Educare come atto generativo: l’iniziazione cristiana
Tra tutte le azioni che la comunità cristiana compie per accompagnare ed educare i suoi figli, per renderli partecipi della bellezza della vita di Dio, un posto particolare occupa l’iniziazione cristiana, quel cammino scandito da tappe e con accompagnatori che conduce a vivere pienamente l’esperienza cristiana.
- Educare fa rima con iniziare
Ma se educare fa davvero rima con iniziare, che cosa comporta questo per una comunità che educa iniziando? Sono molti gli elementi che possono essere sottolineati. Prima di tutto possiamo far emergere alcune suggestioni che derivano dal significato stesso dell’iniziare.Letteralmente iniziazione esprime un’azione iniziale, un inizio di azione o un introdurre attraverso un’azione. Tutti sappiamo che gli inizi sono sempre faticosi, perché si tratta di imparare a diventare abili nel fare qualcosa. Se pensiamo a tutti i nostri inizi ci rendiamo conto che non si è pratici, molte cose non si capiscono, altre non si maneggiano bene e sappiamo che, per superare questa fase iniziale, c’è bisogno di qualcuno che ci accompagni. Per imparare, capire, agire, vivere è importante che uno dell’ambiente si metta a fianco, ci spieghi come funzionano le cose, vigili attentamente sui nostri tentativi di riprodurre i comportamenti di chi vive nel contesto, mettendoci in buoni rapporti con le altre persone dell’ambiente stesso per poter godere della loro testimonianza e delle loro abilità. È il duplice significato letterario della parola “iniziazione”: iniziare e azione, agire. È un po’ come fare un apprendistato dentro la comunità dei credenti. Nell’esperienza cristiana l’iniziazione è proprio quel complesso di scelte educative, di gesti e azioni che la comunità mette in atto, non solo per far passare dei contenuti, ma per far fare esperienza. Così, chi vuol diventare cristiano a contatto con una vita che vede, in cui respira, comprende e si rende conto di cosa vuole dire essere di Gesù Cristo, vivere nella comunità dei cristiani, sperimenta e apprende quali siano i passi da compiere per essere inseriti in Cristo e nella Chiesa. In questo senso l’iniziazione cristiana avviene non solo attraverso la catechesi, ma attraverso tanti momenti sempre più esperienziali.
È quindi un processo globale, che è molto di più che un itinerario, dove tutti i livelli della persona sono coinvolti. Sono coinvolti il pensiero, la sfera razionale e conoscitiva, ma anche tutto il mondo delle emozioni, dei sentimenti, della sfera affettiva, e sono coinvolti l’agire, la volontà, la decisione, la sfera operativacomportamentale. E come tutti i processi, il dinamismo è dato dalla vita che non può essere lineare. È la vita sempre nuova del soggetto (ragazzo, giovane o adulto) della comunità, di chi accompagna che determina i passi, le soste, i ricominciamenti, i nuovi inizi. Come educare significa insegnare a camminare con i propri piedi, così con l’iniziazione cristiana si inizia la persona alla libertà fondamentale, a saper scegliere e decidere di essere credente in Gesù e a lasciarsi cambiare da lui. Nell’educazione come nell’iniziazione cristiana bisogna formare persone che abbiano il coraggio di pensare e accogliere la fede dentro una comunità, con la certezza che gli errori fanno parte del cammino verso la verità, verso l’incontro con il Dio di Gesù Cristo. È compito di ogni gruppo umano trasmettere, di generazione in generazione, una tradizione viva, educare favorendo la crescita nell’intelligenza, nella libertà e nell’amore, introducendo nell’appartenenza ad una comunità. Come nell’educazione, allora, si tratta di far entrare in quel patrimonio di idee, di valori, segni che esprimono non solo una Tradizione viva, ma la relazione con il Signore Gesù vivente, che continua ad educare attraverso la sua comunità.
