N.03
Maggio/Giugno 2016

Vangelo di Matteo: beatitudine e misericordia

Dopo aver focalizzato il “volto misericordioso” di Gesù nella sua missione1, ci proponiamo di approfondire la relazione tra “beatitudine” e “misericordia”, aspetto peculiare dell’insegnamento del Signore nel racconto matteano. La misericordia è inserita nella pagina delle «beatitudini» (Mt 5,7) e costituisce uno degli aspetti costitutivi dello stile missionario di Gesù, evidenziato nella preghiera (6,12.14), nella predicazione (Os 6,6; cf Mt 9,13; 12,7), testimoniato nell’accoglienza dei poveri e dei bisognosi2, richiamato davanti ai farisei (23,23) e raccomandato all’intera comunità ecclesiale (18,35)3. Con la “beatitudine della misericordia” si apre il primo discorso di Gesù (Mt 5,1-12) e con le “opere di misericordia” si chiude l’ultimo discorso (cf Mt 25,31-46) prima del racconto della passione (cf Mt 26,2-7). Rivolgendosi ai giovani in occasione della XXXI Giornata mondiale della Gioventù, papa Francesco afferma:
«A me piace sempre associare le Beatitudini evangeliche al capitolo 25 di Matteo, quando Gesù ci presenta le opere di misericordia e dice che in base ad esse saremo giudicati. Vi invito perciò a riscoprire le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Come vedete, la misericordia non è “buonismo”, né mero sentimentalismo. Qui c’è la verifica dell’autenticità del nostro essere discepoli di Gesù, della nostra credibilità in quanto cristiani nel mondo di oggi»4.

1. Beatitudine, annuncio di felicità
Con il termine “beatitudine” (la formula aggettivale “beato/i”) nella tradizione biblica s’intende definire la condizione di “gioia piena”, di felicità profonda, di compimento autentico della persona benedetta da Dio. Tale stato di vita non dipende da una passeggera condizione emotiva, né dall’esercizio di una virtù o qualità morale, ma dall’azione spirituale di Dio, che si manifesta nel Vangelo mediante Gesù e la sua missione. È stato fatto notare come la “beatitudine” proposta da Gesù oltrepassa la comune idea di felicità e di benessere, che è alla base del pensiero pratico o speculativo di dominio comune. Ogni credente deve poter interpretare la vita “beata” nell’ottica della sequela del Figlio di Dio e non nella logica della convenienza, del benessere e della capacità di controllo e di governo della storia. Due serie unitarie di “beatitudini” sono riportate solo in Matteo e Luca. La versione matteana (Mt 5,1-12) apre il «discorso del monte» rivolto alle folle (cf Mt 5-7), mentre quella lucana, più breve (Lc 6,20-23), è inquadrata nel «discorso della pianura» e indirizzata al gruppo dei discepoli (cf Lc 6,12-16). Considerando la disposizione letteraria delle “beatitudini” (Mt 5,1-12; Lc 6,20-23), la formulazione di ogni detto biblico si compone solitamente di due parti: nella prima si trova la beatitudine e nella seconda parte vi è l’affermazione che indica il motivo (o la conseguenza) dell’essere beato. Gli autori hanno individuato l’origine della beatitudine in relazione a due generi letterari: la beatitudine collocata nel presente concerne la prosperità/felicità terrena con riferimento al genere sapienziale, mentre la beatitudine proiettata nel futuro attiene ad un genere profetico-apocalittico, che fonda la promessa di felicità nella salvezza escatologica. Il messaggio delle beatitudini contiene in sé sia la prospettiva di una felicità nel “presente”, sia l’attesa di un compimento nel “futuro”5.

2. Riuscire
Così esordisce il racconto matteano: «Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,1-3). Sulla montagna, dichiarando «beati» gli uomini, il Signore conferma la felicità a cui ha diritto ogni persona che viene al mondo, in qualunque condizione essa si trovi. Alla proclamazione della felicità segue la motivazione («perché»), contestualizzata nelle diverse situazioni esistenziali. Esse rientrano tutte all’interno di una logica di negatività o di morte. I poveri sono resi tali dall’egoismo umano e non hanno di che sopravvivere. Chi soffre la «fame e la sete di giustizia» sta lottando in un ambiente in cui manca la giustizia. Coloro che esercitano la misericordia sono forse stati vittime di torti e offese. I miti sono quelli che non ricorrono alla logica della vendetta in un ambiente segnato da violenza e da “sopraffazione”, così come i «puri di cuore» rifiutano ogni forma di corruzione, cercando di restare integri. Il ritmo martellante dell’aggettivo «beati», che inaugura ogni affermazione del discorso del Signore, serve a dimostrare che è possibile “riuscire nella vita” se si oltrepassa la “logica” del mondo. Dalla venuta di Cristo in poi, coloro che si pongono con fede in ascolto della Parola di Dio sono in grado di comprendere che è possibile trasformare la prosa mediocre del quotidiano in una poesia che schiude la gioia indefinibile di ogni essere vivente. La vita come dono di felicità presente e futura è il tema dominante su cui s’intrecciano le variazioni di questa sublime consegna evangelica.

