N.05
Settembre/Ottobre 2013

Una sicura bussola per orientarci nel cammino

«A Giubileo concluso – scriveva Giovanni Paolo II al n. 57 della Novo Millennio Ineunte – sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre».

Una bussola: teniamo questa immagine per proseguire la rivisitazione vocazionale dei testi, sempre senza addentrarci nelle problematiche dell’ermeneutica che lo stesso pontefice additava nel testo citato1. Una bussola che consenta di intercettare le strade sulle quali camminano i giovani ai quali desideriamo giunga il Vangelo, in tutta la sua freschezza.

Ci soffermiamo su alcuni aspetti della Costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen Gentium), evidenziando la dimensione di popolo “scelto e inviato”, popolo reso “uno e pluriforme” dalla ricchezza dello Spirito.

 

  1. Una comunità che cammina

Tra le tante, ricchissime immagini con cui la LG ha dipinto la Chiesa e il suo mistero, quella più suggestiva, per le generazioni giovani all’epoca del Concilio, fu quella di popolo di Dio. Immagine poi offuscata da un certo sociologismo, ma indubbiamente carica di quella forza che il radicamento nella Parola le conferisce.

Commentando il n. 9 di LG2 – che definisce tra le pagine più belle di tutto il Concilio – il cardinal Martini scrisse:

«La descrizione è densissima, ricchissima e parla di ciò che siamo noi – Papa, preti, vescovi, suore, religiosi, laici, bambini, anziani, famiglie – noi siamo questa realtà, tutti uguali, tutti partecipi della stessa dignità, libertà, carità, missione. Questa pagina va quindi letta con ammirazione, evitando una lettura riduttiva. La lettura è riduttiva (o fatta con un occhio solo) se consideriamo descritto il popolo di Dio soltanto nel suo divenire storico, nella sua avventura temporale, nella sua vicenda sublunare, cioè come appiattito nella storia. Dobbiamo invece capire – come dice il testo – che il popolo di Dio ha per capo Cristo che regna glorioso in cielo. Ma il popolo di Dio non è limitato a noi che ora siamo qui. È tutta l’immensa moltitudine di coloro che si riferiscono a Cristo come Capo: quindi Maria, gli apostoli, i santi, tutta la Chiesa di tutti i tempi»3.

Conscio del rischio di una visione riduttiva, l’arcivescovo di Milano invitava i propri giovani a contemplare l’unica Chiesa, ad avere uno sguardo largo per capire che il popolo di Dio «è popolo di Dio in cammino adesso e però noi siamo già parte della Chiesa celeste, anzi la Chiesa celeste sta già scendendo dal cielo nella storia e sta vivificando la storia»4.

All’interno di queste coordinate è possibile tracciare un percorso vocazionale che entusiasmi anche i giovani di oggi, rendendoli protagonisti di un’avventura che dilata i loro orizzonti. Non si tratta di sentirsi depositari di un privilegio, ma custoditi da un’amicizia che rende solidali con ogni uomo, responsabili del destino di tutti, poiché la Chiesa «apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza» (LG 9).

C’è consapevolezza di povertà e ricchezza, di forza e debolezza nell’affermazione conciliare. Se una tale consapevolezza diviene bussola per le nostre catechesi vocazionali, esse si aprono contemporaneamente sul versante di Dio e dell’uomo. La Chiesa è piccola e quindi vicina a quel bisogno di appartenenza non generico, identificabile, riconoscibile, fatto di rapporti primari; è gregge e per questo bisognosa di pastore, non allo sbando, non senza meta, non priva di approdo; è germe, quindi depositaria di una forza nuova, non ripetitiva, non stantia; è per tutta l’umanità, se accoglie l’istanza di non fermarsi al già conosciuto, a chi abita l’uscio a fianco, ma anche a chi appartiene a mondi lontani; è unità, speranza, salvezza, in germe, sì, ma il germe più forte che preme nelle zolle della storia perché vi possano germinare i desideri più profondi che albergano in ogni persona.

 

  1. L’orizzonte del cammino

La descrizione di LG 9, trova il naturale compimento nel capitolo VII, in cui la vocazione del popolo di Dio viene presentata a partire dal compimento dell’itinerario tracciato per lei da Dio.

Si legge in LG 48:

«La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento se non nella gloria celeste, quando verrà il tempo in cui tutte le cose saranno rinnovate (cf Ap 3,21), e col genere umano anche tutto l’universo, il quale è intimamente congiunto con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, troverà nel Cristo la sua definitiva perfezione (cf Ef 1,10; Col 1,20)».

