N.05
Settembre/Ottobre 2018

La responsabilità dell’accompagnamento

  1. La sapienza di un antico proverbio

Tutti conosciamo l’antico adagio: impara l’arte e mettila da parte. Un proverbio piuttosto enigmatico che potrebbe significare due cose: ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo è un oceano, come affermava la buon’anima di Newton; oppure che è importante imparare da ogni esperienza della vita, oltre che abilitarsi in tante cose, che ci potranno tornare utili in varie circostanze. Ecco, discorrere dell’arte di accompagnare e di responsabilità dell’accompagnamento rientra in pieno in questi significati. Accompagnare è fare strada in compagnia di qualcuno, in particolare giovane, che chiede di essere guidato; ma questo richiede la consapevolezza che ci si sta addentrando in un profondo mistero di vita e di grazia, per cui, se si parte con la pretesa di sapere già tutto e di comprendere tutto preventivamente, si sbaglia di grosso; di conseguenza l’approccio con molta probabilità porterà più danni che vantaggi al nostro accompagnato. Personalmente sono convinto che l’atteggiamento, che viviamo e manifestiamo nei riguardi di chi viene per un accompagnamento, sia la qualità più importante di quest’arte, [trafiletto l’atteggiamento, che viviamo e manifestiamo nei riguardi di chi viene per un accompagnamento, sia la qualità più importante di quest’arte]  perché, fin dall’inizio, o si parte col piede giusto o si sballa tutto. Poi bisogna aggiungere subito che l’accompagnamento è davvero un’arte da apprendere, [ trafiletto l’accompagnamento è davvero un’arte da apprendere] che non solo è utile ma è doverosamente fondamentale, in particolare per ogni persona adulta nella fede, che ha come responsabilità e missione irrinunciabile nella propria condizione tipica (genitori, educatori/psicologi/insegnanti, sacerdoti, confessori, consacrati/e, animatori/trici, …), quella di accompagnare nella crescita e maturazione della persona a tutti i livelli, soprattutto nei riguardi delle nuove generazioni ma anche rispetto ad altri fratelli / sorelle che chiedono di far un cammino con noi. Guardandoci attorno dobbiamo riconoscere onestamente che manca alla grande sia l’una che l’altra cosa. E’ decisamente carente l’atteggiamento di partenza, ossia la consapevolezza molto umile e piena di grande rispetto per la terra santa della vita e della persona dei nostri fratelli e sorelle, che chiedono di essere accompagnati, per cui è necessario per prima cosa che, di fronte ad essa, ci togliamo i sandali e ci inchiniamo profondamente come Mosè di fronte al roveto ardente (cfr.Es. III). Ma poi che sentiamo viva la responsabilità non delegabile, come missione e come compito, di imparare l’arte di accompagnare sia con una formazione specifica a questo, sia meditando e discernendo sulle esperienze che via via facciamo in questo ambito di vita. Ma vediamo più in dettaglio.

  1. Inadeguati irresponsabili

Iniziamo con lo sfatare uno strano sentire di inadeguatezza abbastanza diffuso e che si trasforma nel complesso giustificativo della irresponsabilità: per fare accompagnamento occorre essere degli specialisti!? [trafiletto per fare accompagnamento occorre essere degli specialisti!?]

Nel clima fortemente psichedelico e psicologizzato della nostra società (cfr. le domande allo psicologo sulle riviste e rotocalchi e nelle trasmissioni radio / televisive, che occupano sempre più spazio ed interesse), con la scoperta dell’importanza della psicologia nel cammino formativo della persona, può affermarsi la convinzione che, per fare bene accompagnamento personale, bisogna sapere esercitare una vera professionalità psicodiagnostica e di psicoterapeutica sui meccanismi di azione e reazione della personalità e tutto in pratica si riduce a questo.

Ma ciò evidentemente è un riduzionismo terribile, quasi che, per strutturare una persona, basti la psicologia o peggio che, per discernere e stabilire una vocazione, tocchi allo psicologo.

No, nulla di questo. Fare accompagnamento personale dovrebbe risultare il modo normale di essere degli adulti nella fede, cioè dei padri / madri in profondità. [trafiletto Fare accompagnamento personale dovrebbe risultare il modo normale di essere degli adulti nella fede, cioè dei padri / madri in profondità] Una vita adulta e matura, che si espande nella paternità e nella maternità. Paternità e maternità a cui nessuno può rinunciare, perché è un asse portante della struttura di ogni persona. E il celibato o la verginità per il Regno, lungi dall’essere una rinuncia, è soprattutto una esaltazione dell’essere padri /madri in maniera profonda.

E oggi c’è lecitamente da porsi il dubbio, se, veramente, nella pratica della vita della Chiesa, si fa accompagnamento personale. Saltuariamente nella pastorale vocazionale e spesso per di più con un accompagnamento debole.

