N.06
Novembre/Dicembre 2010

Come lavora il Centro Diocesano Vocazioni

Il titolo di questo articolo, così formulato, esprime una pretesa evidentemente eccessiva: non è possibile descrivere esaustiva­mente, in uno spazio così limitato, come lavora, o come dovreb­be lavorare, un Centro Diocesano Vocazioni (CDV). Bisognerebbe esplorarne tutte le possibili aree di impegno, tenere conto delle dif­ferenze (struttura, progetto…) tra i vari CDV e tra le diverse chiese locali all’interno delle quali svolgono il loro servizio… Più realisti­camente ci limiteremo a fare delle considerazioni in rapporto ad alcuni ambiti di lavoro, prendendo le mosse dall’Incontro Nazionale dei direttori dei CDV e dei Centri Regionali Vocazioni (CRV) che si è tenuto a Sassone (Ciampino) dal 15 al 17 settembre 2010.

Dopo 11 anni di interruzione, in risposta alle numerose richieste fatte in diverse circostanze dagli stessi direttori, il Centro Nazionale Vocazioni (CNV) ha proposto di nuovo un incontro di formazione rivolto a coloro che hanno ricevuto, da parte dei loro vescovi, l’in­carico della pastorale vocazionale.

I partecipanti, circa novanta, hanno potuto vivere un tempo, molto intenso e coinvolgente, che ha avuto come finalità la loro formazione attraverso una modalità che ha privilegiato non solo, e non tanto, il riferimento ai contenuti teorici della pastorale o delle strategie vocazionali, quanto la condivisione delle esperienze perso­nali e l’accoglienza delle testimonianze da parte di chi di esperienza ne ha potuto maturare in misura maggiore.

Attraverso una serie di laboratori si è lavorato, prima di tutto, alla individuazione dei tratti caratteristici del direttore CDV e del suo ministero[1]. In una tavola rotonda si sono poi approfondite alcune attenzioni della pastorale vocazionale che risultano in questo tempo più significative: la collaborazione con gli altri Uffici di pastorale, in modo particolare il Servizio per la Pastorale Giovanile e l’Ufficio per la Pastorale Familiare; la collaborazione con la “vita religiosa”; il rapporto tra CDV, CRV e CNV; la collaborazione con la pastorale scolastica. Infine, per stimolare una maggiore sensibilità dei parte­cipanti, in rapporto a questi ambiti significativi, si è lavorato all’ela­borazione di itinerari concreti favorendo anche, in questa maniera, l’acquisizione di un adeguato metodo di lavoro[2].

Le riflessioni che seguono prendono spunto, in modo partico­lare, dalle tematiche affrontate in questi ultimi laboratori oltre che dall’abbondante e ricco materiale da essi prodotto. Articolerò la mia riflessione percorrendo i seguenti punti: il CDV e l’arte di lavorare insieme; il CDV e la comunicazione digitale; il CDV e il progetto annuale.

Anche se il lavoro della pastorale vocazionale si esprime in molti altri settori, tuttavia le riflessioni che seguono appartengono a que­gli ambiti che i direttori hanno considerato come particolarmente significativi e, pur nella diversità di modalità e di strutture che ca­ratterizzano il lavoro dei CDV presenti in Italia, costituiscono un termine di necessario confronto per ciascuno.

 

  1. IL CDV E L’ARTE DI LAVORARE INSIEME

Il documento Nuove Vocazioni per una Nuova Europa propone del­le considerazioni sulla pastorale vocazionale che, per un CDV, suo­nano come una consegna di notevole responsabilità e obbligano, in qualche modo, a ragionare in termini di comunione: «La pastorale vocazionale si pone come la categoria unificante della pastorale in genere, come la destinazione naturale d’ogni fatica, il punto d’ap­prodo delle varie dimensioni, quasi una sorta di elemento di veri­fica della pastorale autentica… Di conseguenza la pastorale voca­zionale è e dev’essere in rapporto con tutte le altre dimensioni, ad esempio con quella familiare e culturale, liturgica e sacramentale, con la catechesi e il cammino di fede nel catecumenato… Soprat­tutto la pastorale vocazionale è la prospettiva unificante della pa­storale giovanile… La vocazione è il cuore pulsante della pastorale unitaria!»[3].