- Con l’IC la comunità genera alla fede e si rigenera
Ogni inizio avviene in un determinato contesto, l’iniziazione ha bisogno di un progressivo inserimento in una cultura, in un gruppo, per noi in una comunità cristiana: la Chiesa. L’Iniziazione e la Chiesa sono l’una lo specchio dell’altra: guardando al modo in cui si “fanno” i cristiani si capisce qual è l’identità della Chiesa, e viceversa. In effetti, la proposta che il RICA (Rito iniziazione cristiana degli adulti) offre, comporta un modo di essere e di vivere della Chiesa: una comunità di credenti i quali si fanno testimoni del Vangelo; si lasciano essi stessi convertire e orientare dal Vangelo che annunciano; si impegnano a rendere ragione della loro fede; vivono la loro presenza nel mondo come sacramento del regno portato da Cristo. Ma il modo in cui la Chiesa celebra l’Iniziazione dei suoi nuovi membri è strettamente connesso anche con le condizioni in cui essa si trova a vivere la sua missione. Le fatiche e le opportunità sperimentate sul fronte dell’Iniziazione sono il riflesso delle fatiche e delle opportunità che si sperimentano nella vita ecclesiale. Anche la comunità cristiana può iniziarsi: è invitata dal suo Signore ad interagire con una società che non è più cristiana, ma mantiene i segni della cristianità. In questo scambio ripropone, in modo nuovo, la sovrabbondanza della buona notizia che attraversa i secoli e le culture. Per questo, molto concretamente, si trova confrontata con alcuni compiti per svolgere il suo ruolo iniziatico:
– Operare delle scelte: “sacramentalizzare” o evangelizzare? La domanda è provocatoria poiché i due momenti sono complementari. La prassi ecclesiale deve fare in modo che il celebrare sia il frutto di un reale cammino di annuncio e di ascolto. Perciò un compito importante è: accogliere ed educare la domanda.
– Richiamare le responsabilità: non si diventa cristiani senza volerlo. L’iniziazione, ispirandosi alla propria struttura antropologica, evidenzia un percorso fatto di prove, di impegno per superarle e di successive conquiste. Così, per assumere lo “stile di vita credente”, sono necessarie scelte significative. Perciò: non socializzazione religiosa, ma appropriazione della fede.
– Offrire degli strumenti: ripetere o inventare?
L’istituzione è chiamata, soprattutto nell’ambito dell’annuncio, a mettere in atto delle strategie nuove. Perciò: prendere atto della realtà e approntare cammini percorribili con coraggio e fantasia. Questo compito è dono e offerta libera, è spazio di conversione per ogni espressione di Chiesa. Infatti oggi più che mai c’è bisogno di far toccare con mano e sentire con il cuore e la vita che c’è una comunità umana con i tratti singolari del Signore Gesù, una comunità in cammino e sempre pronta ad accogliere, generare e rigenerare i suoi figli. È urgente far percepire alle persone che vivere il Vangelo è “bello e possibile” senza eroismi, senza uscire dagli ambienti quotidiani, senza appartenenze particolari, non senza, tuttavia, il “prezzo” delle cose vere e saporose. La comunità cristiana “grembo” per la fede è pertanto la parrocchia che non si limita a fare delle attività, ma che garantisce esperienze di fede e le offre alla condivisione di tutti.
Fare Iniziazione Cristiana, allora, non significa organizzare il catechismo dei ragazzi (appaltandolo ad un gruppetto di catechiste di buona volontà), ma garantire attraverso alcune persone – il prete per primo – l’accesso alle esperienze fondamentali, attraverso le quali si diventa cristiani (e già gli Atti ce le elencano: ascolto della Parola di Dio, Eucaristia e preghiera, vita fraterna, il servizio, affinché non ci siano bisognosi). La Chiesa, che è madre, saprà ancora, dopo duemila anni, generare figli alla vita cristiana se si mette alla scuola del Maestro iniziatore, se lo pone al centro di tutta la sua vita, se si lascia educare da lui.
