Tra reti di parole e riti di relazione
L’allarme viene dagli Stati Uniti, precisamente dall’Università del Missouri, dove, secondo la ricercatrice Amanda J. Rose, le adolescenti soffrono di iper-comunicazione tecnologica che le rende depresse. Tra sms, e-mail, instant messaging e social networking esse, molto più dei loro coetanei, tessono conversazioni e condividono esperienze. Sostenute dai fili interconnessi di una Rete sempre più invisibile e soffice, le ragazzine mettono in moto un meccanismo chiamato coruminating (rimuginare in condivisione), scervellandosi sui problemi e sulle ansie, introiettando e ingigantendo i problemi e mettendosi a rischio di un contagio emozionale.
L’homo sapiens, che alcuni anni fa aveva ceduto il passo all’homo videns e sentiens, è ormai ricordo del passato. Ora, i winomads e i techno-bedouins incalzati da un processo tecnico-informativo sempre più innovativo, sono l’accezione estrema di una umanità che si va formando attorno ad una mentalità e stili di vita sempre più frammentati, ma ben programmati. La persona è inserita in un sistema il cui unico valore universale è la compravendita, dove si vive l’economia dell’esperienza, in cui la vita stessa di ciascun individuo diventa mercato. La nuova parola d’ordine è valore della vita (lifetime value o LTV) del cliente: la misura teorica di quanto un essere umano potrebbe valere se la sua esistenza, per l’intera sua durata, fosse trasformata, in un modo o nell’altro, in merce e sottomessa alla sfera commerciale[1].
Sulla Rete impazza Miss Bimbo, un videogioco per ragazzine che devono far diventare bello il loro avatar. A pochissime settimane dall’apertura, erano già centinaia di migliaia le “giovanissime” dai 9 ai 16 anni iscritte e che si trovano dentro a un gioco alle prese con dieta, guardaroba, palestra e shopping. La competizione consiste nel creare e curare il personaggio più cool, ricco e famoso; tra gli strumenti concessi: pillole e chirurgia plastica, biancheria sexy e nightclub e il rapporto con un ragazzo che paga quotidianamente per la relazione che stabilisce. Non stupisce che Miss Bimbo abbia risvegliato molte critiche, non tanto perché a un certo punto chiama in causa i soldi veri quanto per i messaggi diseducativi che suggerisce. Istantanee dell’oggi. Dentro a questo variegato scenario, come adulti, educatori, formatori e animatori percepiamo che è sempre più difficile trasmettere valori certi, confrontarsi con regole di comportamento, proporre mete credibili attorno a cui costruire la vita. Siamo però convinti che la persona «ha sete di verità, è alla ricerca di verità»[2].
Una complessità che ci riguarda
A più di trent’anni dal primo collegamento tra quattro elaboratori di altrettante sedi universitarie statunitensi, “in rete”, più che i computer, sono state messe le persone. La diffusione di Internet interessa, nonostante sostanziali e strutturali differenze, ormai l’intera comunità umana dei cinque continenti e la fruizione e il consumo coinvolgono, con prassi differenti, uomini e donne di ogni età. La sua affermazione non ha soppiantato i “vecchi” media, anzi ha rafforzato e generato un sistema globale di comunicazione. Per i giovanissimi, e non solo, la Rete non è “una” tecnologia in più, ma opportunità di connessioni, certezza di spazi in cui transitare, sperimentazione di modalità per esprimere e dare corpo al diritto-dovere di comunicare e di intrecciare relazioni.
Il mondo globale ha bandito le frontiere e ha costruito spazi per la comunicazione, fondendo in un “non-luogo” infinito circolazione e consumo di beni. Ha abolito gli antichi confini, accettando il rischio che i luoghi tradizionali non solo cessino di esistere, ma cessino anche di avere significato.
A confronto con il presente, “la persona” è spettatrice disincantata di un’innovazione quotidiana oppure protagonista di un tempo “speciale”? Di fronte ai mutamenti e alle trasformazioni vorticose, non basta assistere e subire l’impatto: bisogna attrezzarsi a pensare sui fenomeni, inventare verso dove orientare le reti di cui si è nodi, e non solo canali, grazie al flusso della comunicazione. Senza dimenticare che le chiavi interpretative restano la persona e il suo mistero.
