Carismi: fantasia dello Spirito
Immaginiamo un parroco o un vescovo, che presiedano una comunità come quella di Corinto, alla quale l’apostolo Paolo scrive le sue lettere. Deve rallegrarsi o mettersi le mani nei capelli? Da una parte la ricchezza dei doni dello Spirito denota che si tratta di una comunità viva, addirittura vivace nelle espressioni carismatiche di alcuni cristiani e gruppi; dall’altra non è semplice ricondurre tutto all’edificazione della comunità stessa, senza esclusioni o contrapposizioni.
Se prevale, in chi ha il ruolo della presidenza, l’anima del funzionario, preferirà mettere dei limiti alla fantasia dello Spirito, a costo di un certo grigiore pastorale; se prevale l’anima carismatica, non imporrà vincoli e restrizioni, a costo di una pastorale meno programmata, più libera ma anche più fragile.
1. Un tensione permanente
Già il termine usato, per alcuni esprime una realtà problematica, se non addirittura negativa; e invece c’è un significato positivo nella tensione, se vissuta come spinta verso ciò che ci sta dinanzi, dinamismo che permette di andare verso la meta. Il Vangelo accolto, annunciato e testimoniato, pone in tensione la Chiesa; immette in essa il movimento, frutto dello Spirito, che la rende comunità in cammino. Le difficoltà che Paolo vive con le comunità degli inizi, in realtà testimoniano una tensione permanente nell’esperienza ecclesiale, ieri come oggi. La comunità cristiana va edificata, ma anche animata; c’è necessità di ancorarla al “noi” della fede comune, spingendola peraltro ad esprimere in libertà i doni sempre nuovi dello Spirito. Dipende poi dalle differenti situazioni, per cui Paolo deve stimolare i Tessalonicesi: «Non spegnete lo Spirito» (1Ts 5,19), mentre ai Corinzi raccomanda: «Poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, per l’edificazione della comunità» (1Cor 14,12). Ci sono comunità che dormono e comunità eccessivamente effervescenti, in alcune le novità sono temute e in altre vengono cercate, certi cristiani vogliono la sicurezza istituzionale e certi altri la libertà evangelica: come fare Chiesa, in tutto ciò? La tensione tra le due polarità va positivamente mantenuta, non apparentemente superata con una ricetta pastorale, che garantisca il semplice equilibrio degli ingredienti: quanto basta di effervescenza spirituale, entro la giusta dose di preoccupazione istituzionale. Ecco allora il bravo parroco o il vescovo illuminato, che un po’ concede alle libere espressioni dello Spirito e un po’ richiama all’ordine e alla disciplina ecclesiastica.
Non è così. La passione per l’edificazione della Chiesa non tarpa le ali alla fantasia dello Spirito, se ne fa piuttosto provocare, affinché la comunità che viene edificata abbia la leggerezza evangelica e l’apertura missionaria garantite dallo Spirito. E l’accoglienza dei doni sempre nuovi dello Spirito non distrugge il paziente e talora logorante lavoro pastorale di dare volto alla Chiesa, lo fa anzi diventare verifica della concretezza di tali doni, perché non siano fuochi di paglia o vie di fuga rispetto al farsi carico del cammino di tutti e con tutti.
