Il fascino dell’assoluto di Dio
L’antica tradizione biblica ha descritto con varie metafore il mistero di Dio “tremendo e fascinoso”. Questo “fascino” è collegato alla dinamica interiore del desiderio umano. Il Catechismo della Chiesa Cattolica introduce la descrizione dell’esperienza religiosa di Dio con queste parole: «Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa: La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio»1. Tale “desiderio di assoluto” e l’attrazione del suo fascino si traducono in ricerca e in attesa di un “incontro” che esige intimità e stabilità. Si tratta di un percorso “vocazionale”, nel senso più profondo che assume l’itinerario interiore di ogni uomo: rispondere all’appello fondamentale che Dio pone nel cuore di ogni creatura. Al fine di comprendere tale processo di desiderio e di attrazione nei riguardi di Dio, il nostro approfondimento biblico si concentra su tre parole-chiave che caratterizzano il “fascino dell’assoluto di Dio”: “silenzio”, “volto”, “tu”2.
- Il fascino del “silenzio di Dio”
Fin dai racconti delle origini il Creatore si presenta come “essere nel silenzio”. Dal momento in cui Dio pronuncia la sua “Parola” la realtà della creazione prende forma. Secondo la tradizione biblica il desiderio di Dio nasce dalla capacità di educare al valore del silenzio e dell’ascolto3. Fermiamo la nostra attenzione su alcune tappe della narrazione biblica che indicano il valore del “silenzio” in relazione al mistero di Dio e alla scoperta de suo amore per l’uomo e il suo destino di felicità.
1.1 Il silenzio e la Parola nella creazione
I racconti delle origini del mondo e dell’uomo introducono il lettore nello scenario cosmico in cui domina eternamente il “silenzio”. La terra muta, «informe e deserta» (Gen 1,1) era immersa nelle tenebre e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque dell’abisso. Il primo racconto di creazione fa emergere la potenza creatrice della Parola che fuoriesce dal silenzio di Dio. Nel silenzio si cela la presenza del mistero. Caos, abisso, tenebra, deserto, realtà informe: tutto sembra circondato da una realtà indefinita. Nel pronunciare la sua “parola” il Creatore schiude la realtà e la colloca nella vita donando ordine alle cose: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu» (Gen 1,4). La parola divina dà forma a ciò che non è, dà senso alle cose, permette alla luce di prevalere sulle tenebre. Seguendo una ripetizione liturgica della Parola che “accade” come un evento lungo i sei giorni della creazione, il “dire di Dio” suona come una sinfonia della vita che “viene dal silenzio” e chiede silenzio per essere pienamente contemplata. Infatti il silenzio divino è ripreso nel «settimo giorno», il giorno dello Shabbat, in cui il Creatore si riposa (Gen 2,2-3)4.
1.2 Il silenzio di Dio e la vocazione
La parola della creazione rivolta alla prima coppia umana e ripetuta da Dio nei racconti delle origini (cf Gen 1-11) assume un ulteriore significato con la figura di Abramo (cf Gen 12-25), l’uomo del silenzio, dell’ascolto e dell’obbedienza nella fede. A partire dall’esperienza del “padre della fede” possiamo cogliere il valore del silenzio e del desiderio di Dio. La domanda che è alla base della ricerca verte sull’identità di Dio e sul suo tacere. I racconti biblici rivelano come il “silenzio” prelude alla dimensione della fede. L’uomo è chiamato a credere davanti ad un Dio, immerso nel silenzio. Abramo risponde nell’obbedienza e accoglie la promessa della discendenza (Gen 12,4-9). Tuttavia, la vocazione di Abramo sperimenta la realtà del silenzio di Dio e il patriarca non comprende più il senso della sua missione (cf Gen 15,3-6). Nel silenzio notturno Dio ri-genera il “desiderio” (de-sidera) di Abramo: egli sarà padre. Vivere la propria vocazione significa entrare nel “silenzio di Dio” e interpretare la sua Parola come “benedizione di vita”. In questo processo della fede il patriarca trova la forza dell’intercessione (cf Gen 18) e sperimenta l’abissale distanza che lo separa da Dio nella prova di Isacco (cf Gen 22). Il lettore potrebbe chiedersi: perché Dio fa questo? Perché Dio tace? La risposta della tradizione ebraica è questa: «Perché se Dio fosse solo il Dio della Parola ci accecherebbe con la sua luce. Dio è il Dio del silenzio, perché solo il silenzio di Dio è la condizione del rischio e della libertà»5.
