Ci viene forse spontaneo dire che le Scritture interpretano la nostra vita; ci riesce invece più difficile ammettere che, al contrario, la nostra vita può spesso chiarire qualche passo delle Scritture. Imparare a rimanere dentro questa circolarità aiuta a comprendere davvero come il Signore agisca nella propria storia personale. Anche predisporre cammini per giovani, che prevedano la stesura di una regola di vita personale, può aiutarli a scoprire come la fedeltà del Signore nella loro vita fonda la loro stessa capacità di essere fedeli. O ancora, impostare laboratori di crescita umana può essere utile per incoraggiare i giovani a dar voce ai loro desideri. Una delle maggiori difficoltà, oggi, non è la scarsa disponibilità dei giovani, ma la loro incapacità di esprimere desideri… Del resto, il desiderio è il materiale preferito dal Signore per comunicare la sua volontà. Da qui anche l’importanza di imparare a “chiedere al Signore ciò che desidero” per arrivare a “desiderare ciò che chiedo”, un gioco di parole caro ad Ignazio che disegna la polarità lungo la quale matura lentamente una fede adulta, intesa come rapporto autentico con il Risorto.
Un utile espediente può essere quello di abituare i giovani a pregare con i Salmi, invitandoli a personalizzarli, “ridicendoli” con parole loro. Si tratta, in fondo, di invitarli a far scendere la preghiera dalla testa al cuore. Probabilmente alcune di queste proposte vengono già attuate nelle parrocchie: in questo caso, prendere consapevolezza che quanto si sta già facendo può essere unificato negli esercizi come mezzo di discernimento vocazionale, può incoraggiare molti sacerdoti ad invitare i giovani a fare gli esercizi, uscendo dal pregiudizio che gli esercizi riguardano solo i religiosi.
2. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NELL’ESPERIENZA DEL SERVIZIO
a cura di sr. Elena Ronchi
Siamo partite, per il lavoro di questo laboratorio, dalla esperienza della pastorale giovanile che si svolge nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, comunemente chiamata “Cottolengo” dal nome del suo santo fondatore, cercando di sintetizzare un possibile itinerario vocazionale. È indispensabile proporre e vivere con i giovani l’esperienza del servizio che diventa essenziale in un cammino vocazionale. Infatti possiamo affermare che il servizio è parte integrante dell’identità cristiana e occasione di crescita umana e spirituale. L’incontro con il mondo dei sofferenti diventa per tanti giovani l’incontro con la verità dell’uomo e, in fondo, con la realtà di se stessi: frammentarietà del vivere, dispersione, limite dell’esistenza. Allo stesso tempo nell’incontro con i poveri, i malati, i disabili, gli anziani… i giovani sperimentano che la gioia di vivere non è soffocata dal limite (io non sono il mio limite!), che il vivere ha senso anche nella sofferenza (i poveri, in questo ci sono davvero maestri).
Nell’incontro con il povero, il giovane scopre in sé energie nuove, capacità di servizio, attenzione, ascolto, pazienza… fa esperienza della gioia legata al dono di sé (gioia = il “di più” di chi dice: ho ricevuto più di quanto ho dato!). Sono nella gioia se vivo donandomi. In molti giovani emerge l’interrogativo che manda un po’ in crisi: qual è la forza che rende possibile tutto questo? …che cosa rende vivibile con senso anche la mia vita? Se questa domanda non viene soffocata (per paura? perché non c’è nessuno con cui condividerla?), può essere l’occasione per trasformare l’esperienza in cammino, per innestare in questi percorsi di servizio serie motivazioni di fede e scelte radicali di vita.
Il rischio a volte può essere quello di vivere esperienze di servizio, momenti forti di spiritualità come parentesi e frammenti, uno accanto all’altro, senza che diventino “storia”, “cammino”. Il compito della pastorale vocazionale “attraverso” il servizio è forse proprio quello di aiutare i giovani:
– a riflettere sulle esperienze vissute accanto ai poveri, rielaborando in modo riflesso le esperienze fatte – alla luce della Parola di Dio – perché non rimangano solo a livello emotivo;
– a lasciarsi interpellare dalla Parola di Dio e dai fratelli, per vivere la propria vita come risposta ad una chiamata;
– a integrare vita e preghiera: portare il vissuto davanti a Dio e Dio nel proprio vissuto…
È auspicabile quindi che i progetti pastorali parrocchiali propongano un cammino di fede completo ed integrale (a partire dagli itinerari iniziali della catechesi): annuncio, preghiera e servizio.
SINTESI
Dalle diverse esperienze raccolte nel laboratorio, ci sembra di poter suggerire alcune indicazioni e strategie pastorali nella realizzazione di un campo-servizio.
Nella prima giornata ci si introduce nel “clima spirituale” che caratterizzerà l’esperienza, attraverso la meditazione di un brano biblico (ad esempio quello del “buon samaritano”), che potrà diventare chiave di lettura del senso del servire (che non è solo “fare”) e dello stile del servizio, nella realtà in cui verrà vissuta l’esperienza. Le altre giornate prevedono alcuni “appuntamenti” fissi:
– la preghiera, che segna il ritmo di ogni giornata: Lodi, Messa, Vespri, Compieta;
– il servizio concreto (agli anziani, ai disabili fisici e mentali, agli ammalati terminali o alle suore ammalate). Il servizio comprende: la cura della persona, il riordino degli ambienti di vita, vivere insieme momenti di festa, di preghiera e di attività manuali. Essenziale, nel servizio, è mettersi accanto a questi nostri fratelli e sorelle, essere lì per loro;
– i momenti “formativi” (aspetti del carisma della Congregazione, pagina biblica,…), in cui i giovani sono invitati a confrontare la propria vita e l’esperienza che vivono nel servizio con quanto è stato loro proposto (da qui anche la possibilità di un confronto personale con gli animatori, che a volte è l’inizio di un accompagnamento spirituale);
– i momenti di vita fraterna fra i giovani stessi, gli animatori e le persone a cui è rivolto il servizio.
Verso la fine dell’esperienza una giornata di “deserto” potrebbe aiutare a fare il punto del cammino.
L’esperienza di servizio dovrebbe avere una durata tale (circa 15 giorni) da permettere di “provarsi” nell’entusiasmo, ma anche nella fatica del dono di sé, quando si “assaggiano” una certa routine del servizio, le difficoltà e la stanchezza.
Perché tale esperienza diventi parte del cammino di fede personale è importante proporre durante l’anno momenti (ritiri mensili, ritiri di tre giorni, settimane di spiritualità…) in cui i giovani possano:
– approfondire quanto hanno vissuto nell’esperienza del servizio alla luce della Parola di Dio;
– mettere a fuoco le domande e i desideri di bene che si portano dentro;
– verificare e impostare il proprio quotidiano (è qui che ciascuno è chiamato ad accogliere il Signore nel proprio modo di pensare, amare ed operare).
Altre esperienze di servizio
Oltre quella cottolenghina, presentata all’inizio del laboratorio, menzioniamo, fra le tante, altre esperienze di servizio che possono diventare stimolo per la pastorale vocazionale. A Brescia è stata realizzata un’esperienza estiva di servizio (carità e vocazione) coordinata e seguita dai membri dell’équipe del CDV.
È risultata positiva l’esperienza realizzata come realtà diocesana e intercongregazionale, in cui congregazioni diverse, presenti nella stessa diocesi, hanno cercato di mettere insieme idee e risorse. Positiva anche l’opportunità offerta ai giovani di incontrare comunità religiose aperte e accoglienti, che facciano loro sperimentare la dimensione della fraternità, della preghiera e del servizio nella quotidianità della vita ordinaria.
Un fecondo esempio di collaborazione tra Chiesa locale e vita consacrata si sta inoltre realizzando attraverso la presenza di numerosi gruppi di seminaristi, che per un periodo di 3 o 4 settimane si impegnano in una realtà di servizio ai più poveri (per es. al Cottolengo, nelle Case di don Orione…). Questo crea una sensibilità al servizio che potrà diventare attenzione pastorale nei luoghi in cui i futuri sacerdoti si troveranno ad operare. Alcuni giovani, infatti, fanno esperienza forte di servizio e iniziano un cammino di discernimento vocazionale, perché sollecitati dai sacerdoti della loro parrocchia/gruppo/scuola… che, a loro volta, ne hanno fatto esperienza diretta . Molti di loro, se accompagnati, riescono ad essere attenti e sensibili alle povertà locali assumendosi impegni responsabili e duraturi.
Concludo dicendo che queste sono solo alcune delle esperienze emerse nel laboratorio e, a detta di tutto il gruppo, un primo frutto del Forum è quello di portarsi a casa la ricchezza di una condivisione di esperienze e di vissuti.
3. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NELLA SCUOLA
a cura di P. M. Simone Giannicola, barnabita
Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime di pioggia. È tempo di morire. […] Io non so perché mi salvò la vita, forse in questi ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata, non solo la sua vita, la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevamo erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo, dove vado, quanto mi resta ancora. Non ho potuto far altro che restare lì e guardarlo morire.(Da Blade runner:la ricerca dell’io. La necessità di una memoria e di un futuro).