- Il processo dell’IC: morire e rinascere in Cristo
Questo processo fortemente educativo, che avviene nel grembo della Chiesa, ha alcune fasi importanti, è un grande passaggio che ha valenza antropologica e proprio per questo è molto forte anche per l’introduzione alla fede. È utile riflettere sul dinamismo e le condizioni del processo iniziatico. Scopriremo che cosa è avvenuto in noi, che cosa può avvenire ancora oggi, ci accorgeremo delle corrispondenze con ogni processo educativo realmente umano.
3.1 Il passaggio
L’iniziazione segna il passaggio ad una nuova condizione della persona all’interno di un gruppo sociale. Tra chi è iniziato e chi non lo è, vi è una differenza radicale. Essa non dipende semplicemente dal raggiungimento di una certa età o dall’attribuzione di un ruolo. È legata piuttosto al superamento di una soglia, dalla quale non è possibile tornare indietro; è un’esperienza che ci risveglia ad un altro livello di esistenza, nuovo punto di partenza e di orientamento. A livello esistenziale, ci sono certe “prove” (alcuni passaggi cruciali, dall’ingresso nel mondo del lavoro all’esperienza di un lutto, all’esperienza dell’amore…) che ci introducono in una qualità più profonda della vita. Il cambiamento avviene non per accumulo di esperienze, il fare molte cose, vivere più eventi, ma per accrescimento di identità che produce una comprensione del senso della propria vita; ci impegna a vivere l’esistenza in un certo modo e ne diventa criterio di verifica, anche qualora la vivessimo in modo difforme. Questi passaggi, che toccano la nostra identità in senso globale, non avvengono in modo lineare e automatico. Propriamente, il passaggio iniziatico non si dà in due tempi (da una condizione ad un’altra), bensì in tre, scanditi ritualmente. Possiamo descriverli in questo modo:
– c’è anzitutto una fase di separazione dal gruppo, un distacco segnalato anche dall’andare altrove rispetto al luogo normale di vita (è detta anche fase preliminare);
– poi c’è la fase di margine, nella quale si passa attraverso varie prove e vengono trasmessi gli insegnamenti fondamentali su cui si regge la vita del gruppo (fase liminare);
– segue infine la fase di riaggregazione, con la quale si viene reinseriti e accolti nel gruppo secondo la nuova condizione personale (fase post-liminare).
La dinamica rappresentata da queste tre fasi è molto vicina alla nostra esperienza. Un’esperienza che ci accompagna in tanti passaggi e momenti di vita e che ci ha permesso di crescere e di appartenerea quel gruppo umano. Infatti, di fronte ai passaggi critici della vita, ci si rende conto che finisce un certo modo di vivere; le convinzioni già acquisite non bastano più; le sicurezze di prima vengono ora azzerate. Ma il raggiungimento di una nuova maturità passa attraverso una fase di gestazione e di attesa, a volte lunga e faticosa. Un passaggio troppo frettoloso o superficiale rischia di lasciarci al livello di prima, di non darci il tempo sufficiente per abbracciare la vita in modo trasformato, di lasciarci marginali o non veramente integrati nel gruppo degli iniziati. Al contrario, la fase di margine ci dà tempo per rielaborare il nostro passato e per assumere il futuro alla luce di un principio di vita che ci fa appartenere in modo nuovo alla comunità. Nell’Iniziazione Cristiana (questo è evidente nel caso degli adulti) è l’annuncio del Vangelo di Cristo ciò che giustifica l’entrata in una fase di margine, una gestazione che comporta un distacco e si apre ad una appartenenza piena alla comunità ecclesiale. Si parla di “conversione a Cristo”, quindi di riorientamento della vita nel senso indicato dal suo Vangelo. «Che cosa dobbiamo fare? Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo» Si comprende che l’opera di iniziazione ha bisogno di una comunità, di accompagnatori adulti capaci di far scoprire la bellezza della vita cristiana, ma chi inizia è Cristo stesso che cambia, converte, rinnova, dà orizzonte e spessore all’esistenza.
