Ricerca di senso e di scelte nei giovani oggi
La questione del senso, che attraversa la coscienza di ogni persona pensosa, è resa particolarmente dura e complessa in un contesto come l’attuale che dà ai giovani la percezione di essere spiazzati e soli. È il modo di dare senso alle cose, alla vita, agli impegni, che influisce in maniera decisiva sulle scelte che ciascuno compie ogni giorno, a maggior ragione su quelle decisioni che danno un’impronta all’esistenza e definiscono l’identità personale.
1. Scegliere e decidersi
Nel grande supermercato di idee, opportunità, possibilità offerte oggi ai giovani, scegliere è, paradossalmente, più difficile; eppure, da certi punti di vista, le decisioni, soprattutto quelle importanti, sono più reali. Ieri, il figlio del contadino non aveva molte possibilità di scelta: quasi certamente avrebbe fatto il contadino. E così per il figlio dell’operaio, del farmacista, dell’insegnante… Anche l’appartenenza politica era spesso legata all’influenza familiare e al suo orientamento ideologico, in un quadro di scelte che non era poi così ampio. Dal punto di vista religioso, era quasi automatico fare ciò che facevano tutti: l’essere cristiani era legato per molti all’ambiente, alle sue tradizioni e alla pressione sociale che in esso veniva esercitata. Oggi il quadro è completamente mutato: il plurale è la cifra che caratterizza questa società globale e la cultura di questo mondo è articolata, varia, complessa. In tale contesto, le scelte non si compiono per automatismo e sono realmente tali, ma sono più difficili e rischiose: richiedono maggiore consapevolezza e comportano maggiore fatica.
Più opportunità non significa automaticamente più libertà; senza un percorso che educhi a scegliere e a costruire attraverso le decisioni assunte la propria identità – con la sue caratteristiche, la sua originalità e i suoi confini – le maggiori opportunità di oggi finiscono con il costituire un problema e non una risorsa.
Il concreto esercizio della libertà necessita di conoscenza, di discernimento, di disponibilità a lasciarsi affascinare, di capacità di sacrificare qualche cosa perché se ne è fatta propria un’altra: un processo complesso, che merita di essere guardato più da vicino.
Ogni scelta necessita di conoscenza: non posso aderire a ciò che non conosco e tanto meno legare ad esso la mia vita, in modo che da questa scelta prenda forma. È un aspetto intuitivo, ma sul quale non si riflette a sufficienza: la conoscenza delle possibilità in campo è necessaria perché si decida con consapevolezza. E poi la conoscenza deve essere possibilmente calda, capace di affascinare: i discepoli hanno scelto di seguire Gesù perché nell’incontro con lui hanno sperimentato qualcosa che li ha attratti, che ha suscitato in loro il desiderio di capire di più, con quella comprensione che avviene per esperienza, per contatto, per sintonia. E già la conoscenza sfuma nella fase successiva della decisione: quella del discernimento, che è approfondimento, valutazione, capire quanto ciò che si sta conoscendo e sperimentando ci interessa, fa per noi, è adeguato ai nostri desideri e alle nostre possibilità, corrisponde alle nostre attese e ai nostri sogni. La valutazione diventa messa a confronto con ciò che passa dentro di noi, con la nostra interiorità e i suoi contenuti.