Premessa
La scuola è il luogo per eccellenza della memoria e del futuro nel presente dello studente. Ogni percorso vocazionale è la ricerca nell’oggi del proprio futuro, che si costruisce nella memoria della storia della salvezza. Come aiutare lo studente in questa ricerca?
Situazione attuale
Conoscenza, presentazione della propria esperienza e attese. Questa fase di brainstorming è importante per creare comunione e verificare se siamo ancora in una concezione di animazione vocazionale come reclutamento, quindi esterna al mondo della scuola, che ha delle sue caratteristiche proprie. Personalmente mi attendo di poter rielaborare il mio modo di pastorale vocazionale nella scuola.
Definizione del contesto
La scuola non è la parrocchia né un movimento o altro. Spero non sia ancora in vigore «la prassi di approfittare dell’amicizia di pie maestre per andare nelle scuole elementari a “parlare delle missioni”, per finire lasciando ai ragazzi cartoline di adesione a “campi scuola vocazionali”» (Vocazioni 4,1994). La scuola non è il luogo dove l’insegnante, anche quello di religione, agisce come un catechista per parlare dei valori cristiani e della vita come vocazione. Nella scuola si agisce come docenti e con il metodo della scuola.
La scuola è il luogo per eccellenza dove si formano le persone ad un approccio intellettuale del patrimonio culturale, per insegnare loro come affrontare il futuro. La scuola interpella la fede affinché impari a comunicarsi non come testimonianza di esperienza di vita, bensì come testimonianza dell’intelligenza che sa dire la fede (cf discorso fede/ragione, così caro a Benedetto XVI, in particolare il dialogo con i giovani di Roma lo scorso anno). E tutto ciò costa fatica, non è ancora parte del nostro modo di pensare e agire: basti osservare che in 25 anni della rivista Vocazioni solo un numero è stato dedicato all’animazione vocazionale nella scuola e poi nessun altro articolo.
Per una vera, buona e bella animazione pastorale è importante e necessario conoscere il contesto epistemologico della scuola: siamo chiamati a conoscere la vocation o mission della scuola. Questi due termini, ormai comuni al linguaggio imprenditoriale, sono entrati anche nel definire il fare e l’essere della scuola (CORRADINI alla Fidae 2006) e capite bene che cosa possono evocare in questo nostro discutere!
Oggi la vocazione/missione della scuola non è più semplicemente quella di riempire di nozioni lo studente, quanto quella di educarlo ad essere una persona, attraverso una formazione intellettuale. Quando i programmi ministeriali affermano la centralità della persona come obiettivo principale del “fare scuola” comprendete bene quale spazio di animazione vocazionale sia dato ai credenti che lavorano nella scuola. L’animatore vocazionale è chiamato a fare suoi i programmi scolastici e a rielaborarli non solo perché trasmettano delle verità, ma anche perché stimolino alla ricerca della verità di sé e del cosmo. Nella scuola c’è la più grande opportunità di fare proprio il sapere per formare al gusto del sapere, per educare alla conoscenza di sé e del cosmo. Perciò la prima animazione vocazionale va proposta al sistema scuola.
Il rapporto UNESCO del 1973 recitava: «Ai sistemi scolastici si deve chiedere di insegnare a vivere, insegnare ad imparare in modo da poter acquistare nuove conoscenze durante la vita, insegnare a pensare in modo libero e critico, insegnare ad amare il mondo e a renderlo più umano, insegnare a realizzarsi nel lavoro». Più tardi, Jacques Delors, nel suo rapporto UNESCO, Nell’educazione un tesoro, ha sintetizzato questi compiti parlando di “quattro pilastri” dell’educazione scolastica: “imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere”. Si dà qui rilievo autonomo al vivere insieme e si ripropone l’essere come prospettiva radicale, che rinvia all’interiorità. Potete ben comprendere che se l’ani-matore vocazionale possiede questi pilastri, se forma i propri docenti o i colleghi di scuola a questi riferimenti, ha già impostato un bel piano di animazione vocazionale. In questo progetto emergono dei testimoni: i docenti; si riconoscono delle proposte: i saperi; gli studenti scoprono la propria coscienza.
Qualcuno potrebbe obiettare che l’animazione vocazionale rischia in questo modo di essere troppo astratta. Io rispondo che nostro compito non è creare vocazioni, bensì offrire un metodo e degli strumenti per “educare alla vocazione”. Le vocazioni sono generate dallo Spirito santo. Paolo VI, in un suo discorso, diceva a dei maestri cattolici che non avrebbero potuto scegliere, dopo quello del sacerdozio, un modo di vita migliore per servire l’umanità e aveva bene in mente la possibilità dei maestri non di insegnare le preghiere, bensì di educare alla vita.
Finalità, metodo e strumenti
La finalità di lavoro per una buona animazione vocazionale in una scuola sarà perciò quella di riconoscere obiettivi e contenuti mirati all’educazione dell’alunno e alla formazione della sua vita (come dono dato e come dono che si dà). Successivamente si è chiamati a coinvolgere le diverse discipline affinché possano sviluppare un metodo attivo che porti al coinvolgimento diretto dei docenti, perché riescano a declinare nei diversi contenuti didattici quegli aspetti legati alla comprensione dell’uomo come dono. È chiaro come tutto ciò richieda un lavoro di sinergia tra animatore vocazionale della scuola e corpo docenti, per creare sintonia e far sì che la proposta della vita come vocazione non sia qualche cosa di semplicemente esterno, “roba da preti”, ma un modo nuovo di intendere la vita, una preoccupazione comune nell’educare e formare. Tutto questo non esclude il fatto che l’animatore vocazionale possa poi proporre metodi e strumenti“classici” agli studenti al di fuori dell’orario scolastico.
Attori
Si evince da tutto ciò come l’attore che è chiamato fare animazione vocazionale sia il singolo animatore, che l’istituzione pone nella scuola, e l’insieme dei docenti in collaborazione con l’istituzione. Si crea così una rete di attenzione allo studente, capace di comprendere la pluralità dell’esperienza vocazionale. Non si può poi dimenticare la centralità dello studente, che diventa partecipe del proprio cammino di formazione e di crescita, nella consapevolezza dell’impegno che una risposta richiede.
Verifica
Se la verifica va fatta sul numero di vocazioni che una scuola ha fatto fiorire nel giro di 5 anni si capisce come ciò sia assolutamente impossibile. Una verifica va fatta sul modo in cui animatore vocazionale e docenti collaborano e sul modo in cui si è stati capaci di raggiungere gli obiettivi e trasmettere i contenuti proposti.
SINTESI
– Non presentiamo un progetto perché troppo diverse le tipologie della scuola che rappresentano i partecipanti al laboratorio.
– Partiamo da una denuncia: la maggior parte di voi, presenti al Forum, lavora quotidianamente con giovani che ogni giorno vanno a scuola, ma ben pochi vi siete preoccupati di questo ambito che ci permetterebbe di incontrare ogni giorno tanti più giovani di quanti ognuno di voi ne incontra nelle proprie attività.
– Siamo consapevoli di dover aggiornare la nostra proposta evangelizzatrice; siamo consapevoli della necessità di metterci in gioco e forse la scuola, più di altri ambiti, mette continuamente in gioco. In essa, infatti, siamo chiamati a trasmettere il sapere con la sapienza di Dio; siamo chiamati ad entrare con intelligenza nei saperi da trasmettere.
– Nella scuola siamo chiamati a preparare il terreno per le grandi scelte della vita futura del giovane, sin dalla più tenera età. La missione della scuola è formare le generazioni di domani, aiutarle a scoprire la propria vocazione alla vita.
– La scuola non può fare catechesi o semplicemente insegnare delle preghiere. La scuola è il vero luogo della memoria che si fa presente, per diventare futuro. La scuola è il luogo dell’eschaton – permettete questo riferimento – che troppo spesso dimentichiamo. La scuola – cattolica o statale – è la sfida per eccellenza della possibilità vocazionale, perché i giovani hanno sete, hanno voglia di luce.
4. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NEL SERVIZIO ALLA PAROLA
a cura di Carmela Sanseverini, Missionaria del Vangelo
L’Istituto Secolare delle Missionarie del Vangelo, che fonda la propria spiritualità sulla Parola di Dio, in modo particolare sul Vangelo, in cui trova la sorgente, la dinamica, il fine (art Cost. 6), ha inteso elaborare un itinerario di discernimento e di orientamento vocazionale a partire dalla Parola di Dio. Il progetto, se da un lato nasce dall’esigenza di far conoscere il carisma specifico, dall’altro si pone come autentico servizio a Dio, alla Chiesa e ai giovani che sono alla ricerca del significato profondo da dare alla loro vita.
Non a caso, fin dalla prima stesura del progetto, le Missionarie del Vangelo, e in modo particolare le animatrici vocazionali, sono state invitate ad inserirsi nei centri vocazionali diocesani e in quelli della pastorale giovanile per apportarvi il loro contributo. In alcune realtà le Missionarie sono state elementi dinamici e propositivi nell’animare la vita e le iniziative dei CDV.
MAESTRO DOVE ABITI?
