Vita consacrata: essenziale alla vocazione e alla missione della Chiesa locale
Supero facilmente la tentazione di trattare teoricamente il tema che mi è stato affidato e passo subito a descrivere l’argomento a partire dalla mia quotidiana esperienza, cioè con lo sguardo, la sensibilità e il cuore di un pastore, che è posto dentro una Chiesa locale ben precisa, con il compito di promuovere e coordinare i diversi carismi, ossia di armonizzare tutte le vocazioni, a servizio della Chiesa e del mondo, nel rispetto dell’identità di ciascuno. So bene, d’altra parte, come ricorda l’esortazione apostolica Pastores gregis al n. 125, che nella Chiesa-comunione il Vescovo “deve stimare e promuovere la specifica vocazione e missione della vita consacrata, che appartiene stabilmente e fermamente alla vita e alla santità della Chiesa”.
Attraverso quindi un’esperienza concreta di Chiesa, la mia, (dentro un cammino in divenire) spero di lasciare emergere quelle sottolineature che mettono in evidenza le corrette e indispensabili interazioni che intercorrono tra vita consacrata e Chiesa locale. L’una non può fare a meno dell’altra; o meglio ancora, l’una si sostiene e si arricchisce a partire dai doni dell’altra. Se è vero che la vita consacrata ha dimensioni che vanno al di fuori della Chiesa locale, è anche vero che solo incarnandosi in un contesto preciso di Chiesa, può sviluppare i propri carismi e farli fruttificare.
La diocesi di Crema è un lembo di terra di 276 kmq, circondata dalla diocesi di Cremona e da quella di Lodi, con 62 parrocchie e 90.100 abitanti. Mi domando: c’è posto nella mia Chiesa per la vita consacrata? Ha tutta la stima e l’attenzione che si merita? Come viene annunciata? E come essa si armonizza nella complementarietà degli altri doni presenti e operanti a servizio della comunità?
Una constatazione: in Diocesi, fino a vent’anni fa, da parrocchie, anche molto piccole, sono nate molteplici vocazioni (e non a senso unico!) al sacerdozio e alla vita consacrata per tanti Istituti diversi (di vita attiva e di vita contemplativa), missionari e missionarie per molte destinazioni, in Italia e all’estero. Non sono mancati nemmeno membri di Istituti Secolari.
Tutte queste vocazioni sono germinate all’interno della Chiesa locale: segno di un terreno dalla fede viva, di un interesse e di una stima per la vita consacrata; espressione anche di una proposta chiara e convincente; frutto certamente di una presenza di consacrati esemplari, ma anche di una famiglia che non considerava una perdita la scelta vocazionale di un figlio o di una figlia; prova anche di una speciale sollecitudine per il discorso vocazionale da parte dei sacerdoti nelle parrocchie (soprattutto nella confessione e nella direzione spirituale). Quando i consacrati missionari tornano in Diocesi per le vacanze o per cure sanitarie, si fa festa in paese, e non solo nelle famiglie di origine. Tutti, prima del loro rientro, vengono a salutare il Vescovo: segno di un legame, anche affettivo, con la propria Chiesa locale, che si fa presente settimanalmente a ciascuno di loro con il giornale diocesano e per molti anche economicamente! Il senso di appartenenza alla Chiesa è una grande sfida pastorale, che coinvolge tutti i consacrati.
L’attuale rarefarsi di scelte al sacerdozio e alla vita consacrata dice chiaramente che è sopraggiunta anche a Crema una nuova mentalità, non solo antilive, ma anche contraria alla mentalità del “dono di sé”; una cultura che esercita un fascino irresistibile sulle nuove generazioni, fondata sull’avere tutto e subito, senza fatica e senza impegno, sul piacere immediato, sull’accontentarsi di una vita comoda, su un disimpegno che esclude scelte definitive. È una mentalità che si è insinuata dentro il modo di pensare e di agire, senza bisogno di imporsi con violenza, dalla quale deriva un impoverimento non solo della comunità cristiana, ma innanzi tutto della famiglia, nella sua stabilità, come sorgente di vita e di dono. È una caduta di livello: è la fede che viene meno (la mancanza di vocazioni alla vita sacerdotale e consacrata ne è un segno inequivocabile).