Nuovi paradigmi di comunicazione
La comunicazione è luogo, processo in cui si sperimenta vita e socialità. La rete di simboli nella quale si è immersi è sempre più fitta e intricata, sottoposta a trasformazioni velocissime che ne modificano continuamente l’assetto e rendono le nuove modalità non semplici mezzi in cui passa il messaggio, ma luoghi di elaborazione e negoziazione, di lettura e interpretazione della realtà[3]. A fronte di tanta possibilità e opportunità di connessione, apertura, confronto, dialogo, si corre il rischio di saturare e di perdere il senso della comunicazione. Di non comunicare.
L’affermarsi e il diffondersi delle nuove tecnologie, e la conseguente moltiplicazione delle fonti di emissione dei messaggi, hanno trasformato il sistema comunicativo determinando frammentazione dei contenuti, personalizzazione dei messaggi, segmentazione del pubblico, specializzazione dell’informazione.
Gli ultimi decenni sono stati testimoni dello stabilirsi di alleanze strategiche tra megagruppi con un obiettivo comune: ritagliarsi e accaparrarsi fette di mercato in espansione e continua trasformazione. In questo modo, il sistema culturale dei media ne è uscito rafforzato: lo stesso messaggio viene emesso con forme diverse, che si richiamano mutuamente. La concentrazione della comunicazione assume i toni e i tratti di una nuova colonizzazione e omogeneizzazione.
Grazie alla tecnologia wireless si afferma la personalizzazione della comunicazione e la conquista del tempo: il telefono fisso è legato a un luogo, mentre il cellulare “rintraccia” immediatamente e mette in linea ancora prima di rispondere. È possibile utilizzare i tempi “morti” dell’andare e venire perché ogni momento è utile per parlare e divertirsi. La tecnologia non viene solo “piegata” alle proprie necessità, ma “portata addosso” come un terminale sempre più intelligente e piccolo. Portabilità e miniaturizzazione che marcano il passaggio sempre più rapido dai mass-media ai my-media:dalla comunicazione dall’uno a molti, dall’uno-sempre-disponibile al tutti-sempre-raggiungibili.
La multicanalità offre un ventaglio di opportunità, una varietà di canali tra cui scegliere il più adatto per porsi e mantenersi in contatto, costruire la rete di relazioni che intrecciano la trama dell’esistenza quotidiana, dal lavoro allo studio, dall’organizzazione dei rapporti e delle amicizie alla gestione dei tempi professionali e personali, dal tempo occupato al tempo libero. Il privato trasportato in “piazza”, l’invadenza e il rumore della comunicazione, lo svuotamento e la perdita di senso dell’interazione, la dipendenza e l’abuso della Rete sono solo la punta dell’iceberg.
Networked generation
Internet è connotata soprattutto da un’utenza giovanile. A differenza del passato, in cui sembrava possibile “catturare” i giovani con una parola, oggi se ne parla per definirli spesso come la generazione “senza”: senza lavoro, valori, certezze, visibilità e fiducia nelle istituzioni.
La forte spinta alla soggettivizzazione produce in loro relativismo etico, mancanza di progettualità, scelte non definitive, frammentazione dell’identità, rifiuto dei valori della tradizione, esperienze religiose confinate alla sfera privata poco impegnata, e impregnata, nel costruire il bene comune. Le nuove generazioni sono spinte a dare importanza all’autenticità e all’autorealizzazione; spesso la ricerca di sé e la soddisfazione delle proprie esigenze scalzano regole e principi morali. Tuttavia si rileva anche una tensione al superamento di sterili moralismi e nello stesso tempo un ritorno a tematiche più aperte alla persona, al gruppo. L’incertezza nel definire l’universo giovanile in sé si fa pressante quando lo si vuole circoscrivere a “Internet”. La Rete è un insieme di luoghi, linguaggi, pensieri, forme e colori in continua evoluzione, tutti da scoprire e sperimentare, sconfinati, interattivi, mutanti. I giovani vivono la comunicazione in modo simultaneo e non più con l’antica modalità sequenziale, cifra di identificazione ed eredità del mondo adulto. La distanza da questa generazione è oggi, ancora più che in passato, definita e stabilita dall’uso del sistema di comunicazione: i grandi sono impegnati ad apprendere, i giovani invece sono nomadi dei flussi comunicativi.
