N.05
Settembre/Ottobre 2014

Come si ri-conosce un prete?

Being a priest in the street - essere preti di strada

Essere prete secondo Papa Francesco
Quale visione di Chiesa ha nel cuore Papa Francesco? Cosa desidera dai sacerdoti e da coloro che sono in cammino sulla strada vocazionale?
Quello che abbiamo potuto comprendere in questi mesi lo desumiamo non solo da ciò che dice, ma soprattutto da quello che fa. Papa Francesco si presenta a noi come un esempio, un modello da seguire. I suoi gesti sono molto significativi ed eloquenti: le carezze, i baci, la tenerezza degli abbracci, i sorrisi, le lacrime, il passo spedito per andare incontro all’altro. Sono i suoi gesti di amore, di prossimità a parlare per lui; sconvolgendo tutti i nostri schemi e modelli di pastore e di prete.
L’infaticabilità, lo spirito giovane, il desiderio di raggiungere tutti il dono di sé che esprime il nostro Papa sono esemplari per ogni sacerdote.
Cerco qui, allora, di delineare il profilo che caratterizza il prete secondo Papa Francesco. 

In Gesù è la sua consistenza
«Chiediamoci, dunque: Chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la verità della mia storia? Che dice di Lui la mia vita? La fede, fratelli, è memoria viva di un incontro, alimentato al fuoco della Parola che plasma il ministero e unge tutto il nostro popolo; la fede è sigillo posto sul cuore: senza questa custodia, senza la preghiera assidua, il Pastore è esposto al pericolo di vergognarsi del Vangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sapienza mondana»1.
Chi è per me Gesù Cristo? Papa Francesco ha avuto il coraggio di porre questa domanda a un uditorio particolare, i vescovi riuniti in Cei. Una domanda che potrebbe sembrare ingenua, «vuoi che i vescovi non sappiano chi è Gesù»? Come sempre Papa Francesco ci sorprende! Chi è Gesù per me? A questa domanda non possiamo rispondere in modo retorico, banale, scontato. Gesù ci chiama a un rapporto personale, unico e irripetibile. Gesù desidera la passione dell’amore, vuole persone innamorate, mature nella fede, una fede che sappia attraversare le prove della vita.
La fede è la forza di un prete, afferma Papa Francesco: la fede è sigillo posto sul cuore. A me viene in mente il Cantico dei cantici: l’amata del cantico cerca il suo amato e gli dice: mettimi come sigillo sul tuo cuore. Equivale a dire: «Senza di te io sono nulla – la mia vita non sarebbe vita se non ti avessi incontrato». Per un prete il significato è ancora più profondo. È come se dicesse: «Io ti amo da sempre e per sempre, e non posso vivere senza di te».
La cosa più sorprendente è che qui è Dio che lo sussurra ad ogni sacerdote. È impossibile vivere questa consapevolezza senza la preghiera, senza esserne custodi gelosi. 

Medita la Parola e si ciba dell’Eucaristia
«Essere buoni pastori significa “meditare ogni giorno il Vangelo, per trasmetterlo con la vita e la predicazione”(…). Ancora, “significa cibarsi con fede e con amore dell’Eucaristia, per nutrire di essa il popolo cristiano”, “significa essere uomini di preghiera, per diventare voce di Cristo che loda il Padre e intercede continuamente per i fratelli”»2.
Come è possibile incontrare il Signore? Stare con il Signore? È affascinante per un sacerdote ri-scoprire nella sua giornata, nella celebrazione dell’Eucaristia, due modi di “stare” con Gesù in un incontro che avviene nella Parola e nel Pane.
Ogni volta che ascolto la parola accolgo una voce, la voce di Gesù. Dio ha bisogno di ciascuno di noi per rendersi presente nella sua parola e si serve di noi per raggiungere ogni uomo. Meditare la parola, interiorizzarla, significa renderla attuale. C’è una parola che mi raggiunge ogni giorno per dirmi come devo vivere la storia: in certi momenti ci si può smarrire, allora viene in aiuto ciò che ha detto e fatto Gesù perché lì è racchiuso il segreto della vita di ogni persona e, soprattutto, di un prete.
Nell’Eucaristia ho l’opportunità di incontrare Gesù, di ricevere quella grazia che mi aiuterà a incontrare il prossimo secondo il suo stile, lo stile di Gesù. Cibarsi dell’Eucaristia non è una pia devozione, ci cibiamo dell’Eucaristia per essere come lui, per rassomigliare a lui nell’amore.
«L’Eucaristia che celebro ogni giorno mi porta a sentire gli altri come fratelli e sorelle? Fa crescere in me la capacità di gioire con chi gioisce e di piangere con chi piange? Mi aiuta a riconoscere in loro il volto di Gesù?»3.
Meditiamo la Parola, ci cibiamo dell’Eucaristia per vivere in noi il sentire di Gesù che trasforma il nostro modo di guardare e considerare gli altri. 

