Un nome nuovo…un cammino dalle radici antiche
Questo numero della rivista «Vocazioni» esce in contemporanea con una data importante nella storia del Centro Nazionale Vocazioni: il CNV, ufficialmente nato il 23 febbraio 1967 (45 anni di vita raccontano una dimensione esistenziale di pienezza adulta e generativa, se paragonata al cammino evolutivo della esperienza umana), il Consiglio Permanente della CEI (26 Settembre 2012) ha ufficialmente integrato tra gli Uffici della Segreteria Generale l’Ufficio Nazionale per la Pastorale Vocazionale (UNPV).
Ciò rappresenta l’approdo di un cammino di collaborazione intensa tra la pastorale vocazionale e le altre aree pastorali della Conferenza Episcopale Italiana, maturata insieme in più anni di cammino, che permette alla pastorale vocazionale di assumere una precisa identità pastorale, in un contesto sempre più comunionale, non solo a livello nazionale ma anche nelle realtà delle Chiese particolari. Il nome è nuovo: “Ufficio Nazionale per la Pastorale Vocazionale”; le radici sono quanto mai antiche.
L’Anno della Fede diverrà, così, una sorgente feconda di riflessione, di elaborazione, di proposte, ma soprattutto di preghiera e di rinnovamento interiore e spirituale. Un tempo santo che porterà tanti più frutti, quanto più saprà divenire un cammino personale e comunitario, per riscoprire le radici del nostro essere discepoli di Gesù e delle nostre scelte di vita, perché affascinati da Lui.
Afferma Papa Benedetto XVI:
«La “quaestio fidei” è la sfida pastorale prioritaria. I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e di testimoniarlo, a partire dalla domanda sempre molto personale: perché credo? Occorre far riscoprire la bellezza e l’attualità della fede come orientamento costante, anche delle scelte più semplici, che conduce all’unità profonda della persona rendendola giusta, operosa, benefica, buona» (Omelia, 31 dicembre 2011).
Nella prolusione al Consiglio Permanente della CEI (24 Settembre 2011) il Card. Angelo Bagnasco sottolinea: «Non c’è dubbio che dobbiamo imprimere una decisa accelerazione alla pastorale vocazionale, attraverso anche una dedizione specifica dei Vescovi e una mobilitazione affettiva e orante del popolo di Dio. Ma il fatto che vi siano diocesi e regioni che risentono assai meno della crisi dice che vi sono possibilità da mettere in campo e risorse da esplorare. Anche nei territori più ispidi si possono avere risultati consolanti».
È la proposta di uno stile di annuncio del Vangelo della Vocazione, che si radica in una esperienza di fede capace di generare alla vita.
Una “fede generativa” è chiamata ad abitare tutti gli ambiti della vita umana, e dalla immersione in queste realtà concrete e quotidiane essa può trarre nuova forza, vitalità e incisività, scuotendo comunità cristiane spesso assopite e in affanno, con la certezza che c’è un fuoco sotto la cenere da riattizzare e ravvivare. In questo senso potremmo riscoprire una icona vitale per il nostro cammino vocazionale: l’icona del pellegrino, dell’homo viator di Gabriel Marcel (1944), che non è un naufrago disperso, un malinconico randagio o un vagabondo nomade e smemorato.
«Se l’uomo è essenzialmente un viandante, ciò significa che egli è in cammino verso una meta che vede e non vede. Egli non può perdere questo sprone, senza divenire immobile e senza morire» (G. Marcel).
- Una “fede generativa” assume la consapevolezza dell’essere figlio: figlio accolto, amato, benedetto. Una consapevolezza che può essere vissuta nella prospettiva della tenerezza, perché gli archetipi di riferimento della propria storia relazionale sono segnati da esperienze essenziali di affetto, fiducia e positività. È anche una consapevolezza che può essere vissuta nella dinamica del conflitto, della ferita non rimarginata, della pesantezza e dell’abbandono, là dove ci sono storie di relazioni segnate da famiglie frantumate e disorientate, da padri e madri più preoccupati di se stessi che del benessere profondo e globale dei propri figli.
- Una “fede generativa” aiuta a recuperare la dimensione vocazionale della vita, come orizzonte di senso e di significato, come risposta alle domande di tanti giovani che ci interrogano su dolore e amore, paura e morte, riassunte in una richiesta che è di sempre: “Posso io essere felice?”. Posso cogliere nella mia vita «quel dolce pomo che per tanti rami / cercando va la cura de’ mortali?» (Dante Alighieri).
Ci sono alcune parole-chiave, da rielaborare in prossimo futuro, che aiutano a proiettarsi nell’orizzonte pastorale “Vocazione: porta della Fede”:
- Relazione e fiducia.
- Testimonianza positiva e trasparente.
- Guarigione dei nuclei feriti delle persone.
- Stare sulla soglia, per guardare con benevolenza e ascoltare con disponibilità.
- Contemplazione: la dimensione della spiritualità è una sete viva, per aiutarci a scoprire quello che Dio compie in noi.
Questo ci aiuta ad uscire dal rischio di una pastorale, anche vocazionale, concepita come strategia di sopravvivenza, anche se comporta la fatica della comunione e del superamento autoreferenziale.
C’è sete di rapporti umani autentici, di relazioni di vicinanza, di lealtà e fiducia: è questo il “ministero della compagnia e della consolazione”.
«Quanto più il discepolo del Signore vive il servizio, tanto più egli sarà trasparente.
Quanto più egli ambisce o si attribuisce titoli di dignità, tanto più opaco egli diviene» (H. Urs von Balthasar).