I quadri della mia vita. L’arte parla di vita e di vocazione.
1. Rainer Fetting
La prima tappa di questo viaggio nella mia vita è segnata da un’immagine drammatica. L’impatto è impressionante, s’intitola: Testa nel crepuscolo. L’autore, tedesco, Rainer Fetting, quale pittore espressionista voleva esprimere nelle sue tele i sentimenti più forti dell’anima umana, ma arrivò – come quasi tutti gli espressionisti – ad esprimere soprattutto l’angoscia.
Così fu anche la mia adolescenza, profondamente segnata dalla ricerca della verità. Ho vissuto l’adolescenza negli anni dopo il ’68, anni inquieti segnati però da una grande idealità. La parola d’ordine a quei tempi era, “libertà” oppure la parola “emozione” o, ancora, “esperire”. Perciò amo associare quel periodo a questo dipinto: guardate questo volto. Non è il volto di chi si è buttato a capofitto
dentro alle esperienze senza discernimento, e senza critica, passando da un’emozione all’altra? Un’emozione così, continua, fa perdere lo sguardo. Questo volto arrossato, concitato, sovraccarico di emozione non vede più. Questo volto ha occhi perduti, incapaci di vedere.
Tuttavia, anche in uno sguardo così, anche in uno sguardo che ha perduto la capacità di guardare nulla è perduto, perché nell’uomo mai nulla è perduto. Guardando attentamente gli occhi di questo volto vediamo infatti che non sono uguali: l’occhio di destra è spento, è un occhio glaciale, freddo, azzurro, la pupilla è irregolare, è un occhio che non vede più; l’altro occhio invece è vigile, guarda, è ancora verde di speranza.
2. Renè Magritte
Ma dove conduce un mondo così, un modo che ti consegna all’emozione, che ti lascia in balia di una libertà sganciata totalmente dall’etica? Voglio raccontarvelo con Golconda di René Magritte. L’arte mi ha entusiasmata fin da piccola, così ho frequentato il liceo artistico con passione. Poi trovai lavoro come disegnatrice di “fumetti” e iniziai anche a fare teatro. E qui, proprio dentro al grande mondo della comunicazione, mi accorsi che l’uomo andava perdendo la creatività. Proprio come denuncia Magritte. Golconda è una mitica città indiana, la città dei sogni. Magritte intitola questo quadro Golconda e dipinge invece lo spaccato di una qualunque città del Belgio, in un anonimo lunedì mattina, quando uomini in bombetta e soprabito, intruppati, tutti uguali, vanno al lavoro. La tela sembra essere dipinta da un uomo che esce di casa per guardare il cielo. Magritte è l’uomo che vuole vedere il cielo, ma il cielo resta chiuso per lui. Nel cielo di Magritte, infatti non si vedono solo piccoli uomini in lontananza, ma si vedono anche ombre. Nel cielo si stagliano le ombre degli uomini, ma il cielo non dà ombra. Un cielo che dà ombra è un cielo chiuso per l’uomo.
Tuttavia, Magritte non ci lascia senza speranza. Guardando attentamente gli uomini di Magritte vediamo che non sono uomini clonati, ciascuno di essi ha un volto diverso, una sua fisionomia, ciascuno guarda in una direzione diversa. Ogni uomo cerca la sua propria immagine e la cerca istintivamente verso il cielo.
3. Vincent van Gogh
Anche van Gogh dipinge un mondo che non sa comunicare e lo fa copiando una stampa del Dorè dal titolo La ronda dei carcerati. La copia, ma con varianti significative, una fra tutte il colore. I colori delle pareti sono identici a quelli degli abiti dei prigionieri. Queste pareti trasudano della vita, dei desideri, del dolore e delle speranze di questi uomini. Essi sono totalmente immersi nella loro solitudine, non si può comunicare camminando così uno dietro l’altro. Ciascuno è chiuso nei propri pensieri, tutti infatti hanno il cappello. Tutti tranne uno. Il personaggio centrale è il ritratto di van Gogh. Lui non solo ci guarda e non ha il cappello, ma ha il sole sul capo. È lui che dice che il sole c’è, che quelle finestre lassù in alto non sono chiuse. È per lui che scopriamo il segreto per rompere la frustrante dimensione orizzontale di quella ronda. In alto, nel cielo di quel cortile van Gogh dipinge due piccole farfalle bianche. Nessuno le aveva notate eppure esse sono lì, eternamente lì, fissate nella leggerezza di un volo che testimonia la possibilità reale di sperare, di comunicare vita, di aprirsi alla verità.
Dentro a un mondo che sembrava confinarmi dentro una dimensione orizzontale, dentro a un mondo edonista, orientato alla soddisfazione di sé, dei propri desideri, si spalancava ai miei occhi, anche grazie all’incontro con un sacerdote, la bellezza di una verità che sta in alto, che ci sorprende con il suo richiamo irresistibile al Cielo.
4. Hieronimus Bosch
Come tutte le ragazze avevo incontrato l’amore. Desideravo una famiglia. Ma chi mi avrebbe assicurato la certezza di quell’Amore? Volevo un amore eterno, non un amore part-time. Un amore come quello dipinto da Bosch nella sua visione dell’aldilà. Dove coppie sono accompagnate da angeli a guardare verso l’alto, verso una sorgente. Verso Dio. Due beati sono appena arrivati in quel giardino e indugiano seduti guardandosi negli occhi, ma un angelo li sprona: amare significa guardare insieme verso una direzione. Stare insieme per un compito. Così incominciai con il mio ragazzo un cammino cristiano, guidati da quel sacerdote da poco incontrato. Ma un’esperienza a Lourdes mi fece incontrare la fede. Tornata a casa incominciai ad andare a messa ogni giorno. Una sera però, mentre ero in macchina con il mio ragazzo, un auto ci travolse. Per me fu il buio e il silenzio e dentro a questo buio una luce bianchissima che palpitante mi chiama. Dio era là. Avrei desiderato correre verso la luce, ma non potevo. Quella luce era amore gratuito mentre nella mia vita quella gratuità non c’era. Ci fu una lotta interna, da un lato un dolore grande perché la felicità era a un passo e non la potevo raggiungere e dall’altro una gioia grande perché ero amata, pensata voluta.
Impressiona questo pannello di Bosch intitolato L’empireo. Nel 1490 senza terapie intensive o le possibilità della medicina attuale, Bosch dipinge qualcosa di molto simile a quello che io avevo visto. Non solo, dipinge anche la lotta interiore. Angeli dalle ali di tenebra trattengono anime che hanno le braccia aperte in croce. Esse però desiderano e perciò si purificano. Angeli con le ali rosse accompagnano, nell’ascesa verso la luce, anime che hanno le mani giunte in preghiera. Infine, nel cono di luce, angeli dalle ali bianche accompagnano anime che hanno le braccia aperte e tese all’Incontro. Uscita dall’ospedale, dopo una lunghissima degenza, ritrovai quella luce sulla strada a Lourdes in una Cappella dove si faceva l’adorazione eucaristica. Non c’è bisogno di fare un’esperienza di pre-morte per vedere quella Luce. La si trova nel cuore della chiesa, sull’altare, laddove l’Eucaristia viene esposta per l’adorazione. Lì c’è una falla aperta verso l’eternità che apre gli occhi a sguardi nuovi sulla realtà e ci alimenta di un pane che fonda fin da quaggiù la nostra vita nell’eternità.