1.3 Il silenzio di Dio: lotta e liberazione
Anticipata nell’immagine del patriarca Giacobbe che lottò con l’angelo (cf Gen 32,23-33) è l’epopea della liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto6. I racconti dell’Esodo sono intrecciati da lamenti, parole, imprecazioni dei “figli di Israele” oppressi dal faraone e dai suoi sorveglianti. Il Dio «di Abramo, Isacco e Giacobbe» sembra tacere agli occhi del popolo, mentre il narratore annota: «Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero» (Es 2,24-25). In questo misterioso atteggiamento si applicano al Signore quattro verbi collegati con il silenzio: nel silenzio di Dio c’è l’ascolto, il ricordo, lo sguardo e la condivisione della condizione di sofferenza dei figli di Israele. Come la creazione accade attraverso il silenzio e la Parola, così la liberazione è la conseguenza della lotta per la libertà. Giacobbe lotta per l’intera notte con l’angelo al guado dello Iabbok, così il popolo di Israele celebra nella notte la sua prima Pasqua, uscendo dall’Egitto e attraversando il Mar Rosso (cf Es 12-14). Di grande interesse è la rilettura poetica di questo evento nel libro della Sapienza. L’autore offre un’interpretazione della liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto, che poggia sull’opposizione tra silenzio e parola (Sap 18,14-16).
1.4 Silenzio nella ricerca dell’assoluto di Dio
Tra i vari testimoni della ricerca di Dio spicca il profeta Elia, difensore del monoteismo jhavista contro l’introduzione del culto di Baal. La tradizione biblica presenta l’esperienza del profeta in un “silenzio contemplativo” che si trasforma nel dono della pace. Elia è il simbolo dell’uomo che cerca Dio e che fonda tutta la sua vita sulla verità di questo incontro. Mentre le forze gli vengono meno e desidera morire, sull’Horeb Dio lo nutre e lo guida a scoprire il suo “progetto”: egli non deve nascondersi, ma deve «uscire e mettersi alla presenza del Signore» (1Re 19,13-18). Per incontrare Dio Elia deve “ascoltare il silenzio” e non temere: «Il Signore disse a Elia: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna» (1Re 19,11-13). Il Signore non è in nessuno dei segni di potenza, né il fuoco, né il vento, né il terremoto. Dove abita Dio? Nel «mormorio di vento leggero». La traduzione letterale è «la voce del silenzio»7. Elia conosce Dio nella voce del silenzio, anzi nel tenue silenzio.
1.5 Il silenzio nel mistero del dolore
Tra i numerosi protagonisti dei racconti biblici spicca la figura di Giobbe, il giusto sofferente. La straordinaria vicenda dell’uomo che soffre si consuma tra silenzi e parole. Dietro le quinte del dramma c’è un “Dio che tace”. Si tratta del più grande scandalo della storia, riproposto nel libro biblico ed attualizzato continuamente nella vicenda umana. Il benessere di Giobbe si trasforma improvvisamente in sventura. Famiglia, affetti, possessi, salute: tutto quello che un uomo può attendersi è attraversato dal dolore insensato e inatteso. Perché? Il silenzio di Dio è rotto dall’argomentazione dei personaggi che intervengono nel dramma e che non sono in grado di dare “senso” al dolore del giusto. Un’unica domanda rimane a Giobbe: «Dov’è Dio e perché tace?». Il sofferente grida la sua innocenza e invoca una risposta: vedere e parlare con l’Onnipotente. Alla fine Dio appare per dare ragione al suo “servo Giobbe” rammentandogli, con un grandioso affresco cosmico, che l’uomo non può pretendere di governare l’universo (cf Gb 38-42). La parola segue il lungo silenzio e riempie il cuore del protagonista tanto provato. L’esito della vicenda dà valore al silenzio attraverso cui l’uomo è ridimensionato, abbandona la trappola dell’autosufficienza e si scopre “creatura credente”. In questo silenzio ogni sofferente come Giobbe può scoprire la sua effettiva grandezza passando attraverso il silenzio e sperimentando la Parola come è dono di vita.