Se questa è la pastorale vocazionale, lavorare insieme sarà la nota caratteristica che la contraddistingue, come anche contraddi­stinguerà il ministero e la persona del direttore CDV[4].

Da questo punto di vista non possiamo non tener conto di quan­to viene affermato con convinzione da parte degli Orientamenti Pa­storali per il prossimo decennio, Educare alla vita buona del Vangelo, che indica l’alleanza educativa (sia tra i soggetti interni alla comunità cristiana, sia con i soggetti “esterni” della comunità civile) come strada da intraprendere in vista del raggiungimento dello scopo dell’azione educativa della Chiesa, pena un indebolimento o, peg­gio ancora, la sterilità della stessa azione: «La complessità dell’azio­ne educativa sollecita i cristiani ad adoperarsi in ogni modo affinché si realizzi un’alleanza educativa tra tutti coloro che hanno respon­sabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale. Fede, cultura ed educazione interagiscono, ponendo in rapporto dinamico e costruttivo le varie dimensioni della vita. La separazio­ne e la reciproca estraneità dei cammini formativi, sia all’interno della comunità cristiana sia in rapporto alle istituzioni civili, inde­bolisce l’efficacia dell’azione educativa fino a renderla sterile. Se si vuole che essa ottenga il suo scopo, è necessario che tutti i soggetti coinvolti operino armonicamente verso lo stesso fine. Per questo occorre elaborare e condividere un progetto educativo che definisca obiettivi, contenuti e metodi su cui lavorare»[5].

Anche se la dimensione della collaborazione con gli altri sogget­ti educanti della comunità civile avrebbe certamente meritato un adeguato approfondimento, ci limitiamo, in questo contesto, ad ap­profondire due aspetti, ad extra e ad intra, del lavorare insieme che il CDV è chiamato a realizzare nell’ambito ecclesiale. Consideriamo ad extra la collaborazione con gli altri uffici della pastorale e ad intra il rapporto con il CRV e il CNV.

 

1.1 Lavorare insieme (ad extra)

Una prima modalità del lavorare insieme è quella che chiede al CDV di realizzare una comunione e una collaborazione con gli altri uffici della pastorale, in modo particolare con l’Ufficio di Pa­storale Familiare e con il Servizio per la Pastorale Giovanile. Questa scelta preferenziale è motivata da una indicazione chiara da parte dei vescovi italiani che, negli Orientamenti Pastorali dello scorso decennio, dicevano: «Ci pare opportuno chiedere per gli anni a venire un’attenzione particolare ai giovani e alla famiglia», quindi, «..avvertiamo la necessità di favorire un maggiore coordinamento tra la pastorale giovanile, quella familiare e quella vocazionale: il tema della vocazione è infatti del tutto centrale per la vita di un giovane. Dobbiamo far sì che ciascuno giunga a discernere la “for­ma di vita” in cui è chiamato a spendere tutta la propria libertà e creatività…»[6].

Lavorare insieme non equivale a fare tutto insieme e, d’altro canto, domanda certamente di non ignorarsi a vicenda. Lavorare insieme significa prima di tutto impegnarsi a creare uno spirito di comunione che possa essere fondamento di ogni rapporto e col­laborazione: c’è bisogno di conoscenza e stima nei confronti della propria e dell’altrui vocazione; conoscenza e stima degli altri uffici e del lavoro che svolgono; pensare insieme progetti e, magari, realiz­zare insieme cammini di formazione o almeno un evento “segno” durante l’anno, senza creare inutili doppioni… Siamo chiamati a realizzare quello che la Nota dei Vescovi dopo il Convegno di Ve­rona chiama pastorale integrata: «Una strada da percorre con corag­gio è quella dell’integrazione pastorale fra i diversi soggetti eccle­siali… Una pastorale “integrata” mette in campo tutte le energie di cui il popolo di Dio dispone, valorizzandole nella loro specificità e al tempo stesso facendole confluire entro progetti comuni, definiti e realizzati insieme. Essa pone in rete le molteplici risorse di cui dispone: umane, spirituali, culturali, pastorali»[7].

