Welcome
Il regista – Philippe Lioret è nato il 10 ottobre 1955 a Parigi. Incomincia la sua avventura nel cinema specializzandosi nel campo del suono. La sua lunga collaborazione con illustri registi francesi lo porta a desiderare di diventare lui stesso regista. Esordisce così nel lungometraggio con il film Tombés du Ciel – premiato nel 1993 al Festival di San Sebastiano –, una commedia che rivela però anche l’anima sociale e impegnata del regista. Dopo aver realizzato altre opere, arriva finalmente la notorietà con Je vais bien, ne t’en fais pas (2006), che ottiene cinque nomine ai Césars. Nel 2009 realizza il film Welcome, accolto con quindici minuti di applausi alla Sezione “Panorama” del Festival di Berlino 2009 e che ha ottenuto il Premio del Pubblico, il Premio Label Europa Cinémas e il Premio della Giuria Ecumenica. Inoltre, presentato all’ultimo Torino Film Festival, ha ricevuto il riconoscimento Premio Lux da parte del Parlamento Europeo.
Il film si ispira ad un libro-inchiesta di Olivier Adam, che parla del degrado di Calais a causa di illegalità dovute a racket, persecuzioni, rabbie, volontariato e azioni giudiziarie.
La vicenda – Bilal è un ragazzo curdo-iracheno di diciassette anni. È fuggito da Mossul e ha attraversato a piedi tutta l’Europa per cercare di raggiungere la sua ragazza, Mina, che è emigrata in Inghilterra con la sua famiglia. Ora è giunto a Calais, a soli 32 chilometri dalla città inglese più vicina. Ma il vero problema è attraversare la Manica, soprattutto ora che le leggi francesi sono diventate particolarmente rigide e i controlli di polizia sempre più rigorosi[1]. Dopo aver tentato invano di passare con la complicità dei trafficanti a bordo di un TIR, Bilal decide di attraversare la Manica a nuoto. Per far questo si iscrive in piscina per prendere lezioni. Qui incontra Simon, un maestro di nuoto che sta per divorziare dalla moglie Marion, una donna impegnata nel volontariato a favore dei migranti. Poco alla volta tra i due nasce un’amicizia che porta Simon ad aiutare Bilal nel suo folle piano, anche se questo gli costa un’indagine della polizia e la perdita della libertà.
Bilal, giunto a 800 metri dalla costa inglese, braccato dalla guardia costiera, scompare sott’acqua e muore. Simon sente il bisogno di andare a Londra per avvertire Mina. Poi se ne torna a casa, con tanta tristezza nel cuore, ma anche con una ritrovata umanità che lo porta ad affrontare la vita e il suo rapporto con l’ex moglie in modo nuovo.
Il racconto – Una semplice struttura lineare divide la vicenda in quattro grosse parti seguite da un epilogo.
Prima parte – Ha la funzione di presentare i due protagonisti del film, Bilal e Simon, nei rispettivi contesti sociali ed esistenziali.
Le prime immagini del film si riferiscono alla telefonata che Bilal fa per avvertire Mina del suo imminente arrivo. Una didascalia precisa che ci troviamo a Londra, il 13 febbraio del 2008, cioè in pieno inverno. Al telefono risponde il fratello di Mina, ma deve parlare piano per paura del padre che potrebbe insospettirsi. Sullo sfondo si sentono i rumori e le grida di una partita di calcio che viene trasmessa in TV. Poi le immagini si soffermano su Bilal e sulla cosiddetta “giungla” di Calais, un esercito di disperati che si contendono un piatto di minestra e che talvolta si azzuffano, ma che sono anche capaci di solidarizzare e di aiutarsi nel momento del bisogno. Bilal chiede aiuto ad altri clandestini come lui. Tra questi ritrova anche un connazionale suo amico che gli spiega come stanno le cose: l’unico modo di passare il confine è affidarsi ai trafficanti pagando la somma di 500 Euro.
Le immagini si soffermano a descrivere l’odissea di Bilal che, assieme ad altri, si introduce di nascosto all’interno di un TIR. Ma la polizia di frontiera usa delle sonde per sentire il respiro di eventuali clandestini: è pertanto necessario respirare dentro a sacchetti di plastica per non farsi scoprire. Ma Bilal non ce la fa e provoca l’arresto suo e dei suoi compagni. Più tardi, quando dovrà giustificare con l’amico il suo “errore” si capirà il motivo per cui non ce l’ha fatta: «Quando sono partito dall’Iraq mi hanno preso i militari turchi. Mi hanno legato le mani e mi hanno messo un sacco nero in testa. Sono rimasto così per otto giorni».