Nel dinamismo della scelta è determinante la motivazione: si compie una scelta perché è necessaria oppure perché vi è un ideale, un valore, un elemento che in essa attrae. È la logica evangelica del contadino che ha trovato un tesoro e pertanto vende il campo; lo fa con l’atteggiamento gioioso di chi ha fatto un guadagno e non con il rammarico di chi si è privato di qualcosa. Il contadino sa che non si può avere tutto, il tesoro e il campo, e sacrifica il campo per avere ben più di esso. Ha imparato che la logica umana è quella che conosce il limite, che sa fare i conti con i confini che chiudono, ma delimitano; tolgono ciò che è oltre, ma danno identità. Si tratta di un dinamismo molto difficile da vivere per le persone del nostro tempo e particolarmente per la generazione giovanile, che a fare i conti con il limite non è mai stata costretta e dunque non ha imparato ciò che si acquisisce a questa “scuola”: che non ci si può sposare e vivere da single; fare l’ingegnere e l’operaio; il frate e il marito…
Questi complessi dinamismi, abbastanza facili da raccontare a tavolino, sono estremamente difficili da vivere: essi comportano il rischio della libertà, che è talvolta dramma, quasi sempre fatica; richiedono la capacità di portare l’inquietudine di ragioni non sempre chiare; la fiducia nel futuro, negli altri e in se stessi; la disponibilità ad affidarsi e a chiudere dietro di sé porte che non potranno mai più riaprirsi.
2. La questione del senso
Per scegliere occorre avere delle ragioni. Quelle che riguardano le decisioni di fondo della vita normalmente sono sostenute da un senso: la vera domanda di fondo è come dare senso alla propria vita; in base alla risposta, si cercano strade concrete che siano coerenti.
La questione del senso della vita si gioca su questo orizzonte esistenziale, in un contesto sociale in cui la paura prevale sull’entusiasmo, la disillusione sulla fiducia, la solitudine sulla fraternità e il disorientamento sulla chiarezza.
La questione del senso della vita, che mette in gioco tutto di sé, si pone oggi con modalità differenti rispetto al passato; del resto ogni interrogativo e ogni tappa della crescita hanno un andamento originale, in un contesto inedito. Ce lo ricorda anche il documento preparatorio al Sinodo: «Chi è giovane oggi vive la propria condizione in un mondo diverso dalla generazione dei propri genitori e dei propri educatori. Non solo il sistema di vincoli e opportunità cambia con le trasformazioni economiche e sociali, ma mutano, sottotraccia, anche desideri, bisogni, sensibilità, modo di relazionarsi con gli altri» (Doc. Prep. Sinodo, 2).
I giovani percepiscono la precarietà della loro condizione e hanno una consapevolezza lucida della difficoltà di orientarsi nell’attuale contesto. Lo si può ben comprendere se ci si mette al loro ascolto, come è stato fatto da parte dell’Istituto Toniolo nella sua indagine sulla condizione giovanile1.
Ho scelto di affrontare questo tema lasciando parlare i giovani: nessuno meglio di loro sa dire come sta affrontando la questione del senso della propria vita.
I giovani si rappresentano disorientati, disillusi, confusi. Le mille possibilità che offre loro la civiltà dei consumi e del benessere sono percepite come attrazioni che destabilizzano e disorientano. I giovani soprattutto sono disillusi e sfiduciati, con l’esito evocato da questo ragazzo: «La disillusione porta a fidarsi solo delle proprie forze, a credere solamente nel qui e ora, senza nessuna apertura alla possibilità di una verità». La tristezza li accompagna: «Il problema dei nostri giorni è una tristezza di fondo, una insoddisfazione inespressa che nessuna istituzione o neanche la più bella o stimolante delle attività potrà mai colmare». Soprattutto i giovani si sentono soli, sentono gli adulti lontani, occupati e preoccupati solo di ciò che li riguarda, non disposti a prendersi a cuore la crescita delle nuove generazioni. La testimonianza di questa giovane dà l’idea di questa profonda solitudine e del bisogno che i giovani avvertono di essere accompagnati nel loro percorso verso la maturità: «Tutti i giovani si pongono domande su Dio e sull’esistenza; ma queste sono domande difficili, che una volta i giovani potevano affrontare avendo accanto a sé genitori, insegnanti ed educatori che li sostenevano nella loro ricerca. Non si può guardare dentro un abisso senza qualcuno che non ti faccia precipitare. I giovani di oggi sono più soli, questo è l’unico dato che si dovrebbe analizzare». L’accompagnamento che viene invocato non è fatto di consigli e di belle parole, ma di esempi da vedere e da toccare.