Porta i nomi incisi nel cuore
«Le vesti sacre del Sommo Sacerdote sono ricche di simbolismi; uno di essi è quello dei nomi dei figli di Israele impressi sopra le pietre di onice che adornavano le spalle dell’efod dal quale proviene la nostra attuale casula: sei sopra la pietra della spalla destra e sei sopra quella della spalla sinistra (cf Es 28,6-14). Anche nel pettorale erano incisi i nomi delle dodici tribù d’Israele (cf Es 28,21). Ciò significa che il sacerdote celebra caricandosi sulle spalle il popolo a lui affidato e portando i suoi nomi incisi nel cuore. Quando ci rivestiamo con la nostra umile casula può farci bene sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri, che in questo tempo sono tanti!»4.
Suggestivo è il collegamento tra le vesti sacre del sommo sacerdote e la casula. Ciò che li unisce è il popolo che è affidato: non siamo preti per noi stessi, siamo preti perché ci è affidato un popolo. Papa Francesco ci richiama all’unità, alla comunione di vita, a portare i nomi incisi nel cuore, cioè ad accorgerci dell’altro, riconoscerlo, sentirlo vicino in una relazione, in una conoscenza d’amore che rimanda a Dio. Ricordare i nomi non è facile per noi preti…!
Il nome… con il nome ricordare il volto e il peso della sofferenza delle persone a noi affidate. È bello ricordare il nome perché dietro il nome ci sono persone, volti a noi cari, familiari, ci sono storie vissute, identità uniche agli occhi di Dio. E il prete non deve mai dimenticare il nome… perché lo custodisce, lo porta nel cuore. 

Abbraccia la misericordia5
«In particolare il prete «dimostra viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della Riconciliazione: lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di consigliare, di assolvere… Ma questo deriva da come lui stesso vive il sacramento in prima persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre nella Confessione, e rimane dentro questo abbraccio”, perché “se uno vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri nel ministero (…). C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa, gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite”»6.
«Non stancatevi di essere misericordiosi» è l’appello che continuamente Papa Francesco rivolge ai pastori. Da oltre 11 anni oltrepasso la soglia di un carcere come prete e ciò che più mi ha maturato nella relazione con i detenuti è stato l’abbraccio con la misericordia.
Posso dire che entrare fisicamente in un carcere, oltrepassare i cancelli che conducono ai carcerati, ha cambiato la mia vita, il mio rapporto con Dio, con le persone. Il mio giudizio rispetto ai detenuti, prima di incontrarli, era molto duro: pensavo che la pena che stavano scontando era la logica e giusta conseguenza dei loro errori.
Conoscendo ed entrando in relazione soprattutto con i giovani detenuti sono cresciuto nella misericordia di Dio: ho compreso che dietro ogni storia, dietro ogni vita, c’è un disagio, un’umanità ferita, lacerata, che io per tanti anni non ho mai preso nella giusta considerazione.
Ero condizionato da molti pregiudizi che mi spingevano a dare una valutazione della realtà senza realmente conoscerla. Sono convinto che non esistono persone così isolate dal resto del mondo come i detenuti, vengono rinchiusi tra quattro mura anche per decenni, è come se non li volessimo più vedere. Come sento vere – allora – le parole del Papa: misericordia significa curare le ferite; e io aggiungo: curando le ferite dei detenuti, chinandomi sulle loro ferite sono guarito dalle mie. 