Per quanto la vita consacrata sia di fatto considerata parte viva della comunità diocesana, e generalmente ancora stimata, almeno esteriormente, di fatto non è presentata dai più (dai genitori, dagli educatori e spesso anche dai catechisti, non esclusi i sacerdoti stessi) come una figura di valore proponibile. Credo che sia mio dovere tenere vivo il tema delle vocazioni come impegno importante a cui tendere con tutta la comunità, perché ogni vocazione alla vita consacrata è la prova di una vita cristiana vissuta con radicalità; è il segno che si è compreso che la vita è bella solo quando viene donata. Una scelta per il sacerdozio o per la vita consacrata sarebbe la prova inconfutabile non solo di una “tenuta” nella vita cristiana, ma anche di “ripresa” di un tessuto ecclesiale che comincia a rispondere a un certo stile di vita. Una scelta pastorale che richiama l’indispensabile e urgente convergere di tutta la comunità è la preghiera finalizzata alle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: senza di esse non c’è futuro. Per la preghiera per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata ho appena dedicato un apposito santuario mariano: la Madonna della Pallavicina, nel comune di Izano, patria dell’amato Card. Marco Cè, dove si svolge un pellegrinaggio vocazionale, il secondo sabato di ogni mese. Così si educa il popolo di Dio a riconoscere il tema delle vocazioni come suo impegno specifico. Non si può, infatti, pensare la Chiesa del futuro senza sacerdozio e senza vita consacrata.
Nonostante l’assottigliarsi delle testimonianze di vita consacrata nella mia Diocesi, constato come oggi si senta il bisogno di vedere, di toccare con mano, di sperimentare vie nuove di Vangelo; di comprendere qual è il proprium del Vangelo; di conoscere scelte alternative di vita, che dicano la radicalità del dono. La gente ha una gran voglia di incontrare persone umanamente belle, perché trasfigurate da una vita che è servizio, gratuità e dono. A Crema, un tempo fiorente di Conventi e di Istituti, sono rimasti solo quattro Istituti religiosi femminili e uno solo maschile; pochissimi i membri di Istituti Secolari. Mi sono accorto, tuttavia, che specialmente alcune religiose sono un forte richiamo: generando, infatti, una comune ammirazione ed un sincero apprezzamento, costituiscono una scuola pratica di comunione, tanto auspicata per tutte le categorie del popolo di Dio. La gente rimane ammirata per la semplicità e la dedizione delle consacrate; stupita per il modo di accostarsi agli altri, nel loro stile di aprirsi ai poveri; consolata per la delicatezza con cui avvicinano gli anziani o per la discrezione con cui s’interessano delle persone ferite dalla vita.
Per la nostra Chiesa locale, le consacrate sono una perla: non solo per il servizio che svolgono, ma per il modo con cui lo svolgono, per l’assiduità, per la vicinanza, per la gioia che da esse promana. Sono un forte esempio per gli sposi, che, specchiandosi nella vita consacrata, considerano il matrimonio cristiano una vocazione che impegna con uguale radicalità; sono di stimolo per le famiglie e per le comunità circa il modo con cui esse affrontano e vivono la vita comunitaria, nonostante le inevitabili fatiche e le tensioni, che fanno parte della vita. “La comunione fraterna, in quanto tale, è già apostolato, contribuisce cioè direttamente all’opera di evangelizzazione” (VFC 54). La comunione fraterna, offerta come valore-stile-metodo del vivere insieme secondo il progetto di Dio sull’umanità, proclamandone la sua possibile realizzazione, pur nella fatica di ogni giorno, è la sfida più immediata gettata alla vita consacrata dalla nostra società. Sono pure un segno di vita nuova per la loro testimonianza di essenzialità: sanno fare a meno di tante cose, eppure sono felici lo stesso e più di altri che posseggono tutto. Il loro spirito di sacrificio e di abnegazione è esemplare e chi lo riconosce non può non provare ammirazione!
Mi pare di avvertire l’urgenza di un luogo di silenzio, di radicalità, in cui il primato viene dato al Signore. A Crema, forse anche per un ambiente non particolarmente favorevole, non esiste un convento di vita contemplativa (un tempo ne esistevano contemporaneamente anche cinque, fino alla soppressione napoleonica): è mio grande desiderio, però, mettere le basi per costruirlo in un prossimo futuro. I monasteri, specialmente ai nostri giorni, costituiscono una splendida testimonianza della trascendenza del Regno di Dio al di sopra di qualunque realtà terrena e transitoria. La nostra Chiesa locale riceverebbe uno slancio in avanti da questa presenza privilegiata, silenziosa e gratuita, da questa oasi di pace e di ricerca di Dio. Sarebbe un laboratorio di vita cristiana, un luogo di ascolto e di annuncio della Parola di Dio, un centro di riferimento per una preghiera liturgica esemplare, un punto prezioso per il discernimento vocazionale. La vita contemplativa offrirebbe alla nostra Chiesa una testimonianza esemplare, fino a ricordare che al primo posto sta il servizio gratuito di Dio, reso possibile dalla grazia di Dio, comunicata al credente mediante il dono dello Spirito.