Il perché del lavorare insieme, attraverso una pastorale integrata non è di tipo funzionale (risparmio di energie; poter raggruppare un numero maggiore di persone diminuendo le proposte…), ma so­stanziale: la centralità della persona nei confronti della quale il CDV, insieme ad altri Uffici, si mette a servizio. Tutto questo ci viene ben spiegato dal Cardinale Ruini nella relazione finale al Convegno di Verona: «Per parte mia vorrei solo confermare che il nostro Conve­gno, con la sua articolazione in cinque ambiti di esercizio della testi­monianza, ognuno dei quali assai rilevante nell’esperienza umana e tutti insieme confluenti nell’unità della persona e della sua coscien­za, ci ha offerto un’impostazione della vita e della pastorale della Chiesa particolarmente favorevole al lavoro educativo e formativo. Si tratta di un notevole passo in avanti rispetto all’impostazione prevalente ancora al Convegno di Palermo, che a sua volta pun­tava sull’unità della pastorale, ma era meno in grado di ricondurla all’unità della persona perché si concentrava solo sul legame, pur giusto e prezioso, tra i tre compiti o uffici della Chiesa: l’annunzio e l’insegnamento della parola di Dio, la preghiera e la liturgia, la testimonianza della carità» (Card. Camillo Ruini, relazione finale al IV Convegno ecclesiale di Verona).

 

1.2 Lavorare insieme (ad intra)

Una seconda modalità del lavorare insieme è quella che, all’In­contro dei direttori, è stata chiamata lavoro in cordata. Si tratta del lavoro pastorale a partire dalle relazioni tra CDV, CRV e CNV. La­vorare in cordata significa attivare delle relazioni che coinvolgano i tre soggetti nelle varie possibilità di incontro: CDV-CNV; CDV-CRV; CRV-CNV.

Nella misura in cui riuscissimo ad attivare questa rete di relazio­ni, ciò permetterebbe al CNV di realizzare una maggiore vicinanza nei riguardi dei CDV e CRV, di avere un contatto diretto con le varie realtà locali. Inoltre, si avrebbe la possibilità di attivare un coinvol­gimento dei direttori dei CDV e CRV per un contributo prezioso nella continua elaborazione di una rinnovata e adeguata pastorale vocazionale in Italia, un coinvolgimento delle realtà diocesane e regionali perché siano sempre di più non soltanto destinatarie delle proposte del CNV, ma anche parte attiva e coinvolta nella formazio­ne di queste.

Nel lavoro in cordata hanno un ruolo molto importante il Cen­tro Regionale e il suo direttore. Essi svolgono la funzione di colle­gamento che permette la comunicazione tra CNV e CDV. Facendo parte del Consiglio Nazionale, il direttore regionale è, per il CNV, come una “finestra aperta” sulle realtà locali e questo gli permette di avere un contatto diretto con il concreto della pastorale vocazio­nale. Contemporaneamente, l’incontro con i CDV (tre-quattro vol­te l’anno) permette al direttore regionale di aggiornarli sugli orien­tamenti e sulle iniziative del Centro Nazionale.

Nell’Incontro di Sassone i direttori diocesani hanno espresso ri­conoscenza e apprezzamento nei confronti del servizio svolto dai CRV. Inoltre è emersa la richiesta di proseguire con convinzione, da parte del Centro regionale, nella funzione di coordinamento ma soprattutto di potenziare, nei loro riguardi, la vicinanza, l’ascolto, l’aiuto e la formazione.

 

  1. IL CDV E IL PROGETTO ANNUALE

Un progetto annuale del CDV? Già, proprio un progetto annuale. Perché ogni anno ci sono un tema di riferimento e uno slogan che ne sintetizzano il contenuto; ogni anno il CNV propone una serie di sussidi per animare la GMPV e per sostenere i cammini vocazionali nelle comunità (diocesane e parrocchiali) e nei gruppi; ogni anno ci sono alcuni momenti significativi (Convegno nazionale di gennaio; Seminario sulla direzione spirituale…) che offrono la possibilità di incontro e tanti contenuti, stimoli e suggerimenti per crescere nel servizio che ciascun CDV è chiamato ad offrire.

