Stare sulla soglia: in ascolto delle domande dei giovani
- Sulla soglia, in ascolto…
La società attuale è attraversata da profonde trasformazioni che influenzano il modo di pensare e di agire delle nuove generazioni. Di fronte alla vecchia contrapposizione tra mondo occidentale, fortemente ancorato alle ideologie democratiche e liberali, e mondo dell’Est, governato da ideologie comuniste, si pone oggi, su dimensione planetaria, un altrettanto acceso contrasto tra le istituzioni e il mondo giovanile, portatore di istanze libertarie ed egualitarie, consapevole dei pericoli della globalizzazione e sensibile ai temi dello sviluppo ambientale, della salvaguardia dell’ecosistema, della solidarietà, della legalità, dell’iniziativa e della creatività. Si assiste ad un evidente passaggio da una realtà socialmente determinata ad un modo d’essere scelto. L’appartenenza ad un contesto sociale, e anche religioso, non si trasmette più in famiglia attraverso una tradizione comunitaria, ma l’identità è oggetto di una scelta personale e profonda. Quanto ereditato dalla tradizione è un repertorio di possibilità per la costruzione del sé, rispetto al quale il soggetto rivendica diritto di scelta. Si pone così in essere un processo nuovo per le giovani generazioni, un percorso che in un certo senso è anche di adattamento dei contenuti e di invenzione. Per la maggior parte tale percorso si delinea attraverso forti contrasti interiori che spesso avvengono tra l’esperienza personale e la tradizione esistente. Tali scontri si possono interpretare osservando la contrapposizione tra il desiderio di appartenenza e quello di autonomia. Da una parte si constata la voglia di riconoscersi stabilmente in un gruppo, un contesto, un culto; dall’altra parte emerge l’intento di rimanere distinti, di sperimentare percorsi propri, che prevedano appartenenze manifestate in forme più libere. In questa chiave di lettura l’attuale situazione giovanile non va interpretata con disagio e smarrimento, ma come opportunità di grande valore per una riscoperta e una valorizzazione della vita intesa come esperienza.
Questa umanità giovane, fortemente critica, è compressa nel termine di new global e testimonia da una parte l’inquietudine, l’ansia e la sofferenza di chi è alla ricerca di nuova identità, dall’altra segnala le profonde trasformazioni in atto in campo culturale, sociale e politico, che mettono in crisi antiche certezze e sollecitano nuovi paradigmi interpretativi che possano dare i contorni del quadro sociale contemporaneo e della sua complessità. Solo la conoscenza e l’interpretazione, infatti, permettono di stare in modo fecondo e con significato nel tempo quotidiano, che appartiene puntualmente a ciascuno, luogo in cui si compie l’interpellanza concreta della vita.
- …del cambiamento
La prima caratteristica del nostro hic et nunc è quella di un cambiamento che ha essenzialmente tre note distintive: la velocità, la relatività e la problematicità. Tutto cambia con un ritmo più veloce rispetto al passato, causando disorientamento ed inquietudine in coloro che rimangono ancorati ad antiche certezze e a vecchi quadri interpretativi. L’accelerazione del tempo rende il presente volatile, e questo genera paura perché il presente è il luogo delle emozioni, degli incontri, delle scelte e richiederebbe più che di riempirsi di cose che sfuggono alla presa, di un tempo di stabilità da valorizzare e da vivere. La sovrabbondanza di avvenimenti, di parole e di cose esige di dare senso al presente, di renderlo uno spazio
dove ci si toglie l’armatura per riabilitare i sentimenti, gli ambienti e i pensieri.
I cambiamenti frenetici sono in larga parte determinati ed accentuati dalle nuove tecnologie che interconnettono il mondo, creando una rete di informazione e di comunicazione continua che sta modificando non solo le abitudini e gli stili di vita delle persone, ma anche lo stesso modo di pensare e di intus-legere il quotidiano. Le conoscenze sono sottoposte ad una accelerata obsolescenza, le tradizionali categorie di spazio e di tempo vengono reimpostate in una comunicazione che, in tempo reale, collega le persone tra di loro in ogni parte della terra. In un contesto del genere il tema più sentito e sostenuto dai giovani è quello della partecipazione, della costruzione di spazi di espressione e protagonismo all’interno di contesti istituzionali e non. Emerge molto spesso che le occasioni che vengono loro offerte non rispondono alle loro reali esigenze o desideri perché predisposte secondo occhi e misure che non li rappresentano. Richiede una riflessione il fatto che le situazioni proposte dal mondo adulto per dare spazio ai giovani non sempre raggiungono l’obiettivo per rispondere al quale sono state pensate.