Il titolo del nostro progetto, indica il cammino che ogni figlio di Dio deve portare a termine prima di comprendere il sogno che Dio ha per lui. Tale cammino si realizza in tre momenti:
1) INCONTRO nel Vangelo con Gesù di Nazareth, Verbo incarnato, perché il giovane possa conoscere il Padre e trovare in Cristo la salvezza.
2) ASCOLTO attento del Vangelo perché il giovane possa:
– scoprire se stesso e, attraverso la conoscenza di sé, raggiungere l’equilibrio interiore;
– verificare la corrispondenza fra sé ed il progetto di Dio;
– acquisire una positiva conoscenza della propria vocazione
3) CONOSCENZA:
– delle diverse categorie vocazionali presenti nella Chiesa;
– degli Istituti Secolari, per quei giovani che sentono di volere approfondire maggiormente tale realtà;
– Conoscenza dell’Istituto Secolare delle Missionarie del Vangelo.
FASI DEL PROGETTO
Obiettivo generale
Acquisire consapevolezza del progetto di Dio su di sé attraverso:
a) la conoscenza di sé e la rilettura della propria storia alla luce della Parola di Dio;
b) la riscoperta della vita come vocazione all’amore e del Battesimo come chiamata da parte di Dio;
c) la conoscenza delle varie vocazioni presenti nella Chiesa;
d) la conoscenza della spiritualità francescana.
Metodo
1. Incontri interpersonali.
2. Incontri comunitari.
3. Incontro-preghiera con il Vangelo, rilettura del testo evangelico in rapporto a se stesso: come sono, come devo essere.
4. Itinerari di spiritualità vocazionali periodici;.
5. Corsi di spiritualità.
6. Veglie di preghiere.
7. Itinerari di spiritualità francescana.
8. Cenacoli del Vangelo.
Contenuti
– Tematica Vocazionale proposta dal CNV.
– La vocazione nella Bibbia.
– Lo Spirito Santo datore d’ogni dono nella Chiesa.
– Elementi fondanti le varie vocazioni nella Chiesa.
– Elementi caratteristici degli Istituti Secolari.
– Elementi specifici dell’ISMV.
– Maria, modello di ogni vocazione.
– Elementi di spiritualità francescana.
Verifica
– Colloqui periodici con la missionaria responsabile dell’accompagnamento.
– Colloqui periodici con il sacerdote che segue il gruppo
Responsabili
Membri della commissione d’orientamento vocazionale scelti dal Consiglio Generale.
Tempi di attuazione
Ordinariamente almeno due anni
DOMANDE
– In quale aspetto, secondo te, il presente piano risulta carente o non adeguato alla tua realtà locale? Come lo cambieresti?
– Tale piano ha tutti gli elementi per aiutare il giovane a comprendere la propria vocazione?
– Come si può inserire questo progetto in un CDV o CRV ?
SINTESI
È stato esposto il progetto vocazionale dell’Istituto Secolare delle Missionarie del Vangelo, che abbiamo esaminato insieme in tutte le sue parti: obiettivi, metodo, contenuti, verifica, responsabili, tempi di attuazione. Ci è stato chiesto di dire il nostro parere sulla validità del progetto e se questo poteva essere adattato nelle nostre realtà locali, al servizio dei CDV; ci siamo interrogati anche se in esso vi fossero tutti gli elementi per aiutare i giovani a comprendere la propria vocazione. Ne è scaturito un dialogo interessante arricchito da racconti di esperienze personali legate all’approccio con la Parola. Nel progetto, infatti, compare in maniera forte lo stile della lectio divina: lettura, spiegazione, commento, attualizzazione (cioè vita vissuta della Parola, dicendo come e se è stata interiorizzata), e infine la preghiera. Alcuni di noi hanno rilevato che il progetto nel suo insieme è più che valido, ma, ovviamente, va adattato ai contesti particolari, osservando e specificandone i destinatari, in base all’età e al retroterra religioso.
All’interno del metodo, è stata rilevata l’importanza degli incontri personali ai fini di una continuità tra un incontro e l’altro e dell’accompagnamento spirituale del giovane. Alla domanda su come vengono fatte conoscere le varie vocazioni presenti nella Chiesa, è stato spiegato che, per conseguire questo obiettivo, vengono invitati a illustrare e testimoniare il proprio stato di vita le persone che la vivono direttamente. Alla richiesta su cosa significa nella metodologia la voce “cenacolo del Vangelo” è stato spiegato che si tratta di incontri sulla Parola di Dio per ascoltare, capire, interiorizzare, attualizzare e vivere la Parola, in un clima di fraternità e di comunione.
Per quanto riguarda i contenuti, è stato osservato che quelli specifici dell’Istituto dovranno essere sostituiti con quelli delle singole realtà locali. Il progetto, quindi, nel suo insieme è ritenuto valido perché consente un approccio ai giovani a partire dalla Parola di Dio. Dalle testimonianze di persone che lavorano nel settore catechistico e scolastico, infatti, è emerso che c’è una grande richiesta di Parola di Dio da parte dei giovani. Si è sottolineato, però, che è fondamentale il ruolo di chi guida all’incontro con la Parola, perché esso deve portare l’interlocutore a incontrarsi con una persona viva, cioè Cristo: perché questo avvenga, è necessario che chi guida abbia fatto esperienza di Cristo, Parola incarnata, nella propria vita, oltre ad avere una preparazione adeguata. Egli deve essere in grado di suscitare in chi l’ascolta la domanda fondamentale di senso e la fame e sete della Parola.
Occorre la circolarità tra il testo, la persona e la storia; diversamente, la Parola rimane sterile. È stato anche fatto notare che fa molta presa sui ragazzi e sui giovani di oggi lo stile della narrazione e la conoscenza dei personaggi biblici; inoltre, alcune esperienze di distinzione di gruppi, maschili e femminili, in alcune circostanze hanno dato buon frutto.
5. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NELL’ORATORIO
a cura di don Valerio Baresi, Salesiano
Quando si parla di Oratorio, immediatamente l’immaginario collettivo pensa a cortili, campi sportivi, ambienti per gioco e incontri formativi. In realtà l’Oratorio, prima di essere una “struttura” è un cuore, una passione educativa da portare ovunque. È poter dire ai ragazzi, con Don Bosco: “Mi basta che siate giovani, perché io vi ami assai!”, ed è dire a Dio: “Da mihi animas, cetera tolle!”. Per noi Salesiani l’Oratorio è il criterio con cui viviamo ogni attività (scuola, formazione, catechesi, opere missionarie, casa, famiglia…) e lo esprimiamo così nell’art. 40 delle nostre Costituzioni: Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo Oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria. Nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività ed opera. L’Oratorio salesiano è definito quindi da tutti e quattro i sostantivi scritti in grassetto. Se ne mancasse uno non ci sarebbe Oratorio!
Le ragioni di un progetto per l’Oratorio
La passione educativa di chi opera negli Oratori quotidianamente e il sistema preventivo di Don Bosco, che riconosce l’educazione come “cosa del cuore”, sono pilastri fondamentali dell’azione educativa, ma è inevitabile che i cambiamenti sociali e culturali rendano altrettanto fondamentale l’individuazione di una strada comune da percorrere. È rischioso, in ambito educativo, fidarsi del cammino improvvisato giorno per giorno, soprattutto quando la Comunità educante è ampia e le attività sono molto articolate. Per questo diventa indispensabile disporre di un progetto capace di generare veri e propri percorsi educativi che consentano di:
– pianificare scelte responsabili e qualificanti per crescere come persone capaci di comunione e come cristiani adulti nella fede;
– effettuare una verifica costante del cammino fatto e da farsi;
– diventare garanzia di continuità anche nel cambio delle persone coinvolte nell’impegno educativo
– abilitare tutti gli operatori, sia professionali che volontari, ad individuare il proprio ruolo educativo.
Inoltre i tempi sembrano ripresentare una situazione della condizione giovanile e dei fenomeni migratori, analoga ai tempi del primo Oratorio di Don Bosco a Torino. È in particolare il fenomeno dell’immigrazione, che coinvolge sempre di più anche i minori, a sottolineare la novità degli eventi e i cambiamenti. Il concetto di tempo libero è profondamente cambiato per i ragazzi: la scuola occupa spazi sempre maggiori, coinvolgendo gli studenti per tutta la giornata; la fruizione dei servizi formativi ed educativi viene vissuta in un sistema “mordi e fuggi”, dove l’Oratorio diventa uno dei tanti impegni nella fitta agenda settimanale dei ragazzi, col grave rischio di non consentire una graduale e profonda assunzione di valori.
Le convinzioni di base
Siamo di fronte ad un tempo storico particolare, un “kairos” carico di stimoli, di sfide e di attese, dentro il quale il Signore ci parla. Desideriamo cogliere le situazioni della vita (immigrazione, povertà, scarsità di vocazioni alla vita religiosa…) come “segni dei tempi” e “risorse”, non solo come problemi.
– Oggi un Oratorio animato di semplice buona volontà e con la porta sempre aperta non è più in grado di fronteggiare la situazione e di svolgere un’azione educativa. L’Oratorio, inoltre, non può limitarsi ad essere contenitore di attività, ma deve sentire come primaria la necessità di fare proposte concrete e divenire laboratorio formativo.