La chiamata alla santità si attua poco a poco, nel ritmo del “già e non ancora” con cui tutto il n. 48 descrive il pellegrinaggio del popolo di Dio. Ritengo importante che la domanda sulla meta del nostro pellegrinare accompagni i percorsi vocazionali, poiché «la nuova condizione promessa e sperata è già incominciata con Cristo… continua nella Chiesa, nella quale siamo dalla fede istruiti anche sul senso della nostra vita temporale, mentre portiamo a termine… l’opera a noi affidata nel mondo dal Padre…».

Riappare in queste parole la domanda di senso, illuminata proprio a partire da quella dimora verso cui siamo incamminati e che stiamo già costruendo, insieme, mattone dopo mattone, nella città degli uomini.

Un’altra indicazione teologico-pastorale per i nostri itinerari è certamente costituita dal richiamo ai santi, «amici e coeredi di Gesù Cristo, nostri fratelli e insigni benefattori»:

«Il contemplare infatti la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la città futura (cf Eb 13,14 e 11,10); nello stesso tempo impariamo la via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo e secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità. Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell’immagine di Cristo (cf 2Cor 3,18), Dio manifesta agli uomini in una viva luce la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci dà un segno del suo Regno verso il quale, avendo intorno a noi un tal nugolo di testimoni (cf Eb 12,1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati» (LG 50).

«Impariamo la via… secondo lo stato e la condizione di ciascuno » per arrivare all’unione con Cristo, compimento della nostra vocazione. Ancora una volta la realtà di popolo in cammino viene presentata nella forma composita che caratterizza ogni comunità: sull’unica via, tanti amici di Gesù e nostri fratelli, hanno camminato e realizzato la personalissima chiamata alla santità ricevuta nel battesimo. Proporre l’amicizia con i santi può avere un sapore quasi démodé, ma la narrazione della vita e delle vite riesce a raggiungere l’intimo dei ragazzi e dei giovani più di quanto possiamo a prima vista pensare. Logicamente si tratta di saper narrare e di saper ricercare con serietà le fonti a cui attingere. Non il miracolistico va proposto, ma piuttosto il coraggio di una sequela che ha attraversato la storia con elementi costanti e diversi, quanto sincroniche e diacroniche sono le fasi della storia umana.

A tal proposito riprendiamo la già citata catechesi del cardinal Martini:

«Vengono alla mente le grandi intuizioni dei padri della Chiesa, di Ambrogio e di Agostino, di coloro che hanno vissuto la fede in questo luogo dove noi ora siamo in preghiera e in ascolto della medesima Parola. Perché essi riconoscevano che la chiesa che li aveva partoriti nel Battesimo – la Chiesa terrestre e visibile – era nello stesso tempo la Chiesa celeste, la Gerusalemme dall’alto, nostra madre. Agostino diceva: “Abitiamo fin da ora nella Gerusalemme celeste, il Regno di Dio già ha fatto la sua apparizione all’interno della storia e la pace è possibile”»5.

 

  1. Lo stile del popolo in cammino

Il paragrafo finale di LG 9 – da cui siamo partiti – diviene un’anticipazione di quanto più diffusamente compare nel capitolo VII, ma contemporaneamente sintetizza con forza la missione che il Signore affida al popolo che si è scelto:

«Dio ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia agli occhi di tutti e di ciascuno, il sacramento visibile di questa unità salvifica. Dovendosi essa estendere a tutta la terra, entra nella storia degli uomini, benché allo stesso tempo trascenda i tempi e i confini dei popoli, e nel suo cammino attraverso le tentazioni e le tribolazioni è sostenuta dalla forza della grazia di Dio che le è stata promessa dal Signore, affinché per la umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà ma permanga degna sposa del suo Signore, e non cessi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di rinnovare se stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce tramonto» (LG 9).

Così commenta Martini:

«La Chiesa è dentro ed è sopra, e il suo stile è quello di essere immersa e di essere più in alto: questo stile deve continuamente impregnare il nostro agire, il nostro parlare, dentro e sopra. Immersa e insieme con lo sguardo molto più lontano; dentro il tempo e già partecipe dell’eternità; dentro le emozioni, le sofferenze, le lotte e insieme nella pace di Dio, già partecipe della gioia e della pace che è nei cieli»6.

