Cuori raggiunti dalla misericordia
«Dio chiede ciò che non hai». Affermazione paradossale con cui padre Elia Citterio1 commenta l’episodio della vedova che getta pochi spiccioli nel tesoro del tempio (cf Lc 21,1-4).
Proprio dall’affermazione suddetta – Dio non chiede né poco, né molto, né tutto… Dio chiede ciò che non hai – prende avvio la nostra semplice riflessione, volta a sostenere la risposta che ciascuno è chiamato a dare alla vocazione alla misericordia. Per raggiungere un tale obiettivo non scegliamo di fissare lo sguardo su volti di persone che compiono atti di misericordia, bensì che sono raggiunte dalla Misericordia.
Proprio perché vuote, indigenti, incapaci di gesti di amore, di- vengono, nell’accettazione del proprio limite, luogo di manifestazione della misura senza misura di Dio.
La proposta vocazionale evita, in tal modo, di incorrere nell’obiezione di chi si sente chiamato ad una meta irraggiungibile, per assumere una valenza eminentemente contemplativa.
«Diventate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36)2. Sono chiamato ad essere misericordioso non offrendo la mia misura di amore, ma a farmi accoglienza di un Amore che mi supera e che tracima sugli altri.
Seguiremo alcune donne tratteggiate dall’evangelista Luca – l’unico che presta un’attenzione delicata al seguito femminile di Gesù – definito da Dante nella sua opera latina De Monarchia: scriba mansuetudinis Christi, «scrittore della mansuetudine, della misericordia di Cristo». La scelta del terzo Evangelo è motivata anche dal cammino che la liturgia propone per l’anno liturgico in corso. Nel percorso si potrà intravvedere come la misericordia ricevuta si faccia servizio, abbraccio, profumo, pace, gratuità, contemplazione…
1. Raggiunte dalla misericordia
Il nostro breve itinerario inizia con i primi passi di Gesù all’inizio del ministero in Galilea, quando, dopo aver fatto proprio l’annuncio del profeta Isaia, offre la chiave interpretativa della sua missione: proclamare l’anno di grazia del Signore ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi, agli oppressi… (cf Lc 4,17-19).
1.1 La suocera di Pietro: risorta, si fece diacona (Lc 4,38-39)
Iniziamo con il primo miracolo, un piccolo segno, la guarigione da una febbre. Miracolo piccolo, ma significativo per l’effetto che produce: abilita a servire. Il vero miracolo che ci rende simili a Dio è la capacità di amare e amare significa servire.
Uscito dalla sinagoga entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e domandarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. Subito, alzatasi, era loro diacona.
La suocera di Pietro era abituata da anni – possiamo immaginare – a servire in casa. Era affare di donne. Eppure ci sono eventi nella vita che rendono impossibili le cose usuali, gli atteggiamenti di sempre.
Una malattia, fisica o morale, può costringere all’inattività. Ed è una struggente situazione di impotenza che si impossessa della persona e la fa sentire inutile. Su una tale situazione Gesù si china, la misericordia si fa parola che comanda: ed è la risurrezione. Si alza, la suocera, sta in piedi, e il verbo usato da Luca è proprio quello che descrive il movimento della risurrezione. Essere risorti non significa altro che stare in piedi, come persone libere, come persone vive, in relazione.
Un itinerario vocazionale attento ai momenti di crisi è capace di un ascolto che si china per accogliere e condividere, ma anche per scuotere e comandare. Non è bene opporre scuse e tergiversare alla chiamata al servizio.
Stare in piedi per servire. Qui tutta la bellezza della vocazione del battezzato, una vocazione quotidiana, come insinua il testo impiegando il tempo imperfetto. «Serviva… si era fatta diacona» la suocera: la sua identità si esprimeva nel servire.
Provocatoriamente, in una meditazione padre Silvano Fausti3 sottolineava che «le donne nella cultura ebraica erano considerate assolutamente niente, non potevano neanche testimoniare. La donna era considerata debole, stupida. Veramente, anche queste sono qualità sublimi: sono le qualità di Dio, che è debole e stupido.
Perché la persona furba e intelligente mica si mette a servire: si fa servire dagli altri. Chi ama è debole. Sente tutto il male dell’altro.
È vulnerabile ed è talmente stupido che si mette dentro, mentre il furbo subito se ne va. È interessante allora che questa suocera in quanto donna, nella sua debolezza, nella sua stoltezza (il furbo non fa così), è ciò che Dio sceglie per salvare il mondo.
Noi abbiamo normalmente l’immagine di un Dio potente, molto furbo, anche molto intelligente. Quando Pietro capirà anche lui che deve essere come sua suocera, diventerà anche lui apostolo».
Nell’Evangelo di Luca la chiamata alla diaconia caratterizza in modo particolare la sequela delle donne: «In seguito egli se ne stava per città e paesi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio e i Dodici erano con lui. E alcune donne che erano state guarite da spiriti di male e di debolezza: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che prestavano la diaconia con i loro beni» (Lc 8,1-3).