Ogni anno, dunque, tutto questo va recepito e tradotto in un progetto. Un progetto che non scada in un progettualismo che ingessi e che produca proposte e documenti poco utili. Un progetto, invece, che tenga conto della propria realtà locale; che aiuti a sviluppare (ma che in qualche modo già la presuppone) una mentalità corale e di comunione; che permetta di evitare improvvisazione e discon­tinuità, superando la tentazione dello standardizzato, del ripetitivo e dello stereotipo senza creatività.

A questo punto diventa molto importante il rimando ai preziosi contributi che Don Beppe Roggia ci ha offerto, nella rubrica “Si può fare…” (2009-2010), sulla nostra rivista «Vocazioni».

Li raccogliamo e sintetizziamo all’interno di quella che possia­mo chiamare l’officina del progetto. In questa officina troviamo ben 6 utensili che possono essere utili per verificare il modo di progettare nei nostri CDV:

Quadro teorico – Prima di tutto c’è bisogno di avere idee chia­re e convinte, perché sono queste che permettono di trascinare in avanti qualsiasi iniziativa, anche se poi ci vogliono le “gambe” delle attivazioni concrete.

Quadro situazionale – Avere un osservatorio permanente per co­noscere la realtà nella quale viviamo e operiamo, per non restare sulle nuvole.

Fine da raggiungere – Nel centro di ogni progetto che si rispetti ci deve essere un fine da raggiungere, costellato da vari obiettivi intermedi.

Criteri e stili di azione – Per collegare bene il fine con le rea­lizzazioni concrete è necessario attivare alcuni atteggiamenti fon­damentali come la passione, la creatività e la condivisione (come capacità di coltivare relazioni soprattutto con gli altri uffici della pastorale diocesana).

Aree di intervento – È necessaria una strategia decisiva: sono le aree e le dimensioni di intervento, perché è suddividendo, che diventa più facile raggiungere le mete.

Verifica – Il tutto va tenuto continuamente in stato di verifica e di bilancio, per non perdere i pezzi strada facendo.

A partire da questi utensili, che non dovrebbero certamente mancare nell’officina dei nostri CDV, riportiamo, di seguito, un inte­ressante schema, proposto da Don Roggia nel lavoro di laboratorio, utile come riferimento base per l’elaborazione di un progetto an­nuale di pastorale vocazionale.

1. QUADRO TEORICO DELLE IDEE PORTANTI

Linea pastorale diocesana

Tema dell’anno proposto dal CNV

Confronto con gli altri Uffici

2. QUADRO SITUAZIONALE / OSSERVATORIO PERMANENTE

Punto più positivo su cui fare leva

Punto più problematico da affrontare

3. FINE / OBIETTIVI INTERMEDI

Fine generale della PV (da tenere sempre come sfondo): la vita è vocazione, siamo chiamati a promuovere la vocazione di tutti.

Obiettivi qualitativi: creare una cultura vocazionale; coltivare la collaborazione con gli altri uffici; obiettivi propri come CDV:

Obiettivo triennale

Obiettivo annuale

4. CRITERI E STILI DI AZIONE

Passione

Creatività

Condivisione

5. AREE / DIMENSIONI DI INTERVENTO

Formazione (a livello personale e di équipe)

Attività da proporre

Cura dell’équipe

Relazione allargata (Consiglio Presbiterale, Consiglio Pastorale, Uffici pastorali, Vicarie…)

6. VALUTAZIONI / VERIFICHE

Quando?

Come?

