Quando la passione diventa missione: Annalena Tonelli
Missionaria forlivese, Annalena Tonelli ha vissuto per oltre 30 anni fra i Somali. Negli ultimi 7 anni a Borama, Nord-Ovest della Somalia, ad un’ora di aereo da Jibouti ha riattivato ospedale e ambulatorio per la cura e la prevenzione della tubercolosi: un migliaio circa di malati ed un ritmo intensissimo di lavoro. Oltre alle cure mediche, ha iniziato anche: scuole di alfabetizzazione per bambini e adulti tubercolotici, corsi di istruzione sanitaria al personale paramedico, una scuola per bambini sordomuti e handicappati fisici. L’Organizzazione Mondiale della Sanità le forniva i medicinali essenziali e Annalena provvedeva alla spesa del mantenimento della struttura ospedaliera, agli stipendi per il personale, al cibo per i pazienti, a materiale e attrezzature scolastiche… L’ONU l’ha insignita del prestigioso premio Nansen a Ginevra, il 25 giugno 2003. L’hanno uccisa in seguito ad un attentato a Borama il 5 Ottobre 2003. Ecco alcuni brani della testimonianza che Annalena ha proposto ad un convegno sul volontariato (30 novembre 2001), su pressante invito del Vaticano.
Mi chiamo Annalena Tonelli.
Sono nata in Italia, a Forlì, il 2 Aprile 1943. Lavoro in sanità da trent’anni, ma non sono medico, Sono laureata in legge in Italia. Sono abilitata all’insegnamento della lingua inglese nelle scuole superiori in Kenya. Ho certificati e diplomi di controllo della tubercolosi in Kenya, di Medicina Tropicale e Comunitaria in Inghilterra, di Leprologia in Spagna. Lasciai l’Italia nel gennaio del 1969.
Da allora vivo a servizio dei Somali. Sono trent’anni di condivisione. Ho infatti sempre vissuto con loro, a parte piccole interruzioni in altri paesi per causa di forza maggiore. Scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati che ero una bambina e così sono stata e confido di continuare ad essere fino alla fine della mia vita.
Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null’altro m’interessava così fortemente: LUI e i poveri in LUI. Per LUI feci una scelta di povertà radicale… anche se povera come un vero povero, i poveri di cui è piena ogni mia giornata, io non potrò essere mai.
Vivo a servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia. Sono non sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane: volevo essere tutta per DIO. Era un’esigenza dell’essere quella di non avere una famiglia mia. E così è stato per grazia di DIO. […]
Partii decisa a gridare il Vangelo con la vita, sulla scia di Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza. Trentatré anni dopo, grido il Vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di continuare a gridarlo così fino alla fine. Questa la mia motivazione di fondo, assieme ad una passione invincibile da sempre per l’uomo ferito e diminuito senza averlo meritato al di là della razza, della cultura e della fede.
Tento di vivere con un rispetto estremo per i “loro” che il Signore mi ha dato. Ho assunto fin dove è possibile un loro stile di vita. Vivo una vita molto sobria nell’abitazione, nel cibo, nei mezzi di trasporto, negli abiti. Ho rinunciato spontaneamente alle abitudini occidentali. Ho ricercato il dialogo con tutti. Ho dato CARE: amore, fedeltà e passione. Il Signore mi perdoni se dico delle parole troppo grandi…
Vivo calata profondamente in mezzo ai poveri, ai malati, a quelli che nessuno ama. Mi occupo principalmente di controllo e cura della Tubercolosi. […]
Ricordo che quasi subito dopo il mio arrivo m’innamorai di un bimbo ammalato di sickle cell e di fame… erano i tempi di una terribile carestia: vidi tanta gente morire di fame. Nel corso della mia esistenza, sono stata testimone di un’altra carestia: dieci mesi di fame, a Merca, nel sud della Somalia, e posso dire che si tratta di esperienze così traumatizzanti da mettere in pericolo la fede. Avevo preso a vivere con me quattordici bambini con le malattie della fame.
Donai subito il sangue a quel bimbo e supplicai i miei studenti di fare altrettanto… uno di loro donò e dopo di lui tanti altri, vincendo così la resistenza dei pregiudizi e delle chiusure di un mondo che, ai miei occhi di allora, sembrava ignorare qualsiasi forma di solidarietà e di pietà. E fu forse la mia prima esperienza in cui, anche in un contesto islamico, l’amore generò amore.
Ma il mio primo amore furono i tubercolotici: la gente più abbandonata, più respinta, più rifiutata in quel mondo. La tubercolosi imperversa da secoli in mezzo ai Somali. Si pensa che praticamente tutta la popolazione sia infettata. Provvidenzialmente, solo una percentuale delle persone infettate sviluppa la malattia nel corso della sua esistenza.