Di queste donne si evidenzia il cambiamento operato dalla misericordia che le ha raggiunte. Colei che sarà la prima apostola della risurrezione – Maria detta Maddalena – è anche quella che maggiormente ha sperimentato la misericordia: sette demoni erano usciti da lei!
Il tenore e la modalità di una tale diaconia è stata ed è oggetto di riflessione e dibattito in ambito teologico, liturgico, ecclesiale. Non è questa la sede per tali disamine. Quanto si vuole evidenziare è la peculiarità di una diaconia femminile che nasce da una esperienza di misericordia vissuta nella relazione con il Signore. Potremmo dire che la diaconia di Colui che è venuto a fasciare le piaghe, a liberare i prigionieri, ad annunciare l’anno di grazia si manifesta in quante di lui hanno fatto esperienza intima e personale.
Non si entra nella logica del servizio se non per amore ricevuto. Ogni itinerario che voglia portare i giovani a farsi carico degli ultimi deve dare priorità alla conversione del cuore. Diversamente si hanno gesti o esperienze che rischiano di appagare più colui che li compie di quanto non giovino ai destinatari.
1.2 La vedova di Nain: di nuovo madre (Lc 7,11-17)
Gesù cammina con i suoi ed entra in Nain dove si imbatte nel corteo funebre di un giovane, figlio unico di madre vedova: «Vedendola il Signore fu preso da commozione e le disse: “Non piangere”.
Poi si avvicinò e toccò la bara, mentre gli uomini che la portavano si fermarono. Poi disse “Ragazzo, dico a te, alzati!”. Il morto si levò e sedette e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre».
Maternità è relazione, attenzione, tenerezza, dono di sé. Vedovanza è silenzio e solitudine, privazione di status sociale nella Palestina di Gesù.
Gesù vede una madre che non può più essere tale e ne condivide il dolore. v.13 esplanchnisthe: il verbo ha un’etimologia al femminile, indica, infatti, il movimento dell’utero (splanchna) della madre. Vedendo quella madre Gesù ne è contagiato proprio nel grembo, nel luogo dove si vuole e si genera la vita. Gesù si sente preso nella pretesa materna della vita e ne diventa padre, seme rigenerante, alito che ritorna, vita che si rigenera4.
Gesù si fa rivelazione delle viscere di misericordia del Padre; rinnova, in questa donna, la chiamata ad essere generatrice e custode della vita, oltre ogni umana possibilità. Parla al figlio e questi si ridesta e, a sua volta, ricomincia a parlare. La madre no: la madre abbraccia, silenziosa. A lei è chiesto di non piangere, di sperare, di accogliere.
La misericordia si fa abbraccio. E l’abbraccio di cui parliamo è materno e paterno insieme; un abbraccio che condivide il profetico gesto del Signore che osa sfidare la morte. Ogni gesto di misericordia introduce vita dove le situazioni raccontano parole di morte, e noi siamo chiamati a sostenere il coraggio della vita in ciascun chiamato; coraggio che la “vedovanza” di successi, di relazioni amicali, di condivisione, mette fortemente alla prova.
La misericordia non si realizza senza abbraccio e neppure senza lacrime. Nell’omelia della Messa in Santa Marta, nel settembre 2013, Papa Francesco, commentando l’episodio della vedova di Nain, disse di vedere in tale vedovanza l’icona della Chiesa: «La nostra madre Chiesa è così! È una Chiesa che, quando è fedele, sa piangere. Quando la Chiesa non piange, qualcosa non va bene.
Piange per i suoi figli e prega! Una Chiesa che va avanti e fa crescere i suoi figli, dà loro forza e li accompagna fino all’ultimo congedo per lasciarli nelle mani del suo Sposo e che alla fine anche Lei incontrerà.
Questa è la nostra madre Chiesa! Io la vedo in questa vedova, che piange. E cosa dice il Signore alla Chiesa? “Non piangere. Io sono con te, io ti accompagno, io ti aspetto là, nelle nozze, le ultime nozze, quelle dell’agnello. Fermati, questo tuo figlio che era morto, adesso vive!”».
Chiamati alla misericordia che abbraccia, che piange, che prega, che si dilata ai tempi ultimi e lascia cadere stille di eternità nei frammenti del tempo.
1.3 La prostituta: il profumo della pace (Lc 7,36-50)
«La tua fede ti ha salvata; va’ in pace». Con queste parole si chiude il banchetto in casa di Simone, il fariseo. Gesù le rivolge alla donna che lo ha raggiunto con un amore traboccante e così temerario da non lasciarsi arrestare da giudizi legati alla legge e alle convenienze.
Ecco una donna, una prostituta di quella città, saputo che si trovava nella casa del Fariseo, prese con cura un vaso di alabastro pieno di profumo; e restò presso i piedi di lui piangendo e non facendo altro che bagnarli di lacrime.
Poi, con i capelli del suo capo, li asciugava, li baciava e li ungeva dell’olio profumato (vv. 37-38).
Come il vaso di alabastro, pieno di profumo, che si era portata con cura dalla propria casa, è rimasto vuoto, così il suo cuore, vuotato da ogni altro amore, viene ricolmato della pace più preziosa, quella della relazione con il Signore. Come le donne mirofore nell’alba della Pasqua, così la prostituta riceve il mandato di andare nella pace, nello shalom che della Pasqua è il frutto pieno.