È facile dare spazio ai giovani, altra cosa è “fare” spazio ai giovani. Fare spazio richiama ad una intenzionalità che va ben oltre la semplice concessione di luoghi o tempi. Fare spazio significa immergersi, impegnarsi a capire i linguaggi e i pensieri dei giovani, cercare di andare oltre l’immagine con la quale si presentano al mondo esterno. Significa soprattutto essere capaci di non pretendere che i giovani si adeguino a modelli precostituiti prima di poter abitare lo spazio concesso.
Gli insegnanti, gli educatori, gli adulti che si pongono in relazione con i giovani hanno la possibilità di restringere il generation gap che si è creato tra i due mondi. Possono stravolgere la visione che i giovani hanno del mondo adulto e, nel contempo, farsi portatori di un’immagine nuova dei giovani. Il protagonismo può essere vero e reale solo se è proprio di entrambe le componenti: dei giovani che si impegnano ad esserci e ad attivarsi e degli adulti che, nel fare loro spazio, agiscono con il proprio ruolo di accompagnatori e facilitatori.
- …della complessità
Complessità e velocità rendono problematica la vita contemporanea: la capacità di scelta e di decisione non è favorita ma, nello stesso tempo, è necessaria per affrontare criticamente una realtà variegata, differenziata e spesso contraddittoria. Una realtà complessa, appunto. L’etimologia del termine complexus, d’altra parte, ci consegna il valore di un intreccio, di un abbraccio che non è propriamente una sintesi, ma la sincretica presenza e sovrapposizione di istanze tra loro anche contrastanti.
Società della complessità è anche società della turbolenza, difficile non solo da capire, ma anche da gestire. Una società da governare non in maniera centralistica, con ottuse logiche di difesa di tradizionali posizioni culturali e sociali, ma con quella coraggiosa disponibilità che mantiene aperti e dialoganti. Il pluralismo rappresenta dunque una scelta strategica irreversibile, che considera legittime tutte le posizioni culturali della società, non fosse altro perché è tramontato il tempo in cui era possibile spiegare in maniera organica la realtà, dando un’interpretazione esaustiva. La cultura del pluralismo non è facile da tradurre quotidianamente in coerenti azioni pratiche, perché significa rielaborare radicati convincimenti sui valori forti e fondanti, a tutto vantaggio di valori più leggeri e deboli, come sostiene Vattimo, che possano portare alla legittimazione della diversità come risorsa per la crescita umana in una società autenticamente interculturale.
Legittimare la diversità significa dare consenso a un tessuto di identità maturate nel cammino di responsabilità solidali, capaci di riconoscere se stesse e ciò che desiderano, ma anche capaci di chiedersi chi sono gli altri, di conoscere l’ambiente e di lasciarsi interpellare da quel che desidera quel contorno affettivo, sociale e politico che definisce i tratti dell’infinita biodiversità comunitaria.
- …dell’interattività
Il tratto che più di ogni altro connota la società giovanile è certo quello della multimedialità. L’uso diffuso delle strumentazioni multimediali sta profondamente cambiando, per il suo carattere pervasivo, anche le modalità del pensiero. Le nuove categorie mentali sono quelle dell’interattività, della navigabilità, della virtualità, del digitale. Rispetto alla televisione che, sul piano della comunicazione, è uno strumento monodirezionale, autoritario e rigido, internet è pluridirezionale e consente a tutti di comunicare senza limiti e in modo creativo. La navigabilità sollecita, poi, l’utilizzo dell’intelligenza euristica, consentendo di scegliere tra le molteplici sollecitazioni. Certamente, la virtualità abitua ad una conoscenza artificiale fondata su una simulazione piuttosto che sulla realtà concreta, tutte le informazioni, attendibili o meno, hanno lo stesso spazio e non esiste più l’indispensabile verifica delle fonti, ma i giovani finiscono con l’allargare l’orizzonte delle loro conoscenze accumulando esperienze nuove e godendo di una strategia ludica nel processo di apprendimento che li coinvolge e li interessa. Il digitale, poi, è una forma di post-alfabetizzazione che ristruttura le modalità di scrivere e di pensare, non solo di apprendere. Lo stesso linguaggio risulta profondamente cambiato: è diventato più breve e frammentario. Dal pensiero sequenziale tipico dell’uomo tipografico, si passa al pensiero simultaneo e sistemico che privilegia le interconnessioni concettuali.
La multimedialità rappresenta una vera e propria trasformazione antropologica del comportamento che impone stili di vita nuovi e modalità di apprendimento cognitivo impensabili fino ad un recente passato. Ebbene, questa rivoluzione oggi interessa e coinvolge le nuove generazioni e rappresenta un connotato specifico della condizione giovanile. Quello che è cambiato e continua a cambiare con velocità sempre maggiore è il modo di sentire in profondità se stessi e gli altri e come questo viene tradotto in parole, gesti e azioni.