3.2 La simbologia di “morte e vita”
L’accesso a questa novità di vita è espresso con la simbologia della morte e della rinascita. Tale simbologia caratterizza fortemente i percorsi di iniziazione: qualcosa finisce e qualcosa ha inizio. Ma questo inizio non è semplicemente frutto di un atto di volontà del soggetto, né deriva da una concessione della comunità che annette a sé il soggetto: è un dono dall’alto. «Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio», dice Gesù (Gv 3,5). La simbologia della rinascita mette in campo la figura di una certa “passività”, che riguarda sia il soggetto (così avviene anche nel nostro essere generati, evento che ci consegna a noi stessi) Educare come atto generativo: l’iniziazione cristiana s tudi munità (così avviene quando uno nasce, evento che consegna una persona nuova e unica alla comunità). Non ci siamo fatti nascere e neppure abbiamo fatto qualcosa per ricevere il “regalo” di quelle persone, di quei nuovi figli nella comunità. Comprendiamo che non si tratta di una passività che annulla l’identità personale e comunitaria, ma che, al contrario, la fonda. L’Iniziazione mette in contatto con ciò che sta all’origine della nuova forma di esistenza e quindi all’origine della comunità degli iniziati: ci riceviamo dal gesto di Dio che perdona e che ci ama come figli nel Figlio. L’Iniziazione dice che l’origine è ancora donata e l’esistenza cristiana può “cominciare”. In ciò si radica quella competenza globale del cristiano che si svilupperà e si eserciterà per tutta la vita. Il dono che sta all’origine si esprime nella vita dell’iniziato, ma ne è sempre eccedente: non coincide mai del tutto con un modo di vivere personale o comunitario, è sempre più grande, è al di là, né si può racchiudere in una definizione concettuale o in una forma culturale o morale. Per questo l’Iniziazione avviene con azioni di tipo rituale. Il rito infatti rimanda a un ordine istituito che ci precede, un ordine “diverso” di azioni in cui si deve “entrare” e in cui ciascuno è chiamato ad occupare il posto che gli è assegnato. Essendo un agire di tipo simbolico (non di tipo funzionale), il rito ci distanzia dalla realtà immediata, da ciò che riteniamo di possedere, allarga il senso, apre a significati sempre “oltre”. Consente a tutti (sia ai soggetti sia alla comunità iniziatrice) di stare davanti al dono nell’atto di riceverlo e di trasmetterlo. Non mira a “definire” il nostro rapporto con questo dono, ma a porlo in atto attraverso un gesto di affidamento con cui lo lasciamo agire in noi, acconsentiamo a quell’essere rigenerati che non viene da un nostro atto di volontà né da una semplice decisione comunitaria. È l’inizio donato e ricevuto dell’esistenza.Con i riti dell’Iniziazione Cristiana ci affidiamo a Gesù Signore e passiamo nella condizione di chi appartiene a lui: con lui morti al peccato, possiamo vivere la vita dei figli, guidati dallo Spirito (cf Rm 6,3-11; 8,9-17). Questo è il dono che gli iniziati ricevono e che li accomuna nella Chiesa: «Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi» (1Cor 12,13a).