Valutazione sui punti precedenti

Valutazione annuale complessiva

 

  1. IL CDV E LA COMUNICAZIONE DIGITALE

I Vescovi italiani, negli Orientamenti pastorali per il prossimo de­cennio, manifestano una particolare attenzione alla comunicazione nella cultura digitale e guardano con occhio positivo i processi me­diatici che vanno considerati, senza pregiudizi, come risorse, an­che se contemporaneamente richiedono uno sguardo critico e un loro uso sapiente e responsabile: «La tecnologia digitale, superando la distanza spaziale, moltiplica a dismisura la rete dei contatti e la possibilità di informarsi, di partecipare e di condividere, anche se rischia di far perdere il senso di prossimità e di rendere più superfi­ciali i rapporti… Agendo sul mondo vitale, i processi mediatici arri­vano a dare forma alla realtà stessa. Essi intervengono in un modo incisivo sull’esperienza delle persone e permettono un ampliamen­to delle potenzialità umane. Dall’influsso più o meno consapevole che esercitano dipende in buona misura la percezione di noi stessi, degli altri e del mondo. Essi vanno considerati positivamente, senza pregiudizi, come delle risorse, pur chiedendo uno sguardo critico e un uso sapiente e responsabile… Un obiettivo da raggiungere, dunque, sarà anzitutto quello di educare alla conoscenza di questi mezzi e dei loro linguaggi e a una più diffusa competenza quanto al loro uso»[8].

L’interrogativo, eminentemente pratico, con cui mons. Crociata ha dato il via al convegno promosso dalla CEI nell’aprile 2010, “Te­stimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale” ci aiuta a pren­dere una giusta posizione, equilibrata e aperta al dialogo nei con­fronti del mondo digitale: «Cosa fare per capire che non si tratta di demonizzare il nuovo, né al contrario di considerare obsoleto o inutile il patrimonio di cultura che ci portiamo sulle spalle, bensì di valorizzare lo straordinario potenziale costituito dalle nuove tec­nologie, impegnandoci a “introdurre nella cultura di questo nuo­vo ambiente comunicativo ed informativo i valori su cui poggia la nostra vita”?»[9]. Le tecnologie digitali, ha continuato il Segretario generale della CEI, «rappresentano una nuova opportunità, che in­tendiamo abitare con la nostra testimonianza: senza lasciarci conta­giare da inutili paure, per renderci invece disponibili ad incontrare chiunque sia nella condizione di ricerca, anzi – come dice Papa Be­nedetto XVI – “procurando di tenere desta la ricerca come primo passo dell’evangelizzazione. Una pastorale nel mondo digitale, in­fatti, è chiamata a tener conto anche di quanti non credono, sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche”[10]».

La comunicazione digitale domanda non soltanto alcune con­siderazioni a livello tecnico-quantitativo, per cui si tratterebbe sol­tanto di disciplinarne l’uso. È una rivoluzione culturale ed antropo­logica che modifica non solo i ritmi esterni della vita degli uomini, modifica lo stesso modo di comprendersi come persone, di strut­turare la propria identità, di comprendere il reale e il senso delle cose[11] (tutte tematiche sensibili per il lavoro del CDV). La sfida edu­cativa, che gli Orientamenti pastorali ci invitano ad intraprendere, passa allora per la comprensione di questa cultura digitale, per ve­dere come può essere assunta e interpretata nei termini di uno spa­zio antropologico dai confini e dalle forme tutte nuove, che chiede l’elaborazione di strumenti e percorsi perché possa essere abitato e diventare terreno sul quale realizzare il nostro lavoro.

Senza dimenticare tutto il complesso e ricco mondo della comu­nicazione[12], proviamo ora a recepire queste importanti indicazioni come stimoli per la pastorale vocazionale. Proponiamo un percor­so minimo, ipotizzato nel laboratorio sulla comunicazione digitale, molto utile per un eventuale itinerario da percorrere con i nostri CDV, articolato nei seguenti punti:

Incontrare, nel “portico dei gentili”, soprattutto i giovani.

Abitare i nuovi linguaggi, starci dentro, secondo la logica dell’incarnazione che ci stimola a porre la tenda lì dove l’uomo di oggi vive. Abitare questa “patria straniera” per molti di noi, farlo con quello sguardo originale su di essa che è il nostro sguardo di fede. 

Accogliere la sfida di presentare, nella brevità del linguaggio mediatico, l’Eterno che è Gesù Cristo. Constatare l’inadeguatezza del nostro linguaggio, che a volte rimane di nicchia e autoreferen­ziale, non deve bloccarci, ma anzi stimolarci a cercare nuove vie per comunicare con una generazione che – quanto a formazione religiosa – non possiede ormai più il nostro vocabolario.