Bilal viene schedato dalla polizia: gli vengono prese le impronte digitali, gli viene scritto un numero sulla mano (terribili reminiscenze!) e viene inviato davanti a un giudice sbrigativo che lo ammonisce: «In conformità alle misure relative a persone provenienti da paesi in guerra, lei non è soggetto a provvedimento di espulsione, ma sappia che abbiamo misure di polizia molto severe per indurre le persone come lei a rientrare nel paese d’origine. Dato che lei non ha precedenti penali non la metterò in un centro di detenzione stavolta, ma l’avverto che non voglio più vederla».
Bilal allora progetta il suo piano e va in piscina per prendere lezioni di nuoto. Qui incontra Simon che, con molta indifferenza, lo allena dandogli consigli, ma incomincia anche a curiosare su quello strano ragazzo che porta impresso un numero sulla mano, chiedendogli perché vuole imparare a nuotare.
Subito dopo le immagini si soffermano sulla figura di Simon. Lo vediamo al supermercato, dove incontra la moglie, Marion. I due parlano della lettera del giudice e del divorzio imminente. Ma c’è un fatto particolarmente significativo: Marion reagisce con forza contro gli inservienti che impediscono ad un immigrato di entrare nel negozio, mentre Simon se ne sta zitto e accetta il fatto compiuto. In strada la moglie lo incalza: «Lo sai cosa significa iniziare a non fare entrare più la gente nei negozi… o vuoi che ti compri un libro di storia?» E di fronte alla domanda di Simon: «Tu cosa vuoi fare?», lei risponde energicamente: «Voglio incazzarmi, per l’umiliazione di quel ragazzo e per la tua indifferenza che mi dà ancora più fastidio».
In seguito vengono sottolineate la solitudine di Simon (che verrà rimarcata anche in altri momenti) e la sua evidente crisi esistenziale.
Seconda parte – Simon comincia a cambiare atteggiamento.
Si ferma con l’auto e dà un passaggio a Bilal e al suo amico, li porta a casa sua, dà loro da mangiare, parla con loro, gli prepara un giaciglio. E proprio in questo momento appare un elemento di grande valore emblematico: sotto i cuscini del divano che viene preparato Simon ritrova l’anello, considerato perduto, della moglie.
Simon, che è stato un campione di nuoto e che ha in bella mostra i trofei vinti (tra cui una medaglia d’oro) si informa sui progetti di Bilal e viene a sapere che anche il ragazzo è considerato un campione per la sua velocità nel correre (viene chiamato “Bazda”, il corridore). E incomincia a guardare quasi con tenerezza quel ragazzo, la cui aspirazione è quella di poter giocare nel Manchester United (dove giocava il famoso calciatore Cristiano Ronaldo). Tuttavia lo invita a desistere da quel progetto un po’ folle e poi, dopo essersi schermito per i ripetuti “grazie” che Bilal continua a rivolgergli, se ne va in camera sua, dove, pensieroso, guarda quell’anello ritrovato.
Poco dopo, in bagno, Simon si accorge che Bilal tenta di respirare dentro ad un sacchetto di plastica. Ne nasce un equivoco che dà origine ad un diverbio; ma poi tutto viene chiarito e Simon apprende, con stupore, dello stratagemma che i clandestini devono usare. Quando Marion viene a riprendersi i suoi libri e trova i due clandestini chiede spiegazioni. Simon, un po’ imbarazzato, risponde: «Sono dei ragazzi cui do una mano… erano fuori, congelati; mi hanno fatto pena». E di fronte alla domanda: «Perché lo fai, Simon?», egli ribatte: «Beh, perché? Per niente, così». È comunque evidente il cambiamento che sta avvenendo nell’“indifferente” Simon.