Nei loro racconti emergono anche le ragioni per cui è difficile dare un senso alla vita. Alcune dipendono dal contesto e dalla forza dei suoi condizionamenti: il consumismo imperante, ad esempio, dà – e non solo ai giovani! – un senso di sazietà e di appagamento, per cui non si avverte il bisogno di interrogarsi su un senso da cercare:
«Ho già tutto: che cosa cercare ancora!». Vi sono poi dei beni materiali che attraggono i giovani in maniera prepotente: la carriera, il potere, il denaro. Quando una persona è tutta presa dall’inseguimento di questi beni, difficilmente ha dentro di sé lo spazio per accogliere le domande scomode che riguardano il senso di tutto, quello che coinvolge mente, cuore, libertà e che potrebbe esercitare una funzione critica rispetto alla smania dell’affermazione di sé.
Infine, tra le molte altre ragioni ve n’è una che ritorna insistentemente nelle testimonianze dei giovani: è il ritmo di vita di oggi, così veloce da non lasciare la possibilità di accogliere le domande nascoste nella profondità della coscienza.
Alcuni condizionamenti poi sono interiori: una vita superficiale e di corsa, la difficoltà di riflettere e di pensare, la fatica di credere in qualsiasi cosa, tanto meno in Dio, che «non si vede e non si compra». Nell’affermazione di questa giovane, quasi una battuta, vi è il segnale del condizionamento della cultura materialista e consumista nella quale tutti siamo immersi.
3. La questione del senso e Dio
La fede costituisce per i giovani di oggi una scelta consapevole e motivata, non vi sono automatismi a sostenere percorsi personali che devono conoscere il dinamismo di ogni decisione vera: la conoscenza di sé e delle opportunità possibili, la capacità di compiere un discernimento personale, la disponibilità a lasciarsi attrarre da prospettive di grande respiro. Dice una giovane: «Viviamo in un’epoca in cui tutto deve essere conciso ed immediato. Le lettere sono state sostituite dai tweet, gli album di famiglia sono on-line su Facebook e non serve più uscire con gli amici in quanto li si trova tutti nel gruppo su WhatsApp. In una società in cui il tempo viene misurato in byte vi è ancora posto per Dio?». Così si pone per molti giovani la questione di Dio: una presenza che deve farsi spazio in un panorama molto affollato da mezzi di comunicazione veloci ed efficaci, in cui Dio deve farsi “perdonare” di amare il silenzio, di non temere la ripetizione e i reinizi, di parlare nella delicatezza di una brezza leggera.
Volendo provare a tracciare il profilo religioso/vocazionale dei giovani di oggi, si può dire che il millenial italiano non ha escluso Dio dalla sua vita, ma tende a vivere una religione con forti tratti individualistici ed emotivi. La relazione con Dio è vissuta in maniera molto soggettiva ed è intrecciata con i propri stati d’animo e la propria situazione emotiva. La testimonianza di questo giovane è molto espressiva al riguardo: «La fede nasce dal rapporto personale che hai tu con Dio, un Dio indeterminato… che può essere cristiano come non. Io con il mio Dio ho un rapporto personale. Ognuno di noi ha un rapporto singolare col proprio Dio. Ognuno di noi è unico e quindi ognuno di noi ha la sua idea di Dio».
In questa prospettiva, la preghiera è un’esperienza intima e solitaria, come narra questa giovane: «La preghiera è qualcosa di intimo.
È come quando tu parli privatamente con una tua amica, con una persona cara, hai delle cose da dire che magari preferisci tenere per te e per quella persona. Preferisco sempre la preghiera in camera mia o comunque in posti privati e preferisco le preghiere non prestabilite… l’Ave Maria, il Padre Nostro sono preghiere bellissime, e ovviamente non si toccano, però mi piace anche un discorso diretto con Dio».