– Va cercato un dialogo che vede nel territorio una risorsa, uno spazio con cui confrontarsi e lavorare in rete.
– La semplice disponibilità di spazi non risolve alcune situazioni particolari (immigrazione, multiculturalità, disagio familiare) per cui nasce l’esigenza dell’assunzione e del farsi carico di alcune situazioni (i progetti mirati di prima accoglienza) da seguire con figure professionali.
– È indispensabile il recupero del cortile, un cortile ormai più ampio, che va al di là delle sale e dei campi da gioco, per comprendere tutti gli ambiti in cui si può fare prima accoglienza per i ragazzi.
– Il cammino educativo non si esaurisce nell’Oratorio. C’interessa la persona e la vita del giovane nella sua totalità ed unità di spirito, anima e corpo, cogliendo l’interezza del suo percorso di persona umana. Siamo quindi più preoccupati delle motivazioni di fondo che sostengono la sua vita, piuttosto che dei singoli episodi di successo o insuccesso educativo (…mi obbedisce, va a Messa, dice le parolacce, ecc.).
– Non si tratta di subire con rassegnazione un progetto che cala dall’alto, ma di avviare un processo di formazione che riceve vigore dalla vitalità spirituale della Comunità ecclesiale. È indispensabile interrogarsi sulla relazione fra pastorale giovanile e comunità ecclesiale, affinché i giovani possano confrontarsi con un autentico interlocutore. Il vero problema della pastorale giovanile è che troppo spesso la comunità ecclesiale è inesistente!
– È utile ricordare che questo cammino, proprio perché è orientato ad animare il clima di un ambiente, ha necessariamente le caratteristiche della gradualità (c’è un itinerario da percorrere), della continuità educativa (no alle improvvisazioni, no ai “battitori liberi”) e dell’armonia (accoglienza di limiti/handicap/diversità, colti come risorsa).
I criteri pastorali
Presentiamo sette criteri che dovranno essere tenuti sempre presenti dagli operatori per condurre il processo educativo dal punto di vista pastorale. Su questi sette criteri gli operatori dovranno confrontarsi spesso e verificarne l’attuazione.
1) All’Oratorio l’attenzione dell’accoglienza e della convocazione è per tutti i giovani: tutti sono chiamati a trovare il senso profondo e gratificante della propria vita; anzi proprio gli svantaggiati, i più poveri e gli abbandonati sono l’ambito privilegiato dell’impegno educativo. Conversione necessaria: passare da una pastorale che discrimina, emargina i deboli oppure privilegia le “élites” ad una pastorale che offre a tutti le stesse opportunità di crescita.
2) L’Oratorio convoca, cerca e accoglie i giovani nel nome di Gesù Cristo Signore, per aiutare ciascuno ad appassionarsi per la vita, scoprendo la propria vocazione e la profonda dignità dell’essere figlio di Dio. Conversione necessaria: passare da un atteggiamento di proselitismo o di concorrenza con altre agenzie aggregative o educative, ad un atteggiamento che presenta il Vangelo in tutta la sua capacità liberante e trasformante.
3) L’Oratorio è al servizio della crescita di tutto il popolo di Dio e si riconosce parte di un piano pastorale d’insieme. Conversione necessaria: passare da una pastorale frammentaria ad una globale e organica; da una pastorale “per” i giovani ad una “dei” giovani; da una pastorale che dà i sacramenti ad una pastorale missionaria, che evangelizza e che forma cristiani evangelizzati ed evangelizzatori.
4) L’Oratorio è attento a far sì che ogni attività educhi i giovani ad essere a servizio della comunità ecclesiale ed umana, affinché i giovani stessi possano essere consapevolmente orientati alla trasformazione cristiana della società. Conversione necessaria: passare da una pastorale di “indottrinamento” ad una pastorale di ricerca e contemplazione comunitaria della presenza di Dio nella storia, una pastorale di contemplazione profetica e di incarnazione a servizio degli uomini.
5) L’Oratorio propone ai giovani attività proporzionate alle loro possibilità reali, in modo che tutti e ciascuno abbiano l’occasione di dare solo e tutto ciò che possono. Viene così stimolata la fiducia in se stessi e valorizzato il contributo di ognuno per la propria crescita personale. Conversione necessaria: passare da una pastorale improvvisata ad una ragionata, pianificata, intenzionale; da una pastorale autoritaria, disattenta alle condizioni di ogni persona ad una pastorale in cui ogni persona è accolta nella sua stupenda e irripetibile unicità; da una pastorale carica di pregiudizi sui deboli, ad una pastorale che si lascia evangelizzare da poveri e svantaggiati.
6) All’Oratorio la formazione avviene nell’azione e mediante l’azione: ogni azione evangelizza i giovani che la vivono grazie all’elaborazione, alla preparazione, alla decisione motivata di viverla, alla realizzazione e alla verifica che esige. Sono formativi tutti i valori d’impegno personale e comunitario richiesto dalle attività. Conversione necessaria: passare dalla sicurezza del “fare da sé”, o del “dettare” come si fa, al rischio della ricerca e della responsabilità condivisa; dall’efficientismo alla pazienza che la vera educazione esige; dall’improvvisazione alla fatica e all’ascesi della pianificazione; dal “pochi che fanno tutto” al “tutti che fanno qualcosa”; dal “siccome non c’è tanta gente preparata” e quindi i “preparati” fanno tutto, al preparare i futuri animatori ed operatori pastorali.
7) All’Oratorio “tutto” deve essere educativo, cioè orientato a far sì che ogni giovane scopra e viva nell’esperienza del dono di sé la propria vocazione personale. Conversione necessaria: passare da una pastorale moraleggiante ad una che motivi, stimoli, consenta vere scelte personali di vita nella vera libertà cristiana (Gal 5,13); passare da una pastorale vocazionale distinta dalla pastorale giovanile ad una pastorale giovanile intesa tutta come pastorale vocazionale a servizio della ricerca di senso di ciascun giovane.
PERCORSO PROGETTUALE IN TRE TAPPE:
accoglienza, ricerca di senso e orientamento vocazionale
Le tre tappe del percorso che presentiamo sono, per noi, i tre ambiti fondamentali dell’educativo e i tre obiettivi irrinunciabili dell’Oratorio. Certamente queste tre realtà devono essere prese in considerazione sempre contemporaneamente. Proprio come la nostra vita, che non separa convinzioni ed emozioni dalle azioni o dal corpo, l’anima dallo spirito. Tuttavia, se vogliamo divenire esperti in qualunque attività, ci accorgiamo che diamo delle priorità: “alleniamo” un arto, un muscolo; concentriamo l’attenzione su un movimento o un atteggiamento, trascurando temporaneamente altre cose. Se vogliamo educare, cioè abilitare le persone a scegliere responsabilmente un atteggiamento fondamentale che apra all’amore, all’accoglienza e al dono di sé, dobbiamo privilegiare quelle attenzioni che consentano di rendere abituali e fondamentali i gesti necessari per vivere una vita pienamente umana. Naturalmente chi vive la tappa dell’accoglienza non trascurerà ciò che è utile alla ricerca di senso, all’educazione alla fede o alla scelta vocazionale di ciascuno. Si dovranno tuttavia indicare delle priorità, che possano consentire a tutto l’ambiente Oratorio di non essere generico, vago o schizofrenico nel raggiungere l’obiettivo preposto. Questa chiarezza permetterà ai giovani di conoscere il cammino educativo in cui sono coinvolti e agli educatori eviterà il “corto circuito” o, peggio, lo stress da delirio di onnipotenza.
PRIMA TAPPA:
I CORTILAI (3 anni)
Si interessa della creazione di un clima educativo, concentrandosi soprattutto sull’accoglienza, sulle relazioni, sulla chiarificazione degli obiettivi, attenta a coinvolgere giovani e adulti in una rete educativa.
Obiettivo: Ogni giovane e l’insieme dei giovani, percepiscono l’accoglienza attraverso il clima familiare ed educativo ricco di relazioni significative che viene generato nell’Oratorio:
– dalla rete di educatori coinvolti;
– dal rispetto delle regole semplici e condivise;
– dall’armonia e dal decoro delle strutture;
– dalla varietà delle proposte, orientate a rendere ciascuno protagonista.
SECONDA TAPPA:
VIENI E VEDRAI (2 anni)
È la tappa che si preoccupa di rispondere alla ricerca di senso dei giovani; privilegia l’attenzione alla relazione con Dio, educa alla fede, fa vivere esperienze spirituali e di servizio, soprattutto attraverso i gruppi e i percorsi formativi per tutti.
Obiettivo: Ogni giovane è incoraggiato e accompagnato a trovare il senso della propria vita attraverso la scoperta della propria identità e della propria vocazione, vivendo esperienze aggregative, d’impegno e di fede, capaci di traghettarlo da una situazione di semplice utente a vero protagonista.
Si avvia quindi un grande laboratorio di ricerca di senso dove:
– Si affrontano i grandi temi della vita.
– Si prendono in considerazione i bisogni di ciascuno.
– Si fanno esperienze significative che possono essere rilette insieme per divenire fonte di saggezza e scuola di vita.
