N.06
Novembre/Dicembre 2010

Formare i formatori della pastorale vocazionale

L’esperienza della Campania

Non possiamo negare che la questione della formazione dei for­matori appaia ancora come qualcosa di estremamente fluido. Se la formazione come attività pedagogica tesa a “dare forma”, ossia habitus, stato, configurazione, appare difficile in tutti gli ambiti (formazione umana, intellettuale, spirituale), a maggior ragione dare forma ai formatori nell’ambito della pastorale e di quella vocazionale. Questa è anche la nostra esperienza come CRV della Campania.

Il cammino di ripresa in tale settore regionale ha visto la luce agli albori del nuovo millennio, quando un forte impulso alla pastorale vocazionale è stato dato dal lavoro congiunto di molti responsabili della pastorale giovanile che, soprattutto nelle diocesi con un nu­mero non elevato di abitanti, opportunamente, sono stati nominati anche responsabili della pastorale vocazionale. La possibilità di un lavoro sinergico ha dato slancio e vigore alla proposta vocazionale riverberandola, nella vasta gamma delle sue possibilità, su tutto il mondo giovanile.

Il percorso intrapreso, a partire soprattutto dal 2002, con il ri­cambio dei responsabili del Centro Regionale Vocazioni e il rinnovo di diversi direttori dei CDV, è stato nel segno della comunione tra i diversi operatori dentro e fuori le diocesi, in stretto contatto con i settori e i diversi formatori dei Seminari e dei Religiosi. Da tale relazione continua, oltre alle iniziative particolari a livello dioce­sano, emergeva sempre più un bisogno di formazione per tutti gli operatori della pastorale vocazionale, soprattutto i nuovi direttori, spesso alle prime armi con settori sguarniti e dai contorni difficili da delineare all’interno dei diversi progetti diocesani.

Nonostante ciò, molti pregiudizi, tuttora vigenti, resistevano. Il primo, sostenuto da persone anche di grande carisma – natural­mente rare! – attesta che non vi è bisogno di formazione partico­lare per fare pastorale vocazionale, basta la formazione ricevuta e la tensione verso la restituzione della medesima sotto forma di te­stimonianza piena di passione per Dio e per gli uomini. Si tratta, ovviamente, di una sacrosanta verità: la vocazione è dono di Dio e collaborare all’opera di lui con il lavoro paziente di semina e di accompagnamento nella crescita è questione di esperienza di Dio e di cuore.

Nello stesso tempo, però, non possiamo ignorare che come per il fiore del Piccolo principe, occorrano una serie di attenzioni, di accor­tezze, di piste, di cure che attengono all’arte del formatore, affinché il giovane possa crescere nella chiamata ricevuta. Tutto ciò attiene al fare che segue e non sostituisce l’essere. Prima di fare il formatore vocazionale, si è formatori vocazionali.

L’altro pregiudizio è quello di chi ritiene che sia solo questione di competenza psico-pedagogica, di scuole da frequentare, di attività da proporre, di test a cui sottoporre i chiamati o presunti tali. All’ini­zio abbiamo cercato di superare questo stretto di Scilla e Cariddi, da una parte lo scoglio della spiritualità senza competenza, dall’altro quella dell’intellettualismo psicologista senza afflato spirituale.

 

Ogni anno con grande umiltà abbiamo cercato di rispondere alla sete di formazione, che ci veniva espressa da molteplici parti, con incontri annuali residenziali che avevano la funzione di far pas­sare alcune questioni centrali dibattute a livello nazionale anche nell’ambito regionale. Tra gli altri ricordiamo alcuni di questi ap­puntamenti: nel 2002 a Pompei l’Assemblea dei CDV e di tutti gli operatori della pastorale vocazionale delle diocesi della Campania: con la partecipazione di Don Luca Bonari direttore CNV, sul tema Co­municare il Vangelo della vocazione in un mondo che cambia; nel marzo 2003 l’incontro degli operatori della Pastorale giovanile, familiare e vocazionale delle diocesi della Campania con P. Amedeo Cencini sul tema: Vocazione: giovani e famiglie per un cammino di comunione in un mondo che cambia. Da questo convegno annuale si è passati pro­gressivamente ad un appuntamento maggiormente contrassegnato dalla cifra del coinvolgimento personale. È nato così il Laboratorio di Formazione all’Accompagnamento Spirituale (…Si rischiarano i miei passi…) sul discernimento vocazionale con Don Giuseppe So­vernigo (6-8 novembre 2003 a Napoli); il 2° Laboratorio di Forma­zione all’Accompagnamento Spirituale La Parrocchia grembo fecondo di ogni vocazione, e i giovani con Don Domenico Segalini a Pozzuoli (4-6 novembre 2004) e quello su La vocazione e missione del laico: testi­moniare la speranza nel mondo (3-4 novembre 2005), in preparazione al convegno di Verona.

Si è trattato di esperienze estremamente positive perché hanno richiamato moltissime persone e suscitato, anche nella diocesi ospi­tante, interesse alle tematiche vocazionali; inoltre hanno permesso di creare uno stile fraterno tra i partecipanti. L’impressione però è che la validità della forma del laboratorio non riusciva a compensa­re la natura limitata dell’esperienza. Si avvertiva l’esigenza di qual­cosa di più continuato e sistematico: di qui il Corso interdisciplinare del Biennio di Specializzazione in Teologia Biblica su Bibbia e Vocazione (febbraio-maggio 2006) ed infine, maturati i tempi, la Scuola di for­mazione per operatori della pastorale vocazionale. La scuola, inserita a pieno titolo all’interno della Facoltà Teologica dell’Italia meridiona­le, sez. San Luigi, collegata al biennio di specializzazione in Teologia spirituale, che ha compiuto il suo primo ciclo ad experimentum con un buon numero di partecipanti, ha svolto un ruolo positivo: inse­rire per la prima volta questo ambito di approfondimento dentro la nostra istituzione ufficiale; garantire un’esperienza qualificata; sana­re quella frattura tra pastorale e ricerca, fra teologia e scienze uma­ne, a volte tanto deleteria proprio per le sue ricadute negative sui processi formativi e sui cammini delle nostre comunità ecclesiali.

La scelta di unire insieme un fondamento biblico-teologico alla parte psico-pedagogica, coinvolgendo docenti della Facoltà, ha in­vitato costoro ad un ripensamento in chiave vocazionale dei temi teologici, cristologici, ecclesiologici ed antropologici, avvicinandoli alla sensibilità vocazionale, dall’altra ha stimolato molti studenti, seminaristi, religiosi e laici della Facoltà a non separare la pastorale vocazionale dal resto della teologia pastorale. In una sola parola ha generato attenzione ed interesse da parte di molteplici settori ecclesiali. Alla fine del primo ciclo si è ritenuto opportuno ripensare l’impianto, ma soprattutto la modalità per coinvolgere le comunità ecclesiali e religiose in una formula definitiva.

Siamo vivendo questa fase consapevoli che alcuni piccoli risulta­ti affiorano: almeno nel linguaggio si sta passando dalla lamentela alla proposta; nell’atteggiamento dalla diffidenza alla collaborazio­ne; nella prassi dalla pastorale di reclutamento a quella della testi­monianza comunionale.

Siamo solo all’inizio per la nostra regione di una stagione di for­mazione dei formatori. La complessa realtà, a tutti nota, in cui ci troviamo può indurre ad una stagnante ripetitività e lamentosità di fronte ai problemi oppure essere assunta da coraggiosi e faticosi percorsi di comunione e di investimento per la progettazione pasto­rale del futuro.