Quale la differenza tra la prostituta e Simone?
«Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi… lei invece… tu non mi hai dato il bacio; lei invece… tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece…».
«Tu non… lei invece»: per tre volte Gesù invita Simone a fissare gli occhi sui gesti, silenziosi ed esagerati, di questa prostituta. Tre indicazioni di priorità, di atteggiamenti a cui educarci.
Lacrime, baci, olio: simboli di un sentimento prorompente, incontenibile, che abbraccia contemporaneamente il proprio passato e si protende alla novità di un futuro reso possibile da un incontro.
Misericordia è entrare nella logica di un incontro che riconcilia con il proprio passato, che non si vergogna di piangere per gli errori commessi.
Papa Francesco – commentando il brano di Luca durante l’omelia in Santa Marta del 14 settembre 2014 – ha spiegato che proprio «riconoscere i peccati, la nostra miseria, riconoscere quello che siamo e che siamo capaci di fare o abbiamo fatto è la porta che si apre alla carezza di Gesù, al perdono di Gesù, alla parola di Gesù: Vai in pace, la tua fede ti salva, perché sei stato coraggioso, sei stata coraggiosa ad aprire il tuo cuore a colui che soltanto può salvarti (…) Il posto privilegiato dell’incontro con Cristo sono i propri peccati».
Misericordia è accettare di «non aver amato abbastanza» e per questo divenire capaci di usare misericordia con chi è irretito da una analoga grettezza di cuore.
Misericordia è baciare, cioè entrare in una relazione unica e ricca di tenerezza con Colui che mi vede e mi accetta come sono, con il Signore che diviene un Tu unico e desiderabile. Misericordia è concedersi a questo amore, sapendo che solo l’amore ricevuto può cambiare il cuore e renderlo il cuore di carne di cui Ezechiele ha profetizzato.
Misericordia è versare olio profumato che annuncia il futuro della risurrezione, che rende i rapporti intrisi di gratuità, che lascia entrare la liberalità dell’ultimo giorno nei rapporti che stringiamo nel tempo.
La misericordia è uno sguardo di amore che si ferma sulla persona, che vede la persona e non quello che lei ha fatto o che di lei si dice.
Misericordia è superare la logica dell’apparire per presentarsi, disarmati, di fronte a se stessi e di fronte agli altri, proprio perché si è stati sorpresi dallo sguardo ricco di amore di Colui che entra nelle nostre case per educarci alla convivialità. Anche questo è misericordia.
2. Conclusione
Ritorniamo al brano iniziale, a quella povera vedova che getta nel tesoro del tempio pochi spiccioli: «Alzati gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due soldini, e disse: “In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte di ciò che hanno in più, ella, invece, vi ha gettato tutto quello che le manca: tutte le sue sostanze”» (Lc 21,1-4).
«Alzati gli occi1i vide… vide anche… »: sotto lo sguardo del Signore. Il cammino per divenire capaci di misericordia deve essere posto sotto gli occhi di Colui che scruta mente e cuore.
Commenta Rosanna Virgili: «Il tesoro della vedova era quel tempio e lei sapeva che Dio avrebbe reso le sue due monete ‘piccine un tesoro grande come il Suo. Nel suo gesto generoso e assoluto vi è il segno di un abbandono, di una consegna della sua vita a quel tesoro. “Dove è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore” (Lc 12,34). Per questo la povera vedova metteva, con le sue due povere monetine, tutta se stessa. Fiduciosa nell’abbraccio di quel tesoro di Dio che nessuna tignola avrebbe mai potuto consumare, né i ladri rubare».
Misericordia, aver cuore per i miseri, è possibile a chi si pone in preghiera, a chi si lascia scavare il cuore dall’ascolto di una Parola che giorno dopo giorno prosciuga l’egoismo.
Chi può seguire una vocazione così esigente come quella a divenire operatori di misericordia?
Chi sa di non possederne le chiavi. Chi ne intuisce l’inestimabile valore, chi sa di non potervi apportare un surplus di ricchezza, ma è cosciente – per intuito d’amore – che i due spiccioli solo lei potrà metterli. In essi non è impressa l’effige del Cesare di turno, ma il profilo lieve della propria vita.
NOTE
1 P. Elia Citterio, autore di numerosi testi di spiritualità, fu l’iniziatore, nel 1970, della piccola Comunità dei Fratelli Contemplativi di Gesù, di ispirazione monastica.
2 Per la traduzione seguiamo R. virgili (ed.), I Vangeli. Traduzione e commenti di Rosalba Manes – Annalisa Guida – Rosanna Virgili – Marida Nicolacci, Ancora, Milano 2015.
3 www.linkiesta.it , 28 gennaio 2012.
4 R. virgili, Vangelo secondo Luca, in id (ed.), I Vangeli, Ancora, Milano 2015, p. 934.
5 R. virgili, Vangelo secondo Luca, in id (ed.), I Vangeli, Ancora, Milano 2015, p. 1178.1179