2. Dall’innamoramento all’amore
Abbiamo probabilmente sentito, almeno una volta, l’enunciazione di questo passaggio necessario alla maturazione delle relazioni affettive. Se non si passa dall’innamoramento all’amore, non c’è storia. Le relazioni si consumano come fiammate, intense ma momentanee, con il rischio che non rimanga nulla. Per accendere il camino ci vuole senz’altro la fiammata iniziale, ma per scaldarsi è necessario che la legna divenga poco alla volta brace, producendo così un calore diffuso. D’altra parte questo cammino di istituzionalizzazione, che dallo stato nascente approda ad una realtà più duratura, potrebbe diventare anche (contrariamente all’immagine usata) un processo di progressivo raffreddamento. Si dice infatti a chi si sposa di non rinunciare a rimanere fidanzati, nel senso di mantenere vivo il senso di stupore e di novità sperimentato nell’esperienza dell’innamoramento. Non per niente il profeta fa dire a Dio, che vuole riaccendere l’amore nel popolo divenuto infedele:
«Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del fidanzamento» (Ger 2,2). Qualcosa di simile avviene per la Chiesa, comunità di discepole e discepoli innamorati di Gesù Cristo, a cui tuttavia viene richiesto di far diventare amore duraturo l’innamoramento iniziale. C’è infatti una storia da abitare, contrariamente al primo momento dell’esperienza cristiana, in cui si pensava che il ritorno del Signore fosse imminente. Ecco quindi la sfida di edificare la Chiesa nel tempo, mediante un processo di istituzionalizzazione, necessario e insieme rischioso. È possibile trasformare la relazione della Chiesa con il suo Sposo in amore, che affrontala sfida del tempo, senza perdere la bellezza, lo stupore, la novità degli inizi? È quanto viene messo a tema quando si parla di nuova evangelizzazione, espressione nata appunto per delineare il compito delle chiese di antica cristianità: far risuonare come nuovo il Vangelo, già annunciato da secoli. Una Chiesa che si struttura, deve necessariamente mettere da parte la fantasia dello Spirito, per fare spazio alle dimensioni istituzionali? Può restare una sposa innamorata, sentire ancora il Vangelo di Gesù come qualcosa che la scombina dentro, come da fidanzata?
3. Il carisma delle religiose e dei religiosi
Non c’è chi non abbia sentito un moto interiore all’annuncio del nome scelto da questo Papa: Francesco. Se infatti si parla di discepoli innamorati del loro Signore, il santo di Assisi è tra i primi a venirci in mente. Non è l’unico, per fortuna, ce ne sono stati ieri e ce ne sono oggi. Nel cammino storico, nel quale nonostante tutto la Chiesa ha saputo custodire la memoria viva di Gesù e annunciare il suo Vangelo, la fantasia dello Spirito suscita doni preziosi e inaspettati.
Lo fa come regalo continuo alle comunità, affinché gustino in modo sempre nuovo la bellezza della vita cristiana, ne sentano il fascino e non lo seppelliscano sotto il peso dell’apparato istituzionale.
Con l’immagine appena rievocata, possiamo dire che lo fa per mantenere vivo l’amore al tempo del fidanzamento, affinché la Chiesa rimanga sposa senza macchia e senza ruga; non perché sia esente dalle traversie della storia e dallo stesso peccato, ma in quanto continua a specchiarsi sul Vangelo come una ragazza che si sente bella perché tutta presa dal suo amore. Uno dei modi, con i quali la fantasia dello Spirito ha mantenuto la Chiesa innamorata di Gesù e del Vangelo, è la vita religiosa con le differenti forme emerse nel corso del tempo. È questo il senso del carisma delle religiose e dei religiosi, che, pur differenziandosi nelle diverse spiritualità tipiche di ciascuna famiglia, attinge al dato comune: una ripresa forte del Vangelo, diciamo pure innamorata, a servizio della Chiesa e di ogni cristiano. La vita religiosa non è suscitata dallo Spirito anzitutto per i singoli che la abbracciano, quasi fosse una forma privilegiata di discepolato, riservata ai migliori. È per testimoniare a tutti che la Chiesa, a cui è affidato l’Evangelo, non cessa di rimanere come la presenta l’angelo nell’Apocalisse: «Vieni, voglio mostrarti la fidanzata, la sposa dell’Agnello» (Ap 21,9). Attraverso la vita religiosa, parabola della vita cristiana, lo Spirito mostra tutta la fantasia che ha; suscita risposte molteplici ai suoi doni, in modo che vediamo incarnati differenti carismi evangelici, riflesso dell’unica luce del Cristo sempre viva e quindi mutevole. Purtroppo il processo di istituzionalizzazione che segna la Chiesa, necessario peraltro al suo vivere nella storia, anche nelle famiglie religiose rischia di essere vissuto come raffreddamento progressivo della fiamma originaria. Lo Spirito non ha fantasia solo quando i carismi li fa partire, nel momento di fondazione di un cammino religioso; la sua fantasia continua e provoca in modi sempre nuovi la risposta, che nei differenti tempi e luoghi va data, con fedeltà creativa alle proprie origini. Se la vita religiosa cessa di essere serbatoio di novità, creatività, effervescenza dello Spirito, se alla profezia si sostituisce la gestione di quanto acquisito e assodato nel tempo, non è un problema unicamente per quella singola famiglia di religiose o religiosi. La Chiesa perde la provocazione, che dovrebbe venirle, per non far prevalere le preoccupazioni unicamente istituzionali. Siamo tutti più poveri di Spirito e della sua straordinaria fantasia.
