Prendersi cura dei più deboli
Abusi sessuali e fisici, maltrattamenti, adescamenti online, cyber-dipendenze, ludopatie, problemi nelle relazioni familiari, malattie. Sono soltanto alcune situazioni di sofferenza al centro dell’attività pastorale dell’Ufficio per le fragilità inaugurato da pochi mesi dalla diocesi di Noto. Prima esperienza del genere nel panorama della Chiesa italiana, la struttura intende rafforzare l’impegno per la protezione dei minori contro ogni forma di abuso e rendere operativa l’accoglienza delle fragilità umane, attraverso un percorso di accompagnamento delle persone vulnerabili. Promotore dell’iniziativa è il vescovo Antonio Staglianò, alla luce del Motu proprio di Papa Francesco Come una madre amorevole che invita i vescovi a «impiegare una particolare diligenza nel proteggere coloro che sono i più deboli tra le persone loro affidate». Benché il documento si concentri soprattutto sul dramma della pedofilia, spiega Mons. Staglianò, «richiama la responsabilità oggettiva che i vescovi hanno nei confronti della Chiesa particolare e, in alcuni passaggi, allarga l’orizzonte alle tante situazioni di fragilità. Un vescovo, infatti, deve mettere tutta la diocesi nella condizione di essere accogliente e deve avere a cuore le ferite di qualunque uomo bisognoso bussi alla porta».
«Anche se con la dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti» (EG 86).
L’Ufficio offre assistenza spirituale e professionale per affrontare le problematiche che sono poste all’attenzione degli operatori, adoperandosi per orientare le persone verso strutture e competenze appropriate. Per facilitare il contatto è stato anche attivato l’indirizzo e-mail ufficiofragilita@diocesinoto.it e, soprattutto, non è stata prevista alcuna collocazione fisica all’interno della Curia: «L’organizzazione deve essere leggera. Vogliamo lavorare lasciandoci interpellare dalle emergenze. Non c’è un progetto con tappe scandite – precisa il vescovo –, ma la concretizzazione di uno sguardo di misericordia e di paternità. Dobbiamo abituarci a un metodo nuovo di relazione». In questo senso, l’Ufficio è più un esploratore della misericordia che una sentinella: «La sentinella, infatti, sviluppa un movimento centripeto. Noi invece vogliamo andare in campo aperto. Non c’è una stanza perché non serve: la nostra missione è andare laddove c’è bisogno». Tra le finalità della struttura ci sono anche la promozione di opportune iniziative per l’aggiornamento del clero e dei laici in merito alla pastorale della fragilità; la diffusione di informazione e l’avvio di percorsi di prevenzione e di pastorale di prossimità nei vicariati e nelle parrocchie; la cura a livello diocesano della Giornata dei bambini vittime e di altre iniziative simili; il sostegno della ricerca scientifica e pastorale in materia, curandone la pubblicazione affinché si favorisca la divulgazione e l’acquisizione di conoscenze.
«È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente» (EG 210).
Non sono poche le situazioni di difficoltà vissute sul territorio. La diocesi di Noto, che si estende su due provincie e conta 98 parrocchie, ha una popolazione di oltre 220mila abitanti per la quasi totalità battezzati. A soffrire per la crisi economica sono sempre più famiglie, che in questo lembo meridionale della Sicilia vivono principalmente di agricoltura. «Chi produce il pomodorino è a terra, soprattutto per i prezzi imposti dalla grande distribuzione. Stesso discorso vale per il latte. Le famiglie che hanno vissuto un certo benessere in tempi anche recenti – racconta monsignor Staglianò –, adesso soffrono la depressione economica. Da anni abbiamo attiva la mensa San Corrado per i poveri a Noto, dove ogni giorno forniamo un pasto caldo a chi lo domanda. Prima era frequentata da poche persone, adesso sempre più famiglie cercano un aiuto e grazie ai volontari prepariamo tanti pacchi alimentari da consegnare. Neanche più la vergogna, che prima si diceva essere un freno a quanti avrebbero voluto chiedere del cibo, adesso è sufficiente. La condizione economica si è deteriorata drammaticamente». La mensa, nelle intenzioni del vescovo, dovrebbe esistere perché nessuno ci debba andare a mangiare: «Vogliamo creare le condizioni perché non si abbia bisogno di un vitto. È una questione che interessa la carità cristiana, ma anche la politica. Dialogo continuamente con il sindaco perché Noto non si può permettere il lusso di avere così tanti poveri degradati, che senza un pasto caldo morirebbero di fame.