È diverso il linguaggio, sono diversi i codici usati dai giovani e la distanza esistente tra questi e quelli utilizzati dal mondo degli adulti rende difficile la reciproca decodifica e comprensione. Eppure i ragazzi e le ragazze hanno voglia di farsi sentire e vedere, a patto che l’interlocutore sia disposto ad andare oltre le apparenze e a creare uno spazio di ascolto che sia veramente tale, in cui quello che viene espresso è accolto, è valorizzato e, soprattutto, non è giudicato.
- Domanda-sete di sguardo, di riconoscimento, di appartenenza
Avere sete di relazioni è costitutivo del giovane. Eppure è consueto fare esperienza di quanto siano difficili il dialogo e il confronto tra persone che si ascoltano sinceramente, mosse dal desiderio di capire dove sta veramente l’altro e qual è il bene che si può costruire insieme. Ogni giorno si attraversano relazioni, con la curiosità di coglierne la ricchezza, ma anche con la preoccupazione di non rimanere “irretiti”. Ogni giovane aspira a riconoscersi in una appartenenza, sia essa un gruppo, un’istituzione o una persona. Ama ricercare e ricercarsi, perciò si avvicina alla realtà per parlarle e riscriverla. Ma cosa significa appartenere? Una serie di appartenenze vengono ereditate: il livello sociale, un certo tipo di cultura, un sistema di pensiero, una modalità di vivere la religione, uno stile di vita.
Nel tempo, i processi di crescita portano a maturare l’abbandono di alcune di esse e a cercarne altre. Se l’appartenenza che si cerca è la nicchia nella quale sentirsi protetti, cautelati, autenticati nella propria identità e credibilità, qualunque presenza estranea, diversa, divergente diventerà una minaccia e una intrusione da cui difendersi. Ma l’appartenenza non può essere una proiezione di se stessi; è vera solo se è uno spazio di incontro e confronto, luogo dove il proprio capitale emotivo, affettivo, culturale viene messo in circolo per costruire una realtà nuova, diversa, ricca e arricchente. Allora consegna ad ognuno il desiderio di conoscere la bellezza della propria originale identità e diviene una forza e una opportunità.
Per conoscersi davvero, per rivisitare la propria vita, per riscoprire il proprio essere, per riconoscere e per rafforzare visione, pensiero e progetto propri, che non siano il solito inseguire e imitare modelli dati, che non siano ripetere cose sentite dire e prese in prestito da altri o da altro, per rimettersi davvero sulle proprie gambe, ci vuole lavoro, ricerca attenta, impegno e tempo. Il rapporto con se stessi, il dialogo con la propria interiorità vanno saggiati, scoperti, costruiti, coltivati con passione e con serietà, fatti crescere con pazienza e con tenacia. I progetti, gli amici, le istituzioni a cui si sceglie di appartenere saranno i luoghi dove la parte più vitale di sé, dove il proprio desiderio più genuino e vero possono essere accolti,
potenziati, realizzati. Così si crea una rete di comunicazione, di affetti, di simpatie, di sogni, di idealità che diventano la forza e il piacere del vivere. Si tessono relazioni che, coltivate, divengono amicizie profonde e durature e lentamente aiutano a strutturare la propria identità.
Il giovane ha sete di amici giusti: sono coloro per i quali tutto è importante così da renderli sempre presenti e puntuali, non cronologicamente, ma opportunamente. Il giovane ha sete di questo puntuale osare umano che genera sintonia e simpatia. Ha sete di uno sguardo non distratto che rimanda a una condivisione autentica, di una attenzione sincera che intercetti le potenzialità e le sostenga nel loro evolversi e trasformarsi in progetto di vita, di una cura discreta che accompagni la sua inquietudine e la mantenga accesa e orientata all’oltre.
- Domanda-sete di luce, di orizzonte, di vita
Stare in compagnia della giovane generazione significa scegliere di seguire il percorso dei processi della vita e non quello delle tappe e dei risultati. I processi della vita chiedono di rimanere attenti alla persona per comprendere dove sta, qual è il suo vero bisogno, qual è il suo desiderio profondo, nascosto, che non sempre riesce ad esprimere e che vuole accoglienza per emergere.
Si tratta di ascoltare la sete di vita, quella che abita tutti e ciascuno. Quella che spesso emerge da esperienze che mettono in crisi: la crisi, di fatto, è anzitutto una condizione per scegliere, per decidere della vita. È prendere atto che qualcosa muore, è sgomberare il campo da ciò che è inutile e ingombrante e creare lo spazio per l’inedito che si annuncia, la parola inaugurale che riparte. Così si mette in circolo quella premura che è la cura costante, quotidiana, al proprio stile di vita e alla propria ricerca spirituale. Aiuta in questo avere la capacità di creare spazi di ascolto, di autocoscienza, scegliere il silenzio delle parole, ma anche dell’azione, cioè rimanere con l’animo disponibile a fermarsi, a interrompere, ad aspettare. È la strada per divenire consapevoli di sé, delle proprie emozioni, delle proprie azioni.