4. Tra Gesù e il suo Spirito
La Chiesa non è costruzione puramente umana, si riceve continuamente come dono da Gesù Cristo ed esprime tutto il suo amore a Lui e al Vangelo attraverso la fedeltà, garantita dallo Spirito. Con una battuta potremmo dire che nessun cristiano, dal papa in giù, deve alzarsi il mattino chiedendosi: cosa m’invento oggi, per fare la Chiesa? Ci è consegnata, per fortuna, il che dovrebbe moderare i nostri protagonismi e insieme pacificare le nostre ansie. Tuttavia non è già tutta costituita, come un’istituzione dai contorni fissati una volta per sempre, che va solo custodita e preservata nella sua immutabilità. Del resto oggi la riflessione biblica e teologica dice che la creazione stessa è un’opera aperta, in divenire; un work in progress continuamente suscitato dallo Spirito, una creazione creativa e non un disegno già tutto prestabilito. Annunciando lo Spirito, Gesù dice ai suoi discepoli: «Vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13); ma aggiunge: «Prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 16,14). Anche in questo caso c’è come una tensione, da mantenere in senso positivo. Infatti da una parte il lavoro dello Spirito nei discepoli non si limita a custodire quanto hanno già sentito, li guida in un cammino verso la verità tutta intera, che sta dinanzi e non alle spalle; devono per questo disporsi ad accogliere la novità del percorso che sono invitati a compiere. Dall’altra questo stesso Spirito è lo Spirito di Gesù, che nella sua azione attinge a ciò che è di Cristo, non suscita novità fuori dal Vangelo e dal suo orizzonte; questo chiede ai discepoli la fedeltà all’esperienza avuta con il loro Maestro e Signore. Volendo usare parole specialistiche, diciamo che si tratta della tensione tra la dimensione cristologica e quella pneumatologica, innestate l’una nell’altra e non giustapposte o, peggio, contrapposte.
L’ecclesiologia occidentale è stata accusata di cristomonismo, che sacralizza l’aspetto visibile e istituzionale della Chiesa come fosse il prolungamento storico dell’incarnazione; il ruolo dello Spirito diviene marginale, è tutto assorbito dall’istituzione, che finisce per averne il monopolio. I carismi, nella loro realtà libera e creativa, sono disturbanti più che arricchenti. In un quadro così, anche la vita religiosa viene ricondotta a ciò che fa, in relazione alle strutture ecclesiali; non viene accolta per ciò che è in se stessa, testimonianza della bellezza e della gratuità dei doni dello Spirito. Tuttavia, per contrapposizione, non si può affermare la creatività dello Spirito e dei suoi doni, rivendicando i propri carismi in forma assoluta; diventa un modo di affrancare lo Spirito dall’evento Gesù custodito e testimoniato dalla Chiesa, con conseguenze assai problematiche.
Non solo i carismi non sono più finalizzati all’edificazione della comunità cristiana, ma finiscono per avere come riferimento o le proprie personali predisposizioni (una battuta afferma che chiamiamo carismi i nostri pallini) o il fascino (nel linguaggio corrente si chiama appunto carisma) del fondatore di turno.
5. Istituzione e carisma
Dalla tensione precedente, non ben articolata, nasce una modalità problematica di pensare alla vita della Chiesa: la contrapposizione tra istituzione e carisma. Che nel concreto ci sia stata e anche oggi ci sia, è vero; che sia giusto pensarla così, non proprio. Anzitutto va ricordato che la Chiesa nasce appunto come dono dello Spirito e dallo Spirito riceve continuamente la sua forma, anche e soprattutto nei suoi aspetti più istituzionali. Chi presiede, ad esempio, lo fa per l’imposizione delle mani, a dire l’azione dello Spirito fondante il ministero. Il carisma quindi, dono dello Spirito, è alla base dell’istituzione; quando lo si dimentica e non lo si vive, prende il sopravvento l’aspetto organizzativo, di gestione del potere. Chi è ministro nella Chiesa diviene funzionario, chiamato ad assolvere un compito, non a rispondere ad una vocazione. Naturalmente l’istituzione, che ha come suo fondamento lo Spirito, non ne dispone come vuole, non lo possiede in esclusiva; lo accoglie e se ne lascia continuamente provocare, in modo da strutturarsi secondo una forma evangelica. Tenere presente e vivo il fondamento carismatico della Chiesa, della sua struttura ministeriale, diviene un antidoto alla “mondanizzazione” (come mette in guardia Papa Francesco): «Tra voi non è così» (Mc 10,43). Significa anche accogliere in permanenza, dentro l’aspetto istituzionale, il nuovo che lo Spirito suggerisce; con un discernimento continuo sulle modalità di dargli spazio, cittadinanza, rilevanza, cambiando di conseguenza ciò che va cambiato.