L’accompagnamento è a tutt’oggi un optional aristocratico nella vita normale delle comunità cristiane. [Trafiletto L’accompagnamento è a tutt’oggi un optional aristocratico nella vita normale delle comunità cristiane] Ci sono tanti alibi per non farlo o per farne a meno:

  • basta un bell’ambiente carico di tante provocazioni educative …
  • basta formare la massa od il gruppo…
  • non c’è tempo, ci sono tante cose importanti da fare, che urgono di più…
  • il nostro ambiente sociale ed i nostri tempi sono difficili, c’è ben altro prima che pensare all’accompagnamento e alla direzione spirituale…
  • ci si sente inadeguati per un compito così esigente …
  • ci vuole una preparazione speciale che io non ho …

–     non ci hanno formato a questo …

–     queste cose toccano ai superiori e agli specialisti …

In realtà, da sempre, ma soprattutto oggi, la storia della spiritualità e delle decisioni vocazionali lo conferma: dai Padri del deserto ai contemporanei sono i santi o uomini profondamente spirituali, degli stareth, coloro che aiutano nel discernimento ed accompagnamento riuscito di vocazioni riuscite.

Ecco allora, fare accompagnamento personale, fare accompagnamento vocazionale è il modo normale di essere padri /madri in profondità.

E, specie nelle stagioni dalla preadolescenza alla giovinezza, non esiste luogo o clima, il quale aiuti di più a maturare nella fede, che il contatto vitale con persone, che siano ricche di una grande paternità / maternità. [Trafiletto specie nelle stagioni dalla preadolescenza alla giovinezza, non esiste luogo o clima, il quale aiuti di più a maturare nella fede, che il contatto vitale con persone, che siano ricche di una grande paternità / maternità]

Forse, se ci sono tanti alibi, per non cimentarsi nell’accompagnamento personale, specie con i giovani e il principale è, in fin dei conti, il fatto che personalmente non si cammina più nella propria crescita umana e spirituale. “Chi accompagna è chiamato a rispettare il mistero che ogni persona racchiude e ad avere fiducia che il Signore sta già operando in lei. L’accompagnatore è invitato a essere consapevole di rappresentare un modello, che influisce con quello che è, prima che con quello che fa e propone. La profonda interazione affettiva che si crea nello spazio dell’accompagnamento personale – non a caso la tradizione si esprime parlando di paternità e maternità spirituali, dunque di una relazione generativa profondissima – richiede all’accompagnatore una solida formazione e la disponibilità a lavorare prima di tutto su di sé sotto il profilo spirituale e in qualche misura anche psicologico”[1].

I termini della tradizione cristiana per indicare l’arte e la responsabilità di accompagnare sono molteplici e, si può dire, per certi versi, anche un po’ ambigui e quindi confusionari: direttore spirituale, guida spirituale, animatore personale educatore, formatore,… Ecco, queste e altre denominazioni cercano di cogliere degli aspetti interessanti della figura dell’accompagnatore e ci dicono soprattutto che il servizio dell’accompagnare è un’azione complessa e dinamica: siamo al contatto vivo con il mistero di Dio e della persona e quindi non è possibile racchiudere tutto in semplici categorie umane. [Trafiletto il servizio dell’accompagnare è un’azione complessa e dinamica: siamo al contatto vivo con il mistero di Dio e della persona e quindi non è possibile racchiudere tutto in semplici categorie umane] Si tratta di tre attori immersi in una relazione dinamica: lo Spirito Santo, il soggetto, che chiede l’accompagnamento e l’accompagnatore. Inoltre abbiamo un fine con degli obiettivi intermedi e una strada o itinerario da percorrere (cfr. fig. 1). Il grande protagonista di tutto è lo Spirito Santo, con il compito di Paraclito, cioè generatore, accompagnatore ed animatore universale, che insegna ogni cosa, ricorda continuamente la vita e la parola di Gesù (cfr. Giov. 14,26), per guidare alla verità tutta intera (cfr. Giov. 16,13). E’ lui quindi, a tutti gli effetti, il vero ed unico accompagnatore e padre, che genera e conduce verso il fine, che è la statura della piena maturità di Cristo (cfr. Ef. 4,13), attraverso quella particolare vocazione, che il Padre ha progettato per ciascuno sul modello di Cristo Gesù. Abbiamo poi il soggetto nella sua reale situazione esistenziale, con un grande bagaglio di ricchezze / possibilità e con un certo numero di handicap per il peccato e la fragilità della condizione umana. Un soggetto con una storia ben precisa da integrare nella propria esistenza e con un progetto altrettanto preciso da scoprire, da accogliere e tradurre in vita lungo l’itinerario degli interventi e dei desideri dello Spirito Santo. Un soggetto, si spera, sufficientemente disponibile ad accettare le vie dello Spirito verso la maturità della fede, pur tra gli alti e bassi inevitabili del cammino umano. Abbiamo infine l’accompagnatore, che sta in una posizione particolarmente delicata: egli deve essere sufficientemente edotto nelle vie dello Spirito e nello stile della sua azione, per il suo cammino personale di vita, per essere stato lui per primo guidato ad interagire con lo Spirito. D’altra parte egli deve avere anche un attento intuito della psiche umana ed essere un buon conoscitore della natura umana, per sapere discernere la realtà dalle illusioni e tenere conto delle implicanze della storia esistenziale di ognuno, del carattere e del temperamento del soggetto. Per questo è necessario che sia una persona giornalmente immersa nella Parola di Dio, nella preghiera contemplativa e di adorazione, un buon conoscitore della vita dei santi, attento ai cammini della Chiesa oggi e ai segni dei tempi, che continua a studiare la psiche e l’antropologia umana in relazione con la società contemporanea. Abbiamo così tre protagonisti che devono interagire tra loro in forma dinamica, nel rispetto pieno dei livelli: prima lo Spirito Santo, protagonista per eccellenza; il soggetto protagonista nella disponibilità, nel volere rispondere, nell’assumersi le sue responsabilità, scegliendo la crescita nelle vie dello Spirito, come e quando egli vuole o continuando a scegliere di rimanere solo centrato su se stesso in balia delle proprie voglie; infine l’accompagnatore, protagonista “ radar ” delle intenzioni e dei movimenti dello Spirito, da calare nella situazione concreta di chi chiede di usufruire del suo servizio. Il tutto in un continuo dinamismo e movimento di crescita verso il fine, che è la statura della piena maturità di Cristo.