Ma le cose si complicano. Simon viene interrogato dalla polizia, che ha ricevuto ordini severi, per aver dato un passaggio a due immigrati («Se li aiuta ne farà venire altri»). Per di più anche Marion, che prima l’aveva criticato per la sua indifferenza, ora lo ammonisce: «Non far venire più quei curdi a casa tua. Ti stai andando a cacciare in un pantano. La polizia ci sorveglia. Fanno di tutto per non farci dare più pasti caldi e vestiti… hanno arrestato un volontario che ospitava dei rifugiati: rischia cinque anni di galera… ora devi smetterla». Ma Simon non si lascia intimorire: presta una muta a Bilal e lo fa provare a nuotare in mare, dove le correnti sono forti e la temperatura dell’acqua è di dieci gradi. E qui Simon scopre il vero motivo della testardaggine di Bilal e rimane sconvolto dal fatto che il giovane faccia tutto questo per “una ragazza”. La cosa lo commuove. Gli offre il suo telefonino; lo porta con la macchina in centro, incurante dei pericoli cui potrebbe andare incontro.
Dopo la sentenza di divorzio davanti al giudice, Simon pranza con Marion e le chiede dell’anello. Di fronte alla donna che dice di non trovarlo più, Simon osserva: «Tanto ora quell’anello non significa più niente». Poi, con grande intensità: «Tu lo sai perché vuole attraversare? Per rivedere la sua ragazza. Si è fatto 4.000 chilometri a piedi e ora vuole attraversare la Manica a nuoto. Io non ho saputo neanche attraversare la strada per fermarti».
Quando però si accorge che Bilal si è allenato di nascosto e ha passato la notte in piscina (con il rischio di provocare il suo licenziamento), lo caccia bruscamente. Ma poi, eccolo lì, nuovamente solo, con i suoi pensieri, a fare zapping con il telecomando.
Terza parte – L’interessamento diventa partecipazione e solidarietà.
Simon lo va a cercare nella “giungla”, ma non lo trova. Non trova neanche Marion perché è arrivata la polizia con i lacrimogeni («ne hanno presi due o tre e se ne sono andati: tutto per non farli mangiare»). Dopo varie ricerche, finalmente lo trova e lo riporta a casa sua, dove lo incoraggia a diventare un nuotatore. Un altro equivoco: Simon si accorge che è sparita la sua medaglia d’oro e accusa Bilal (in realtà era stato il suo amico a rubarla). Simon l’aggredisce e Bilal se ne va. Ma poi ecco che lo rincorre, si scusa («Ho dei problemi anch’io»), lo fa tornare e si scontra con il vicino che protesta («Sono lerci, hanno la rogna e rubano») e che minaccia, facendo anche basse insinuazioni. Significativo che proprio davanti alla porta di questo vicino così intollerante appaia ben visibile sullo zerbino la scritta “Welcome”, che l’autore usa sarcasticamente per antifrasi per il titolo del suo film.
Nel frattempo Mina viene promessa sposa ad un cugino del padre e quindi le speranze di Bilal diventano sempre più flebili. Simon cerca di consolare il ragazzo e arriva a regalargli l’anello (un anello antico molto bello, con diamanti e zaffiri) per far colpo sul padre della ragazza.
Quando arriva la perquisizione della polizia, avvisata dal vicino che ha denunciato Simon, Bilal non si trova più. Simon, ancora una volta, lo va a cercare. Quando capisce che il ragazzo è partito a nuoto, avvisa il centro operativo della guardia costiera per avviare le ricerche, dichiarando: «È mio figlio». Nell’attesa Simon si avvicina all’ex moglie e cerca da lei conforto e un po’ d’amore: «Non ce la faccio più. Vivere senza di te per me è impossibile… faccio solo stronzate». Poi, il ritrovamento.
Bilal viene rinchiuso in un centro di permanenza (una specie di prigione per rifugiati) e Simon viene sottoposto a un’indagine per aver aiutato immigrati clandestini e per traffico di clandestini. Il poliziotto cerca anche di incastrare Marion: «Sono mesi che mi chiedono di incastrare dei volontari. Ho pressioni molto forti e ora, grazie a lei, potrò dare un segnale forte: ne incastro uno almeno. Quindi che sia ancora o no sua moglie, legalmente non cambia niente: è complice lo stesso». Ma Simon si assume tutta la responsabilità (e anche di più) pur di salvare Marion: viene così condannato alla libertà vigilata con obbligo di firma giornaliera.
Quarta parte – Riguarda la tragica fine di Bilal. Simon riceve la telefonata di Mina che, disperata, annuncia il proprio matrimonio e supplica Bilal di non partire. Simon, per l’ennesima volta, lo va a cercare, rischiando ulteriori guai con la polizia. È costretto a dargli la cattiva notizia, gli regala il suo giaccone, gli dice: «Chiamami». Poi lo vediamo a letto, da solo, ancora in preda ai suoi pensieri. Riprende il lavoro di insegnante di nuoto.