Auspico anche la possibilità di nuove presenze di vita consacrata, in particolare di religiosi, non primariamente per assicurare la copertura di parrocchie, ma per sostenere la crescita spirituale dei miei sacerdoti, mediante la direzione spirituale e la confessione. Valorizzando il carisma specifico, che qualche Istituto ha ricevuto dallo Spirito, creerei le condizioni per una presenza appropriata. Sento che è ormai concluso il tempo delle supplenze, nel quale ai religiosi si poteva chiedere di tutto. Oggi l’inserimento in una Chiesa locale suppone il rispetto e la promozione del carisma particolare di ciascun Istituto. In questo modo ciascuno arricchisce gli altri. Chi ha uno sguardo d’insieme sa cogliere il benefico apporto di tutti, valorizzando l’apporto di ciascuno. Chiesa particolare e vita consacrata coesistono per sorreggersi e per completarsi reciprocamente in uno scambio di doni, mediante una complementarietà ministeriale delle varie presenze ecclesiali, superando così il rischio segnalato anche da VFC, al n. 60: “Se da una parte la comunità religiosa rischia di essere presente nella Chiesa particolare senza un legame organico con la sua vita e la sua pastorale, dall’altra si tende a ridurla ai soli compiti pastorali”, senza rispettare le peculiarità del “carisma fondativo”.
L’albero delle vocazioni si sviluppa attraverso tempi lunghi e perché porti nuovi frutti occorre attendere con pazienza lente maturazioni, che escludono ogni pessimismo. La Chiesa locale deve essere vicina a certi membri di vita consacrata che spesso si scoraggiano per il calo delle vocazioni nel loro Istituto e aiutarli piuttosto a cogliere la crisi come occasione di rinascita, come appello a rinnovare radicalmente i propri assetti ed equilibri in una situazione storica mutata. La crisi delle vocazioni, con l’invecchiamento progressivo dei membri degli Istituti, è un’opportunità che costringe a rivedere non solo la testimonianza dei singoli, ma degli Istituti stessi circa la loro presenza, la finalità specifica, i metodi di approccio, ecc.
Quanto poi alle vocazioni dei singoli, sappiamo, sì, che sono dono di Dio, ma esigono pure la risposta consapevole e libera da parte del chiamato. Occorre che la Chiesa locale, con la collaborazione dei diversi Istituti, aiuti i giovani e le ragazze a vivere un cammino serio e qualificato di formazione alla vita cristiana, senza la quale non ci potrà essere alcuna scelta libera e seria. Proprio per ridestare la coscienza vocazionale, specie nei giovani, stiamo preparando il terreno mediante un rinnovato e paziente impegno di evangelizzazione dei giovani. Ad essi vado ripetendo con tenacia che o la fede si traduce in scelte vocazionali stabili, o fede non è. Incoraggio i sacerdoti e gli educatori (in quanto mediatori della voce di Dio) a fare proposte esigenti, anche vocazionali, aiutandoli a trovare il coraggio di proporre esplicitamente la chiamata del Signore, poiché senza il coraggio di una proposta non ci può essere risposta! Se da questo impegno comune nasceranno vocazioni non solo per il Seminario diocesano, ma per tutti i settori della vita consacrata, allora la nostra seminagione avrà dato il suo frutto.
Una preoccupazione di metodo per una Chiesa-comunione: sarebbe auspicabile inserire i consacrati nelle strutture ordinarie della pastorale e nei diversi spazi di partecipazione. L’apporto dei consacrati, se inseriti nei processi di elaborazione delle decisioni pastorali, è sempre una ricchezza per la Chiesa locale, che può avvalersi della loro particolare sensibilità, della loro esperienza e competenza. Occorre che umilmente impariamo tutti a riflettere, a progettare e a lavorare insieme, per poi verificare i cammini compiuti. E questo con rispetto, permettendo sani confronti e stimolando cordiali collaborazioni, mediante la presenza di tutte le vocazioni. All’interno dei gruppi vocazionali emergono personalità vive, nascono rapporti interpersonali, cadono reciproche precomprensioni; si differenziano i modi di vivere il Vangelo, si confermano le comunanze, ma anche le specificità originali. Ci sono ancora ragazzi disposti ad andare contro corrente, che sanno impegnarsi perché credono nella vita come dono, come servizio, come gratuità…
Ho pubblicato per questo nuovo anno pastorale un progetto programmatico, fondato sul Battesimo, evidenziando come questo sacramento determini nel cristiano un nuovo rapporto con il mondo. Assieme a tutti gli uomini di buona volontà, il battezzato è anch’egli impegnato nel compito di edificare il mondo e di contribuire al bene dell’umanità per ordinare, per quanto possibile, le realtà temporali secondo il disegno di Dio. Non mancano, nella mia Diocesi, laici impegnati nel sociale e nel politico con la chiara consapevolezza che questo campo d’azione è il luogo ordinario della loro testimonianza evangelica; è ambiente di “più alto esercizio della carità”.