Penso possa riferirsi soprattutto alla dimensione istituzionale della Chiesa, l’invito di Gesù a non rattoppare il vestito vecchio e a mettere vino nuovo in otri nuovi. Purtroppo la Chiesa istituzione talvolta sembra più impegnata a rattoppare con criteri umani che a rinnovare con criteri evangelici; e il nuovo non trova facilmente luoghi che l’accolgano, affinché possa radicarsi e generare cambiamenti e conversioni. Forse perché, come osserva Gesù con sottile ironia «nessuno che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è gradevole!» (Lc 5,39); meglio il gusto consueto che il rischioso assaggio di un sapore inedito.
Nell’articolazione del rapporto tra dimensione istituzionale e dimensione carismatica, l’istituzione è chiamata a mettersi a servizio dei carismi più deboli, per rafforzarli, non a servirsi dei carismi più forti, per rafforzarsi. Il profeta avverte, in nome di Dio: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19).
Individuare ciò che è ancora piccolo e fragile, ma promettente, per dargli fiato: ecco a servizio di cosa dovrebbe mettersi la forza dell’istituzione.
Basterebbe prendere esempio dal padre e dalla madre, che sostengono maggiormente il figlio con problemi, lasciando che gli altri camminino con le loro gambe; invece, anche dal punto di vista pastorale, si spende la maggior parte delle energie per ciò che si è sempre fatto, non per qualcosa di nuovo. Lo stesso è chiamata a fare ogni famiglia religiosa, mettendosi in sintonia con la creatività dello Spirito. Se tutte le risorse vengono impiegate per conservare l’esistente, se il carisma lo si vive nei suoi aspetti assodati e non si ha il coraggio di cogliere e accogliere il nuovo che germoglia e interpella, si rimane a rattoppare il vestito vecchio e si ha paura dello spumeggiare del vino nuovo. Allora anche la vita religiosa si appiattisce sul dato istituzionale e il carisma serve solo a ritagliarsi i propri spazi di esenzione, non a constatare con gioia: «Mandi il tuo Spirito e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104,30).
6. Fantastico, lo Spirito!
In un gioco di parole, si può dire che lo Spirito ha così tanta fantasia nel donare i suoi carismi… che è proprio fantastico! Purtroppo noi siamo viziati nella nostra percezione, infatti chiamiamo fantastico ciò che si mostra con effetti speciali. Non è lo stile dello Spirito santo, che anzi solitamente rifugge quanto è troppo esibito. Lo Spirito è il volto discreto di Dio, somiglia all’aria che respiriamo: vi siamo immersi, ma quasi sempre in modo inconsapevole. Dio abita in noi, nel suo Spirito, ma non s’impone. È presenza pervasiva, ma nella modalità paradossale di una realtà sfuggevole, non identificabile, non catturabile: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va» (Gv 3,8).