1.6 La Parola incarnata e “i due silenzi di Dio”
Il fascino del silenzio culmina nella persona e nella missione di Gesù Cristo «Verbo fatto carne» (Gv 1,14). Possiamo considerare l’intera esistenza di Gesù protesa tra “due silenzi” di Dio: il silenzio dell’Incarnazione e quello della Passione. Al centro del Nuovo Testamento c’è la Parola entrata con tutta la sua “umanità” nella storia. L’intera economia della salvezza si compie nel pronunciamento unico e definitivo della sua Parola (cf Eb 1,1-4).
L’accesso al mistero di Cristo avviene nel silenzio del Natale (cf Mt 1,18-25; Lc 2,1-20) e nella precarietà della nascita a Betlemme. Il silenzio del bambino venuto al mondo è preceduto da quello di Giuseppe e della Vergine Maria. La Parola si è rivelata nel volto di un bambino. Solo il Gloria degli angeli in cielo rompe il silenzio notturno della sua Nascita. Davanti alla mangiatoia dove ha trovato posto il piccolo Gesù, i personaggi sperimentano un silenzio contemplativo, il dono della pace. Nei Vangeli si raccontano molti “silenzi” di Gesù. Tutti però culminano nel compimento della sua «ora»8. Nel silenzio della Passione, dal Getsemani alla croce, Cristo sperimenta il pieno abbandono al Padre. Tutta l’esistenza del Figlio si compie nel grido della Parola che muore nel «paradosso dell’ora nona».
Nel silenzio del crocifisso si coglie come la Parola ci doni la vita morendo. Nell’abbandono della Parola che ci dà la vita, possiamo scoprire la porta che rinvia ad un altro, e che l’Altro, chiamato Padre nella fede, potrebbe essere detto il «Silenzio»9. Gesù è la Parola che procede dal silenzio. L’esistenza del Figlio rinvia ad un abissale silenzio, il silenzio del Padre. Questa Parola che si dice nella carne può essere accolta solo in un modo: in un altro silenzio, il silenzio dello Spirito che opera nel cuore dei credenti e nella vita della Chiesa. È l’azione dello Spirito che genera il desiderio dell’assoluto di Dio, a cui l’uomo è chiamato a rispondere con la sua scelta vocazionale.