Una paternità / maternità ed una guida, dunque, che accompagnano nel cammino di crescita verso la maturità e l’armonia, che acquista il suo significato pieno nel discernimento e sequela vocazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. L’accompagnamento responsabile

 

Ma quali sono le caratteristiche di un buon accompagnatore? E qual è la postazione giusta da occupare per il proprio servizio?

Occorre, oltre il già detto, la capacità di sapere cogliere in forma dinamica la ricchezza della relazione di accompagnamento, in particolare il contenuto culturale delle parole, il canale ed il modo di esprimere i messaggi verbali e non verbali, la qualità della percezione di colui che viene per ricevere aiuto e le modalità con cui egli personalmente si presenta.

Ecco, il colloquio personale, adattato alle situazioni, risulta la vera spina dorsale dell’accompagnamento.  La comunicazione nella relazione di accompagnamento non è mai neutra, né statica tra trasmettitore – messaggio – ricevitore. Occorre, da parte dello accompagnatore, l’accortezza di sapere occupare la postazione giusta e da parte di colui che viene per un aiuto mettersi nell’atteggiamento giusto.

Da parte di chi accompagna c’è una sola postazione giusta in questo lavoro:

  • è dannoso fare i giudici (si blocca inevitabilmente la relazione)
  • è pericoloso fare da spettatori (le persone che ci contattano vogliono una vera relazione di aiuto, non una neutralità e astensione di intervento)
  • è deplorevole fare da padroni (si esercita una vera violenza sull’esistenza di chi aiutiamo, imponendo una dipendenza, un campo, che è il sacrario della libertà di coscienza)

La postazione giusta, l’unica, è essere semplicemente degli accompagnatori, gente che, per non creare intralci, si pone in questo servizio con il meglio di sé e si è disponibili, in piena gratuità, ad offrire tutto il proprio aiuto. [Trafiletto La postazione giusta, l’unica, è essere semplicemente degli accompagnatori, gente che, per non creare intralci, si pone in questo servizio con il meglio di sé e si è disponibili, in piena gratuità, ad offrire tutto il proprio aiuto]Per questo i veri accompagnatori sono sempre disponibili, sono pieni di benevolenza, cioè sanno mettere a proprio agio, si adattano ai bisogni della persona, sanno ascoltare fino in fondo senza interrompere, con interesse ed attenzione, senza giudicare, con tanta simpatia e fiducia nella persona che sta loro davanti, rispettano totalmente la libertà della persona, la quale, in definitiva, è la sola che deve prendere le sue decisioni.