Sente l’odore delle pecore e il profumo di Cristo
«Questo vi chiedo: di essere pastori con “l’odore delle pecore”, pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini (…). La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze. E quando sente che “il profumo dell’Unto”, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore»7.
Cosa fare perché questa espressione non sia solo slogan? Odore e profumo sono inscindibili, con Papa Francesco realizzano un “dolce” scambio. Allora come si ri-conosce un prete dall’odore, o dal profumo?
“Essere Pastori” – un’immagine per noi sacerdoti carica di poesia e di responsabilità: di poesia perché nel Vangelo richiama momenti di vita familiari a Gesù; di responsabilità perché ci pone davanti all’impegno della vita come vocazione. Papa Francesco, quando dice di essere pastori con l’«odore delle pecore», esprime vicinanza, prossimità, e invita a mettersi a fianco degli altri, a non avere paura di coinvolgersi fino ad assumerne lo stesso odore.
Il sacerdote, il consacrato, con il suo stile di vita, il modo di rapportarsi, condivide con la gente le esperienze quotidiane e viene riconosciuto non solo per le sue qualità individuali, ma perché si immedesima in loro, si “cala” nella realtà, assume, come il pastore, l’odore del gregge e viene riconosciuto e accolto come uno di loro.
E ancor più, si riconosce per il profumo che diffonde, che è il profumo di Cristo che parla e agisce attraverso lui.
Odore di gregge e profumo di Cristo non sono slogan a effetto, ma immagini evocative che ripropongono la necessità di ridefinire l’essenziale e profonda identità di ogni sacerdote. 

Guarda con tenerezza e dona una carezza
«Non aver paura della tenerezza e della bontà»8.
«Noi guardiamo il cielo, tante stelle, tante stelle; ma quando viene il sole, al mattino, con tanta luce, le stelle non si vedono. E così è la misericordia di Dio: una grande luce di amore, di tenerezza. Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza, carezzando le nostre ferite del peccato»9.
«Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano ad essere più misericordiosi? Cioè, com’è il tuo rapporto con i bambini, con gli anziani, con i malati? Sai accarezzarli, o ti vergogni di accarezzare un anziano?»10.
Tenerezza è la parola che viene spesso usata in questi tempi insieme a dolcezza, delicatezza, compassione. Sono termini che sembravano appartenere ad un universo poetico ormai dimenticato.
Per molti questi sentimenti erano da bandire, forse perché sinonimi di troppo coinvolgimento, di troppa sensibilità e, perché no, di debolezza.
Papa Francesco con il suo esempio, il suo sguardo pieno di tenerezza, la sua vicinanza, e donando una carezza, ha reso possibile questo nuovo modo di sentire.
Non dobbiamo aver paura, soprattutto noi preti, di guardare con tenerezza e donare una carezza, perché è ciò che faceva Gesù: non aveva paura di coinvolgersi, di toccare. Gesù toccava labbra, occhi, orecchi e soprattutto il cuore delle persone. Chissà quanti bambini avrà accarezzato stringendoli a sé, e chissà a quanti anziani avrà dato conforto! Tutto nasce da uno sguardo che cerca prossimità e che diventa decisivo per un cambiamento, per una conversione. È toccando la “carne di ogni uomo” che Gesù ci guarisce. 