- Il fascino del “volto di Dio”
2.1 La luce del suo volto
Una seconda declinazione del “fascino dell’assoluto” concerne l’impiego della metafora del “volto” per designare il «mistero fascinoso» di Dio10. Il “volto” è un elemento antropologico che caratterizza l’identità dell’essere e della sua relazione. Nei racconti biblici la simbologia del volto rivela soprattutto la capacità di relazione tra gli uomini, che si declina nella “luce” (atto rivelativo) di Dio. Avendo presente l’ampiezza del tema, ci limitiamo a segnalare alcuni aspetti caratteristici della ricerca dell’assoluto. In primo luogo il volto di Dio riflette l’atto creativo e il motivo della «luce» (cf Gen 1,1-2,4). Creando la luce, Dio non solo inaugura l’opera della creazione di cui segna la temporalità, ma realizza uno dei doni vitali degli uomini, che permette di costruire una relazione di vita che supera il buio della morte e del caos cosmico. Il fascino dell’assoluto si traduce nel dinamismo della luce che caratterizza la vita naturale (Sal 38,11; 56,14) e spirituale del mondo voluto dall’Onnipotente (Sal 37,6; 97,11; 112,4). L’uomo, accogliendo questo dono, diviene partecipe della luce divina (Sal 36,10: «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce»). Tale dono implica la possibilità per ciascun uomo di riflettere su se stesso e godere della luce della divinità divenuta familiare. In tale contesto si coglie la valenza del volto umano e del mistero nascosto di Dio. Benchè Dio non sia un uomo (Nm 23,19) e nessuna creatura possa dare un’idea della sua gloria (Is 40,18; 46,5), nella sua volontà di comunicarsi s’immagina che Egli possa esprimere un suo volto, benevolo (Sal 4,7; 80,4.8.20) o talvolta adirato (Is 54,8; Sal 30,8; 104,29). Nella rilettura antropologica il volto è lo specchio del cuore e di conseguenza la luce del volto di Jhwh riflette la stessa natura misteriosa e trascendente di Dio. In questo senso la metafora del “desiderio del volto di Dio” rivela la perenne tensione che giace nel cuore umano di relazionarsi con il mistero del Trascendente: «Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo» (Sal 27,4-5). Tuttavia vedere il volto luminoso dell’Altissimo è un’esperienza mortalmente temibile per l’uomo (Giudici 13,22) a motivo del suo peccato (Is 6,5; Sal 51,13s.). Tale simbologia è applicata all’esperienza della fede: desiderare di vedere il volto di Dio significa imparare a seguirlo nella fede dovunque egli vorrà condurre (cf Am 5,4; Sal 42,3; 105,4).
Nei racconti biblici si descrive l’intensità del fascino dell’assoluto che alberga nel cuore umano. Numerosi testi biblici descrivono il desiderio di trascendersi per incontrare Dio ed essere illuminati dal suo volto. L’orante grida nei salmi la sete del suo cuore: «L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 42,3). In ogni momento della vita il fedele «cerca il suo volto» (Sal 27,8) spera di contemplarlo (Sal 17,15) ed esprime l’auspicio che l’Onnipotente faccia splendere il suo volto sugli uomini retti e giusti (Sal 11,7; 31,17; 67,2; 80,4; 119,135)11. La solenne benedizione di Aronne sul popolo recita: «Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,25-26).
L’incontro con il Dio vivente fu privilegio di pochi uomini nell’Antico Testamento: abbiamo in precedenza considerato come il patriarca Giacobbe lottò al guado dello Iabbok con l’angelo e gli fu concesso di vedere Dio «faccia a faccia» (Gen 32,31). Da parte sua Mosè ricevette la Legge nel contesto del Sinai, dove gli fu consentito di parlare «a faccia a faccia» con Jhwh, anche se nessuno può vedere Dio e rimanere in vita (Es 33,11-23). Silenzio di Dio e contemplazione del suo volto rientrano nell’esperienza del profeta Elia, sull’Horeb (1Re 19,13-18) e di altri uomini e donne menzionati nei racconti biblici. L’intero cammino del saggio e pio israelita si ferma di fronte al “mistero dell’assoluto”, l’Onnipotente, esprimendo la nostalgia del suo volto e invocando la venuta del messia. Quando egli verrà, inaugurerà il nuovo tempo della salvezza e finalmente si compirà lo struggente desiderio di contemplare il mistero del suo volto12.