Da questa consapevolezza si definisce la consistenza della persona, il suo cammino, la sua progettualità, cioè il suo “gettarsi in avanti”, proiettarsi in un futuro, il suo personalissimo modo di sentire, affrontare, dialogare, rispondere alla vita, la sua spiritualità, cioè l’insieme dei principi e dei valori che nutrono lo spirito e orientano i comportamenti.
È interessante chiedersi quale modello di spiritualità e di umanità offre il mondo degli adulti a quello dei giovani. È un modello che aiuta a vivere la quotidianità? Per valutare la bontà di una spiritualità un criterio è certamente la centralità che garantisce alla persona. Simone Weil diceva: «L’essenza della bestemmia è anteporre la verità alla persona» e poi la considerazione dei risultati che genera. Quando produce sensi di colpa o di superiorità, ansietà, competizioni, sterili comportamenti ripetitivi, chiusura di fronte alle novità, fuga dalla storia, moralismo e rigore nei confronti degli altri è un modello di spiritualità lontano dai processi di vita. Al contrario, è spiritualità che aiuta a vivere l’oggi tutto ciò che allarga gli orizzonti, che alimenta circuiti di positività e di bene, che accoglie ogni realtà umana con i suoi limiti e le sue potenzialità, che è preoccupato non dei principi, ma della ricchezza e delle potenzialità che i processi possono generare, che non crea pesi impossibili da portare, ma dà pace e serenità duratura nel tempo, che consegna la piacevole e impegnativa consapevolezza di partecipare creativamente all’armonioso affermarsi della vita.
- Domanda-sete di bellezza, di passione, di futuro
Il giovane si apre alla vita con lo sguardo che gli ha insegnato ad avere l’adulto. Se questi è una persona sana, non può che comunicare la disponibilità alla vita, accolta come un’avventura appassionante.
La vita ha una forza prorompente, incontenibile, avvolge anche quando non se ne è consapevoli, e ogni volta in cui incontra degli ostacoli, come l’acqua di un torrente, trova un rivolo per continuare nel suo cammino. Davanti a questo spettacolo che è l’uomo vivo è importante imparare a darsi del tempo per chiedersi: a che punto si è con l’avventura della propria vita?
Amare la vita significa far sì che sia abitata dalla domanda che apre, schiude, chiama, è creativa, che è volontà di capire, di andare a fondo: qualunque sia la strada fatta, siamo soddisfatti della vita vissuta fino ad oggi? Abbiamo avuto tempo e opportunità per domandarci cosa la vita ci chiedeva? Oppure gli eventi ci hanno costretto a correre e a rotolare? Spesso la preoccupazione di ciascuno è conservare la vita, salvarla, prolungarla. È necessario occuparsi di come la vita è vissuta; è importante prestare attenzione alla qualità della propria esistenza, mantenere alto e profondo l’entusiasmo per l’esperienza umana e vivere intensamente, assaporando con gioia tutto quello che la vita offre, grande o piccolo che sia, esplorando le frontiere del possibile per costruire, coltivare e custodire con speranza il futuro.
Nessun idealismo. Il gusto per la vita passa attraverso il contatto con tutto quel che si è, anche con le parti più fragili di noi. Ci vuole forza e coraggio per vivere intensamente, ci vuole la determinazione di fermarsi per lasciar emergere la vulnerabilità, il bisogno di amore, per prendere contatto con il proprio vuoto, con quella voracità che fa ingoiare tutto senza sentirne il sapore, con quel mal-essere che abita, a volte, l’anima e interpella.
Vivere è avere occhi desti, che sappiano vedere i germogli che crescono: si tratta di adottare verso se stessi e gli altri la medesima attività germinale, positiva, solare, vitale, si tratta di coltivare venerazione profonda per le forze di bontà, di attenzione, di misericordia, di accoglienza, di libertà, di giustizia, di pace. Devono poter erompere in tutta la loro energia, in tutta la loro bellezza, in tutta la loro carica: così la persona fiorisce nella sua integralità. Accompagnarsi e accompagnare in passi che abbiano questo stile domanda speranza. Non quella pallida o sentimentale, ma la speranza che agisce, persevera, non cede alle disillusioni e continua a seminare anche negli “inverni del nostro scontento”, come diceva Steinbeck, coltiva la fiducia che il futuro avanza verso il presente, che non è costruito solo da noi, ma ha bisogno di noi per accadere.