– Si cercano le risposte senza pretendere di imporre la verità a nessuno, ma “presentando” piuttosto un ambiente e una comunità di persone che hanno “scelto” di prendere Gesù come modello della propria vita, fidandosi della sua Parola e manifestando un’evidente fraternità tra persone e gruppi (vedere-giudicare-agire).
– Si avvia la strategia del: “Vieni e vedrai!”.
L’Oratorio è impegnato per sostenere iniziative e proposte orientate a coinvolgere i ragazzi in esperienze qualificate, supportato da gruppi formativi con progetti educativi definiti e chiari. Si consolida così il passaggio verso i cerchi più interni della vita oratoriana. Ne consegue che i ragazzi verranno all’Oratorio non solo perché attratti da qualche piacevole, passeggero intrattenimento ludico, ma perché hanno cominciato a fare esperienze di vita gratificanti. Ιnoltre, sentirsi utili per gli altri, spendere il tempo in modo significativo, saranno segni concreti di percorsi formativi capaci di concretizzare gli obiettivi della tappa.
Saranno quindi indispensabili in questa seconda tappa:
– la cura di piccoli gruppi per fasce d’età e/o d’interesse, con precisi progetti educativi, condotti da educatori consapevoli del percorso che attivano, capaci di vivere relazioni profonde, di dare sicurezza psicologica, di consentire maggiore possibilità di protagonismo. I ragazzi saranno stimolati dai più svariati interessi: danza, musica, riprese fotografiche, recitazione, modellismo, artigianato, informatica, regia cinematografica, creazione del sito web dell’Oratorio, giardinaggio, burattini, radio-Oratorio… La cura dei gruppi di animazione permetterà ai ragazzi di sperimentare assunzione di responsabilità, gestione dei conflitti e delle sconfitte, educazione all’affettività, dialogo, impegno e approfondimento del cammino di educazione alla fede, soprattutto scoprendo gradualmente la bellezza e la potenza della Parola di Dio;
– la creazione di organismi di partecipazione gestiti dai ragazzi, affinché insieme prendano coscienza del cammino educativo (piccoli gruppi di riflessione e confronto, assemblee, momenti che consentano ai ragazzi di esprimersi, di dare concrete indicazioni e poter intervenire sulla conduzione della vita dell’Oratorio, di verificare il cammino fatto, di pianificare alcuni passi per il futuro…);
– il lancio di proposte concrete e sempre più stabili di servizio, rispondenti ai veri bisogni del territorio e della Comunità. Esperienze che valorizzino le risorse personali di ciascuno, mettendole a servizio delle esigenze e delle povertà della gente, offendo occasioni di servizio proporzionate all’età dei ragazzi. È il momento “storico” in cui l’Oratorio può fare il massimo sforzo per integrare “agio e disagio”: il buon clima di accoglienza e la varietà di proposte dei gruppi, diventeranno segni di un ambiente improntato all’azione preventiva, ma capace di accogliere progetti mirati per situazioni di disagio
– la cura del discepolato. È l’azione propria del responsabile e dei religiosi che sono presenti in Oratorio: i giovani più disponibili vanno seguiti e preparati con un autentico cammino privilegiato di attenzione e formazione (ascolto e condivisione settimanale della Parola di Dio, preghiera insieme, confronto sulla vita, accompagnamento spirituale, formazione all’animazione di gruppo) affinché i migliori siano preparati per essere affiancati a coloro che hanno più bisogno di attenzioni;
– l’attenzione esigente che tutti gli operatori (Cortilai, allenatori, istruttori, animatori…) siano esplicitamente coscienti di essere educatori e condividano il progetto della Comunità educante, affinché tutto all’Oratorio sia educativo (gioco, sport, musica, danza, mezzi di comunicazione sociale e di espressione artistica, studio, lavoro).
TERZA TAPPA:
LA SCELTA (2 anni)
È attenta all’orientamento vocazionale: in questa terza tappa si desidera, infatti, accompagnare il giovane a decidere della propria vita, a prendere coscienza che nulla avviene per caso e ad aprirlo alla dimensione missionaria.
Obiettivo: Ogni giovane e l’insieme dei giovani, sono favoriti e sostenuti a dare una significativa risposta alla propria ricerca vocazionale, fino a scegliere di vivere una vita che sa prendersi cura degli altri con azioni responsabili e mature.
Da questa consapevolezza nasce la possibilità di giungere ad una SCELTA: sarà la ricerca di motivazioni fondanti e l’acquisizione di atteggiamenti fondamentali maturi che consentirà alle persone di vivere come buoni cristiani ed onesti cittadini. L’Oratorio favorisce una visione grande della vita di ciascun ragazzo e abilita le persone a vivere da santi. È il fine ultimo dell’Oratorio. È la vocazione di ogni uomo. È scegliere di essere felici, perché la felicità è una scelta! Questa terza tappa vuole esprimere la convinzione di un ambiente che non “trattiene” presso di sé il frutto di un lavoro di formazione, di accoglienza e di ricerca di senso dei suoi giovani: è un Oratorio che con un movimento “inverso” invita i propri ragazzi a scegliere la propria vita e ad orientarla, anche “partendo” e lasciando l’Oratorio, consapevole di aver fornito loro valori e idee per scegliere con maturità e responsabilità. Ogni giovane deve poter contare su un vero accompagnamento spirituale che gli permetta di prendere coscienza che la vita è dono, in qualsiasi situazione. Da qui l’apertura alla dimensione missionaria, al servizio e all’evangelizzazione.
I ragazzi, nella terza tappa, incontrano un Oratorio che consente loro di:
– poter finalmente contare su di una Comunità cristiana che è presente ed educante;
– frequentare un ambiente percepito sempre più come “proprio”, denso di esperienze coinvolgenti, piacevoli ed educanti;
– essere coinvolti con regolarità nei cammini formativi per fasce d’età e/o interessi, con obiettivi chiari e condivisi;
– poter essere favoriti ed incoraggiati a confrontare la propria vita con la Parola di Dio, dando una risposta sempre più personale e profonda a Gesù che chiama ad essere suoi discepoli.
Si tratta ora di chiedere alla Comunità educante di manifestare la propria passione educativa, facendo sì che ogni giovane abbia la possibilità di interrogarsi sulle scelte della propria vita, operando un serio discernimento che favorisca l’orientamento scolastico, l’orientamento al lavoro, l’educazione all’amore, l’accoglienza di ministeri ecclesiali e l’accompagnamento per effettuare con serenità e profondità ogni scelta di vita.
In questa terza tappa sarà quindi necessario:
– rendersi attenti ai progetti territoriali di “informa-giovani” o creare strutture di informazione, gestite in rete col territorio, affinché i giovani possano trovare risposte alla loro ricerca di orientamento allo studio, al lavoro, al coinvolgimento in interessanti iniziative territoriali ed ecclesiali;
– promuovere riflessioni sul tema del mondo del lavoro, dello sviluppo sostenibile, del volontariato;
– creare contatti e collaborazione con le scuole;
– favorire la nascita di iniziative che consentano ai giovani più maturi di vivere esperienze di evangelizzazione (testimoniare la fede nei gruppi, guidare la preghiera all’Oratorio, avviare gruppi biblici per ragazzi, organizzare concerti di evangelizzazione, presentazione di film, incontri, serate di evangelizzazione, cura della dimensione missionaria dell’Oratorio),
– avviare iniziative di Oratorio di strada, per aprirsi alla dimensione missionaria in tutto il territorio cittadino.
Il tema “dell’attenzione ai singoli” stimolerà la comunità educante ad offrire segni il più possibile “personalizzati” ai ragazzi che frequentano l’ambiente. Anche questi gesti appartengono all’azione pastorale di un ambiente educativo, per una pastorale “delle proposte” piuttosto che “delle pretese”. È importante inserire quelle che possiamo definire scelte-faro, cioè quelle proposte di animazione, di volontariato o di servizio che per il loro stesso significato interpellano i ragazzi o li invitano per lo meno ad osservarle. Sono attività che l’Oratorio può accogliere o curare in maniera visibile. Accogliendo iniziative con forte connotazione sociale e d’impegno, magari proposte da altri giovani, l’ambiente valorizza la sua dimensione di spazio di ricerca e di proposta educativa.
Sono iniziative che appartengono certamente ad un lavoro progettuale ben strutturato, ma che entrano con gradualità nella vita dell’Oratorio. Si pensi alla presenza in Oratorio di giovani che dialogano e giocano con altri ragazzi disabili; di corsi di clownerie, organizzati da giovani che portano lo stile del clown nei reparti ospedalieri; di iniziative di raccolta in favore dei più poveri (indumenti, alimenti, medicinali). Ma sono altrettanto scelte-faro quelle che propongono un’attenzione etica e spirituale nell’ambiente: l’interruzione delle attività per un momento di riflessione, confronto o preghiera durante il giorno; la partecipazione dell’ambiente ad un evento come “il minuto di silenzio per..”. L’Oratorio non perda la sua sensibilità come “laboratorio” di esperienze ludiche, formative e valoriali, che occorre continuare ad elaborare, senza stancarsi.