2.2 Il fascino del volto di Cristo
Il desiderio di vedere Dio si realizza nel Nuovo Testamento mediante la venuta di Gesù, rivelatore del “volto del Padre”: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18; cf 14,8-14). In questa prospettiva il credente incomincia a scrutare la realtà esterna e il suo vedere diventa progressivamente ricerca e “contemplazione del volto di Cristo”. La gloria di Dio, umilmente manifestata nelle deboli sembianze di un «bambino nato per noi» (Lc 2,14-19), risplende nel volto di Cristo trasfigurato sul Tabor (Mt 17,1-8), che anticipa l’evento della Pasqua e proietta sui credenti la luce del suo volto (2Cor 4,6). Nei discorsi di addio riportati nel Vangelo giovanneo, rivolgendosi a Filippo Gesù afferma: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?» (Gv 14,9-10). Il desiderio del volto di Dio accompagna silenziosamente il cammino degli apostoli con Gesù, ne infiamma il cuore e dopo la sua risurrezione produce in loro una struggente nostalgia: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32-33) .
Ciascun uomo riceve così la certezza dalla fede che un giorno potrà vedere Dio (Mt 5,8) ed essere da lui conosciuto (1Cor 13,12), se avrà vissuto nella prospettiva della beatitudine finale secondo cui «Egli è nel più piccolo dei fratelli» (Mt 25,31-46) e meritare di contemplare in eterno l’agnello immolato e la sua faccia, nella Gerusalemme del cielo (Ap 22,3-5). In definitiva, lo schiudersi degli occhi della vita ha come conseguenza spirituale per ciascun uomo un’apertura contemplativa di fronte al mistero del Padre celeste, il quale illumina l’esistenza umana e la orienta secondo l’ineffabile progetto del suo amore misericordioso e fedele.
- Il fascino del “Tu di Dio”
Un ultimo importante aspetto che riguarda il “fascino dell’assoluto” concerne la relazione amicale e vitale con l’Onnipotente: la possibilità di dire “tu” a Dio e di restare in comunione con Lui senza temere di essere annullati dalla sua trascendenza13. Abbiamo potuto constatare come la fatica di questo dialogo sempre fragile emerga dalle storie della Bibbia. Dal “timore e tremore” delle figure anticotestamentarie alla fiducia fondata sulla misericordia di Dio: il desiderio intimo dell’uomo si plasma e si educa lungo un’esistenza che si apre alla ricerca e alla fede nel “Tu di Dio”.
3.1 Il “Tu” di Dio nel dono del Figlio
Nel Nuovo Testamento il “tu” di Dio si manifesta attraverso l’incarnazione e la missione di Cristo nella storia. Seguendo il filo dei racconti evangelici possiamo constatare la rivelazione graduale del “tu” di Cristo nell’esperienza vocazionale di alcuni personaggi che incontrano il Signore. In primo luogo spicca la testimonianza di Giovanni Battista (cf Gv 1,19-34) e l’incontro con i primi discepoli (Gv 1,35-51). Rileggendo la relazione tra Gesù e i suoi discepoli si nota una graduale scoperta del mistero della persona di Gesù: egli appare spesso incomprensibile (Mc 3,21; Gv 8,27; 10,6) al punto che diversi lo abbandoneranno (Gv 6,66). Nel Vangelo marciano il “tu” di Cristo diventa una domanda sempre più misteriosa non solo per i discepoli (cf l’esempio della tempesta sedata: Mc 4,35-41), ma per gli scribi e i farisei (Mc 2,7) e tutta la gente (Mc 8,28). In modo particolare attraverso i personaggi del quarto Vangelo Gesù viene presentato come «colui che il mondo deve conoscere» e allo stesso tempo il rivelatore dell’amore del Padre. L’anziano Nicodemo lo incontra durante una notte (Gv 3,1-21); la samaritana presso il pozzo di Sicar (Gv 4,1-42); il cieco guarito compie il suo atto di fede (Gv 9,1-41); Marta e Maria assistono alla risurrezione del fratello Lazzaro (Gv 11,1-45). Il “tu” di Gesù si manifesta con intensità nei “discorsi di addio” (Gv 13-16) e attraverso la scena della passione (Gv 18-19). Il “tu” di Cristo riecheggia nella desolazione del Getsemani, nel tradimento di Giuda, nella scena dell’arresto e del conseguente abbandono dei discepoli, nel rinnegamento di Simon Pietro, nel giudizio del sinedrio, nel dialogo con Pilato, nella sofferenza del patibolo, nella consegna della madre al discepolo amato, nell’offerta finale di tutta la vita al Padre.
