Vita consacrata: la profezia della sapienza del cuore
In occasione della S. Messa del 2 febbraio u.s., festa della Presentazione del Signore al Tempio e giornata della Vita Consacrata, nella omelia Papa Francesco afferma: «Nel racconto della Presentazione di Gesù al Tempio la sapienza è rappresentata dai due anziani, Simeone e Anna: persone docili allo Spirito Santo (lo si nomina 3 volte), guidati da Lui, animati da Lui. Il Signore ha dato loro la sapienza attraverso un lungo cammino nella via dell’obbedienza alla sua legge. Obbedienza che, da una parte, umilia e annienta, però, dall’altra accende e custodisce la speranza, facendoli creativi, perché erano pieni di Spirito Santo».
È lo straordinario dono della sapienza del cuore, di cui le consacrate e i consacrati possono essere testimoni e profeti credibili nella Chiesa e nel mondo oggi.
Questo “focus” della omelia del Papa fa tornare alla memoria l’icona biblica del Vangelo, che ci presenta uno scriba attento e sapiente, che sa trarre dal tesoro del suo cuore e della sua intelligenza «cose nuove e cose antiche».
Il cammino che porta alla sapienza del cuore, passa attraverso la riscoperta della propria interiorità, non solo psicologicamente intesa, ma, soprattutto, come momento vero, profondamente umano e spirituale, per mettersi a confronto con la verità di se stessi e con la Verità che è Gesù.
Rientrare in se stessi è essenziale, non è un optional; è una dimensione costitutiva nell’esperienza del cuore umano. Non dovremmo dimenticare che in noi ci sono due forze che si contrappongono tra di loro, spesso in maniera conflittuale e drammatica: una forza centripeta e una forza centrifuga.
La prima ci urge nel cuore per avere spazi di ascolto, di silenzio, di calma, di elaborazione interiore; la seconda ci spinge all’esterno di noi stessi, verso le mille cose da fare, l’efficientismo spesso nevrotico e parossistico, la visibilità in cui trovare gratificazione, il mondo delle apparenze che in un attimo si consuma e ti consuma e lascia solo un mucchietto di cenere dietro di sé: è la festa dell’effimero, direbbe il Piccolo Principe di A. de Saint-Exupéry.
Eppure noi, spesso, privilegiamo la forza centrifuga! È più facile, più comoda, più immediata e comporta meno sforzo e fatica. È una tentazione tipica dell’uomo del nostro tempo, ma è anche una costante suggestione ricorrente in ogni epoca della storia, presente anche in tante situazioni bibliche a noi note; tutto ciò porta a definire l’uomo del nostro tempo un “uomo fuggitivo, dislocato e spaesato”.
Questo è lo spazio vero per la profezia della Vita consacrata.
Sappiamo che i profeti dell’Antico Testamento si dividevano in“nabì” e “roèh”: i primi erano dei chiamati al servizio della profezia e si sentivano talmente coinvolti in questa vocazione da viverla quasi come una “mission impossible”, al limite delle forse umane, al punto di esserne quasi schiacciati (basti pensare alla vicenda del profeta Geremia).
I secondi vivevano la loro testimonianza di vita parlando nel segno della Parola di Dio, per aiutare il Popolo a ritrovare il giusto ritmo del respiro vitale della vita, liberandosi dalla tentazione di una continua rincorsa alle cose da fare nell’immediato.
Anche ai nostri giorni abbiamo la necessità di sperimentare questa profezia: per costruire qualcosa di importante ci vuole tempo, ci vuole fatica e impegno nel leggere la consistenza delle proprie forze. È il coraggio della compagnia del discernimento, per penetrare con calma e in profondità gli eventi della vita e le reazioni del cuore.
Le consacrate e i consacrati sono chiamati ad abitare “dentro” alla fatica della storia1, nel cammino di gioia e di sofferenza che segna la scelta di ognuno, radicati in motivazioni forti e purificate.
La Vita consacrata, compresa e vissuta in questa ottica sapienziale, diviene sale e lievito nella pasta, profezia di Speranza, ma anche di disillusione sulla dinamica pervasiva e onnipresente del fai da te, sul neo-pelagianesimo della autorealizzazione, in cui ognuno può salvarsi da solo.
Tutti noi siamo guariti, salvati, redenti solo dal Dio della Misericordia.
Questa è la profezia che molte comunità, accecate da un efficientismo senza tregua, hanno dimenticato; c’è una realtà di asfissia di ciò che veramente conta, spesso legata ad una insufficiente consapevolezza della propria identità.
Ne consegue una insufficiente e mediocre costruzione di un io umano, cristiano e vocazionale. «Ciascuno stia bene attento a come costruisce»… ritorna quanto mai attuale il monito di Paolo in 1Cor 3,10.
La relazione con Gesù è la pietra d’angolo della profezia della sapienza del cuore: Gesù intesse con ciascuno di noi una costante e profonda relazione personale, che si rivela guaritrice di ogni ferita, umana e spirituale.
Gesù, che è la via della Bellezza e del Bell’Amore, e non solo colui che chiede rinunce.
Gesù, che realizza se stesso in un amore vissuto come decentramento e gratuita offerta di sé: questo è un duro colpo alla onnipresente e onnipotente dimensione narcisistica, così diffusa in tanti modelli mediatici che oggi imperversano.
La profezia della sapienza del cuore significa raccontare una Buona Notizia capace di andare ben oltre una vaga consolazione o un effimero aiuto; è una carica vitale che sprigiona in ogni cuore che lo accoglie, e nella comunità che lo vive, energie impensate, voglia di vivere, gioia di collaborare, prospettive di un futuro, orizzonti nuovi di vita e riferimento indispensabile all’Assoluto.
Accostati alla sapienza come uno che ara e che semina,
e resta in attesa dei suoi buoni frutti;
Faticherai un po’ per coltivarla, ma presto gusterai i suoi frutti.
Avvicinati ad essa con tutta l’anima,
e con tutta la tua forza osserva le sue vie.
Segui le sue orme, ricercala e ti si manifesterà,
e quando l’hai raggiunta, non lasciarla.
Alla fine, in essa troverai riposo, ed essa si cambierà per te in gioia.
(Sir 6,19.26-28)
Note
¹ Un aiuto originale per vivere questa dimensione umana e spirituale può venire da P. Teilhard De Chardin, La messa sul mondo, Queriniana, Brescia 1990.