3. Poveri e misericordiosi
Nel corso della sua missione Gesù promette che un giorno la situazione dei poveri sarà capovolta ed essi troveranno felicità al posto della sofferenza. In Matteo la beatitudine della «povertà in spirito» si accompagna a disposizioni soggettive richieste ai credenti, a partire da un fondamentale atto di fiducia: abbandonarsi alla volontà del Padre e attendersi tutto da Lui. In questo consiste la povertà in spirito e per tale ragione la prima beatitudine («beati i poveri in spirito») va intesa come condizione interiore necessaria per vivere l’intero messaggio evangelico. Considerando la successione tematica delle otto “beatitudini” matteane e la ripetizione strutturale deltermine «giustizia» (Mt 5,6.10), alcuni autori vi hanno letto un’analogia con le due tavole del decalogo mosaico, che iniziano rispettivamente con «la povertà in spirito» (vv. 3-6) e la «misericordia» (vv. 7-10)6. Visualizziamo lo sviluppo nell’articolazione bipartita:


Mentre le prime quattro beatitudini sono incentrate sulla “povertà evangelica”, propria delle persone miti e umili, che desiderano ardentemente la giustizia del Regno e piangono perché sopraffatte dai potenti della terra, degli empi, dei gaudenti e degli arroganti (5,3-6), le altre quattro beatitudini riassumono il senso della «misericordia», categoria applicata all’agire divino, che è anzitutto integrità di cuore (condizione interiore) e si declina nell’impegno per costruire la pace, accettando le persecuzioni a causa del Vangelo7. La successione dei temi che caratterizza il discorso di Gesù descrive un processo di liberazione, a partire dalla fondamentale e ineludibile realtà della sofferenza: «Beati coloro che sono nel pianto perché saranno consolati» (Mt 5,4). L’afflizione è comune esperienza dell’essere umano e Gesù-messia è venuto a confortare e consolare tutti gli afflitti (cf Is 61,2). Non sarà possibile alcuna trasformazione umana se non sarà assicurato il rispetto della dignità dei più deboli e sofferenti. Segue la beatitudine della mitezza: «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra» (Mt 5,5; cf Sal 37,11). In essa si profila il modello ideale delle relazioni umane fondate sulla capacità di accogliere il prossimo e di saper valorizzare la positività che è in ciascun ogni uomo8. L’esigenza primaria di bramare e fare la “giustizia” tematizza la successiva beatitudine. Il termine «giustizia» (vv. 6.10) assume un ruolo importante nel discorso della montagna (cf Mt 5,20; 6,1.33) in quanto comporta una doppia interpretazione: vivere rapporti giusti e soprattutto aderire al progetto di Dio, il solo che rende giusti gli uomini.

4. Rallegrarsi nella logica della tenerezza
Insieme alla “povertà in spirito”, il cuore pulsante del discorso delle Beatitudini è la “misericordia”. Raramente nella Bibbia questa virtù è attribuita a una persona umana, perché è una qualificazione propria di Yhwh. Dio solo è sorgente di perdono, ha «viscere di misericordia» (eb. rehem – utero) ed è in grado di soccorrere i miseri e di rimettere i peccati9. Nondimeno la nostra beatitudine presenta la dinamica della misericordia come un processo generativo del credente, che porta alla felicità e all’interiorizzazione dell’amore di Dio. La misericordia del Padre è la condizione per vivere la profezia del perdono tra gli uomini (cf Mt 6,12). Il «cuore puro» (Mt 5,8, cf Sal 25,4-6) è il tema della beatitudine che segue, collegata con il motivo escatologico del “vedere Dio”. La persona che esprime la solarità e la trasparenza, in tutta onesta e integrità, diventa “testimonianza” credibile della presenza di Dio nel mondo. Il punto di arrivo del discorso di Gesù è la «pace» (shalôm). Nella tradizione anticotestamentaria l’idea della “pace” indica la salvezza dell’era messianica e il godimento di tutti i doni di Dio. Nelle Beatitudini evangeliche gli «operatori (letteralmente: gli «artigiani») di pace» (Mt 5,9) sono i credenti che pazientemente edificano e promuovono l’integrale dignità della persona umana, mediante uno stile di accoglienza e di riconciliazione.
Non bisogna turbarsi per le parole che concludono la pagina delle Beatitudini: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,10-12). Proprio perché questo «discorso» è profondamente realistico e non prospetta illusioni, ideologia o miti, i credenti sperimentano concretamente, nella loro debolezza, questa dialettica contraddittoria della persecuzione e della gioia. In tal modo le Beatitudini anticipano e insieme proclamano al mondo intero la «bella testimonianza di Cristo» (cf 1Tm 6,13) e della Chiesa. Essa è «beata», perché «inondata dal sangue dei martiri» (cf Ap 17,6) che dagli esordi della predicazione cristiana continua a gridare le beatitudini fino ai nostri giorni.