Siamo nel ventunesimo secolo, nella città del barocco netino, dove splende la grandiosa cattedrale che, dopo la ricostruzione, contribuisce ad attirare i turisti». Ogni giorno alla porta del vescovo bussano tante persone che chiedono sostegno: dalla ricerca di un lavoro alla bolletta da pagare, dalle emergenze sanitarie agli sfratti dalla propria abitazione: «La crisi economica sta affamando il popolo cristiano e le fragilità si moltiplicano. La Chiesa deve essere in uscita anche su questo fronte. Dialogare con le amministrazioni pubbliche per intervenire sulle condizioni di povertà a livello sistematico. La carità va pensata, altrimenti scade nell’elemosina. E l’elemosina coprirà anche una moltitudine di peccati, ma non è la carità cristiana.
Il nostro cattolicesimo convenzionale, sempre meno cristiano, purtroppo confonde i termini».
«Tutti noi cristiani siamo chiamati a prenderci cura dei più fragili della Terra» (EG 209).
A guidare l’Ufficio per le fragilità è stato chiamato don Fortunato Di Noto, vicario foraneo di Avola e parroco, che vanta una lunga esperienza nella difesa dell’infanzia e nella prevenzione degli abusi come fondatore di Meter onlus. «Non siamo e non vogliamo essere un ufficio investigativo o giustizialista», ci tiene subito a precisare: «Il nostro è un compito pastorale. L’équipe è composta da persone con profonda sensibilità umana ed evangelica. Avvocati, psicologi, psichiatri, assistenti sociali e professionisti che hanno senso della misericordia e dell’accoglienza». Un’antica tradizione giapponese vuole che, quando un oggetto in ceramica si rompe, lo si ripari con l’oro perché si è convinti che un vaso frantumato possa diventare ancora più bello di quanto già non lo fosse in origine. La tecnica di riparazione, che prende il nome di Kintsugi, consiste nell’incollare i frammenti dell’oggetto con una lacca giallo-rossastra naturale e nello spolverare le crepe con polvere d’oro. «Il risultato è strabiliante – commenta don Fortunato – chi si rivolge a noi è fragile e rotto. Ma la persona è una preziosità e noi dobbiamo dare il meglio per farla tornare a splendere più di prima». L’Ufficio è composto in prevalenza da laici perché, spiega il direttore, «i preti devono fare i preti». La prevenzione e la gestione delle segnalazioni di abusi non è la prima competenza della struttura:
«Quando si sente di una diocesi che crea un Ufficio per le fragilità, il primo pensiero è: “Ecco, ci sono i preti pedofili”. In effetti, nessuno tiene in conto le fragilità dei sacerdoti, che non riguardano soltanto la sessualità. Ormai pensiamo che la Chiesa sia una multinazionale di pedofili. Ma noi dobbiamo dare attenzione anche alle fragilità di sacerdoti, diaconi e suore. L’Ufficio vuole orientare verso la guarigione. Non è un lavoro terapeutico in senso stretto, ma di accompagnamento. Se poi qualcuno si rivolge a noi per un problema di abusi sessuali, lo accogliamo e lo ascoltiamo. La nostra porta è sempre aperta. Siamo Chiesa in uscita, per la strada e su internet. Non abbiamo mura in cui rinchiuderci». In caso di segnalazione di abusi da parte di membri del clero, l’Ufficio avvia la procedura secondo le normative vigenti per dare seguito al contatto: «Non ci tireremo indietro, anzi. Un vescovo non può fare tutto. Non può avere le capacità di affrontare certe problematiche. L’Ufficio aiuterà il vescovo, che non può essere negligente».
«Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio?» (EG 211).
Rispetto al fenomeno mafioso, osserva il vescovo Staglianò, «la nostra diocesi è tutto sommato fortunata». «Esistono collegamenti con i grossi centri della mafia catanese e palermitana, ma questa terra è denominata la provincia “babba”. Certo non possiamo nascondere che alcune problematiche siano ancora radicate. Penso al tema dell’usura, rispetto al quale siamo intervenuti d’intesa con la Fondazione di Palermo per avere una garanzia. Facciamo tutto quello che possiamo». Don Di Noto parla di una diocesi serena, «assai piccola in confronto a Milano», che però è segnata da ferite profonde: «Le fragilità degli adolescenti, lo scivolamento di qualche sacerdote, la solitudine delle persone. Alcuni piccoli centri hanno ancora il problema del pizzo e noi siamo chiamati a farci carico di queste situazioni. Per non parlare della ludopatia, così diffusa in questa zona. Il servizio è per il territorio, per la Chiesa locale». Abituato ad andare a dormire ogni notte alle 3 e a svegliarsi alle 6, il direttore parla di sé come di «un uomo abituato a lavorare». «Ricordo il giorno dopo la mia ordinazione. Venne una vecchietta, mi baciò le mani e mi disse in siciliano: “Padre, vedi che da oggi sei carne venduta”. In effetti è vero – conclude don Di Noto –: carne venduta, mangiata, a disposizione degli altri. Anch’io sono un uomo ferito, con le mie fragilità. Ma amo la Chiesa perché è mia madre. E i suoi figli hanno bisogno di punti di riferimento, oggi più che mai».