Questa dell’UT UNUM SINT è stata ed è l’agonia amorosa della mia vita, lo struggimento del mio essere. È una vita che combatto e mi struggo – come diceva Gandhi, mio grande maestro assieme a Vinoba, dopo Gesù Cristo – che combatto, io povera cosa, per essere buona, veritiera, non violenta nei pensieri, nella parola, nell’azione. Ed è una vita che combatto perché gli uomini siano una cosa sola.
Ogni giorno, al TB Centre, noi ci adoperiamo per la pace, per la comprensione reciproca, per imparare insieme a perdonare… oh, il perdono, com’è difficile il perdono! I “miei” musulmani fanno anche tanta fatica ad apprezzarlo, a volerlo per la loro vita, per i loro rapporti con gli altri… loro dicono che la loro religione è così fudud, così poco esigente. Dio chiede all’uomo, dicono, di perdonare, ma se poi l’uomo non ne è capace, DIO è misericordioso. […]
La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi alle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che DIO c’è e che LUI è un DIO d’amore.
Nulla ci turbi e sempre avanti con DIO! Forse non è facile, anzi può essere un’impresa titanica credere così. In molti sensi, è un tale buio la fede, questa fede che è prima di tutto dono e grazia e benedizione… Perché io e non tu? Perché io e non lei, non lui, non loro?
Eppure, la vita ha senso solo se si ama. Nulla ha senso al di fuori dell’amore. La mia vita ha conosciuto tanti e poi tanti pericoli: ho rischiato la morte tante e poi tante volte. Sono stata per anni nel mezzo della guerra. Ho sperimentato nella carne dei miei, di quelli che amavo, e dunque nella mia carne, la cattiveria dell’uomo, la sua perversità, la sua crudeltà, la sua iniquità. E ne sono uscita con una convinzione incrollabile che ciò che conta è solo amare.
Se anche DIO non ci fosse, solo l’amore ha un senso, solo l’amore libera l’uomo da tutto ciò che lo rende schiavo; in particolare, solo l’amore fa respirare, crescere, fiorire; solo l’amore fa sì che noi non abbiamo più paura di nulla, che noi porgiamo la guancia ancora non ferita allo scherno e alla battitura di chi ci colpisce perché non sa quello che fa; che noi rischiamo la vita per i nostri amici; che tutto crediamo, tutto sopportiamo, tutto speriamo…
Ed è allora che la nostra vita diventa degna di essere vissuta.
Ed è allora che la nostra vita diventa bellezza, grazia, benedizione.
Ed è allora che la nostra vita diventa felicità anche nella sofferenza, perché noi viviamo nella nostra carne la bellezza del vivere e del morire. […]
Certo, dobbiamo liberarci di tanta zavorra. Ma ci sono metodi pratici, ci sono strade, ci sono indicazioni chiare, c’è DIO nella celletta della nostra anima che ci chiama.
Tuttavia la sua è una piccola, silenziosa voce. Noi dobbiamo metterci in ascolto, dobbiamo fare silenzio, dobbiamo crearci un luogo di quiete, separato, anche se spesso necessariamente vicino agli altri, come una mamma che non può stare troppo a lungo lontana dai suoi bambini. Infatti, per amare non sempre basta il nostro cuore, il nostro desiderio, la nostra sete di DIO. È parte dell’esperienza di chiunque decide di mettersi a servizio dei poveri che i poveri non sono facili da amare e che il cuore dell’uomo, anche di quello che si dona, può essere misteriosamente molto duro.
Nulla m’importa veramente al di fuori di DIO, al di fuori di Gesù Cristo… i piccoli sì, i sofferenti; io impazzisco, perdo la testa per i brandelli di umanità ferita: più sono feriti, più sono maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo. E questo amore è tenerezza, comprensione, tolleranza, assenza di paura, audacia. Questo non è un merito. È un’esigenza della mia natura. Ma è certo che in loro io vedo LUI, l’agnello di Dio che patisce nella sua carne i peccati del mondo, che se li carica sulle spalle, che soffre ma con tanto amore,… nessuno è al di fuori dell’amore di DIO. […]
Ai Somali molto ho dato. Dai Somali molto ho ricevuto. Il valore più grande che loro mi hanno donato, valore che ancora io non sono capace di vivere, è quello della famiglia allargata, per cui, almeno all’interno del clan, TUTTO viene condiviso. La porta è sempre spalancata ad accogliere fino al più lontano membro del clan. L’Eucaristia ci dice che la nostra religione è inutile senza il sacramento della misericordia, che è nella misericordia che il cielo incontra la terra. […]
Vorrei aggiungere che i piccoli, i senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, ma tanto agli occhi di DIO, i suoi prediletti, hanno bisogno di noi, e noi dobbiamo essere con loro e per loro e non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d’acqua nell’oceano. Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. LUI ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre…
I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all’immaginazione di ciascuno di noi. Non aspettiamo di essere istruiti nel tempo del servizio. Inventiamo… e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita.