N.06
Novembre/Dicembre 2017

«A chi ascolta sarà dato ancora di più» (Mc 4,25)

«Se vogliamo vocazioni: porta aperta, preghiera e stare inchiodati alla sedia. [i giovani] possano dire: “Si, sono stato con il parroco, con il prete, con la suora, con il presidente dell’Azione Cattolica e mi ha ascoltato come se non avesse niente da fare» (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dall’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni, 5 gennaio 2017).

Pensa a quella sedia, a com’è fatta.
È curioso come una parola possa far tornare alla mente immagini così diverse. Così quella sedia può diventare la poltroncina di uno studio, messa di fronte a un’altra, con un tavolino nel mezzo, spazio accogliente per la direzione spirituale; oppure la seduta di un confessionale, forse un po’ angusto, ma ben sistemato per la celebrazione del sacramento; o ancora la sedia del parlatorio di un monastero, la saletta di una comunità dove poter sedere a gustare la bellezza di un cuore che ascolta.

La sedia è soltanto uno strumento, sedere è l’importante. Così la seduta può farsi una panchina o un muretto nell’angolo dell’oratorio, o della piazza, la poltroncina di un treno, un posto al cinema, lo sgabello di un pub, la mensa universitaria, il davanzale della finestra del corridoio di una scuola e molto altro. Sedere accanto ai giovani per ascoltare le loro parole, le loro idee, le loro storie, il loro cuore, come se non avessimo nient’altro da fare. È così fin dalle pagine del Vangelo, è lo stesso modo dell’agire di Dio: «A chi ascolta sarà dato ancora di più» (Mc 4,25). È consolazione di tutti ricordare il tempo in cui siamo stati ascoltati, per davvero.

Con i giovani è così: stare accanto a loro e prestare il tempo all’ascolto è un esercizio che spiazza, disorienta, pone in un fecondo disequilibrio perché si tratta di intuire l’opera che il Signore sta tessendo in ciascuno di loro, con loro. Il discernimento vocazionale è opera di tutta la vita e l’orizzonte di tutta la pastorale perché la vocazione – prima che identificarsi con la scelta capace di orientare tutta la libertà e la vita – è la vita stessa vissuta nella relazione con Dio. «Che cos’è l’accompagnamento se non la pedagogia adeguata alla vita di fede? Che cosa la vocazione se non lo stile proprio del cristiano di vivere la propria esistenza di colui che è chiamato?» (don Rossano Sala).

Ascoltare, discernere, accompagnare l’opera che lo Spirito ha già iniziato nel cuore dei giovani (e di tutti) assomiglia a un gioco di enigmistica: è come stare davanti alla propria vicenda e alla storia dell’altro come per unire i puntini (Giacomo Costa) in un tracciato ancora non del tutto chiaro, ma del quale si può intuire il senso, facendone memoria. È un gioco migliore di quello della pagina stampata, ha a che fare con una promessa, è rivolto al futuro, del quale noi stessi siamo in qualche modo genitori (Gregorio di Nissa, De Vita Moisis, II, 2-5). Che fare, se non c’è la strada segnata? Si tratta di esplorare, «essere curiosi, essere folli» (Steve Jobs) – nuova sapienza, sapienza antica. La vocazione nasce così, come vedendo l’invisibile (cf Eb 11,8).