Alan Walker. Alone
DVD musicale
Alan Walker è un giovane disc jockey nato nel 1997 a Northampton, capoluogo della contea di Northamptonshire, nel Regno Unito.
Il suo notevole talento ha subito fatto breccia nel cuore di numerose case discografiche. Nel 2015 è arrivata la svolta nella sua carriera: ha firmato un contratto con la MER Musikk, casa discografica norvegese e con la Sony Music Sweden. Il padre inglese e la madre norvegese gli hanno permesso di acquisire la ricchezza di diverse culture. All’età di due anni si è trasferito in Norvegia nella città di Bergen, che è la sua attuale residenza. Essendo cresciuto in un tempo di piena programmazione digitale, fin da piccolo ha mostrato una predilezione per l’informatica e il mondo dei computer, in particolare per i programmi di grafica e design. Walker a quindici anni ha iniziato a comporre i primi brani elettro-house con il suo computer grazie ad appositi software e a caricarli sulle piattaforme Youtube Diciannovenne, parte dalla Norvegia per portare il suo successo, Faded, sui palchi di tutta Europa. Senza alcun background musicale, a parte qualche lezione di pianoforte da bambino, è divenuto uno dei nomi più importanti della musica elettropop internazionale, un artista prodigio. La prima raccolta di Alan Walker è ancora disponibile sul suo canale you tube ed è composta da brani strumentali. Lanciata sul mercato dalla Sony, i risultati ottenuti sono stati strepitosi. “Non me l’aspettavo proprio” afferma Alan Walker. La sua realtà è cambiata in brevissimo tempo: dai banchi di scuola ai palchi del mondo per promuovere la sua “ricerca delle cose perdute”, come canta nel brano che l’ha portato al successo. Ora tutti conoscono la sua musica. In pochi, però, hanno visto il suo volto. I lineamenti delicati del giovane norvegese sono, infatti, coperti da un cappuccio, che il dj indossa durante le sue performances.
Nessun significato o messaggio da veicolare, solo un marchio distintivo del suo stile. Il singolo Alone ha vantato in pochi giorni milioni di stream e di visualizzazioni; è stato pubblicato il 2 dicembre 2016 dalla MER Musikk. Il brano è stato scritto e prodotto da Alan Walker, Anders Froen, Gunnar Greve Pettersen, Degandartl, Jesper Borgen e Mood Melodies. La base strumentale è stata creata da Degandartl e Anders Froen e la voce è stata prodotta dallo stesso Alan Walker in collaborazione con la cantante svedese Noonie Bao. Il videoclip della canzone è stato diretto da Rikkard & Tobias Häggbom ed è stato girato in diverse località tra cui Londra, Paesi Bassi e Svezia. “Per me Alone è un pezzo che parla di unione. Una canzone che esalta la sensazione e il benessere dati dalla solidarietà. Quando ho iniziato a fare musica l’obiettivo non è mai stato quello di essere qualcuno, ma di creare qualcosa che gli altri potessero godersi con me. La coesione che ho sperimentato facendo musica e condividendola con la gente è incredibile”, racconta il giovane artista.
Testo
Perso nella tua mente Voglio sapere
Sto perdendo la mia mente Non lasciarmi mai andare
Se questa notte non è per sempre Almeno siamo insieme
Lo so che non sono solo Lo so che non sono solo
Ovunque, ogni volta
Separati, ma ancora insieme
Lo so che non sono solo
Lo so che non sono solo
Lo so che non sono solo
Lo so che non sono solo Una mente inconscia
sono ben sveglio Vuoi sentire per l’ultima volta
Porta via il mio dolore Se questa notte non è per sempre
Almeno siamo insieme Lo so che non sono solo
Lo so che non sono solo Ovunque, ogni volta
Separati, ma ancora insieme
Lo so che non sono solo
Lo so che non sono solo
Lo so che non sono solo
Lo so che non sono solo
Io non sono solo, non sono solo
Io non sono solo, io so che non sono solo
Io non sono solo, non sono solo Io non sono solo,
io so che non sono solo
Nel mondo in cui siamo, dove la tecnologia è ormai parte della nostra quotidianità, è cambiato anche il modo di stare con se stessi e con gli altri. Gabriele Romagnoli, in un articolo su La Repubblica, già quattro anni fa, scriveva di un ragazzo che cammina solo in una città straniera, si ferma, estrae dalla tasca uno smartphone, solleva il braccio, sorride allo schermo, scatta. Poi controlla l’esito, clicca su un altro paio di comandi prima di riporre l’oggetto e ripartire. Si è appena fatto un selfie, fin dall’etimologia (self = se stesso) qualcosa di solitario, ma l’ha condiviso con un numero imprecisato di persone postando l’immagine su Facebook, Instagram o qualche altro social network. Il navigatore solitario Manfred Marktel va in barca dalla Namibia a Bahia. Durante il percorso (4.000 miglia) tiene un blog, fa sapere tutto quel che gli accade, riceve commenti e risponde. I vagoni delle metropolitane, i bar, le pizzerie, tutti i luoghi pubblici sono abitati da persone che chattano, fotografano, inviano e condividono… con il capo piegato sullo smartphone! Nel frattempo si può fare altro, si mangia, si cammina. Non siamo mai soli, siamo sempre con qualcuno, spesso siamo con molti altri. Un ragazzo del liceo mi racconta della discussione col padre che vuole che esca con gli amici anziché stare tante ore con il PC. “Non capisce mio padre che per stare con gli amici non ho bisogno di uscire. Siamo sempre insieme, anche se siamo lontani… e siamo in tanti”.Davvero le nuove tecnologie ci evitano l’esperienza della solitudine? O forse la solitudine è un imperativo che vogliamo ci appartenga, è un impegno dell’anima a mettersi al cospetto di se stessa?
