Il magistero della Chiesa ha assunto la voce facile e amica della carità pastorale
Chiudiamo la nostra breve, comune, lettura di alcune pagine del Vaticano II, lasciando la parola a Papa Paolo VI. Nel discorso pronunciato il 7 dicembre 1965 – recentemente ripreso da Papa Francesco nel corso dell’udienza ai pellegrini della diocesi di Brescia1 – egli abbraccia il percorso compiuto dai Padri conciliari con uno sguardo contemplativo, con un procedere a tratti accorato, sempre appassionato.
La Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo che si fa soltanto centro d’ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione d’ogni realtà. Tutto l’uomo fenomenico, cioè rivestito degli abiti delle sue innumerevoli apparenze; si è quasi drizzato davanti al consesso dei Padri conciliari, essi pure uomini, tutti Pastori e fratelli, attenti perciò e amorosi: l’uomo tragico dei suoi propri drammi, l’uomo superuomo di ieri e di oggi e perciò sempre fragile e falso, egoista e feroce; poi l’uomo infelice di sé, che ride e che piange; l’uomo versatile pronto a recitare qualsiasi parte, e l’uomo rigido cultore della sola realtà scientifica, e l’uomo com’è, che pensa, che ama, che lavora, che sempre attende qualcosa, il «filius accrescens» (Gen 49,22); e l’uomo sacro per l’innocenza della sua infanzia, per il mistero della sua povertà, per la pietà del suo dolore; l’uomo individualista e l’uomo sociale; l’uomo «laudator temporis acti» e l’uomo sognatore dell’avvenire; l’uomo peccatore e l’uomo santo; e così via.
L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione – perché tale è – dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio.
Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo2.
- Tempo degli eredi
Come consegnare ai giovani d’oggi una tale passione per l’uomo e per Dio? Senza “passione”, infatti, non può esserci risposta alla vocazione.
Lo studioso del Concilio G. Routhier afferma che la tappa dei cinquant’anni ci fa entrare nel «tempo degli eredi»; tempo non semplice, come dimostra il fatto che, spesso, le aziende familiari non sopravvivono quando vengono prese in mano dagli eredi. Diverse possono essere le opzioni di fronte ad un’eredità. L’erede può dissiparla, perché ritiene l’eredità senza valore; può anche seppellirla e conservarla così com’è fino a pietrificarla e a renderla inerte. L’erede può anche rifiutare perché l’eredità è troppo pesante da portare, troppo impegnativa o troppo esigente e preferisce rompere con quanto gli viene offerto, che percepisce come limitante per la propria libertà. Ci può essere un quarto atteggiamento: la discussione tra eredi, sul senso da dare a ciò che viene trasmesso… così l’eredità sarà smembrata e gli eredi litigiosi presto avranno solo delle briciole da dividersi, non più un’eredità comune. Infine possiamo ricevere un’eredità e farla fruttare così che cinque talenti ne producano altri cinque…3.
È intuitivo, nella carrellata di eredi tratteggiata da Routhier, vedere i diversi atteggiamenti che hanno caratterizzato e caratterizzano la ricezione del Concilio e la sua ermeneutica. A quale tipo di eredi appartengono i giovani con cui siamo in contatto? Come aiutarli a far fruttare il lascito conciliare in un’epoca così diversa da quella in cui il Concilio è stato celebrato?
Nel citato discorso di chiusura Paolo VI affermava:
«L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo».
«Simpatia immensa», cioè una condivisione affettuosa della storia, della grandezza e piccolezza dell’uomo, studiato «sotto la luce della divinità»; questi i tratti della spiritualità conciliare che devono informare il cuore del discepolo che fissa lo sguardo su ogni uomo considerato ne «l’eterno bifronte suo viso». Eppure – ribadisce Papa Montini – l’aspetto che ha attratto maggiormente l’attenzione dei padri conciliari è stata «l’arcana bellezza che segna il suo viso»:
«…bisogna riconoscere che questo Concilio, postosi a giudizio dell’uomo, si è soffermato ben più a questa faccia felice dell’uomo, che non a quella infelice. Il suo atteggiamento è stato molto e volutamente ottimista. Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette».
Il Concilio, ha scelto di avere un atteggiamento «molto e volutamente ottimista». Non, quindi, come qualcuno ha scritto, un ottimismo dettato semplicemente dalle felici contingenze storiche degli anni sessanta. Piuttosto uno sguardo che procede dall’alto, dalla luce delle fede. Non è forse di questo sguardo che hanno bisogno i giovani di oggi per spendersi nell’avventura del Vangelo? Noi educatori siamo debitori non solo della conoscenza dei testi, dei documenti, ma anche del modo di porre i problemi adottato dai padri conciliari:
«Se, senza trascurare il patrimonio dottrinale che il Concilio ci offre e senza mancare di conoscerlo e approfondirlo, lo si affronta a partire dalle questioni che hanno nutrito la riflessione dei Padri; se riflettiamo con loro e a modo loro sulle questioni che sono state all’origine del loro discorso; se il Concilio viene di nuovo colto come un insieme di intuizioni basilari e di idee creative di cui possiamo far tesoro oggi; se a nostra volta ritroviamo quello stato di invenzione in cui essi sono stati posti e che è alla fonte di ogni scienza, allora il Vaticano II può, cinquant’anni dopo, parlare a una nuova generazione e permetterle di entrare in un modo fruttuoso e fecondo nel mondo appassionato della teologia e nell’universo altrettanto appassionante del Concilio»4.
