Una volta nella vita
Titolo originale: Les héritiers
Regia: Marie-Castille Mention-Schaar
Interpreti: Ariane Ascaride (Anne Gueguen), Ahmed Dramé (Malik), Noémie Merlant (Mélanie), Geneviève Mnich (Yvette), Wendy Nieto (Jamila), Aïmen Derriachi, Stéphane Bak, Mohamed Seddiki, Naomi Amarger, Alicia Dadoun, Adrien Hurdubae, Raky Sall
Distribuzione: Parthénos
Durata: 110’
Origine: Francia, 2014
Il film, il cui titolo originale è Les héritiers (= gli eredi), è arrivato in Italia in occasione della Giornata della Memoria 2016 ed è tratto da una storia vera. All’origine dell’opera c’è l’attore e scrittore Ahmed Dramé, che all’età di 16 anni ha vinto con la sua classe, una seconda del Liceo Léon Blum di Créteil, il Concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione organizzato ogni anno in Francia dal Ministero dell’Istruzione. Autore del libro Nous sommes tous des exceptions, pubblicato in Italia da Vallardi, il giovane Ahmed ha convinto la regista a realizzare questo film di cui è diventato anche co-sceneggiatore e in cui interpreta uno dei personaggi principali (Malik).
La vicenda
Nella banlieue di Créteil, a sud-est di Parigi, c’è un incrocio esplosivo di etnie, confessioni religiose e conflitti sociali che si manifesta naturalmente anche nella scuola. In particolare nella 2^ A del Liceo intitolato a Léon Blum (politico francese, Presidente del Consiglio durante il Fronte Popolare del 1936 e deportato in Germania durante la Repubblica di Vichy). È una classe multiculturale, litigiosa e indisciplinata, che crea problemi al preside e agli insegnanti. Ma la professoressa di storia e di geografia Anne Gueguen, a differenza di altri colleghi, non si scoraggia e cerca di coinvolgere gli studenti facendoli partecipare al Concorso sulla deportazione. Poco alla volta gli allievi imparano a lavorare insieme, a superare individualismi e rivalità, ad appassionarsi alla ricerca e a commuoversi di fronte alle spaventose realtà che arrivano a scoprire. Il loro lavoro otterrà il primo premio al concorso nazionale e diventerà occasione di crescita e di arricchimento sul piano umano. La struttura del film è lineare ed è caratterizzata, soprattutto nella parte finale, dal montaggio parallelo
Introduzione
Viene innanzitutto presentato l’ambiente in cui si svolge la vicenda.
Le immagini mostrano l’atrio, i corridoi e le aule del Liceo Léon Blu completamente deserti (evidentemente è un periodo di vacanze). Una ragazza, accompagnata da una sua amica, discute animatamente con la segretaria della scuola. La ragazza vorrebbe ritirare il diploma di maturità, ma questo non le viene consegnato perché non ha tolto il foulard. La segretaria la ammonisce: «Deve rispettare la legge. I principi di laicità esigono che quando si entra in una scuola ci si tolga il foulard». La ragazza fa presente che ha rispettato tale regola per tre anni, ma che adesso ha finito la scuola e non è più un’allieva dell’istituto. Inoltre afferma: «Io non posso toglierlo. È una mia convinzione… sono fiera di essere musulmana». Ma la segretaria non demorde: «Non si transige sulla legge». Arriva anche il preside a dar man forte alla segretaria. La ragazza allora se ne va arrabbiata e la sua amica, rivolgendosi al preside, sentenzia: «Lei il velo ce l’ha sugli occhi, signore». È chiaro che questa prima sequenza ha la funzione di evidenziare, da una parte, lo squallore di quella scuola, e, dall’altro il formalismo che vi regna.
1a parte
Appare poi il titolo del film e inizia la prima parte. Siamo all’inizio dell’anno scolastico. Gli studenti arrivano a scuola e vengono smistati a seconda dell’indirizzo che hanno scelto. La regista si sofferma a descrivere il comportamento indisciplinato e strafottente degli allievi e le raccomandazioni che vengono loro impartite (niente cappelli, niente cuffie, la croce sotto la maglia, ecc.). È significativo che la prima immagine mostri i ragazzi che entrano a scuola ripresi dall’alto e su di loro sventoli una bandiera francese, simbolo di certi valori, ma anche di una certa intransigenza.