Andare oltre e ciò in una duplice direzione: da noi a loro e da loro a noi, costruendo un percorso di alfabetizzazione. Se molti pre­sbiteri o animatori vocazionali avvertono la propria inadeguatezza e quindi vanno stimolati ed incoraggiati sia ad apprendere i nuovi linguaggi sia a trovare idonei collaboratori, anche i giovani vanno alfabetizzati a tutta la complessità del linguaggio umano, così da non ridurlo al mondo digitale.

 

Concludiamo con alcune “considerazioni vocazionali” deducen­do, da queste, altrettanti “quesiti vocazionali” nell’ambito della co­municazione digitale. Sono degli imput che potrebbero essere ripre­si e approfonditi all’interno della propria équipe diocesana.

Vogliamo prendere il largo sul mare digitale per annunciare la vocazione integrale della persona umana. Quali i passi da compie­re?

La nostra attenzione è rivolta alle persone con le quali siamo chiamati ad abitare il nuovo mondo digitale, soprattutto i giovani, definiti “nativi digitali”. Come dialogare con questo mondo?

La rete potrà diventare una sorta di “portico dei gentili”, dove “fare spazio anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciu­to”. Quali cammini preparare per spianare la strada a nuovi incon­tri? Come incontrare i giovani che abitano il portico dei gentili?

La nostra forza sta nell’essere Chiesa, comunità credente, capace di testimoniare a tutti la perenne novità del Risorto, con una vita che fiorisce in pienezza nella misura in cui si apre, entra in rela­zione, si dona con gratuità. Lo Spirito, la Chiesa, la testimonianza del Risorto, una vita aperta e donata: elementi essenziali di ogni proposta vocazionale. Come coniugarli sulle “strade del continente digitale”?

 

Note

[1] Nella percezione dei direttori presenti all’Incontro, il direttore CDV è chiamato a maturare e ad esprimere, in modo particolare, alcuni atteggiamenti come caratteristiche del suo lavoro nella pastorale vocazionale oltre che della sua persona: coralità-comunione; spiritualità; testi­monianza gioiosa della sua vocazione; capacità di comunicare e di relazionarsi; attitudine al lavoro progettuale – sistematico – paziente.

[2] Questi laboratori sono stati avviati da una introduzione da parte di Don Filippo Tomaselli (direttore del CRV della Lombardia), Don Giuseppe Licciardi (direttore del CDV di Cefalù), Don Vincenzo Barone (direttore del CDV di Novara), Don Bebbe Roggia (membro della Redazione di «Vocazioni» e della Direzione del CNV) e Suor Plautilla Brizzolara (membro della Direzione del CNV).

[3] Pontificia Opera per le Vocazioni sacerdotali, Nuove vocazioni per una nuova Europa, Do­cumento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita consacrata in Europa, Roma 5-10 maggio 1997.

[4] La “trasversalità” della pastorale vocazionale richiede che il direttore CDV sia una persona capace di agire in modo corale e di spendersi per la comunione.

[5] Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, n. 35.

[6] Conferenza Episcopale Italiana, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2000-2010, n. 51.

[7] Benedetto XVI, Rigenerati ad una speranza viva. Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale, n. 25.

[8] Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 51.

[9] Benedetto XVI, Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia, Messaggio per la XLIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 2009.

[10] Benedetto XVI, Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola, Messaggio per la XLVI Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 2010.

[11] Luca Bressan, Diventare preti nell’era digitale: i giovani, i preti, l’esperienza cristiana, Conve­gno per i Rettori dei seminari d’Italia, Rocca di Papa (Roma) 20-22 novembre 2009.

[12] «Non si tratta semplicemente di aggiornarsi o adeguarsi: occorre domandarsi come deve essere rimodellato l’annuncio del Vangelo e come avviare un dialogo con i mezzi di comuni­cazione sociale, e non solo attraverso di essi, nella consapevolezza che sono interlocutori con cui è necessario confrontarsi»: A. Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubettino, Soveria Mannelli 2010, p. 13.