3.3 Una formazione che trasforma
Un rito di iniziazione comporta sempre anche una trasmissione di insegnamenti e quindi un compito formativo. L’iniziato è tale anche perché può riformulare la propria identità dentro un nuovo orizzonte interpretativo della vita. Sarebbe sbagliato però pensare a una formazione che si collochi solo sul piano intellettuale, come una comunicazione di cose da sapere. Se si pone su questo piano, è destinata all’inefficacia. L’autentica formazione iniziatica, invece, ha due caratteristiche fondamentali. La prima consiste in un particolare legame con l’esperienza iniziatica. Questa esperienza è il luogo in cui sviluppa la conoscenza. Non traduciamo nel rito quello che abbiamo previamente appreso; al contrario, impariamo a conoscere attraverso il percorso rituale. Non c’è una conoscenza da mettere alla prova, ma una prova che ci apre ad una diversa conoscenza. Ciò suppone che il vero punto di partenza dell’iniziazione non sia un concetto da sapere, ma una esperienza da fare, un incontro con il Vangelo, una relazione comunitaria rigenerante e significativa. In questo senso, occorre ridare e riconoscere ai riti il loro spessore. Essi sono capaci di evocare e di implicare simbolicamente tanto la storia della salvezza quanto la nostra vita, così da racchiudere l’esistenza cristiana nella sua interezza: siamo morti e risorti con Cristo. Un tale gesto rituale, metafora viva dell’essere cristiani, non smetterà mai di dire e di far conoscere il senso dell’esistenza: lo si comprenderà sempre di più e sempre meglio man mano che progredisce l’esperienza della vita. La dimensione formativa dell’iniziazione consiste allora nel creare il quadro di riferimento (i valori fondamentali vissuti) in cui acquistano senso tutte le altre conoscenze che riceveremo e che altrimenti rimarrebbero astratte, nozionistiche. La seconda caratteristica è che in un processo formativo di questo tipo non può essere in gioco solo la dimensione intellettuale, ma la persona deve essere coinvolta in tutte le sue dimensioni: corporea, affettiva-emozionale, intellettiva. La cosa è evidente e necessaria, se è vero che ciò a cui si viene iniziati non è un concetto o una dottrina, ma una possibilità di vita che mobilita tutte le risorse della persona. Il coinvolgimento integrale della persona nella formazionen non è questione di strategia didattica, ma di fedeltà al dono che si riceve e di rispetto per chi lo riceve. Spesso non è la comprensione intellettuale, ma sono proprio il grado di implicazione corporea nelle relazioni, la tonalità del coinvolgimento emotivo e il riordino degli affetti a rivelare ciò che diventa prioritario e ciò a cui teniamo anzitutto. Lì appare quanto il processo di iniziazione abbia realmente inciso sull’identità personale e comunitaria. Una formazione di questo tipo non si affianca al percorso rituale dell’Iniziazione, ma è tutt’uno con esso: non è previa, né posteriore, né semplicemente concomitante, ma è la risultanza di un processo integrale che mette in moto tutta la persona e tutta la comunità.
È una formazione intesa come “trasformazione”, in cui l’annuncio della parola compie la sua corsa e sviluppa la sua efficacia: «Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggregate a loro circa tremila persone. Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli…» (At 2,41-42).
- Chi è iniziato?
L’adulto è il destinatario privilegiato dell’Iniziazione: è l’adulto
che accoglie un annuncio, si pone in cammino, è l’adulto che
compie delle scelte nella libertà, fa un percorso di conversione e
di adesione al Vangelo3. La forma propria dell’IC è quella del catecumenato
degli adulti, ma la tradizione ha poi portato alla pratica
dell’iniziazione dei bambini. La Chiesa, anche in Italia, ha progressivamente
esteso l’itinerario del RICA anche alla prassi tradizionale.
Le tappe e gli elementi del percorso, così come le indicazione celebrative
sono state adattate anche all’IC dei ragazzi. La consapevolezza
che è l’adulto il soggetto dell’IC ha sollecitato, in questi ultimi
anni la ricerca di nuovi sentieri, di strade diversificate4.
Sono iniziati i ragazzi, a loro quando sono piccoli è rivolto l’itinerario
che progressivamente li introduce in Cristo e nella comunità.
Molta (e forse troppa) attenzione pastorale e catechistica è rivolta
in modo privilegiato a loro. In questo senso l’attenzione educativa
è molto forte, è quasi un generare da parte della comunità stessa.