SINTESI
Dopo esserci presentati, esprimendo anche le motivazioni che ci hanno portato a scegliere questo laboratorio e le relative attese, abbiamo cercato di “intenderci” sul significato di Oratorio. Riconosciamo l’Oratorio non tanto come una struttura, ma come un atteggiamento pastorale, una passione educativa per i giovani che si esprime attraverso quattro aspetti che devono coesistere:
– casa, che indica l’accoglienza;
– parrocchia, che indica l’evangelizzazione e la spiritualità;
– scuola, che indica l’educazione alla vita;
– cortile, che indica l’allegria, la festa, il gioco e l’amicizia.
Tale ambiente di ampia accoglienza, non può essere gestito nella improvvisazione: è indispensabile far convergere una comunità cristiana attorno ad un progetto conosciuto e condiviso. Il cammino educativo non si esaurisce nell’Oratorio: siamo chiamati ad essere attenti all’intera vita del giovane che seguiamo, preoccupati delle motivazioni di fondo che sostengono la sua vita. È doveroso porre attenzione a proposte graduali e adatte a ciascun giovane che seguiamo. Ci siamo poi soffermati a identificare l’ambiente Oratorio, semplificandolo in un’immagine: tre cerchi concentrici attorno alla comunità educante. Il cerchio più esterno esprime l’attenzione della prima accoglienza (gradini della chiesa, porta d’ingresso, cortile, bar, sala giochi…); il secondo rappresenta i gruppi organizzati per alcune attività (sport, musica, danza, teatro…); il più interno esprime la presenza dei gruppi formativi (catechesi, gruppi d’animazione, gruppi biblici, scout, Azione Cattolica…).
L’Oratorio deve investire molte energie per la valorizzazione del cerchio più esterno, valorizzando la prima accoglienza, cioè l’educativa di bassa soglia. Per definire ancora meglio l’identità dell’Oratorio, ne abbiamo poi condiviso le rispettive esperienze.
Ecco ciò che è emerso:
– è indispensabile l’unità di progetto e l’armonia tra parrocchia e oratorio;
– bisogna aver cura di presentare comunità cristiane significative, che favoriscano lo sbocco dei giovani in parrocchia;
– è doveroso incoraggiare un itinerario d’intesa e di comunione tra educatori;
– va favorita la presenza degli adulti e delle famiglie;
– bisogna incoraggiare l’attenzione alle fragilità e alle povertà (disabili, stranieri…);
– evitare di rendere l’Oratorio semplice “contenitore” di attività o di associazioni;
– incoraggiare la partecipazione agli organismi di partecipazione del territorio;
– favorire il lavoro in rete;
– curare una seria formazione degli operatori;
– coinvolgere tante persone nell’attenzione educativa.
Ci siamo poi suddivisi in due sottogruppi, che hanno curato una simulazione di programmazione con speciale attenzione all’animazione vocazionale, in modo particolare alle azioni che è opportuno programmare per favorire:
– una diffusa cultura vocazionale nell’ambiente;
– un’adeguata attenzione vocazionale negli adulti della comunità cristiana;
– un’opportuna disponibilità all’ascolto e alla ricerca di Gesù Cristo Signore da parte dei giovani;
– una risposta di generoso apostolato da parte dei giovani.
I due sottogruppi si sono poi comunicate le conclusioni raccolte.
GRUPPO A
Ha preso in considerazione gli adolescenti dai 14 ai 17 anni, presenti negli spazi più ai margini dell’Oratorio, negli ambiti di prima accoglienza.
Obiettivo generale:
– aiutare i giovani a scoprire la vita come dono prezioso.
Obiettivi intermedi:
– instaurare una relazione positiva con gli adolescenti;
– offrire luoghi e occasioni di festa insieme;
– prendere coscienza della propria femminilità e mascolinità;
– prendere coscienza delle proprie emozioni.
Azioni proposte:
– sedersi con loro, salutarli, conoscere i nomi;
– ascoltarli;
– creare ambienti per loro;
– chieder loro di tinteggiare alcuni ambienti a loro destinati;
– invitarli a pensare di organizzare la parte musicale di una festa secondo le loro attitudini;
– affidare loro piccoli incarichi o responsabilità, secondo le loro capacità.
Risultati attesi:
– iniziare con loro una relazione significativa;
– favorire la loro presenza all’Oratorio;
– favorire un atteggiamento rispettoso dell’ambiente;
– farli sentire di casa;
– incoraggiare una presenza più attiva e consapevole;
– favorire un atteggiamento di responsabilità e affetto verso l’ambiente e le persone.
GRUPPO B
Ha preso in considerazione gli adolescenti dai 15 ai 18 anni, presenti nei gruppi organizzati dell’Oratorio.
Azioni proposte:
– attività di servizio caritativo e liturgico (anziani, malati, animazione di bambini, coro…);
– percorsi biblici attraverso drammatizzazione teatrale;
– campi formativi estivi, con équipe di responsabili composte da appartenenze vocazionali “differenti”;
– coinvolgere i genitori nel percorso dei figli, con attività parallele.
Risultati attesi:
– scoperta e accettazione della propria identità;
– valorizzazione della persona e del mondo;
– migliorare la relazione parentale degli adolescenti;
– riuscire a trasformare in vera esperienza ciò che è stato proposto e vissuto;
– coscientizzazione che i figli non sono proprietà privata.
– rileggere con i ragazzi le attività vissute all’interno dell’ Oratorio.
6. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE NEI CAMPI SCUOLA
a cura di sr. Tosca Ferrante, apostolica
Il laboratorio sul tema dell’animazione vocazionale nei campi scuola, condotto dalle Suore Apostoline, si è così svolto:
– Proposta di riflessione sulla dimensione vocazionale nei campi scuola come aspetto fondante e non relativo ai partecipanti, al tema o alla tipologia di campo; come ci ricorda il documento NVNE, «Tutta la pastorale e in particolare, quella giovanile, è nativamente vocazionale» e «la pastorale vocazionale è la vocazione dell’intera pastorale» (NVNE 26).
– Breve presentazione di un itinerario di campo vocazionale per giovani organizzato dalle suore Apostoline, che è servito da sfondo per far emergere, in una riflessione ampia e condivisa, le dimensioni imprescindibili nella preparazione, ideazione e gestione di un campo scuola diocesano, parrocchiale o di congregazione.
CAMMINARE NELL’AMORE CON GESÙ TRA PAURA E DESIDERIO
Campo di orientamento vocazionale
Destinatari: giovani dai 18 ai 30 anni.
Obiettivo generale: aiutare ciascuno ad incontrarsi in verità con la propria vita e la propria storia personale, accogliendola per ciò che rivela e ciò che nasconde, e nello stesso tempo a incontrare il Signore della vita, che solo può rivelare a ciascuno la propria identità, la propria vocazione e la propria missione. Cerchiamo così di aiutare il giovane che ci viene affidato ad elaborare un progetto di vita che orienti verso la maturazione di una scelta vocazionale.
Obiettivo in riferimento al tema: prendere consapevolezza e valorizzare il proprio bisogno di amare ed essere amati; imparare a fare unità tra le ferite e le potenzialità; scoprire gradualmente la propria vocazione personale a partire dai desideri di bene che ciascuno porta nel cuore.
Compagine delle giornate:
I giorno: in principio è l’amore
II giorno: i desideri
III giorno: le ferite dell’amore
IV giorno: la risposta all’amore in un’ottica di integrazione
V giorno: in missione per amore, dunque impegno personale
VI giorno: mandato e partenze
Modalità di verifica quotidiana:
Obiettivi operativi, contenuti, attività, animazione liturgica, mezzi, verifica.
Al termine del laboratorio, a partire dal confronto all’interno dei due sottogruppi, sono state evidenziate alcune attenzioni necessarie per salvaguardare la dimensione vocazionale in ogni campo-scuola.
Per motivi di chiarezza di esposizione queste attenzioni sono state raccolte in quattro aree, tenendo presente che è all’integralità della persona (mente – volontà – cuore – forze fisiche) che si rivolge l’annuncio vocazionale!
Riguardo ai destinatari
La proposta vocazionale deve essere graduale, perciò è importante valorizzarla in tutto lo sviluppo di crescita umana e di fede: dalla scoperta della vocazione come chiamata alla vita, alla vita cristiana e poi alle diverse vocazioni. In particolare focalizziamo l’attenzione su alcune fasce di destinatari:
– Ragazzi (dai 9/10 ai 12/13 anni):
* da “animare” evidenziando che la prima vocazione è la “chiamata” alla vita, fin dalla sua origine;
* da educare a sentirsi figli “amati” da Dio Padre; invitati a entrare in relazione di amicizia con Gesù;
* a prendere coscienza dei doni attraverso cui lo Spirito Santo ravviva i doni naturali;
* abituare a far vivere i sacramenti come luogo di incontro tra la chiamata di Dio e la nostra risposta.
– Adolescenti (dai 14 ai 17 anni):
* da animare con proposte vocazionali per “provocare…” in loro le domande sul senso della vita;
* da educare a scoprire le proprie qualità intellettuali, morali, spirituali, fisiche e a credere nelle proprie possibilità, nella propria originalità/unicità e a vivere l’autonomia dal conformismo e dai modelli standard;
* a cui far incontrare Cristo come fondamento di libertà, di verità e di comunione;
* a cui presentare la proposta della vita come “progetto”: quale relazione tra il mio sogno e il sogno di Dio per me?