Ama la povertà11 ed è ricco di umanità
«Il sacerdote è povero di gioia meramente umana: ha rinunciato a tanto! E poiché è povero, lui, che dà tante cose agli altri, la sua gioia deve chiederla al Signore e al popolo fedele di Dio. Non deve procurarsela da sé. Sappiamo che il nostro popolo è generosissimo nel ringraziare i sacerdoti per i minimi gesti di benedizione e in modo speciale per i Sacramenti. Molti, parlando della crisi di identità sacerdotale, non tengono conto che l’identità presuppone appartenenza. Non c’è identità – e pertanto gioia di vivere – senza appartenenza attiva e impegnata al popolo fedele di Dio»12.
Sembra una contraddizione, il prete è un uomo povero, ma dà tante cose agli altri. Papa Francesco ci aiuta così a riconsiderare il senso della povertà, intesa non come indigenza, miseria, ma come “ricchezza”. Il povero – allora – è colui che lascia uno spazio libero dentro di sé e lo lascia occupare da Dio, a differenza del ricco che è pieno di sé, pieno di cose, addirittura soffocato da esse, e che non lascia spazio a nessuno. Il prete è povero perché è ricco di Dio. È questa la ricchezza che deve elargire. È ricchezza che ci parla di appartenenza, di identità. Allora mi piace vedere il prete come intermediario tra Dio e l’uomo. È Lui che li unisce, è lui ricco di umanità perché dona Dio nel suo essere, tramite di uno scambio di doni tra il divino e l’umano.

“Porta la sedia”
«Un vecchietto che da molto tempo si era allontanato dalla Chiesa, un giorno andò dal parroco. Sperava di essere aiutato finalmente a risolvere i suoi problemi di fede. Quando entrò nella canonica, c’era già una persona a parlare con lui. Il sacerdote intravide il vecchietto in piedi in corridoio, e subito, uscì a portargli una sedia. Quando l’altro si congedò, il parroco fece entrare il vecchio signore. Conosciuto il problema, gli parlò a lungo e dopo un fitto dialogo, l’anziano, soddisfatto, disse che sarebbe tornato alla Chiesa. Il parroco, contento, ma anche un po’ meravigliato, gli chiese: Senta, mi dica, di tutto il nostro incontro, qual è l’argomento che più l’ha convinta a tornare a Dio?. «Il fatto che sia uscito a portarmi una sedia», rispose il vecchietto»13.
Il prete si ri-conosce nel volto di Cristo che è il volto di ogni uomo. Se la Chiesa non “esce fuori” (in the street) non riuscirà più ad incontrare gli uomini e se non incontra loro non incontrerà neppure Dio.
Per fortuna c’è qualcuno che esce e “porta la sedia”: un piccolo segno che ci dice che è questa la via da percorrere. 

NOTE
1 Papa Francesco, Discorso alla 66° Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana, 19 maggio 2014.
2 Papa Francesco, Discorso ai seminaristi del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, 14 aprile 2014.
3 Papa Francesco, Udienza generale del Mercoledì, 14 febbraio 2014.
4 Papa Francesco, Omelia Messa Crismale, 28 marzo 2013.
5 Papa Francesco afferma: «E se vi viene lo scrupolo di aver perdonato troppo pensate a quel santo prete del quale vi ho parlato, che andava davanti al tabernacolo e diceva ”Signore, perdonami se ho perdonato troppo. Ma sei tu che mi hai dato il cattivo esempio!”».
6 Papa Francesco, Discorso ai parroci della Diocesi di Roma, 6 marzo 2014.
7 Papa Francesco, Omelia Santa Messa Crismale, 28 marzo 2013.
8 Papa Francesco, Discorso Santa Messa di inizio Pontificato, 19 marzo 2013.
9 Papa Francesco, Omelia S. Marta, 7 Aprile 2014.
10 Papa Francesco, Discorso ai parroci della Diocesi di Roma, 6 marzo 2014.
11 Papa Francesco afferma che la povertà è una dimensione che ci permette una configurazione sempre più stretta alla persona di Gesù.
12 Papa Francesco, Omelia Santa Messa Crismale, 17 aprile 2014.