È comprensibile, per la percezione viziata ricordata sopra, che nella comunità di Corinto come nelle nostre siano i carismi eclatanti ad attirare l’attenzione. Non è però la logica evangelica, dal momento che Gesù è uomo tutto spirituale… senza effetti speciali; quando nelle tentazioni il diavolo vorrebbe farglieli fare, lo caccia in malo modo, ma nemmeno a scendere dalla croce ci pensa minimamente. Paolo deve faticare per convincere quelli di Corinto che ogni carisma viene dallo Spirito, non solamente i doni che fanno colpo sulla comunità: «Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue?» (1Cor 13,30). Quando fa il paragone con il corpo, osserva che le membra più deboli sono le più necessarie; come a dire che la Chiesa sta su ed ogni diocesi o parrocchia ugualmente, per i carismi probabilmente più nascosti. E la stessa fede, per sostenersi, di che cosa ha bisogno? Cerchiamo segni grandi, mentre la fantasia dello Spirito ci arricchisce di carismi quotidiani, che rischiamo di non cogliere. Cercare la bellezza unicamente nei fiori di serra, preziosi ed unici, ci impedisce di cogliere quanto bello e vario sia un prato pieno di fiori di campo. In modo provocatorio, Paolo invita i suoi cristiani: «Desiderate intensamente i carismi più grandi» (1Cor 13,31); e demolisce la loro idea di grandezza, intonando l’inno all’amore. Ci vuole poco a diventare bronzi che rimbombano e cimbali che strepitano, vantando carismi alti e nobili; mentre lo Spirito tesse la ricchezza della sua trama nelle differenti sfumature dell’agàpe. Si comprende perché le diverse accentuazioni carismatiche della vita religiosa abbiano il denominatore comune della carità, a partire dai piccoli e dai poveri: «Vi mostro la via più sublime» (1Cor 13,31).
7. Fantasia dello Spirito
Se parliamo di carismi, viene da riferirsi immediatamente alla vita della Chiesa. In senso proprio i carismi sono infatti i molteplici doni dello Spirito per l’edificazione comune, i regali che riceviamo per rendere bella e variopinta la Chiesa con tutte le possibili sfumature.
Accoglierli e farli fruttificare rende meno grigio l’ambiente ecclesiale, meno standardizzata la nostra pastorale, meno monolitica l’istituzione. E tuttavia mi sembra riduttivo rinchiudere la fantasia dello Spirito entro le mura della Chiesa, anche perché è l’azione dello Spirito a far sì che il regno venga; e viene oltre la Chiesa, non si identifica con essa, che ne è solo sacramento. Mi pare invece bello e significativo cogliere l’abbondanza di carismi nel mondo, abitato dallo Spirito, leggendoli in un senso più laico e togliendoli da una prospettiva confessionale. Non ci sono forse dei carismi alla base di quanto l’umanità opera nei differenti campi della vita? Pensiamo ai carismi che permettono di amare, di generare, di farsi carico gli uni degli altri; ai carismi dati a chi educa, insegna, ricerca; ai carismi che si esprimono nell’arte, nella cultura, nella scienza… Lo Spirito ha una fantasia illimitata, sa differenziare i suoi doni in tanti modi quanti sono gli esseri umani, presi ciascuno nella loro singolarità; celebriamo la sua azione nel mondo e nella storia! In questa celebrazione, religiose e religiosi dovrebbero essere in prima fila; c’è infatti una grande tradizione, nella vita religiosa, che non la separa dal mondo, ma la mette a contatto con il cammino laico delle donne e degli uomini del proprio tempo. È davvero segno della ricchezza dello Spirito, che ci siano comunità religiose particolarmente attente all’incontro e al dialogo con i mondi culturali più diversi, in una ritrovata sintonia con la dimensione spirituale umana e addirittura cosmica. Non è una moda, significa accorgersi e mettersi in sintonia con i carismi seminati dallo Spirito a piene mani, nonostante tutto.
Anche da questo punto di vista, diviene provvidenziale l’invito di Papa Francesco ad una “Chiesa in uscita”. Capita infatti che, parlando di carismi, ci blocchiamo nelle dinamiche intraecclesiali (quando non si tratta di beghe); allora il problema diviene unicamente quello di dirimere questioni suscitate da contese, gelosie, primogeniture da rivendicare e fette di potere da gestire. Andrebbe riletto, in quest’ottica, il n. 44 della Gaudium et spes, dove si evidenzia l’aiuto che la Chiesa riceve dal mondo contemporaneo: «La Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall’evoluzione del genere umano. L’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la chiesa (…) La Chiesa ha bisogno particolare dell’apporto di coloro che, vivendo nel mondo, ne conoscono le diverse istituzioni e discipline e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o di non credenti».
Nel segno dello Spirito e dei suoi carismi, lo sguardo si fa attento a cogliere dove e come, nel mondo e nella storia, viene il suo regno.