Scendendo… si sale
Giunto al termine del mio servizio nella Conferenza Episcopale Italiana, si conclude anche l’impegno stimolante e coinvolgente di editorialista della rivista, passando il testimone al nuovo Direttore, don Michele Gianola, a cui do il più fraterno benvenuto.
In questo tempo mi torna con insistenza alla memoria una espressione che un mio professore di Liceo amava spesso ripeterci: «Imparerete a vivere una età della vostra vita o ad acquisire una competenza in quello che siete chiamati a fare, quando quel tempo di vita o quel lavoro che state svolgendo, si starà concludendo».
Allora mi sembrava una espressione paradossale o una sottovalutazione pessimistica delle nostre esuberanti capacità giovanili di imparare e acquisire competenze con velocità ed efficienza.
Solo con il passare degli anni mi resi conto di come questa piccola massima sapienziale fosse profondamente vera e appropriata.
È viva, infatti, la consapevolezza di quanto questi dieci anni di servizio nella pastorale vocazionale della Chiesa italiana mi abbiano insegnato e segnato, gustando la bellezza di tante opportunità di incontro, di relazione e di dedizione generosa e creativa.
Stiamo vivendo un tempo storico, culturale ed ecclesiale davvero straordinario. Si sono aperte davanti a noi strade nuove e impensate, sulle quali camminare con rinnovato coraggio e fiducia.
«C’è bisogno oggi di una pastorale vocazionale dagli orizzonti ampi e dal respiro di comunione; capace di leggere con coraggio la realtà così com’è con le fatiche e le resistenze, riconoscendo i segni di generosità e di bellezza del cuore umano» (Papa Francesco, Udienza del 5 gennaio 2017).
Porto con me la memoria grata di uno stile che ha contraddistinto il lavoro di questi anni: non siamo stati chiamati ad eseguire una solitaria “rapsodia”, ma piuttosto a far risuonare la bellezza di una straordinaria “sinfonia”, sentendoci parte di un’unica orchestra, in cui i diversi strumenti si sono armonicamente accordati gli uni con gli altri, coinvolti in un anticipo di cammino sinodale.
Ci siamo sentiti sorelle e fratelli che hanno camminato insieme, corresponsabili del dono e del servizio affidato, vivendolo come un’autentica “con-vocazione”.
Questo numero della rivista è dedicato al tema “Servire, stile della missione”. C’è una storia cinematografica che può aiutare a comprendere la forza propositiva del servizio fatto missione: L’avventura del Poseidon (1972).
È la vicenda di un lussuoso transatlantico che, proprio come il celebre Titanic, nella notte di San Silvestro sta per inabissarsi. La differenza fondamentale rispetto al noto collega, non è data dalla sola causa del naufragio, una gigantesca onda anomala piuttosto che un iceberg, ma dalla modalità dello stesso: il Poseidon, infatti, sta naufragando… capovolto.
Tutto è al contrario, ogni cosa è capovolta, il sotto è sopra e il sopra è sotto.
La suspence che attanaglia chi guarda il film nasce dalla impressionante constatazione che quel capovolgimento non è affatto evidente ai passeggeri del Poseidon che, seguendo la logica, ritengono che la nave stia naufragando in maniera ortodossa.
Così, accade che gli esperti della nave, sicuri di seguire la via più corretta per salvarsi, salgono verso la parte superiore della nave (la plancia) e finiscono con l’immergersi nell’abisso del mare.
Soltanto pochi, che vengono definiti sciocchi e insensati, intuiscono che la via è proprio quella che apparentemente sembra perdente; scendono nella stiva dove, all’aprirsi dell’ultima porta, li attende non il mare, ma il cielo.
Citando questo film, la scrittrice Marta Baiardi nota che c’è una differenza sostanziale tra i passeggeri del Titanic e quelli del Poseidon: per i primi c’è la possibilità di «sapere e vedere da che parte sta la salvezza»; per i secondi «non c’è evidenza di sapere».
Il vero ascolto proviene dalla osservazione della realtà e dall’umiltà di non presumere di sapere. Si ritroveranno a rivedere il cielo solo coloro che, avendo il coraggio di osservare e ascoltare, sanno anche andare controcorrente.
Salendo… scendono. Scendendo… salgono.
«Non è il desiderio d’insegnare agli altri ciò che io so o credo di sapere che mi mette la voglia di scrivere ma, al contrario, è la coscienza dolorosa della mia incompetenza» (Italo Calvino).
Vorrei concludere con le parole che Papa Francesco ha consegnato a tutti noi, nell’Udienza per i partecipanti al Convegno vocazionale nazionale (5 gennaio 2017):
«Sentiamoci sospinti dallo Spirito Santo a individuare con coraggio strade nuove nell’annuncio del vangelo della vocazione; per essere uomini e donne che, come sentinelle (cf Sal 130,6), sanno cogliere le striature di luce di un’alba nuova, in una rinnovata esperienza di fede e di passione per la Chiesa e per il Regno di Dio. Ci spinga lo Spirito ad essere capaci di una pazienza amorevole, che non teme le inevitabili lentezze e resistenze del cuore umano».
La mia profonda gratitudine trova un’eco nelle parole di Meister Eckhart: «Se la sola preghiera che dirai mai nella tua intera vita è “grazie”, quella sarà sufficiente».