L’avvento della comunicazione in Rete ha inciso sulle concezioni di spazio e tempo in cui vivere la dimensione interpersonale e sociale degli incontri: il tempo vissuto dai giovani in Rete è un tempo infinito, continuamente sfuggente, un “mordi e fuggi”, che consuma le esperienze a ritmo serrato. Anche gli spazi vengono continuamente ridefiniti come luoghi e non-luoghi dell’incontro e dell’esperienza. Essi vivono una condizione di nomadismo tra online e offline, tra reale e virtuale, tra le comunità e i luoghi d’incontro in Rete e il gruppo dei pari, tra schermi di un computer e l’incontro con gli amici, tra squilli di cellulare, chiacchierate nei cybercafé, le serate in discoteca o a giocare d’azzardo con una vita al limite[4].
Il rapporto Internet e giovani, se da una parte spalanca le porte a nuove e impensate risorse per l’educazione e la comunicazione, dall’altra apre a rischi e pericoli. Senza dubbio, la comunicazione in Rete, con le sue caratteristiche di velocità, immediatezza, economicità, anonimità, gruppalità, può instaurare in personalità psicologicamente e socialmente fragili percorsi devianti. Da navigatori si diventa naufraghi della Rete[5].
Accompagnare nel tempo della comunicazione
Percepiamo che è importante oggi cercare “come” intercettare, incrociare, incontrare lo sguardo e la vita dei giovani e delle giovani, i nostri di questo nostro terzo millennio (liberandoci dall’enfasi di frasi ad effetto mediatico). Solo l’accettazione del loro comunicare, così a volte inafferrabile per l’espressione e i significati che riveste, porterà ad accogliere e a percepire la muta invocazione a trovare un “tu” (anche con la maiuscola) che ascolti, che tenga aperto il contatto, che sveli e confermi, dia pienezza all’essere profondo di ogni persona. Da lì il passaggio, l’accompagnarli ad ascoltare la voce del Dio che chiama e invita a fare della propria vita un dono d’amore.
L’annuncio è una presenza. La chiamata è apertura di se stessi. Nella disponibilità al confronto con l’altro si compie il processo del portare alla luce, del dare forma ed espressione al paesaggio interiore che, altrimenti, resterebbe inascoltato. Anche a noi stessi.
Quelli di seguito sono atteggiamenti di fondo per chi accompagna. Li conosciamo già, ma qui sono interpretati dall’ottica della comunicazione odierna. Ciascuno, nel suo proprio contesto, saprà individuare le strade e le vie, i sentieri e i viottoli per farsi compagno/a di viaggio nell’ascoltare le voci e la Voce ed essere “epifania” dell’amore, acconsentendo a “sostare” dalla parte di Dio e del suo popolo.
Ascoltare
È fondamentale. Non per dovere, né per cortesia, ma perché è una questione vitale: ascoltare è un’attività che costa tanto quanto il parlare. Vuol dire non scegliersi l’interlocutore compiacente, ma piuttosto lasciarsi ferire dalle domande che vengono poste. Soprattutto oggi, dove suoni, parole e immagini si moltiplicano e si rincorrono, dove la rapidità dell’innovazione e della comunicazione incalza, dove giovani e meno giovani appaiono irraggiungibili dietro gli auricolari degli iPod, dove affetti, lavoro, amicizie, tempo libero si inseriscono in una rete di squilli anche quando non si è “raggiungibili”…
– Ascolto attivo, mite che sia preludio alla comunicazione, alla comunione per formare coscienze aperte e attente all’altro; maturare nella capacità di restare in spazi di silenzio per accogliere la novità, la sofferenza, l’imprevisto e l’imprevedibile della vita; rallentare i ritmi frenetici per accorgersi delle piccole cose che danno sapore alla vita.