– Siamo nella 2^A. La professoressa Anne Gueguen si presenta agli alunni. Dice di essere l’insegnante di storia e geografia e loro coordinatrice. Poi aggiunge: «Insegno da vent’anni. Mi piace insegnare e in generale eviterò di imporvi un’atmosfera pesante, perché non è da me». Poco alla volta emergono alcuni studenti: la ribelle Mélanie, il pensoso Malik che ha la passione del cinema, la dolce Julie, il taciturno Théo, l’ambiguo Olivier che si è da poco convertito all’islam e che assume atteggiamenti fondamentalisti, ecc.
– Dopo un certo periodo la professoressa si lamenta per lo scarso rendimento: solo sei o sette hanno la sufficienza. Di fronte al menefreghismo di Olivier, Anne cerca di scuoterli: «C’è un mondo dietro la tangenziale; e lì c’è un posto anche per voi». In seguito la professoressa impartisce loro un insegnamento prezioso. Analizzando un mosaico che si trova a Torcello, in cui viene rappresentato Maometto all’inferno (cosa che provoca una reazione sdegnata da parte degli studenti musulmani), Anne cerca di stimolare lo spirito critico dei ragazzi: «Quello che mi interessa è la vostra reazione, perché dimostra che questa immagine funziona. Vi ha fatto reagire perché è un’immagine di propaganda. Non esistono immagini innocenti».
– Ma la situazione nella classe non sembra migliorare e regna un clima di pessimismo. Gli sforzi della professoressa fanno fatica a produrre frutti, anche se Malik incomincia a dimostrare qualche segno di maturazione sul piano umano. Inoltre è significativo che quando Anne si assenta da scuola per la morte della madre, i ragazzi non accettino la supplente e si ribellino. Segno che, nonostante tutto, capiscono che quella professoressa è importante per loro.
2a parte
Quando Anne torna a scuola viene subito messa in guardia dai colleghi circa la situazione della classe che viene definita disastrosa: «Ci sono tre rapporti disciplinari da valutare. Sta diventando molto difficile purtroppo». Ma Anne entra in classe e trova i ragazzi più attenti. Dopo aver tenuto una lezione sulla democrazia greca, la professoressa lancia l’iniziativa: «Ho riflettuto su un progetto che potremmo fare tutti insieme: un concorso. È il concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione. Ogni anno 50.000 studenti partecipano a questo concorso. Mi piacerebbe moltissimo che facessimo questo concorso in maniera collettiva, tutti insieme». Di fronte ai mugugni e alle obiezioni dei ragazzi, la professoressa cerca di motivarli ponendo loro delle domande sulla Shoà per vedere che cosa sanno. Reagisce di fronte alle battute razziste e cerca di mettere in luce l’immane tragedia che si è verificata, ottenendo un po’ di attenzione e di partecipazione. Li invita a fare un piccolo sforzo e a esporre le loro riflessioni sull’argomento. Li tranquillizza: niente voti. E niente religioni né nazionalità, ma solo parlare dei bambini e degli adolescenti nel sistema concentrazionario nazista. Promette di aiutarli. E di fronte all’osservazione: «Sa che rispetto agli altri non siamo all’altezza», risponde: «È proprio buffo. Ho molto più fiducia io in voi che voi nelle vostre capacità, pensate. Sono convinta che abbiate un’enormità di cose da dire su questo argomento». Anne sta mettendo in atto la sua strategia educativa: coinvolgere i ragazzi in un progetto comune e dare loro fiducia. Una musica extradiegetica sottolinea questo momento importante e decisivo. E poco dopo viene mostrata una frase di Léon Blum che campeggia su un muro della scuola: «Ho spesso pensato che la moralità consiste nel coraggio di fare una scelta».
– Durante un consiglio di classe in cui tutti sparano a zero sulla 2^A, Anne va contro corrente e afferma: «Io invece penso che siamo sulla buona strada».
