N.03
Maggio/Giugno 2016

La dimensione vocazionale della GMG

Quando abbiamo iniziato a pensare il cammino della Gmg, l’abbiamo fatto con un viaggio: era l’estate del 2014 e, semplicemente, siamo partiti per Cracovia. Pensavo fosse necessario prendere contatto con quel mondo per poter iniziare a decidere come far camminare gli altri; così sono partito con le persone con cui lavoro al Servizio Nazionale.
In quei giorni è stato facile per me provare a immedesimarmi con il cammino dei giovani: venivo da un periodo un po’ particolare, quel viaggio era il primo dopo un tempo – diciamo così – di “ritiro intenso”. È stato proprio viaggiando, prendendo contatto con Cracovia, che mi sono reso conto di quanto fosse decisivo uscire da uno schema superficiale di Gmg: quello che offre l’immagine della spianata vista dall’aereo; migliaia di puntini colorati radunati in uno spazio più o meno di campagna. No: la Gmg non può essere un semplice raduno di massa da utilizzare per dire le cose più diverse. Se alla Gmg arrivano milioni di persone, la storia che ciascuno sta vivendo è unica e irripetibile: questo è il vero punto di partenza dell’educatore che accompagna. Si vive l’esperienza per poter, in qualche modo, tornare a casa arricchiti di qualcosa che permette di riprendere in mano il proprio personale cammino di vita quotidiano.
Mentre visitavo la città e i luoghi più significativi (chiese, santuari, Czestochowa e Auschwitz) ripensavo alla mia vita che riprendeva dopo la sosta forzata e insieme provavo a pensare cosa potesse essere questa esperienza per ogni singolo ragazzo e ragazza che sarebbero arrivati dall’Italia nel luglio di due anni dopo. Proprio in quei giorni mi si schiarivano alcune idee che, insieme a chi lavora con me, abbiamo fatto diventare cardini e punti di riferimento di un cammino che mi appariva sempre più necessario aprire e sostenere.
Sono stato “dall’altra parte”: un prete di oratorio che ha portato i suoi ragazzi a vivere Gmg ed esperienze; un prete in diocesi chiamato a organizzare il percorso delle parrocchie. Ne ho sentite di tutti i colori. Quelli che venivano ad accompagnare i giovani, ma non ne avevano voglia o erano insofferenti a qualunque disagio; quelli che stavano a casa e dal trespolo a cui erano aggrappati a dire che “tanto non serve a nulla”; e infine quelli entusiasti perché finalmente non bisognava fare niente: bandiera sulle spalle, cappello azzurro in testa e via cantando…
Ho pensato, in quel famoso luglio, che troppe cose sono successe a chi si è voluto lasciar interrogare e provocare, a chi si è messo in gioco, a chi non ha lasciato che il tempo passasse da solo, ma ha provato a vivere la Gmg come un cammino possibile. Perché non sono mai mancate le persone che facevano le cose per bene e si capiva dai volti dei loro giovani. È stato proprio in quei giorni che mi è nata dentro un’espressione che sintetizza tutto quello che sarà scritto in queste pagine: la dimensione vocazionale della Giornata mondiale della gioventù.