In questa descrizione il popolo di Dio viene presentato come una comunità che cammina nella storia senza paura di contaminazioni. Per riprendere una formulazione rilanciata da G. Routhier7, il Concilio ha fatto passare la Chiesa da un modello di “comunità delimitata” a quello di “comunità centrata”. Cioè da un modello di gruppo la cui identità è assicurata da un confine ermetico, tracciato da rigidi criteri di appartenenza; ad un gruppo la cui identità si costruisce tramite un’adesione personale forte, tale da mantenere coesione anche se i confini sono porosi e permettono la comunicazione con l’esterno8.

La saggezza di un educatore si rivelerà nel sostenere la scelta di un’appartenenza cordiale e radicale a Cristo, poiché, mette in guardia Routhier, «se questo lavoro sui confini non è accompagnato da un lavoro di ricentramento in Cristo, può naturalmente condurre ad un terzo modello di Chiesa richiamato da P. Hiebert, la “comunità indefinita” o la comunità confusa. Non protetta da un confine né centrata su Colui che la raduna, questa comunità può perdere l’identità e la coesione… in ogni caso il rimedio non va cercato in un ritorno alla comunità delimitata, anche se di questo modello talvolta si ha nostalgia»9.

 

Conclusione

All’interno del popolo messianico il Concilio descrive l’apparire, poco a poco, di una Donna, adombrata nelle pagine dell’Antico Testamento: una Vergine che primeggia tra gli umili e i poveri del Signore (LG 55). La Madre del Messia, la Madre di Gesù – descritta ripercorrendo i brani evangelici – ne condivide la vita: Gesù di Nazaret-Maria di Nazaret. Unita al Figlio, di cui ascolta nel silenzio la parola, cammina con lui, avanzando nella peregrinazione della fede, fino al Calvario, dove «amorosamente consenziente» si unisce all’offerta della vittima da lei generata (LG 57-58). Il Concilio ci offre un’immagine quasi sacerdotale di Maria, che congiunge il mistero dell’incarnazione e della passione10.

Questa nostra sorella (come amava definirla Paolo VI) è al cuore di ogni itinerario vocazionale. Uno dei tratti della modernità della sua figura, tratteggiata nel Concilio, è indubbiamente l’avanzare nella peregrinazione della fede11. Proprio la fatica a percepire le ragioni della fede, infatti, abita il cuore dei nostri giovani, che vanno sostenuti nella paziente ricerca della volontà di Dio per loro.

A loro possiamo additare Maria, premurosa come Madre che si prende cura del cammino dei fratelli del Figlio suo (LG 62) e «per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza … chiama i credenti al Figlio suo, al suo sacrificio e all’amore del Padre. (…) Nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a colei che generò il Cristo, concepito dallo Spirito Santo e nato dalla Vergine per nascere e crescere anche nel cuore dei fedeli per mezzo della Chiesa. La Vergine infatti nella sua vita fu modello di quell’amore materno da cui devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini » (LG 65).

 

NOTE

1 «A mano a mano che passano gli anni, quei testi non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati, come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa» (NMI 57).

2 «(…) Questo popolo messianico ha per capo Cristo “dato a morte per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4,25), e che ora, dopo essersi acquistato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cf Gv 13,34). E finalmente, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che

deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cf Col 3,4) e “anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio” (Rm 8,21). Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l’universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cf Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo…».

3 C.M. Martini, Parole sulla Chiesa. Meditazioni sul Vaticano II, Piemme, Milano 20053, p. 106.

4 Ibidem.

5 C.M. Martini, Parole sulla Chiesa, cit., p. 112.

6 Ivi, p. 107.

7 Gilles Routhier (1953) è professore di Ecclesiologia all’Université Laval (Québec) e all’Institut Catholique di Parigi. Si occupa in particolare del Vaticano II, della sua storia, recezione ed ermeneutica.

8 G. Routhier, Un Concilio per il XXI secolo. Il Vaticano II cinquant’anni dopo, Vita e Pensiero. Milano 2013, p. 62.

9 Ivi, p. 65.

10 Per approfondire lo studio di Maria all’interno del corpus conciliare sono utili gli studi pubblicati in E. Toniolo (ed.), Maria nel Concilio. Approfondimenti e percorsi. A 40 anni dalla Lumen Gentium, Centro di cultura mariana Madre della Chiesa, Roma 2005.

11 Questa espressione è frutto di una rinnovata visione della figura di Maria dal punto di vista antropologico e discepolare. Il pellegrinaggio della fede sarà il motivo dominante della prima parte dell’Enciclica Redemptoris Mater di di Giovanni Paolo II.