– Silenzio contemplativo e pensoso per lasciarsi stupire dagli avvenimenti, per entrare nella storia e non rimanere alla finestra a guardare. Riscoprire il silenzio e la parola nel loro reciproco fecondo rapporto, è un’urgenza assoluta del nostro tempo. Abbiamo bisogno di imparare nuovamente a parlare nel senso di dire parole che vengano dal silenzio e che dimorino nel silenzio dell’ascolto dell’altro; imparare a tacere non nel senso di chiudersi nella prigionia delle nostre solitudini, ma di lasciarsi raggiungere dalla parola che evoca, che abita, che attira, che trasforma.
– Oltre la parola, il dialogo. Mai come oggi, nella società della comunicazione, nel surplus di comunicazione, il rischio di non comunicare è forte e la sfida è fornire qualità alla comunicazione. I giovani hanno perso per strada un mucchio di parole: per cui, se nel 1976 un ragazzo di 16 anni disponeva di 400 vocaboli, oggi sembra che non ne abbia in bocca più di 600. E siccome nessuno può pensare al di là delle parole che conosce, aumenta incredibilmente la quantità del dolore, perché si soffre di più quando non si è in grado di nominare e quindi di comunicare il proprio dolore.
Coinvolgersi
È una seconda condizione perché la persona cresca e maturi nella definizione di una sana identità personale, capace di aprirsi a se stessa e agli altri. Siamo noi e la nostra capacità di comunicare a rendere il mondo un campo di opportunità vitali.
– Il tempo ritrovato. È statisticamente in aumento il tempo trascorso dai giovani davanti o con i media. Ma anche gli adulti non ne sono immuni. La sfida è formativa, non solo nel senso di educazione ai media, ma piuttosto di una formazione alla responsabilità nella gestione della propria vita per non sottrarre tempo alle relazioni e a spazi di pensiero e di riflessione, di approfondimento e studio.
– Non solo Second Life. La multiidentità della Rete interpella a riconoscere se stessi e a raccontarsi. Il versante educativo della persona-in-Rete invita a formarsi per non subire la trappola dell’anonimato e della fittizia presentazione di sé, in una dimensione totalmente virtuale, sola, sradicata dalla memoria e dalla storia del presente, del passato e dalla progettualità del futuro.
Incontrare
Per Ebner le relazioni giuste significano uno stile di rapporto che conduce a un incontro effettivo con l’altro. Esse stesse sono l’incontro. Nel nostro tempo, dove le distanze si assottigliano sempre più, dove i confini degli spazi sfumano e si fanno sempre più aperti, la persona corre il rischio di attraversare le molteplici reti vivendo di “zapping” percettivo e culturale, di “mordi e fuggi” interattivo, ma non cogliendo la dimensione di mistero che contraddistingue ogni venire al mondo e vivere nel mondo.
– Ricucire la relazione, ricostruirla da ciò che nessun computer potrà mai darci: l’impatto della presenza, della voce, dello sguardo dell’altro. Non è sufficiente la qualità del tempo offerto alla relazione: è altrettanto importante la quantità. L’educare spiritualmente consapevole offre un’amicizia, una compagnia, uno spazio relazionale in cui è possibile incontrare e sperimentare, già almeno in parte, ciò che si vuole trasmettere.
I molti luoghi di aggregazione e di espressione giovanile in Rete, come le altre esperienze in Internet, se non sono vissuti con un continuo riferimento alla percezione critica personale, con una capacità di apertura e di disponibilità a un confronto più ampio con le situazioni reali, sono destinate a diventare effimere, dei trampolini di lancio per una fuga e un’estraneità dalla vita quotidiana e dai suoi problemi, dalle sue sfide, dalle sue domande, dalle sue inconsistenze, dai suoi compromessi e dalle sue conquiste. Nell’interrelazione tra reale-virtuale sta la strategia per abitare la complessità e vivere effettivamente gli orizzonti vasti e ampi che Internet e la comunicazione in Rete aprono. Altrimenti, «abolito il passato, la vita si svolge nel presente e in un futuro a corto raggio»[6]. Se si vuole che i media, e Internet, abbiano un peso minore, le relazioni interpersonali, compresa quella formativa, devono avere una maggiore qualità.