5. Dalla beatitudine alle “opere di misericordia”
La testimonianza della beatitudine della misericordia si concretizza nelle “opere di misericordia” descritte in Mt 25,31-4610. La sottolineatura della “prassi misericordiosa” è una peculiarità dell’insegnamento matteano e della sua traduzione teologica e contestuale. La declinazione delle “opere di misericordia” si presenta come una sintesi concreta dello stile evangelico che la comunità e ogni singolo credente sono chiamati a realizzare. Nella solenne scena del “giudizio universale”, si offre un’immagine esemplare del compimento del tempo, della ricompensa dei “benedetti” e della condanna dei “maledetti”. Il lettore non può non cogliere il rapporto tra «beatitudine» e «benedizione» che collega il primo discorso di Gesù con l’ultimo, che culmina nel giudizio definitivo. La condizione di sofferenza dei credenti descritta nelle beatitudini e parallela alla situazione dei poveri nei quali si cela la presenza stessa di Cristo. Nelle Beatitudini il Signore invita i credenti a guardare alla propria condizione di sofferenza che sarà trasformata in felicità. Nel giudizio universale il re-pastore, il Figlio di Dio, invita a riconoscere nel «fratello più piccolo» il destinatario della misericordia divina. Tale giudizio ha come discriminante la “misericordia” e costituisce la“chiave ermeneutica” per comprendere il senso della felicità annunciata fin dal primo discorso delle “beatitudini”11.
L’articolazione del brano è abbastanza chiara nella sua simmetria: vv. 31-33: venuta gloriosa del Figlio dell’uomo con la convocazione e separazione delle nazioni, attività equiparata a quella del pastore; vv. 34-40: primo dialogo con i benedetti; vv. 41-45: secondo dialogo con i maledetti; v. 46: conclusione: esecuzione del giudizio. Il doppio dialogo “drammatizzato” (vv. 34-45) è costruito parallelamente, ma allo stesso tempo antiteticamente con una forte funzione didattica e parenetica. A una sentenza positiva se ne contrappone parallelamente una negativa e la domanda esplicativa dei benedetti/ maledetti ha la finalità di coscientizzare gli interlocutori (e i lettori), circa il criterio in base al quale Dio giudicherà l’intera umanità. Colui che apre e chiude il dialogo è sempre Gesù (vv. 34.41.45). L’intervento dei «benedetti» (vv. 37-39) come anche quello dei «maledetti» (v. 44) consiste in una domanda di chiarificazione, mediante la quale essi compiono un «cammino di comprensione» della storia e della misericordia divina. Tale comprensione (illuminazione) consiste nel «vedere» (discernere) e nel provvedere alla condizione storica dell’«affamato, assetato, straniero, nudo, malato e carcerato» mediante l’amore solidale. Le sei situazioni di disagio toccano tre ambiti dell’esistenza umana: l’alimentazione (mancanza di cibo e di acqua), l’inserimento sociale (patria, e il vestito) e la libertà (malattia, carcere). Si tratta di aspetti primari che definiscono la dignità universale e il diritto di ogni “persona umana” a realizzare una vita degna di essere vissuta. La “beatitudine della misericordia” si compie nella “benedizione” su coloro che si aprono alle opere di misericordia verso l’intera umanità, in tutta la sua contingenza e fragilità. Lo schema concettuale del percorso matteano è centrato sulla identificazione di Gesù nel «fratello» piccolo, nel bisognoso.