Il legame con la comunità è debole; di essa il giovane frequenta poco le attività e la preghiera, anche perché pensa che i linguaggi di essa siano superati e i valori che propone siano vecchi. Nella comunità cristiana vorrebbe incontrare relazioni significative e non il clima freddo e anonimo così come ora lo percepisce. Qui vorrebbe trovare persone di riferimento per il suo cammino esistenziale e spirituale. Vorrebbe anche poter fare esperienze e non partecipare ad una comunità in cui la comunicazione di contenuti dottrinali prevale sulle esperienze della vita.
L’atteggiamento di fronte alla vita è segnato dalla sfiducia e dalla paura, uguali tra giovani credenti e non credenti: in questo la fede non fa la differenza.
Il futuro appare carico di rischi e di minacce; si preferisce fare esperienze nel presente più che pianificare il futuro e si pensa che non vi siano scelte che valgono per sempre.
Infine, vi è un aspetto molto interessante, soprattutto per i suoi risvolti educativi: l’orientamento verso gli altri. I giovani cattolici sono tendenzialmente meno sospettosi verso gli altri, sono più disponibili all’aiuto e sono un po’ più impegnati in attività di volontariato.
4. Alcuni risvolti educativi: opportunità e criticità
L’utilità delle considerazioni precedenti è in funzione di una più qualificata azione educativa e pastorale, capace di orientare i giovani nelle loro scelte di vita.
Affrontare la questione del senso e dei percorsi spirituali e di fede che di fronte ad esso possono aprirsi richiede che i giovani abbiano accanto a sé figure di educatori dall’umanità ricca, dalla disponibilità gratuita, dall’umile capacità di farsi compagni di viaggio in una ricerca incessante che coinvolge anche loro.
L’educatore, il catechista, il sacerdote, l’accompagnatore vocazionale come possono porsi positivamente di fronte a questa realtà?
Papa Francesco ci richiama all’atteggiamento corretto di fronte a questa situazione, quando nell’Evangelii Gaudium (EG 263) afferma che un tempo non è più favorevole di un altro all’evangelizzazione, semplicemente è diverso. Occorre dunque partire da questa consapevolezza: il nostro tempo è il nostro, con le sue opportunità e i suoi punti critici; non serve a nulla perdersi a giudicarlo o a confrontarlo con altre epoche che riteniamo più favorevoli, e tanto meno non giova porsi di fronte ai giovani con un atteggiamento di giudizio: non aiuta a stabilire la comunicazione e ad essere educatori efficaci. Se si confrontano le ragioni che i giovani adducono a spiegare la difficoltà di percorsi di senso, con il dinamismo interno a qualsiasi scelta, e a maggior ragione quella vocazionale, ci si rende conto di come emerga un quadro che chiama in causa il mondo adulto, il modello di sviluppo al quale si è dato vita, la qualità delle relazioni tra le persone e del rapporto tra le generazioni.
Nel momento in cui i giovani dicono di essere confusi e disorientati, gli educatori devono chiedersi quanto riescono ad essere maestri significativi per le nuove generazioni, persone che sanno guidarle attraverso l’esplorazione delle possibilità della vita non tanto per la quantità di informazioni che possiedono, quanto per la capacità di riconoscere e insegnare il valore di ciascuna di esse, di porle in gerarchia; maestri che sanno orientare a quel discernimento che è quasi strutturalmente legato alla conoscenza.