1. Che cosa è una Gmg? Un pellegrinaggio!
A qualcuno può sembrare strano, ma prima di tutto è necessario cercare di capire che cosa è una Gmg: si tende, infatti, a darlo per scontato; e la tipicità dell’esperienza sembra non rendere necessaria nessuna parola in più. Questo poteva valere un po’ di anni fa: tra il 1989 (Santiago de Compostela) e l’Agorà dei giovani di Loreto (2007), gli italiani hanno potuto vivere 9 grandi eventi – in Italia o in Europa – nell’arco di 18 anni; praticamente uno ogni due anni.
Dal 2007 a oggi (in nove anni) un solo grande evento (Madrid, 2011). Oggi molti ragazzi non sanno cosa è una Gmg: segno che le forme pastorali hanno bisogno di essere governate e riempite di senso, rilette e rilanciate, altrimenti non servono a nulla e soprattutto non sono inossidabili.
Questo ragionamento ci rimanda subito a un elemento essenziale: la convocazione. Non si va alla Gmg perché lo si decide, ma prima di tutto perché si è convocati dal Papa attorno alla croce di Gesù. È un carattere, questo, fondamentale che subito ci mette nell’ottica vocazionale: se ha senso nella vita affidarsi a una chiamata (cosa devo fare?) è perché anzitutto ci è dato di vivere, siamo stati chiamati a vivere, non lo abbiamo deciso noi.
Convocati a uscire dal quotidiano, ad andare in un luogo, a camminare insieme agli altri e da soli nello stesso tempo: sono le caratteristiche del pellegrinaggio, quell’andare per “campi” (per-agros) che è uscire dalla città e raggiungere un’altra meta. Ecco: mi pare che la Gmg debba rientrare a pieno titolo nell’esperienza del pellegrinaggio, dobbiamo farla vivere ai giovani come un cammino a cui ci si prepara, un’esperienza che si attraversa e un ritorno alla vita quotidiana. L’apertura di questo spazio/tempo è preziosa se davvero si riescono a creare le condizioni perché il cammino restituisca a ciascuno il senso del vivere quotidiano.
Ci viene facile fare affermazioni nette sulla contemporaneità: i pensieri che la attraversano, la fatica di comprenderla, il bisogno di trovare punti di riferimento. Immaginiamo quanto è difficile trovare se stessi, per i giovani, oggi. Ma non può essere impossibile: questo è il tempo che ci dà il Signore e qui siamo chiamati a vivere. Dunque un pellegrinaggio come la Gmg ha senso se percepiamo il “peso” vocazionale che può avere per ciascuno di loro: mentre si allontanano dalle strade di tutti i giorni, ne percorrono altre a loro sconosciute. Che però – già lo sappiamo – li devono far tornare a casa con la scoperta di qualcosa di importante per se stessi.
Le strade servono per avvicinarsi o per allontanarsi, per cambiare misura, per invertire il punto di vista. Gesù è l’uomo che cammina, che va verso l’altro e tutti gli altri. Anche quando si dirige verso il deserto, quando la strada che intraprende lo allontana dal Giordano, dalla regione abitata, feconda, abbondante (cosa ci vai a fare alla Gmg?), Gesù ci viene incontro. La strada che percorre lo avvicina a un luogo povero e solitario in cui manca, in apparenza, anche ciò che è essenziale. Intraprendere questo pellegrinaggio significa prendere le distanze, allontanarsi un po’ da tutto quello che “riempie” le nostre giornate, per capire di cosa davvero intendiamo vivere. «Non di solo pane vive l’uomo» (Lc 4,4).
Quanto sarebbe importante provare a vivere anche le fatiche fisiche, il fatto di dormire per terra, il cibo che sarà un po’ così, come la possibilità di rivivere l’esperienza di Gesù nel deserto per capire cosa dobbiamo vivere quando torniamo a casa!
Alla categoria di pellegrinaggio, tra l’altro, è tornato anche papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo: «Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi» (Misericordiae Vultus, n. 14).
Questo dà alla Gmg di Cracovia uno scenario specialissimo: è il pellegrinaggio dei giovani del Giubileo della Misericordia. Muoversi dentro questo tempo e questo spazio significa collocarsi in una situazione precisa che, in qualche modo, nessuno deve inventarsi da capo. È un cammino personale dentro il cammino della Chiesa.