La straordinaria novità è costituita proprio dall’espressione: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (v. 40). La parola «fratello» (adelphós) preceduta dal possessivo «mio» sottolinea non solo la relazione orizzontale della fraternità secondo il modello ecclesiale e sociale, ma indica la relazione «verticale» sussistente tra il Cristo glorioso e il gruppo delle persone definite «fratelli» (cf Mt 12,46-50; 28,10). Nel contesto matteano i «fratelli più piccoli» non vano identificati solo con i «missionari-predicatori» o con i poveri della comunità ecclesiale, ma vanno intesi in senso generale come tutti coloro che vivono situazioni di disagio e di bisogno. Ponendosi nella concretezza della povertà umana, il Signore chiede ai credenti di riscoprire nei bisognosi la sua stessa “presenza”, bisognosa di amore, di misericordia e di solidarietà fraterna12. Tale presenza è definita come «fraternità» e confermata dall’assicurazione finale del Risorto nell’atto dell’invio missionario della Chiesa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (28,20). In tal modo la risposta vocazionale della beatitudine della misericordia culmina nella “benedizione” centrata sul riconoscimento di Cristo, «servito» attraverso le opere di misericordia.

Conclusione
Dalle indicazioni emerse dall’analisi si può affermare che la “beatitudine della misericordia” costituisce per ogni uomo un programma di vita cristiana e di testimonianza. Attratti dalla Parola di Gesù, i discepoli seguono i suoi insegnamenti comprendendo progressivamente che la “misericordia” è il centro dell’amore trinitario. Questo processo di maturazione implica la dinamica dell’accoglienza e della disponibilità, che è la condizione di un “cuore povero”. Il cammino vocazionale della misericordia nel Vangelo matteano si traduce in fraternità, in solidarietà e in responsabilità per l’altro. In questa luce risuona ancora più chiara l’esortazione di papa Francesco: «Ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in questo Anno Santo. Come si nota, la misericordia nella Sacra Scrittura è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore, d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri»13.

 

NOTE

1 Cf G. De Virgilio, Gesù Cristo, volto della misericordia, in «Vocazioni» 1 (2016), pp. 4-12.

2 Misericordia come “solidarietà” verso i poveri: cf Mt 9,27; 15,22; 17,15; 20,30.31 (cf S. Grasso, Il Vangelo di Matteo. Commento esegetico e teologico, Città Nuova, Roma 2014, p. 149).

3 Cf S.A. Panimolle, «Bati…! Guai…!» (Lc 6,20ss), in «Parola Spirito e Vita» 1 (1990), pp. 117-151; S. Grasso, Gesù e i suoi fratelli. Contributo allo studio della cristologia e dell’antropologia

nel Vangelo di Matteo (SRB 29), Dehoniane, Bologna 1993, pp. 81-141; Idem, Ero nudo e mi avete vestito (Mt 25,36), in «Parola Spirito e Vita» 2 (2009), pp. 127-140.

4 Francesco, Messaggio per la XXXI Giornata mondiale della Gioventù 2016: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7), (15 agosto 2015).

5 Cf E. Salvatore, Beatitudine, in Dizionario Biblico della Vocazione, a cura di G. De Virgilio, Rogate, Roma 2007, pp. 79-83.

6 Cf S. Grasso, Il Vangelo di Matteo, op. cit., pp. 139-140.

7 Cf Panimolle, «Bati…! Guai…!» (Lc 6,20ss), op. cit., p. 124; S. Grasso, Il Vangelo di Matteo, op. cit., p. 140.

8 Nella traduzione greca del Sal 37,11 i «miti» sono associati ai «poveri in spirito» (‘anāwîm). Questo dato esplicita il messaggio della beatitudine: la condizione dell’essere «povero in spirito» si traduce in relazioni costruttive ispirate al rispetto e all’amore verso l’altro (“mitezza”).

9 Per l’approfondimento del tema, cf C. Rocchetta – R. Manes, La tenerezza grembo di Dio Amore. Saggio di teologia biblica, Dehoniane, Bologna 2015.

10 Cf G. Crocetti, «Misericordioso come il Padre». Le opere di misericordia corporale e spirituale alla luce della Bibbia, Centro Eucaristico, Milano 2015.

11 Cf S. Grasso, Gesù e i suoi fratelli, op. cit., pp. 125-138; M. Gorgues, Le parabole di Gesù in Marco e Matteo. Dalla sorgente alla foce, Elledici, Torino 2002, pp. 220-224.

12 Lo stesso motivo teologico ritorna nella tradizione anticotestamentaria: cf Gb 34,28; 36,6; Sal 22,25; 35,10; 74,19; Is 3,15; 10,2; 14,32; 29,19; 41,17; 49,13; 61,1; Ger 20,13.

13 Francesco, Misericordiae Vultus. Bolla d’indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia (15 aprile 2015), 9.