Si è visto che ogni scelta passa attraverso un discernimento che valuta le opportunità possibili. Per l’educazione è certamente una risorsa il fatto che nei giovani sia vivo il bisogno di non compiere scelte perché sono state suggerite o perché fanno parte di una tradizione. Vi è nei percorsi personali, anche religiosi, dei giovani, un’esigenza di personalizzazione, di valutazione personale, che è un connotato di oggi. I giovani non sono disposti a credere perché glielo dicono i genitori o perché così fanno tutti. Oggi più che mai la scelta della fede ha bisogno di percorsi che abbiano le loro radici nella vita, nella coscienza, nella storia personale. Questa caratteristica del mondo giovanile rende molto più complesso il percorso verso e dentro la fede, tuttavia non si può non vederne la fecondità e la grazia. I percorsi di fede sono molto più rischiosi, ma sono frutto di scelta, di libertà, di convinzione. La fede guadagnata per questa strada ha radici non nella tradizione o in un contesto sociale, ma nella coscienza personale. Certo, in questa prospettiva nulla può essere dato per scontato; si può rischiare una fede selettiva e fai da te; starà nella sapienza dell’educatore e nella capacità di appassionare alla vita della comunità cristiana che si giocherà l’esito di questi percorsi.
Dunque oggi non si sceglie per conformismo, ma perché si hanno delle ragioni, salvo poi adattarsi ad accettare opzioni anche diverse da quelle desiderate, soprattutto nel campo del lavoro. Ma il desiderio di compiere scelte personali si scontra con la fatica di reggere i dubbi, le incertezze, le difficoltà e i contrasti. Vivere in un mondo di corsa, che non consente di coltivare quello spazio interiore entro cui maturano scelte non superficiali, costituisce un condizionamento che si aggiunge alla solitudine dei giovani. Non solo: vi è un disordine nello spazio mentale ed etico dei giovani, familiari più con internet e il computer che con le domande della loro coscienza.
Le loro sono spesso ricerche confuse, che si accontentano di piccole cose, che occorre insegnare a rendere relative; così come occorre insegnare che l’accontentarsi dell’effimero o consentire che tante cose inutili ingombrino la coscienza rende difficile aprirsi a prospettive di più vasto respiro. In questo contesto, all’educatore non è chiesto di dare suggerimenti e consigli, ma piuttosto di farsi compagni di viaggio di percorsi faticosi e non scontati: figure umili, intense nella loro maturità umana, capaci di stare vicino, di stare in relazione e in dialogo, di sostenere una ricerca senza sostituirsi a chi deve scegliere…
Il desiderio di autorealizzazione dei giovani non è così deciso da far superare incertezze e paure. Hanno a loro sfavore l’incertezza del futuro, la sfiducia verso il mondo, la mancanza di prospettive ideali di grande orizzonte.
Così ripiegano su scelte di piccolo cabotaggio, provvisorie, a tempo: accettare un lavoro qualsiasi perché non si trova quello che corrisponde alla propria formazione, o per cominciare comunque a guadagnare; mettere al mondo un numero di figli inferiore a quelli desiderati…
La valorizzazione delle risorse umane e culturali dei giovani ha bisogno di testimoni, capaci di affascinare con decisioni coraggiose e di mostrare che osare è possibile; che fanno intravedere come convenienti e possibili scelte di impegno e di grande respiro.
I giovani dicono di sentirsi destabilizzati e tristi. Le grandi opportunità sociali, culturali, materiali che essi hanno a disposizione oggi sono un elemento che spesso li rende incerti e li trattiene a lungo sulla soglia delle decisioni, in uno sperimentalismo in cui giocano incertezze, sfiducia nella vita e nel futuro. Gioca a loro sfavore il non aver imparato a “tenere” nella difficoltà, ad affrontare situazioni di prova, a desiderare e attendere, contro la logica del tutto e subito. A sacrificare qualcosa per avere di più! I giovani faticano ad accettare che scegliere è sacrificare, che equivale a non tenere aperte tutte le porte, ma passare per una di esse e chiudersela alle spalle senza rimpianti perché si è appagati da ciò che si è trovato….
È difficile per i giovani compiere una scelta vocazionale impegnativa (che non è necessariamente quella della vita religiosa o del ministero) senza aver sperimentato che per avere il tesoro (il Signore come unico bene, una relazione con i poveri che faccia da scuola, la capacità di non appartenersi nel dono di sé…) implica vendere il campo (la carriera, i soldi, una bella vita, il prestigio sociale…).