2. Accompagnarli nel fare memoria

Abbiamo molto insistito, iniziando più di un anno prima, affinché le diocesi facessero della Gmg un progetto pastorale, aiutando i preti e gli educatori a pensare il cammino. Abbiamo offerto strumenti, chiedendo che ciascuno li adattasse (o anche li rifacesse completamente nuovi) alle proprie situazioni: si accompagnano le persone nelle situazioni in cui si trovano, non ci si adegua a un sistema.
Devo dire che la sensibilità e la creatività in Italia non mancano: molti si sono dati da fare per poter scandire il percorso di avvicinamento al prossimo mese di luglio, cercando di coinvolgere anche quelli che non verranno a Cracovia. Purtroppo si deve registrare anche che qualcuno non si muove in questa direzione: la pigrizia pastorale esiste. Ciò che fa riflettere è il fatto che si tratta di una situazione a “macchia di leopardo”, segno che a qualsiasi latitudine in Italia c’è chi si dà da fare con intelligenza e cuore e chi abbandona le cose al corso degli eventi.  Questa annotazione non vuole assumere il tono del giudizio, ma deve essere fatta perché ci si ricordi che le geremiadi contro i tempi e le situazioni sfavorevoli non valgono; una cosa certa è che dove si lavora con coscienza ci sono (molti) giovani che fanno cammini di vita bellissimi.
Ormai siamo alla vigilia dell’evento: quello che è stato, è stato. Bisogna ora essere attenti a questa fase che è la più visibile, quella degli zaini e delle partenze, dei viaggi e dell’esperienza. Da anni il bagaglio di ciascuno si arricchisce di due elementi: lo zaino consegnato dalla Chiesa che ospita e un piccolo kit per i giovani italiani. Tra le cose presenti per gli italiani, abbiamo pensato di inserire un diario, trasformando un semplice libretto della preghiera (con canti e salmi) in uno strumento per il cammino personale.
Diario deriva da dies, giorno, quotidianità, ritmo del vivere sulla terra scandito dagli astri del cielo… la percezione del tempo durante il pellegrinaggio si fa più acuta e contraddittoria: il tempo è lungo, incredibilmente ampio, abbondante, eppure sfuggente, incalzante, mai abbastanza. Chiediamo ai ragazzi di tenere un diario per aiutarli a contare il tempo per non perderlo, ma nemmeno per sentirsene proprietari. Il tempo è dono, grazia ineffabile, acqua limpida versata nelle mani: un diario serve a farne memoria in ciò che sarà dopo. E questa è un’indicazione preziosa per chi accompagna: il cammino deve essere un esercizio che porta alla capacità di fare memoria.
Memoria, oggi come non mai, è sinonimo di capacità di accumulo (“quanti giga hai?”), ma non è questa la memoria che proponiamo di custodire. È la memoria sapiente che trattiene le cose più importanti e le lega insieme, le infila una ad una come perle preziose. È la memoria di cui Maria continua a essere madre e maestra: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51). La memoria sapiente è questione di intelligenza (il guardare attraverso) e questione di cuore, di affetti, di legami.
Non si tratta di scrivere (e disegnare?) chissà cosa e chissà quanto, ma di cogliere l’essenziale (in particolare quello invisibile agli occhi e ai selfie) e di non perderlo, non lasciarlo confondere in mezzo a tutto il resto. Facendo sì che la memoria che segnerà questo pellegrinaggio sia altresì una memoria condivisa.
La Chiesa è nata (e continua a nascere) proprio dal mettere in comune i gesti e le parole di Gesù. Il ritrovarsi dei discepoli impauriti e increduli dopo la morte di Gesù in croce, il condividere e il pregare, l’accogliere lo Spirito, li ha resi i primi cristiani. Sono diventati i fratelli maggiori di una moltitudine di cui anche noi facciamo parte. La Gmg è ricca di incontri, scambi, prossimità sorprendenti: non bisogna lasciare che queste occasioni di fraternità siano superficiali.
Sia con gli amici con cui si è in pellegrinaggio, sia con chi ci si trova accanto per caso non si deve rinunciare a condividere l’esperienza che si sta facendo e la fede che muove lungo il cammino. Non importa che si abbiano solo dubbi o domande da consegnare all’altro: così è stato anche per i pellegrini di Emmaus…
Tutto questo, evidentemente, a patto che qualcuno lo faccia funzionare: non possiamo pensare che queste cose accadono perché sono scritte sulle pagine di un piccolo sussidio. È necessario che chi accompagna ne sia consapevole, si prepari, soprattutto con la preghiera; e alla fine, passo dopo passo, giorno dopo giorno, sia attento nell’accompagnare e nel sostenere il cammino di ciascuno. Questo se anche i preti condividono la responsabilità: uno non può essere attento alle parole e ai silenzi, agli umori e alla situazione di ciascuno, se è totalmente assorbito dalle questioni logistiche. È un buon esercizio pastorale che preti e religiosi devono mettersi in condizioni di fare, liberandosi di incombenze che possono affidare ad altri. I ragazzi devono essere portati bene a Cracovia, ma ancora migliori devono tornare a casa.