– Giovani (dai 18 anni in poi);
* da accompagnare provocandone le domande sull’orientamento da dare alla vita;
* da aiutare ad incontrarsi in verità con la propria vita e la propria storia personale, accogliendola per ciò che rivela e per ciò che nasconde, e nello stesso tempo a incontrare il Signore della vita che solo può rivelare a ciascuno la propria identità, la propria vocazione e la propria missione;
* da educare alla decisione, secondo un progetto che conduca alla maturazione di una scelta vocazionale “definitiva” e alla fedeltà quotidiana ad essa.
A riguardo di questa fascia d’età ci s’interroga sulla realtà crescente di giovani sopra i 30 anni ancora in ricerca vocazionale, che chiedono di partecipare ad itinerari di discernimento; in essi la passione per la ricerca, tipica degli adolescenti, si scontra con l’ansia della risposta, propria degli adulti che non hanno ancora realizzato un progetto di vita.
SINTESI
ATTENZIONI NECESSARIE PER SALVAGUARDARE LA DIMENSIONE VOCAZIONALE IN OGNI CAMPO SCUOLA
Dimensione spirituale
– Accompagnare all’incontro con la parola di Dio, realtà viva che interpella la vita e attraverso la quale s’incontra il Signore e il suo progetto di vita e d’amore per ogni uomo;
– favorire la relazione con Gesù attraverso i diversi momenti della liturgia:
* celebrazione Eucaristica, come incontro vivo con Gesù Risorto. Tale incontro può anche diventare occasione per una formazione liturgica dei giovani al fine di aiutarli a viverla con più consapevolezza nella quotidianità;
* celebrazione penitenziale, come incontro personale e comunitario con la bontà e la misericordia del Padre;
* momenti di prolungata riflessione personale e di silenzio (deserto), perché ciascuno possa andare in profondità nella propria vita, per riconoscere quali domande fondamentali si porta dentro, in un confronto serio con l’appello di Dio e con la vita degli altri;
* preghiera comunitaria, come spazio di comunione ecclesiale;
– “allenare” alla contemplazione stupita delle opere di Dio nel rapporto con la creazione.
Dimensione umana
– Educare a “far memoria” dell’azione di Dio nella propria storia personale, leggendola a partire dall’esperienza quotidiana;
– creare un clima di accoglienza, fiducia, ascolto, semplicità e gratuità, perché ciascuno possa sentirsi valorizzato e protagonista dell’esperienza;
– proporre il tema di ogni giorno sia in chiave biblica che in quella esistenziale-vocazionale, per un annuncio esperienziale oltre che dottrinale;
– garantire la giusta proporzione tra il numero dei partecipanti e quello degli educatori, per favorire il clima del gruppo e la possibilità dell’accompagnamento personale;
– curare l’accompagnamento personalizzato come momento importante di confronto per condividere il cammino fatto, le fatiche, i desideri, i sogni e per una lettura condivisa della presenza costante di Dio nel proprio cammino di ricerca vocazionale.
Dimensione comunitaria
Per gli animatori:
– necessità di una preparazione remota e non improvvisata del campo;
– fecondità data dalla comunione e dalla preghiera dei membri dell’équipe stessa. Pregare insieme come équipe, in vista del campo, è momento fondante dell’esperienza;
– valore di una genuina testimonianza personale e comunitaria. A questo proposito non possiamo mai dimenticare che i primi a cui i giovani guarderanno durante il campo siamo noi, sono gli educatori, specie se sacerdoti e religiosi. Da valorizzare, dove possibile, la presenza nell’équipe di giovani in formazione (postulanti, novizi, seminaristi), come figure più vicine ai giovani e che possono diventare “ponti” importanti. Può essere significativo, inoltre, svolgere il campo in una comunità religiosa che accolga e condivida, nella preghiera e nel servizio, il cammino dei giovani;
– favorire e valorizzare la diversità delle vocazioni e dei carismi all’interno dell’équipe, oltre che la stabilità dei suoi componenti;
– promuovere momenti di formazione comune.
Per i giovani:
– proporre l’incontro con alcuni testimoni, nell’ambito delle diverse vocazioni presenti nella Chiesa locale, per permettere ai giovani un confronto più diretto e la possibilità di porre alcune domande più specifiche;
– vivere un’esperienza di servizio e di missionarietà nelle realtà operanti sul territorio, al fine di valorizzare ciò che questo offre e prospettare ai giovani possibili impegni futuri;
– favorire la condivisione quotidiana dell’esperienza, lo scambio nei lavori di gruppo, piccoli turni di gestione della casa e momenti di svago e di gioco.
Dimensione socio-culturale
– Valorizzare l’uso di strumenti multimediali come linguaggio possibile per veicolare i contenuti, nella logica di una comprensione più immediata da parte dei giovani e di un approccio critico agli stessi;
– cogliere la dimensione storica e culturale dell’ambiente in cui si svolge il campo;
– stimolare la creatività “dell’uomo a servizio dell’uomo” come condivisione di doni: nell’arte, nella poesia o negli aspetti tecnico-pratici;
– suscitare interesse e attenzione verso il sociale, in riferimento al contesto nel quali i giovani si trovano a vivere.
Conclusione
Consapevoli che tutte queste finalità non sono raggiungibili e realizzabili in un’unica esperienza di campo scuola, suggeriamo che si programmino itinerari annuali o ciclici al fine di garantire uno sviluppo dei temi e una gradualità del percorso, in consonanza con la maturazione della persona.
«Possono dormire in fondo al cuore i più bei sogni, ma dormire;
e possono, gli individui, essere sollecitati e anche se sono addormentati venire risvegliati.
Venire risvegliati. Sì!».
(Beato Giacomo Alberione)
È questo l’augurio che ci siamo fatti: quello di continuare a realizzare il sogno di Dio sulla nostra vita, aiutando altri, in particolare i giovani, ad individuare e realizzare il loro!
7. L’ANIMAZIONE VOCAZIONALE A PARTIRE DALLA MISSIONE AD GENTES
a cura di P. Giovanni Gargano
Gesù salì poi sul monte, chiamò « a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (Mc 3,13-15).
A partire da questa icona biblica, presento alcuni aspetti tipicamente vocazionali dell’itinerario che alcuni istituti missionari propongono ai giovani che desiderano impegnare la propria vita al servizio di Dio e dei fratelli nella missione ad gentes, ad extra e ad vitam.
In questa scheda presenterò i progetti di animazione vocazionale di tre istituti missionari: Missionari Saveriani, Comboniani e PIME (Pontificio Istituto per le Missioni Estere).
Dalla lettura di questi percorsi emerge innanzitutto un dato molto interessante: tutti seguono lo stesso stile, che è quello di aiutare il giovane o la giovane a fare una scelta di vita, evitando di creare aree di parcheggio ove i giovani amano restare senza decidersi e giocarsi in una responsabilità che li spinga ad andare a testimoniare l’amore ricevuto.
MISSIONARI SAVERIANI
L’obiettivo ultimo al quale mira la nostra azione di animazione missionaria e vocazionale in Italia, è quello di far crescere il senso della missione all’interno della realtà ecclesiale e della società del Paese, fino a suscitare l’adesione di singoli e di gruppi all’attività di annuncio del Vangelo adgentes, ad extra e ad vitam.
Concretamente la nostra azione in Italia si articola nel seguente modo (partendo dall’azione più generale e giungendo alla più specifica):
– Far crescere la maturità umana e sociale, secondo il nostro apporto specifico: ciascun deve imparare a sentirsi cittadino del mondo, aprendosi alla storia e alle ricchezze spirituali e culturali dei popoli.
– Far crescere la maturità ecclesiale: nel Battesimo Dio ci fa il dono di diventare suoi familiari. Sentirsi parte di questa famiglia di figli di Dio significa percepire il dovere e la gioia del condividere a tutti l’annuncio di un tale dono. Il credente maturo deve così sentire l’urgenza di darsi da fare per l’azione missionaria della Chiesa.
– Far crescere la maturità missionaria ad gentes in ogni cristiano e in ogni comunità o gruppo ecclesiale, come segno della piena maturità di fede. Ciò esige l’impegno da parte nostra di scoprire i doni che lo Spirito suscita per la missione, secondo i vari carismi, fino ad accogliere il desiderio di chi si sente chiamato a donare interamente la propria vita per Dio e per i fratelli, consacrandosi alla missione ad gentes.
Una volta precisato l’obiettivo generale e la sua articolazione, la nostra animazione missionaria voca-zionale si può specificare in azioni più mirate:
– Formare una coscienza di solidarietà universale nella società e nella Chiesa italiana.
– Preparare degli animatori missionari.
– Formare gruppi attivi e specificatamente sensibili alla missione, come annuncio, dialogo, solidarietà e giustizia.