Poiché l’età indica il divenire della persona, anche il processo se-
gue le tappe dell’evoluzione della personalità. Ha un inizio e una
conclusione, introduce a uno stile di vita, ad un modo di essere e di
vivere che l’adulto già rende visibile.
Sono iniziati i ragazzi con le loro famiglie, è la famiglia il soggetto
attivo del processo iniziatico, soprattutto finché chiede per i propri
figli la fede e la crescita cristiana. Così è necessario avviare un’azione
di accompagnamento e di sostegno. L’iniziare alla fede nella
famiglia avviene attraverso la vita quotidiana, la fede passa nelle
relazioni, negli affetti, nei gesti quotidiani come l’aprire una porta o
condividere il cibo. La famiglia diventa il luogo dove si racconta la
fede e i genitori raccontando si rigenerano.
È iniziata la comunità5 che mentre inizia si rinnova. La comunità
educa con tutta la sua vita e manifesta la sua azione dentro una
concreta esperienza. La comunità degli uomini e delle donne adulte
nella fede si lascia continuamente evangelizzare, convertire, è discepola
della Parola Viva che è il Signore Gesù.
- Chi inzia?
Chi compie questo processo di iniziazione? Chi è l’autore di questa
progressiva introduzione alla vita cristiana?
È Cristo Gesù il vero unico iniziatore.
Non ci illudiamo: l’IC non è una semplice azione umana, pur
importante ed alta, ma è Cristo Gesù stesso che inizia, è lui il grande
iniziatore, è lui che introduce coloro che lo cercano nella profondità
della sua stessa vita. E colui che si accosta al Signore Gesù è
da lui stesso accolto, introdotto nella comunità dei credenti che,
attraverso i segni sacramentali, gli dona la sua Salvezza, la sua Vita
in abbondanza.
È la comunità tutta intera con la sua molteplice ministerialità che
inizia. È essa il luogo naturale di evangelizzazione: rivivendo il mistero
di Cristo lungo l’anno liturgico e operando secondo i diversi
carismi essa inizia a tutta l’esperienza cristiana.
L’anno liturgico propone un itinerario di riscoperta e di conversione
per giungere alla piena maturità in Cristo. L’accompagnamento
dei fratelli permette di iniziare un cammino e di continuarlo.
Ci sono, infine, degli accompagnatori che iniziano con la testimonianza
di vita, con la relazione di comunione. Perché avvenga
iniziazione è necessaria l’azione paziente e umile degli “iniziatori”,
sapienti mediatori tra la libertà della persona e la grazia di Dio che
si riversa in coloro che lo cercano. Essi raccontano con la vita la bellezza
dell’esperienza cristiana, si pongono accanto ai loro fratelli più
piccoli, li conducono, accompagnano le famiglie, si fanno sostegno
e segno tangibile per gli adulti. È un’azione preziosa e delicata, avviene
nella gradualità e nell’attenzione alla situazione di ogni persona.
Il catechista che accompagna si lascia lui stesso accompagnare
da Cristo e dalla comunità, sa trasformarsi perché operi in lui Cristo
stesso.
Concludendo
L’iniziazione cristiana è da sempre il compito e l’avventura più
bella della Chiesa, la capacità di generare alla fede è il segno della
sua fecondità, è grazia che Cristo stesso le affida e ci affida. Di
generazione in generazione a tutta la comunità, ad ogni credente,
ad ognuno di noi è chiesto di trovare e aver cura delle persone,
di sollevarle perché il Signore Gesù possa rimetterle in piedi, farle
camminare, anzi, volare in alto.
Facciamo l’esperienza di un Dio che ancora oggi, attraverso la
sua Chiesa e attraverso ciascuno di noi, ha a cuore il suo popolo,
ogni persona. Possiamo allora dire dell’azione educativa quello che
il libro del Deuteronomio proclama: «Egli il Signore Dio… Lo trovò,
lo circondò, lo educò, lo custodì come la pupilla del suo occhio» (Dt
32,10ss.).