Nell’evento della Pasqua si compie la promessa della «nuova ed eterna alleanza»: il Padre dona il Figlio per la salvezza del mondo (Rm 5,1-11). Il “tu” di Dio si rivela per mezzo del Figlio e «tutte le promesse di Dio in lui sono divenute “sì”» (2Cor 1,20). La certezza della sua presenza nella Chiesa (Mt 28,18-20) accompagna la predicazione della comunità «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Il “tu” del Figlio si manifesta nella forza dirompente dello Spirito nel giorno di Pentecoste (At 2,1-12) e nella sua permanente azione nel progressivo sviluppo della predicazione. Sulla strada di Damasco, folgorato dal Cristo, Saulo risponde: «Chi sei, o Signore?» (At 9,5), dando inizio alla sua esperienza di ricerca e di scoperta del “Tu” di Dio in Cristo Gesù.
Conclusione
Negli scritti neotestamentari emerge la chiara consapevolezza che il Dio finora “sconosciuto” si è manifestato nella sua misericordia nel “Tu” di Cristo, crocifisso e risorto (cf At 17,22-31). Coloro che desiderano fare l’incontro con Cristo non devono cercarlo con la sapienza della mente né attraverso i miracoli, ma mediante la fede che nasce dal silenzio, dall’ascolto e dalla ricerca del volto di Dio mediante la sua Parola (1Cor 2,1-5). Ecco l’itinerario che permette di scoprire il “fascino dell’assoluto”. Si tratta di mettersi in viaggio verso di lui, avendo nel cuore la scoperta gioiosa della vocazione.
NOTE
1 Catechismo della Chiesa Cattolica, LEV, Città del Vaticano 1993, n. 27.
2 Cf i contributi nel numero monografico Il desiderio, in «Parola Spirito e Vita» 67/1 (2013), pp. 3-255.
3 Cf Benedetto XVI, Verbum Domini, Esortazione Apostolica Post-sinodale, LEV, Città del Vaticano 2010, n. 66.
4 Cf A. Wénin, Gen 2-3 e la sfida del desiderio umano, in «Parola Spirito e Vita» 67/1 (2013), pp. 19-38.
5 A. Neher, L’esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz, Marietti, Casale Monferrato 1983, p. 244.
6 Cf G. Ravasi, Giacobbe lotta con Dio (Gen 32,23-33), in «Parola Spirito e Vita» 30 (1994), pp. 29-38.
7 Cf B. Carucci Viterbi, L’esperienza di Dio sull’Horeb di Elia (1Re 19), in «Parola Spirito e Vita» 30 (1994), pp. 49-60.
8 Cf M. Nicolaci, Gesù e il desiderio dell’”ora” nel Vangelo di Giovanni, in «Parola Spirito e Vita» 67/1 (2013), pp. 105-126.
9 Cf E. Manicardi, Esperienza e silenzio di Dio nella morte di Gesù secondo Marco, in «Parola Spirito e Vita» 30 (1994), pp. 105 120.
10 Cf G. Crocetti, «Volto-gloria», in Dizionario Biblico della Vocazione, a cura di G. De Virgilio, Rogate, Roma 2007, pp. 1005-1009; F. Gils – J. Guillet, «Faccia», in Léon-Dufour X., Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, Torino 1976, pp. 367-369.
11 Cf T. Lorenzin, Desiderio di Dio nei salmi, in «Parola Spirito e Vita» 67/1 (2013), pp. 51-62.
12 P. Papone, La presenza misteriosa di Dio (Qohelet), in «Parola Spirito e Vita» 30 (1995), pp. 81-92.
13 Cf G. De Virgilio, Grammatica della vocazione. Le parole della fede, Rogate, Roma 2011, pp. 31-42.