Isolati o soli?
Con l’isolamento si sceglie di escludere l’altro, di innalzare un muro tra se stessi e gli altri. Questa modalità consente di preservare un’immagine di sé integra, un’immagine ideale, non sfiorata dal confronto che, si crede, potrebbe intaccarla, svilirla, renderla vulnerabile. L’isolamento diviene come una sorta di autoesaltazione, un costante consenso e soddisfacimento nei confronti di una immagine di sé idealizzata. La distanza dall’altro, a questo punto, è necessaria per chi teme di perdere il profilo di sé che si è costruito.
E’ una distanza che si impone, bypassando la solitudine; chi sceglie l’isolamento non intende fare i conti con la solitudine. Dietro queste esperienze, il più delle volte, c’è un profondo dolore, ci sono ferite mai guardate, che sono lì e sanguinano e gridano il bisogno di attenzione e di cura. Dietro quell’immagine che non vogliamo sia intaccata dall’altro, c’è spesso quell’altro che è in noi e che non vogliamo accogliere, con cui non intendiamo far pace.Scrive Emmanuel Lévinas: “Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro. Non è la molteplicità umana che crea la socialità, ma è questa relazione strana che inizia nel dolore, nel mio dolore in cui faccio appello all’altro, e nel suo dolore che mi turba, nel dolore dell’altro che non mi è indifferente. È la compassione. Soffrire non ha senso, ma la sofferenza per ridurre la sofferenza dell’altro è la sola giustificazione della sofferenza, è la mia più grande dignità”. Freud afferma che “nessuno è padrone in casa propria”. Per cercare di sapere qualcosa di noi, del luogo che siamo e abitiamo, è fondamentale passare per solitudine che consente di entrare in rapporto con se stessi; bisogna fare amicizia con se stessi, è necessario fare conoscenza dei propri limiti, delle proprie forze e prospettive e riconoscere tutto di noi come una risorsa. Cercare la solitudine e saper stare soli permette di crearsi, di sostanziarsi, di darsi una forma in grado di rapportarsi con il mondo degli altri, di incontrare gli altri senza temerli.
C’è posto per tutti nel mondo e i buoni incontri sono possibili quando ognuno sente di aver costruito per sé uno spazio in cui potersi muovere liberamente, permettendo anche all’altro, nell’incontro, di poter fare altrettanto. Bisogna cercare con consapevolezza spazi di solitudine per vincere l’isolamento e incontrare il dolore. Lì le cose cambiano: inizia un’azione interiore, si fa strada una pace profonda, si origina la tranquillità, si sprigionano le energie spirituali che sostengono un agire costruttivo. Il frutto di questi passi ci riconsegna a noi stessi con il nostro potenziale totalmente attivo. Seneca diceva a Lucilio: Vindica te tibi. Riconsegnati a te stesso. E’ il compito dell’uomo solido, che intende sperimentare la sua integrità interiore, facendola incontrare all’altro
Walkers join
E’ molto interessante il video proposto dall’autore di Alone: giovani interconnessi e camminatori. Potremmo dire giovani in una storia che è vocazione. Si danno un appuntamento, cercano la strada per incontrarsi e, passo dopo passo, con una meta chiara da raggiungere, ciascuno con il suo ritmo, ciascuno con la consapevolezza di non essere solo, arrivano: allargano lo sguardo, spaziano in un orizzonte vasto, insieme, ma in una personale autonomia, liberano il volto, godono stupiti di quel che hanno davanti e, anzitutto, dentro: la luce, la bellezza, i passi che ancora attendono d’essere compiuti.
Si tratta di un viaggiare non di uno spostarsi. C’è una intuizione sul dove andare e c’è un’energia che chiede di andare in fretta. Un po’ come Maria che, abitata dalla Vita, in fretta, vuole andare da Elisabetta per condividere e trovare la forza, nell’ incontro, per portare avanti il Sì annunciato e pronunciato.
David Le Breton ci aiuta nel suo libro Il mondo a piedi. Elogio della marcia a masticare la parola cammino. Camminare significa aprirsi al mondo; immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la partecipazione di tutti i sensi; spesso è un espediente per prendere contatto con noi stessi, per il piacere di gustare il tempo che passa, per scoprire luoghi e volti sconosciuti, o anche, semplicemente, per rispondere al richiamo della strada. Camminare è un modo tranquillo per reinventare il tempo e lo spazio. Prevede una lieta umiltà davanti al mondo. Fa nascere l’amore per la semplicità, per la lenta fruizione del tempo. I passi migliorano la capacità dello sguardo che entra nelle sinuosità dello spazio esterno ed interiore e stabilisce accoglienza ed alleanza.
La bella strada color lavanda impallidisce a ogni secondo.
Nessuno l’ha mai percorsa, anch’essa é nata con il giorno.
E il villaggio là in fondo non attende che Voi per risvegliarsi all’esistenza
David Le Breton