Adulti: al capolinea o ai paletti di partenza?
Papa Benedetto XVI, nel gennaio scorso, ha richiamato gli educatori all’importante compito dell’educazione dei giovani, inscrivendolo nell’orizzonte più ampio di una questione antropologica che sfida la contemporaneità. Siamo consapevoli, infatti, che a rischio di educazione oggi sono i piccoli, gli adolescenti e i giovani. Da parte degli educatori e delle educatrici, è forte «la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita»[7].
Questa crisi dell’adultità, di paternità e maternità (e quindi di ogni autorità) può essere letta come un effetto della crisi generale di una civiltà: il nostro tempo. Che autorità può avere infatti un padre e una madre, un insegnante, un educatore e un’educatrice che non sappia più consegnare alle nuove generazioni un itinerario forte e vivo di maturazione? O che riproduce modelli superati, violenti e patetici? O si presenta come un clone di una società senza direzione, senza dignità e senza senso?
È allora un augurio di speranza e di buon cammino quello che possiamo farci. Che in questo contesto di passaggio in cui ci è dato vivere, possiamo non perdere l’entusiasmo, ma raccogliere in piena consapevolezza le sfide in atto, e trasmettere ai giovani e alle persone che si affidano a noi il coraggio e la gioia insiti nell’avventura in corso. C’è bisogno di educatori (e di comunicatori) che testimonino l’ebbrezza e la determinazione interiore per affrontare il mare aperto della trasformazione; che siano essi per primi uomini e donne di avventura; esploratori umili e perseveranti che sappiano fissare lo sguardo su una terraferma che resta però sempre futura, in avanti; che non posseggano sempre tutte le risposte, ma conoscano qualche segreto pratico e concreto per vivere senza troppa paura, e per continuare a fidarsi della rotta che di notte ci offre soltanto la stella polare.
E che la rotta possa condurci a camminare insieme ai giovani anche negli ambienti mutanti e nomadi della Rete. Ma queste sono altre storie.
Note
[1] Cf L’Homo technologicus cede il passo sta per arrivare il Mobilis nomade, Repubblica online (11.04.2008), in http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/scienza_e_tecnologia/wifi/winomad/winomad.html
[2] BENEDETTO XVI, Messaggio per la 42a Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, n. 6.
[3] Cf BRUNO M. MAZZARA, Prefazione, in M. BONAIUTO (Ed.), Conversazioni virtuali. Come le nuove tecnologie cambiano il nostro modo di comunicare con gli altri, Milano, Guerini e Associati 2002, 7-13.
[4] Cf MARZIA ANTENORE, No luogo. Identità e culture politiche giovanili, in MORCELLINI-PIZZALEO, Net sociology. Interazioni tra scienze sociali e Internet, Milano, Guerini e Associati 2002, 233-2413.
[5] Cf FRANCO DI MARIA, Gruppi telematici e dinamiche virtuali, in F. DI MARIA – S. CANNIZZARO (Eds.), Reti telematiche e trame psicologiche. Nodi, attraversamenti e frontiere di Internet, Milano, Franco Angeli 2001, pp. 15-41. IAD (Internet Addiction Disorder) è il nome che identifica la sindrome da dipendenza da Internet. Altri pericoli sono legati alla sovrabbondanza di informazione (overload information): la quantità ed estrema versatilità delle notizie presenti sul web genera, da una parte, un senso di potenza, in quanto chiunque si connette alla Rete è potenzialmente in grado di raggiungere ogni tipo di informazione, di essere aggiornato 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.
[6] EUGENIO SCALFARI, Alle origini della generazione inesistente, in I. DIAMANTI (Ed.), La generazione invisibile. Inchiesta sui giovani del nostro tempo, Milano, Il Sole 24 Ore, 2000, pp. 249-252.
[7] BENEDETTO XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione (21 gennaio 2008).