È possibile compiere questo percorso se si hanno a fianco figure di educatori veri, capaci di accendere la vita dei giovani, di proporre e di attendere, di suscitare e di incoraggiare, di aprire prospettive e di fare silenzio, di far intravedere grandi orizzonti e di ritirarsi lasciando che ciascuno cammini verso di essi con il proprio passo e inventando i propri percorsi.
5. L’arte di accendere la luce
È naturale che a questo punto gli educatori, gli adulti, la comunità cristiana si interroghino su come entrare in una relazione positiva e costruttiva con le nuove generazioni, per far loro intravedere la bellezza di scelte impegnative e coraggiose.
La percezione di essere spiazzati e confusi non interessa solo i giovani, ma anche tutti quegli adulti che non si accontentano della facile sicurezza del ricorso alla tradizione e all’abitudine, ma che si lasciano interrogare dalla situazione di oggi.
Che fare? È la domanda che spesso ci si pone e ci si sente porre. Ai giovani che si chiedono “che cosa farò da grande?” corrisponde una generazione di adulti consapevoli che il futuro dipende anche da loro e dalla maturità della loro vita umana e cristiana.
Anche gli adulti devono compiere le loro scelte, soprattutto una, di fondo: ricorrere a nuove strategie pastorali? Inventare nuove attività e iniziative? Oppure tenere accesa la semplice fiamma della via evangelica? Perché, come suggerisce un bel libro di Giuliano Zanchi, non si capisce se stiamo vivendo gli ultimi bagliori di un crepuscolo o le prime luci di una nuova aurora. In questo contesto, il compito dei credenti, per il bene di tutti, è quello di tenere accesa la fiamma del Vangelo. È l’arte di accendere la luce. Una luce umile, che non pretende di illuminare ogni cosa: «È la tremula fiamma sufficiente a incoraggiare il cammino. La luce che la Chiesa ha tra le mani è anzitutto per se stessa. Per non smarrire la strada.
Ma quando è capace di tenerla viva, i suoi riflessi trascinano anche moltitudini»2.
NOTE
1 La ricerca, avviata nel 2012, ha carattere nazionale. È condotta su un campione iniziale di 9.000 persone tra i 18 e i 29 anni; essi verranno seguiti fino ai 34, consentendo così di costruire un’immagine dinamica della popolazione giovanile, dal momento che le stesse persone verranno accompagnate per cinque anni, consentendo di capire come evolvono i loro percorsi di vita, le loro scelte, i loro progetti. È possibile in tal modo costruire delle vere biografie giovanili, potendo conoscere l’evoluzione della sensibilità, il confermarsi o il mutare delle scelte, il modo concreto con cui avviene la transizione all’età adulta. Le domande del questionario hanno riguardato alcuni grandi temi: il lavoro, la famiglia, la scuola, il volontariato, le istituzioni, la fiducia e il rapporto con il futuro, i valori di riferimento, il rapporto con gli strumenti della comunicazione e con il web…La maggior parte dei dati sono stati raccolti con lo strumento oggi più familiare per i giovani: il web. Il questionario base è periodicamente arricchito da alcuni segmenti tematici che di volta in volta sono ritenuti interessanti: l’Europa, il rapporto con la Chiesa e con la figura di Papa Francesco, l’imprenditorialità giovanile, il web, il rapporto con i migranti… Alcuni approfondimenti sono realizzati con il metodo dell’intervista, dal momento che temi – quale ad esempio quello della religiosità, o della percezione della propria identità di genere – sono difficili da scandagliare attraverso un metodo puramente quantitativo; in particolare, è stata realizzata un’indagine sul rapporto dei giovani con la fede e i cui risultati sono pubblicati in un volume dal titolo Dio a modo mio (a cura di P. Bignardi e R. Bichi, VeP, Milano 2014).
2 G. Zanchi, L’arte di accendere la luce. Ripensare la Chiesa pensando al mondo, VeP, Milano 2016.