– Al primo incontro per il progetto sono presenti solo Julie e Théo. Ma poi, a sorpresa, arrivano anche tutti gli altri. Con l’aiuto di una collega, Anne si mette al lavoro. Attraverso una serie di domande vengono chiariti alcuni concetti. Partendo dal presupposto che «la storia non bisogna impararla, ma comprenderla», si cerca di capire perché nei campi di internamento i detenuti venivano selezionati («Le donne e i bambini sono i soggetti in grado di perpetuare la vita di un popolo»); si distingue tra massacro di guerra e genocidio («Il genocidio consiste nello sterminio fisico, programmato e sistematico, di un gruppo di persone in ragione delle sue origini»); si chiarisce il significato della parola Shoà, che in ebraico vuol dire “annientamento”. Anne invita i ragazzi a cercare dei documenti, a partire da Il diario di Anna Frank, e poi suggerisce loro un’altra cosa molto importante dal punto di vista pedagogico: lavorare in gruppi, «perché lavorare in un gruppo arricchisce moltissimo; uno fa una ricerca e la unisce a quella degli altri, e alla fine si ha molto più materiale a disposizione per lavorare». Infine li invita a pensare con la propria testa: «In questo concorso è importante la vostra riflessione sul tema, quali sono le vostre reazioni su questo argomento». All’inizio le cose non funzionano perché i ragazzi sembra no fermarsi alle cose esteriori e superficiali. Ciò genera scoraggiamento («Forse non ne siamo capaci»). Ma Anne non demorde e li stimola: «Non ne dovete parlare da alunni. Ne dovete parlare da ragazzini, da adolescenti. Ognuno con la propria differenza e con sincerità.
E questo sì che siete capaci di farlo». Infine nasce anche una certa rivalità tra i gruppi quando si tratta di scegliere l’argomento da approfondire. E allora Anne invita a superare anche i gruppi, tra i quali non c’è scambio di informazioni, e a fare un vero e proprio lavoro collettivo: «Voi non vi parlate, voi non vi ascoltate e quando parlate vi insultate; questo è lavorare in modo collettivo?».
3a parte
Un’esperienza particolarmente significativa è quella della visita al Memoriale della Shoà. I ragazzi guardano attoniti quelle immagini, ascoltano i racconti, leggono i nomi e restano profondamente colpiti. Anche in questo caso la musica interviene a sottolineare l’importanza di questo momento di commozione.
– Ci sono alcuni giorni di vacanza. Ma ormai nei ragazzi è scattata la scintilla della curiosità e dell’interesse per questo argomento. Mélanie, ad esempio, ha l’occasione di sentire in Tv un discorso di Simone Weil e incomincia a documentarsi. Al ritorno a scuola i ragazzi presentano alla professoressa una locandina che potrebbe essere il punto di partenza del documento. Memori dell’insegnamento ricevuto circa le immagini (che non sono innocenti), i ragazzi cercano di “leggere” l’immagine sulla locandina che rappresenta il maresciallo Petain con alcuni bambini. Osservano che il motto della Rivoluzione francese (libertà, fratellanza, uguaglianza) è stato sostituito dalle parole: lavoro, famiglia, patria. E notano che mentre il primo rappresenta «dei diritti, ma anche dei valori francesi», le seconde «sono più cose che si devono fare, dei doveri». Anne non può che gioire di fronte a queste osservazioni che dimostrano la crescita e la maturazione dei giovani.
– Un altro ragazzo ha trovato un disegno dove gli internati vengono rappresentati vestiti e con vari tagli di capelli, anziché essere nudi e rasati. E osserva acutamente: «Secondo me il messaggio del disegnatore è proprio quello di ridare un’identità ai deportati per mostrare che erano unici e che anche loro avevano una loro vita.
Quindi è l’opposto di quello che volevano i nazisti, cioè togliergli l’identità per cercare di banalizzare la loro morte».
– Purtroppo non tutti i problemi sono risolti e Olivier, dopo aver litigato con Malik, abbandona il concorso.