L’accompagnatore è chiamato nella sua responsabilità a vivere un confronto asimmetrico di esperienza con la persona che accompagna; confronto nel quale si esplicita la fede dei due interlocutori. Non basta avere studiato la teoria dell’accompagnamento o essersi specializzati nelle scienze umane o/e nella teologia spirituale. Non si tratta semplicemente di una comunicazione e scambio fraterno della fede tra i due, ma di una relazione particolare, dove l’interlocutore cerca un/a uomo/donna di fede, mossi dallo Spirito, perché lo aiuti a leggere nella propria esistenza i passi che deve compiere per camminare verso e secondo Dio lungo il sentiero vocazionale che gli è proprio. Infatti, attraverso questo servizio viene aperto il santuario più segreto della propria coscienza, dove avviene l’incontro personale profondo con Dio e dove devono convergere tutte le preoccupazioni ultime, i criteri di comportamento e gli atteggiamenti e le responsabilità che si gestiscono nella vita verso il fine vocazionale da raggiungere. Per questo l’accompagnatore deve essere una persona di grande autorevolezza, sia per il cammino di fede e di amore che ha compiuto personalmente, sia per la capacità di sapere leggere, nella realtà unica e irrepetibile di chi sta accompagnando, il progetto di Dio che via via si esplicita e si realizza. Tutto questo insieme con la capacità di sapere ricomporre la varietà degli elementi della persona e della sua storia con i loro linguaggi spirituali e psichici in stretta relazione. Con l’umiltà e la riservatezza di non imporre mai forme di decisionismo, che mortificano la libertà della persona accompagnata ma anche con la risolutezza di chi non si sottrae alle proprie responsabilità di indicare nella verità ciò che è giusto e doveroso per il diretto, anche a costo di non piacere. In una parola, l’accompagnatore vocazionale sta svolgendo un ministero di paternità che dona vita, attraverso cui si può sperimentare la paternità celeste di Dio. Si tratta di un carisma dono dello Spirito, che nasce e si sviluppa nel cuore di ogni credente sufficientemente maturato nella fede e nella carità.

Il risultato non deve essere semplicemente il benessere della persona che si accompagna ma la necessità di stare nella volontà di Dio e nel suo progetto, per cui diventa obbedienza della fede per entrambi. [Trafiletto Il risultato non deve essere semplicemente il benessere della persona che si accompagna ma la necessità di stare nella volontà di Dio e nel suo progetto, per cui diventa obbedienza della fede per entrambi]

Se non è così, la relazione dell’accompagnamento personale può trasformarsi in un’azione pericolosa, lasciando la persona nel limbo della passività e della dipendenza o sfruttandola in situazioni involutive degradanti. Ne elenchiamo alcune:

  • Relazione impositiva: è quella che si caratterizza soprattutto per le imposizioni o proibizioni di vario genere nei riguardi della persona accompagnata
  • Relazione esortativa: è quella caratterizzata soprattutto da esortazioni eccessivamente insistenti e paternalistiche, che si trasformano in pressioni morali e non lasciano spazio alla riflessione, assimilazione e libertà personale
  • Relazione persuasiva: è quella che cerca di offrire consigli e soluzioni immediatamente coinvolgenti per arrivare a convincere la persona accompagnata di determinati passi che essa deve compiere ma che non corrispondono alla verità della sua situazione
  • Relazione trasfert o contro-trasfert: nella relazione di accompagnamento non è raro avere a che fare con situazioni di tranfert, nelle quali i due partecipanti sono più o meno coinvolti. Colui che viene per essere guidato può fissarsi sulla guida anziché sul Signore e la sua volontà. Egli può proiettare (= trasferire) i desideri inconsci di affetto o di aggressività, di amore o di odio verso chi lo sta guidando, perché questi viene visto come la figura genitoriale che ha frustrato i suoi bisogni fondamentali di esistere e di essere amato nell’infanzia. L’accompagnatore sufficientemente maturo prende coscienza di queste interferenze e proiezioni senza stare al gioco di fare da padre o da madre per soddisfare questi bisogni affettivi frustrati del diretto e aiutarlo invece a centrarsi e identificarsi con il Signore. Diversamente viene coinvolto in una spirale affettiva disastrosa per se stesso e per colui che accompagna.

Può succedere anche il fenomeno del contro-transfert quando la guida vive delle reazioni inconsce affettive di sentimenti e di desideri verso la persona che sta accompagnando. Desideri e sentimenti che corrispondono a conflitti emozionali non risolti o a zone d’ombra della propria storia che sono bisognose di ulteriore integrazione. Il problema non consiste nell’avvertire queste situazioni ma nel saperle tenere sotto controllo e integrarle attraverso un cammino di maturazione e di crescita personale che anche per chi guida c’è bisogno di riconoscimento e di ulteriore maturazione. L’aiuto di una supervisione seria con il proprio direttore spirituale e magari con uno psicoterapeuta di fiducia potrà essere di grandissimo aiuto.

Ecco, impara l’arte e mettila da parte. Ci auguriamo vivamente che uno dei frutti del prossimo Sinodo sui giovani sia una maturazione diffusa sulla responsabilità dell’accompagnamento per tutti e a tutti i livelli, in vista della crescita verso la statura della piena maturità in Cristo.

[1] SINODO dei VESCOVI, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale – Instrumentum laboris, Roma, LEV, 2018, n. 130.