3. La vita spirituale durante l’esperienza
I giorni del raduno mondiale sono carichi di momenti di spiritualità che aiutano a trasformare un viaggio in pellegrinaggio. Non mancano i momenti in cui i giovani si ritrovano a cantare, pregare, gioire, piangere, vibrare di grazia, sperimentare misericordia, accogliere il dono, decidersi per un futuro buono tanto per se stessi quanto per l’umanità intera.
«Il silenzio è il primo spazio del viaggio, spazio per l’altro, per le ipotesi del congiuntivo, luogo del rischio permanente, possibilità di perdersi, rispetto alle sicurezze del rumore di fondo, del brusio del mondo. Il rischio del silenzio predispone all’ascolto e alla comunicazione, apre una nuova dimensione comunicativa ed educativa assieme»1. La preghiera nel pellegrinaggio è movimento di raccoglimento e di apertura allo stesso tempo.

3.1 La lettura quotidiana del Vangelo
È importante approfittare dell’intensità delle celebrazioni liturgiche e di preghiera quotidiana per abituare i giovani a una confidenza con il Vangelo. La lettura quotidiana del Vangelo non è la soluzione immediata a tutti i problemi, non è una forma di divinazione attraverso la quale scoprire il futuro, né un amuleto che scaccia ogni male.
La lettura quotidiana del Vangelo educa a un’intelligenza saggia e fiduciosa, insegna che le parole del Maestro sono semi fecondi che vanno coltivati con cura e che necessitano di terra fertile per crescere. A volte le parole lette appaiono di non facile comprensione: questo significa che c’è bisogno di un aiuto in più per ricomporre il senso a una visione più ampia e più squisitamente evangelica. Perché c’è tanto invisibile da scoprire e leggere tra le righe, c’è tanto silenzio in cui udire la voce di Dio e non solo le sue parole…
Giorno dopo giorno è il ritmo dell’esistenza che nel pellegrinaggio si avverte più chiaro, più scandito, più parlante. L’incedere dei passi si confronta con il battere del cuore e agli occhi si svela la possibilità di contemplare ciò che è attorno. Ogni volto, ogni esperienza, ogni spazio si rivelano come parziale riflesso – ma non per questo meno autentico – dell’Altro e dell’Altrove.
Giorno dopo giorno verrà proposto di scandire i passi e di illuminare lo sguardo attraverso la lettura del Vangelo che la Chiesa medita e annuncia, custodisce e rilegge. È un Vangelo quotidiano, proprio come il pane richiesto nel Padre Nostro: perché «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).
Per questo la cura del contatto fra i giovani e le parole del Vangelo è decisiva affinché al termine della Gmg, pellegrinaggio di cuori in ricerca del Volto della Misericordia, possano restare feriti dalla nostalgia dell’incontro con il Vangelo e sentirsi responsabili della custodia di tanta ricchezza.

3.2 La preghiera dei salmi
I salmi sono le preghiere che condensano la fede ebraica, sono le parole degli uomini che hanno riletto le vicende del popolo eletto come storia di salvezza, luogo della manifestazione dell’Altissimo che porge l’orecchio, che si china sul piccolo e lo salva.
I salmi sono la preghiera di Gesù e dei suoi apostoli. Le parole dei salmi sono parole interiorizzate, fatte memoria e carne, così che in ogni occasione si possa cantare: «Sulla mia bocca sempre la sua lode» (Salmo 34). Le parole dei salmi scandiscono il cammino verso Gerusalemme, fino al Golgota, per celebrare nella fine un nuovo “Inizio”: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Salmo 22).
I salmi sono la preghiera della Chiesa che ogni giorno nel mondo canta la stessa lode, segno tangibile di comunione e di fratellanza. Alcuni salmi vengono affidati anche a ciascun giovane durante la Gmg, perché possa sempre trovare parole che interpretano la sua esperienza aiutandolo a porla dinnanzi al Signore. Un buon esercizio potrà essere (più che di recitare molti salmi) quello di far “riscrivere” un salmo al giorno a ciascun giovane, perché possa sperimentare la possibilità di comprendere come pensieri e sentimenti possono entrare e coinvolgersi nella preghiera.
Viene spontaneo a preti e religiosi mettere subito in mano ai ragazzi la Liturgia delle Ore: certo, è la preghiera della Chiesa. Ma è una preghiera che ha bisogno di un lungo esercizio per essere compresa nella sua forma. Perché non venga a noia troppo in fretta a giovani poco abituati a questo ritmo, sarà importante utilizzarlo un po’ alla volta. Accettando il “fastidio” di pregare con loro e ritagliarsi poi lo spazio per il breviario personale…