In Diocesi sono inoltre presenti alcuni membri di Istituti Secolari che, nel nascondimento, più di altri laici, con molta passione e con una dedizione veramente encomiabile, si battono per la difesa dei più deboli, s’impegnano in strutture pubbliche, nel mondo del lavoro, e non mancano nemmeno di essere “coscienza critica” nei confronti delle nostre stesse strutture ecclesiali. Mi pare che la loro presenza, silenziosa e discreta, caratterizzi bene la natura e la missione di questa particolare vocazione, che afferma in modo peculiare e misteriosamente efficace il valore del mondo come “realtà salvata”. Essi sollecitano, infatti, la Chiesa locale a leggere i segni e i bisogni del tempo presente, testimoniando la presenza del Signore Gesù, che raggiunge tutti gli uomini nelle realtà più ordinarie e quotidiane della vita. Resta per la Chiesa locale il dovere di annunciare ai giovani la bellezza della vocazione alla secolarità consacrata, complementare alle altre, ma che a volte rischia di essere misconosciuta o difficile da proporre, quando i suoi membri si fermano a sottolineare, forse con troppo rigore, il loro, sia pur significativo, “riserbo”.
È chiaro a tutti che la vita consacrata sta attraversando un periodo di lunga gestazione; sta cercando strade inedite per esprimersi; ambienti di vita in cui annunciare il Vangelo; modalità nuove per accostare le persone; diversi linguaggi attraverso cui esprimere la ricchezza della sua tradizione. La Chiesa locale deve permettere alla vita consacrata di sognare questi nuovi cammini, di sperimentare anche, senza paura, modalità di vita adatte alle urgenze dei tempi. Un’accorta e vigile vicinanza del Vescovo faciliterà un prudente inizio di nuovi percorsi, senza distaccarsi da un sano riferimento alla tradizione. La Chiesa locale deve additare le mutate esigenze e quindi anche lasciar intravedere possibili nuove vie di incarnazione del Vangelo; spetta poi agli Istituti studiarne le modalità concrete. Va da sé che la prudenza deve essere coniugata con una sana audacia: quella “parresia” evangelica che crede nella presenza del Signore risorto, che ha promesso ai suoi di essere presente “fino alla fine del mondo”. Non possiamo dimenticare, nello stesso tempo, che se è vero che vengono meno antichi Istituti, ne nascono però anche di nuovi e in una Chiesa locale c’è spazio per tutti. È con gioia che ho scoperto nella mia Diocesi delle nuove forme di consacrazione legate a movimenti ecclesiali: essi assumono lo spirito del movimento da cui derivano e lo applicano alla vita consacrata, in linguaggi e nelle forme adatte alla sensibilità degli uomini di oggi. Penso anche alla possibilità di dar vita in un prossimo futuro all’Ordo Virginum, che tanto interesse desta in questi anni nella Chiesa italiana.
Nella mia Diocesi, un Istituto di vita religiosa ha concluso la sua opera educativa a vantaggio della formazione scolastica dei bambini e la comunità si è, almeno in parte, trasferita. È stata per noi una grossa, dolorosa perdita, perché è un segno in meno di vita evangelica vissuta nella sua radicalità, ma non possiamo non riconoscere il tanto bene seminato, che comunque non andrà perduto. Inoltre abbiamo potuto acquistare, come Diocesi, il loro caseggiato, ad un prezzo veramente vantaggioso ed usufruire dei diversi arredi, che ci hanno lasciato in dono, con un gesto veramente generoso di gratuità, perché noi potessimo continuare ad usarli; anche questo è un motivo per cui la loro opera continua attraverso di noi. È stata una vera testimonianza di non attaccamento ai beni e di grande libertà di cuore, lasciare che altri potessero continuare la loro missione educativa.
In conclusione, cosa può chiedere un Pastore ai consacrati? Semplicemente di “esserci”, con la freschezza della loro vocazione. Il loro primo apostolato consiste nella testimonianza della propria vita consacrata, senza rimpianti per il loro passato, fedeli al Signore Gesù Cristo e capaci di porre Dio al centro della loro vita, in modo da rendere sempre più visibile il primato di Dio nella vita della Chiesa. Consapevoli che non può venire meno la vita consacrata, guardiamo ai consacrati come coraggiosi costruttori del loro futuro; capaci di mostrare un’alternativa alla vita corrente, nella sobrietà di una vita ordinaria e nella capacità di legami affettivi solidi e maturi; pronti ad intessere relazioni adulte, quali testimoni gioiosi, pienamente dediti all’annuncio e all’anticipazione del Regno.