– Promuovere la vocazione di futuri missionari (nelle sue varie espressioni: volontari, laici missionari, laici saveriani), formando e aiutando nel discernimento soprattutto il mondo giovanile (infatti ogni nostra casa è provvista di un gruppo che si incontra mensilmente; ci rivolgiamo a quei giovani che desiderano scoprire la bellezza della missione, ascoltare i testimoni della missione e viverne l’urgenza per incontrare i più lontani).
– Promuovere, formare e accompagnare le vocazioni missionarie di speciale consacrazione secondo il carisma saveriano.
Concretamente, proponiamo ai giovani un cammino di formazione missionaria per scoprire la bellezza della missione, ascoltare i testimoni e vivere con uno stile di vita evangelico per incontrare i più lontani e servire i più poveri. Noi accogliamo i giovani in un clima di famiglia, come desiderava il nostro fondatore Guido Maria Conforti: “Fare del mondo una sola famiglia”.
Accanto al cammino di formazione missionaria, offriamo ai giovani anche un percorso di discernimento a 360 gradi della propria vocazione missionaria, con la possibilità di accompagnamento personale. In questi incontri i giovani sono invitati a vivere la ricerca nella preghiera e nell’ascolto della Parola di Dio.
In sintesi l’animazione missionaria vocazionale tiene presente queste tre tappe: aggregazione, formazione e discernimento Nell’ultimo Capitolo regionale, la regione saveriana d’Italia ha fatto la scelta di un centro di discernimento vocazionale-missionario, con l’obiettivo di offrire al giovane un tempo, intenso e personale, di discernimento sulla propria vita. La finalità di questo centro non è quella di lavorare per la sopravvivenza delle nostre famiglie missionarie, ma di dare alla persona la possibilità di sperimentare una vita più intensa di preghiera e soprattutto di impostare un percorso personale di discernimento, uscendo dal proprio ambiente quotidiano per viverlo in maniera più intensa.
L’équipe è formata, infatti, da un missionario/a e da una coppia di laici saveriani, mentre lo psicologo ha un ruolo esterno all’équipe. Nell’ultima Assemblea Unitaria di animazione missionaria e vocazionale, siamo arrivati alla conclusione che il mondo giovanile va incontrato prima di tutto con simpatia e non giudicandolo. È importante partire dal loro mondo e dai loro linguaggi (ad es. la musica).
MISSIONARI COMBONIANI
I missionari comboniani e comboniane, nelle loro case, hanno il GIM (Gruppo Impegno Missionario), che è:
– un cammino di incontro per giovani assetati di pace e di giustizia, che vogliono conoscere più a fondo il sogno di Dio per l’umanità e prendervi parte in maniera concreta e attiva;
– un cammino nella vita, nella storia e nel mondo;
– un cammino di liberazione, da se stessi e da quello che la società e il sistema ci impongono con forza, per rispondere a quello che il Signore ci chiede e che i poveri s’aspettano da noi.
Specifiche del GIM sono la missione e la scelta di Gesù Cristo. Infatti è un cammino che aiuta la persona ad aprirsi a Cristo nella preghiera, nell’ascolto e nella riflessione della Parola di Dio; ma è anche, nello stesso tempo, un invito ad aprirsi agli altri, al mondo, alle realtà di ingiustizia e di sofferenza… alle realtà di non pace. L’esperienza del GIM vuole stimolare il giovane a crescere come persona e come credente in Gesù, nell’amicizia sincera con Dio e con gli altri.
Accanto a questo cammino di spiritualità e di formazione missionaria esiste anche un percorso di discernimento vocazionale, per poter capire meglio dove e come il Signore chiama un giovane a seguirlo sulle strade del mondo. Questo percorso consta di tre tappe fondamentali:
1. La conoscenza/esperienza di Cristo, che avviene attraverso la preghiera personale e comunitaria, la catechesi, il confronto, l’approfondimento della Parola di Dio, un’intensa vita sacramentale, specialmente l’Eucaristia e la riconciliazione, e un’intensa vita di carità.
2. La conoscenza di se stessi, che si approfondisce mediante il confronto costante con gli altri e con la Parola di Dio, il dialogo e la condivisione in gruppo, l’accompagnamento personale…
3. La conoscenza della missione e del Comboni, che è proposta attraverso la lettura di libri e riviste che presentano realtà missionarie, oppure ascoltando testimonianze…
In questo itinerario si richiede al giovane una disponibilità di vita, non intesa come disponibilità di tempo ed energie, ma essenzialmente disponibilità “affettiva”… come disponibilità del cuore.
PONTIFICIO ISTITUTO MISSIONI ESTERE (Italia meridionale)
Il cammino vocazionale presente nella Regione dell’Italia Meridionale PIME è della durata di un anno, ed è proposto ai giovani di almeno 15 anni che desiderano confrontarsi con la possibilità di consacrarsi totalmente alla missione, previo colloquio con i referenti del cammino. Questo percorso di discernimento avviene attraverso momenti di preghiera, di riflessione e di confronto amichevole con i missionari, per cercare di scoprire il volto della missione che Dio vuole affidare a ciascun giovane. L’itinerario si snoda sul tema della specifica vocazione missionaria ad extra, ad vitam, ad gentes e insieme come preti, suore missionarie, laici e laiche.
Ai giovani interessati a consacrare la propria vita viene offerta la possibilità di essere nella comunità di Ducenta (CE) per un possibile percorso di discernimento vocazionale più diretto.
La linea comune che accompagna questi tre cammini è quella di portare il giovane a conoscere Gesù Cristo in un impegno di vita a servizio della Chiesa e del mondo.
Da sottolineare poi che, durante l’estate, tutti gli Istituti missionari propongono ai giovani settimane di spiritualità vocazionale o anche la possibilità di vivere un’esperienza di qualche settimana in missione: un modo per sperimentare l’uscita dalla propria cultura e la partecipazione alla vita missionaria.
SINTESI
Il laboratorio si è svolto nell’accoglienza reciproca, nella preghiera, nell’ascolto e nella condivisione di un progetto di animazione vocazionale che tenga presente l’impegno ad gentes.
Accoglienza
Il sapersi accogliere come persone non è sempre scontato, per questo nel nostro gruppo ci siamo presentati, cercando di cogliere la bellezza di ogni vocazione e soprattutto la passione che ciascuno investe nella propria famiglia religiosa o nella propria parrocchia.
Per facilitare questa conoscenza-accoglienza abbiamo utilizzato una dinamica molto semplice: la dinamica del gomitolo, che consisteva nel lanciare il gomitolo a colui che doveva presentarsi. Alla fine ci siamo trovati con una grande rete che ci univa nella diversità e soprattutto nell’impegno di una responsabilità comune da vivere nello spirito della comunione.
Preghiera
Al termine dell’accoglienza, ci siamo rivolti al Signore con la preghiera dell’Ora media, guidata da P. Raffaele. Nell’orazione abbiamo affidato a Dio il nostro impegno vocazionale, i giovani che stanno pensando di seguire Gesù Cristo nella via della radicalità evangelica e tutti i missionari sparsi nel mondo, che s’impegnano per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo.
Ascolto
Giovanni ha presentato la scheda introduttiva del laboratorio, in particolar modo i percorsi di animazione missionaria vocazionale di tre istituti missionari: Missionari Saveriani, Missionari Comboniani e PIME (Pontificio Istituto per le Missioni Estere).
In questa proposta vocazionale-missionaria ricopre un ruolo molto importante l’ascolto, sì, della Parola di Dio, ma anche dei testimoni della missione, che con coraggio e passione portano a conoscenza dei giovani i cammini delle varie chiese dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia e dell’Oceania. Il saper narrare la missione non è secondario, anzi i giovani sentono forte il desiderio di incontrare persone che con entusiasmo ancora oggi partono per annunciare il Vangelo fino ai confini della terra, donando la propria vita a Cristo nell’impegno della giustizia, del dialogo interreligioso e nella difesa dei diritti umani.
Da sottolineare che nella proposta missionaria vocazionale, le esperienze in missione diventano un trampolino di lancio per scelte di vita religiosa, di consacrazione, ma anche di impegno nel proprio territorio e nelle proprie comunità cristiane.
Condivisione
A conclusione della presentazione della scheda, il gruppo ha condiviso alcune riflessioni e ha lavorato su un progetto che, a partire dalla missione ad gentes, possa diventare veicolo di impegno vocazionale.
In alcuni interventi si è detto che “la missione Ad Gentes gioca un ruolo molto importante per quanto riguarda l’impegno vocazionale”.
Accanto alla gioia della missione, però, ci si rende conto che noi, in Italia, dobbiamo fare i conti con dei giovani, e degli adolescenti che fanno fatica a recepire certi messaggi e certi contenuti: il “per sempre” fa paura. Allora come aiutare un giovane a maturare un impegno vocazionale nella Chiesa e per il mondo?
A partire da questa domanda abbiamo mosso i primi passi per tracciare un progetto di animazione missionaria vocazionale. Seguendo una traccia proposta dall’animatore, si è lavorato a due gruppi e poi si è riportato in assemblea il proprio progetto, arrivando alla fine ad un unico percorso.
Il progetto è stato suddiviso, come suggerito da P. Giovanni, in alcuni settori: obiettivi, icona biblica, scelte di annuncio/testimonianza e infine modalità e strumenti.