4. Le scelte vocazionali
Arrivati in fondo ne dobbiamo parlare. Un tempo così intenso, ricco di spiritualità e di relazioni, di incontri straordinari (con il Papa, con i giovani di tutto il mondo) è un tempo pieno di provocazioni intense, quelle che aiutano a imboccare strade nuove. Molti si sono decisi a seguito di un’esperienza come la Gmg. Volutamente, però, ho lasciato per ultimo questo aspetto. Senza disconoscerne l’importanza, penso che il tema della scelta vocazionale sia una conseguenza di ciò che si è vissuto. Che sarà tanto più provocante, se sarà stato seguito e coltivato.
Per questo gli aspetti di accompagnamento e di cura delle persone vengono prima di tutto. E devono avere il carattere di una grande libertà. Pur sapendo, cioè, che il tempo della Gmg è un tempo fecondo dal punto di vista vocazionale, i giovani vanno accompagnati perché è giusto farlo, perché ne hanno bisogno. Con una grande delicatezza e attenzione. Non è improbabile, infatti, che qualcuno possa percepire impulsi fortemente missionari che però hanno bisogno di essere rielaborati. Il discernimento è un’arte lunga e paziente.
Il tempo che si apre al ritorno è, da questo punto di vista, fondamentale: le molte azioni pastorali che si fanno a favore dei giovani e con loro non peccano mai di generosità. A mancare è spesso la cura certosina di una semina che sa attendere e – nello stesso tempo – coltivare. Perché questo accada è necessario formare anzitutto le sensibilità: i vescovi, i responsabili diocesani, gli educatori che si offrono nel servizio dell’accompagnamento, devono soprattutto far crescere le competenze perché i giovani, attraversando l’esperienza della Gmg, possano incontrare maestri e testimoni di vita spirituale autentica.

Per chiudere
«Un frate di nome Celestino si era fatto eremita ed era andato a vivere nel cuore della metropoli dove massima è la solitudine dei cuori e più forte la tentazione di Dio. Perché meravigliosa è la forza dei deserti d’Oriente fatti di pietre, di sabbia e di sole, dove anche l’uomo più gretto capisce la propria pochezza di fronte alla vastità del creato e agli abissi dell’eternità, ma ancora più potente è il deserto delle città fatto di moltitudini, di strepiti, di ruote di asfalto, di luci elettriche, e di orologi che vanno tutti insieme e pronunciano tutti nello stesso istante la medesima condanna» (Dino Buzzati).
Le parole di Buzzati ci aiutano a trovare una conclusione: «Ancora più potente è il deserto delle città». I giovani usciranno dal loro quotidiano per rientrarvi e scoprire che ciascuno è responsabile di sé, chiamato a camminare accanto agli altri, costretto talvolta da ritmi di cui non può decidere, non può però rinunciare a esserci e a decidere tutto il possibile per il bene di sé e del mondo che lo circonda.
Questo è l’aspetto vocazionale della vita e del pellegrinaggio di una Gmg. Se riusciremo ad accompagnare i ragazzi in questo percorso, si apriranno per loro spazi di meraviglia e stupore: li aiuteremo a sapersi accorgere che Dio è in mezzo a noi, che è all’opera ogni giorno, che ci parla con un sorriso, con il volto di una persona cara, con un gesto di amore gratuito. Meravigliarsi vuol dire, come Maria di Nazaret, rallegrarsi per le meraviglie che il Signore non cessa di compiere anche tramite noi, suoi poveri e semplici discepoli. È lo stupore di chi sa vedere le cose con l’occhio di Dio, il Dio delle meraviglie.

NOTE
1 G. Fiorentino, Il valore del silenzio, Meltemi Editore, Roma 2003