Le immagini, con montaggio parallelo, mostrano, con grande efficacia, il giovane che Simon sta allenando in piscina e Bilal che sta affrontando le insidie del mare. Sono immagini epiche e ricche di pathos. Bilal è ormai in vista della costa inglese, ma viene avvistato dalla guardia costiera. Anche qui l’immagine (come nel caso di Sarkozy) si sofferma a rappresentare quella bandiera inglese sulla motovedetta che dà la caccia a Bilal, mettendo in contrasto, emblematicamente, le rigide leggi dei governi con le profonde aspirazioni delle persone.
Bilal, per sfuggire alla cattura, si rifugia sott’acqua: non lo si vedrà più riemergere. Simon viene a sapere dal poliziotto che Bilal era giunto a 800 metri dalla costa inglese, cosa che nessuno era riuscito a fare in quelle condizioni. Gli viene riconsegnata la medaglia d’oro rubata dall’amico di Bilal (che probabilmente ce l’ha fatta) e trovata in possesso di un trafficante. Così come gli viene riconsegnato quell’anello dal chiaro valore simbolico. Simon partecipa poi, con mestizia, al funerale di Bilal: davanti alla bara un mazzo di fiori con la scritta “Bazda”, l’ultimo omaggio di Simon a suo “figlio”.
Epilogo – Sottolinea la reazione e il cambiamento di Simon.
Simon sente il bisogno di recarsi a Londra per incontrare Mina. Le comunica la triste notizia, le offre l’anello, dicendole che Bilal l’aveva comprato per lei. Ma lei quell’anello non potrà mai portarlo: mancano dieci giorni al suo matrimonio. I due si lasciano. Nel frattempo telefona Marion preoccupata perché la polizia sta cercando Simon che da due giorni non va a firmare: «Ti metteranno sotto custodia cautelare… devi tornare adesso… la devi smettere». Simon allora le dice di aver ritrovato, sotto i cuscini del divano, il suo anello e le chiede: «Sei contenta?». Lei risponde di sì. Allora Simon conclude: «Sto per tornare… Torno a casa». Il tempo per vedere in TV le immagini di Cristiano Ronaldo che esulta dopo aver segnato un gol (è il sogno di Bilal svanito per sempre), poi l’immagine sul Primo Piano di Simon che conclude il film.
L’autore non dice se Simon ritornerà con la moglie, ma certamente sottolinea la profonda trasformazione che è avvenuta in quest’uomo, che sembra aver riscoperto un’umanità e una sensibilità morale che sembravano essere state cancellate dalla sua vita. Grazie a Bilal e al suo sogno d’amore.
Significazione – Entrambi i protagonisti sfidano le leggi dello Stato e le violano. Bilal lo fa per cercare una vita migliore e per coronare il suo sogno d’amore con Mina; Simon, che resta colpito dalle “ragioni” del ragazzo, lo fa per aiutarlo e per seguire i dettami della propria coscienza. Il primo, purtroppo, soccombe; il secondo, pur nella mestizia, ne risulta profondamente arricchito sul piano umano e morale.
Idea centrale – Di fronte a certe leggi inique che vanno contro i diritti fondamentali della persona, è necessario reagire, arrivando anche a trasgredirle, per realizzare le proprie aspirazioni più profonde e per far valere la voce della propria coscienza: indipendentemente dal risultato, è un modo per affermare quei valori inalienabili da cui dipende la dignità della persona umana.
Valutazione – Il film possiede un grande valore dal punto di vista tematico e morale. Senza bisogno di far ricorso a luoghi comuni o ad una retorica nella quale, dato l’argomento trattato, è facile scivolare, l’autore riesce, con profonda verità, a far emergere le vere ragioni umane, che troppo spesso vengono soffocate da logiche politiche miopi o addirittura disumane.
Un’opera di grande attualità (si pensi alle discussioni sul reato di clandestinità) che può servire in una strategia educativa e formativa per sensibilizzare ai valori della persona, della relazione, dell’amore.
Note
[1] Per la cronaca, con la legge 622/1 Sarkozy ha introdotto il reato di immigrazione illegale che punisce tra l’altro con cinque anni di reclusione i cittadini francesi che aiutano i clandestini. A causa di questa legge, in Francia si è arrivati a mettere sotto inchiesta l’organizzazione umanitaria Emmaus.