– Ma l’evoluzione dei ragazzi continua. E in questa evoluzione c’è un momento cruciale: l’incontro con un testimone, Léon Zyguel, deportato quando era adolescente e sopravvissuto ai campi di concentramento, che racconta ai ragazzi la sua esperienza della guerra, creando nel film un momento di forte impatto emotivo. I ragazzi si alzano in piedi quando arriva Léon e restano in silenzio ad ascoltare la sua sconvolgente testimonianza. C’è commozione.
Gli fanno delle domande. Léon li invita ad una lotta permanente contro il razzismo e ricorda che in quel periodo ha capito qual era il valore dell’amicizia e della solidarietà. Poi, dopo aver affermato di non essere credente, conclude: «Il nostro ideale è la costruzione di un mondo nuovo nella pace e nella libertà».
– Un giorno i ragazzi, tirando a sorte come si faceva nella democrazia greca, si dividono in due gruppi. Di fronte alle insegnanti stupite, uno di loro spiega: «Un gruppo mette tutti i materiali in ordine e un gruppo ha cominciato a fare le bozze. Poi ci metteremo a scrivere». Malik, che dimostra di essere tra i più sensibili, fa un’affermazione di grande importanza: «Pensiamo che attraverso i libri, i film, i documenti e tutto quello che abbiamo visto è un po’ come se facessimo degli incontri. Quindi attaccheremo al muro i volti di tutti quelli che abbiamo incontrato e che incontreremo». Inoltre nasce l’idea di fare tanti palloncini con i nomi delle persone conosciute «per ringraziarle».
Continua la raccolta di materiali: filmati, testimonianze, letture. Poi i ragazzi incominciano a scrivere. Controllano il materiale e fanno le fotocopie. Al termine del lavoro la professoressa è orgogliosa dei suoi alunni e li loda: «Sono fiera di voi. Qualunque sia l’esito del concorso, abbiamo finito, siamo arrivati in fondo. Voi siete arrivati in fondo. Tutti insieme». Questo lavoro ha cambiato profondamente i ragazzi: ne è un piccolo esempio Malik che cancella una scritta antisemita sulla cassetta della posta di una signora ebrea.
4a parte
Tutta la classe si reca in gita a Bruxelles per consegnare il lavoro. C’è un clima idilliaco: ora tutti sembrano diventati amici. E c’è anche l’idea di comperare una spilla da regalare alla professoressa.
– Un giorno arriva una busta. Contiene l’invito a recarsi all’École Militaire per la premiazione. Con montaggio parallelo le immagini mostrano contemporaneamente i ragazzi che liberano nell’aria i palloncini, il viaggio in pullman e il discorso della premiazione. Qui le immagini sono più narrative e culminano con l’assegnazione del primo premio, con l’esultanza e la gioia da parte di tutti (preside compreso). E proprio la “ribelle” Mélanie recita quel “giuramento di Buchenwald” che aveva imparato da Léon Zyguel e che termina con le parole: «La nostra causa è giusta e la vittoria sarà nostra».
Epilogo
Il film termina con la professoressa Gueguen che si trova di fronte ad un’altra classe alla quale ripete le stesse parole che avevamo sentito all’inizio. E l’ultima immagine è un primo piano dell’insegnante che continua nella sua opera educativa.
Significazione
Protagonisti del film sono tutti gli alunni della classe 2^A del Liceo Léon Blum di Créteil (anche se con peso strutturale diverso) e la loro insegnante, la professoressa Gueguen. Questa, con la sua passione per l’insegnamento e con la sua sapiente pedagogia, riesce a motivare alcuni studenti “disastrati”, dando loro fiducia e coinvolgendoli in un progetto che diventa per loro occasione di arricchimento e di maturazione sul piano umano.
Idea centrale
Una vera educazione, che sappia superare i formalismi e i pregiudizi, riesce a motivare, interessare e far riflettere sulle cose importanti della vita. E riesce così, contro ogni previsione, a far crescere e maturare anche le persone apparentemente più insensibili e refrattarie, rendendole capaci di appropriarsi della propria vita con senso di responsabilità.