- Cose nuove e cose antiche
Come allo scriba del Vangelo (Mt 13,52), all’animatore vocazionale è chiesto di saper attingere al tesoro del Concilio facendone risaltare le novità e il radicamento nella tradizione, ma soprattutto cercando di far interagire l’orizzonte dei giovani di oggi con le intuizioni e le provocazioni che le scelte conciliari hanno indicato per la Chiesa negli anni ‘60 del secolo scorso. A questo proposito Routhier fa notare la difficoltà di una tale operazione a causa del “conflitto generazionale” acuito dall’esperienza di vuoto religioso che i giovani – i pochi che scelgono di ritornare all’esperienza cristiana nella Chiesa – sperimentano:
«Per i giovani occidentali il Concilio appartiene al mondo dei baby-boomers che sono usciti dalla religione emancipandosi dalla religione dei padri. Ai loro occhi i baby-boomers non lasciano loro alcuna eredità cristiana. Così, se si sono convertiti in età giovanile, riscoprendo il cristianesimo e la Chiesa, sono tentati di assumere una posizione contraria rispetto a quella dei genitori. Il periodo conciliare è allora sentito come responsabile del vuoto spirituale che provano e della disfatta della Chiesa. La mia frequentazione dei giovani dell’università o altrove mi ricorda continuamente l’urgenza di pensare la ricezione del Vaticano II da parte di una nuova generazione»5.
Una tale riflessione – per la verità più accentuata nel contesto francese dell’autore – interessa particolarmente per il discernimento vocazionale di quei giovani che chiedono di entrare nei seminari e nelle case di formazione. La recente conversione, non supportata dall’ambiente familiare e culturale, li porta ad avere un’identità insicura e bisognosa di posizioni nette, di convinzioni forti. «Il loro rapporto con il mondo e con gli altri, elemento centrale del Vaticano II, è così molto diverso da quello sviluppato dalla generazione conciliare». Per questo:
«Si mettono alla ricerca di forme istituzionali ben stabilite, visibili e autorizzate, di pratiche stabili e codificate, di punti di riferimento chiari, dalle linee nitide e ben definite. La ricerca di un’identità cattolica chiaramente definita è il risultato della loro esperienza in una società tollerante che ha fatto loro vivere… un’incertezza sul piano delle convinzioni, una società pluralista dove sono posti di fronte, nella loro ricerca identitaria, a tradizioni religiose che non mancano né di visibilità né di certezza, che non hanno timore di affermarsi in modo a volte clamoroso, e si presentano con sicurezza a tutta prova»6.
Giovanni Paolo II ha offerto una proposta chiara ai giovani che ha intercettato nel suo lungo pontificato e i giovani hanno sentito in lui una guida sicura, capace di dialogo senza scendere a compromessi.
Anche Papa Francesco sta iniziando ad avviare questo dialogo con i giovani proponendo un’esperienza di fede semplice, intuiva, evangelica, senza fronzoli; radicale nelle esigenze di povertà e coerenza. Rileggendo la figura di Paolo VI ha detto:
«Pensando a lui, mi limiterò a tre aspetti fondamentali che ci ha testimoniato e insegnato, lasciando che siano le sue appassionate parole ad illustrarli: l’amore a Cristo, l’amore alla Chiesa e l’amore all’uomo. Queste tre parole sono atteggiamenti fondamentali, ma anche appassionati di Paolo VI […] Noi in questo tempo possiamo dire le stesse cose di Paolo VI: la Chiesa è l’ancella dell’uomo, la Chiesa crede in Cristo che è venuto nella carne e perciò serve l’uomo, ama l’uomo, crede nell’uomo. Questa è l’ispirazione del grande Paolo VI»7.
«Noi, in questo tempo, possiamo dire le stesse cose di Paolo VI»: così Papa Francesco. Ai giovani che ci chiedono il senso e la speranza, possiamo indicare l’orizzonte aperto che il Vaticano II ha additato alla Chiesa, affinché non temano, nella costruzione della propria identità, di entrare in dialogo con il mondo e con gli altri. Come i padri conciliari hanno scelto di posare sul mondo uno sguardo positivo, così i giovani di oggi possano essere sostenuti da quella voluta positività che sa inventare nuove vie di dialogo perché il Vangelo entri in contatto con ogni uomo.
Conclusione
Affidiamo la parola conclusiva ancora al magistero di Paolo VI, che riassume l’insegnamento conciliare nella parola “dialogo”:
«Il magistero della Chiesa, pur non volendo pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie, ha profuso il suo autorevole insegnamento sopra una quantità di questioni, che oggi impegnano la coscienza e l’attività dell’uomo; è sceso, per così dire, a dialogo con lui; e, pur sempre conservando l’autorità e la virtù sue proprie, ha assunto la voce facile ed amica della carità pastorale; ha desiderato farsi ascoltare e comprendere da tutti; non si è rivolto soltanto all’intelligenza speculativa, ma ha cercato di esprimersi anche con lo stile della conversazione oggi ordinaria, alla quale il ricorso alla esperienza vissuta e l’impiego del sentimento cordiale dànno più attraente vivacità e maggiore forza persuasiva: ha parlato all’uomo d’oggi, qual è».
Voce facile e amica: auguriamo sia questa la voce di ogni animatore vocazionale vicino ai giovani che incontra, lungo la via.
NOTE
1 23 giugno 2013, www.avvenire.it
2 Paolo VI, Discorso ultima sessione pubblica del Vaticano II, 7 dicembre 1965, www.vatican.va
3 G. Routhier, Un Concilio per il XXI secolo. Il Vaticano II cinquant’anni dopo, Vita e Pensiero, Milano 2013, VII.
4 Ivi, VIII-XIV.
5 Ivi, p. 20.
6 Ivi, pp. 23.28.
7 Papa Francesco, 23 giugno 2013, www.avvenire.it