“Vide e credette” (Gv 20,1-10) Il discepolo amato testimone della fede pasquale
La quarta tappa del nostro percorso sinodale focalizza la figura del «discepolo amato» che si reca di buon mattino alla tomba vuota con Simon Pietro (Gv 20,1-10). La nostra pagina segue il racconto della passione, che termina con la sepoltura di Gesù (Gv 19,38-42). L’evangelista narra come il governatore Pilato concesse la salma del crocifisso a Giuseppe d’Arimatea e questi, insieme a Nicodemo, prese il corpo, lo avvolse in bende dopo averlo unto con una copiosa mistura di mira e aloe, lo depose in un «sepolcro nuovo» situato nel giardino «a motivo della Preparazione dei Giudei» (19,41-42). Ad assistere alla scena devono esserci state anche alcune donne presenti insieme a Maria, la madre di Gesù e al «discepolo amato»[1]. Sul dramma che si è appena consumato sopraggiunge la sera, scende un mesto silenzio, ma nel cuore dei presenti non si perde la memoria delle parole profetiche del Signore: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19)[2]. Qualcosa di straordinario sta per avvenire, bisogna saper attendere il compimento della promessa. E’ quanto verrà narrato in Gv 20,1-29.
Il contesto narrativo di Gv 20,1-29: tre modelli di fede
Il quarto evangelista riassume in Gv 20,1-29 gli avvenimenti della «settimana pasquale» in quattro scene che culminano nella prima conclusione del Vangelo (20,30-31). Seguendo la trama narrativa delle quattro scene, possiamo cogliere la ricchezza e la profondità del messaggio vocazionale emergente. Esse sono così riassunte: a) Maria di Magdala, Simon Pietro e il «discepolo amato» trovano la tomba aperta e vuota (vv. 1-10); b) il Risorto si rivela a Maria di Magdala (vv. 11-18); c) il Risorto appare nel Cenacolo ai suoi discepoli mentre Tommaso non è presente (vv. 19-23); d) all’ottavo giorno il Risorto riappare nel Cenacolo dove c’è anche Tommaso insieme agli altri discepoli (vv. 25-29). Alcuni commentatori preferiscono dividere il brano in un grande dittico costituito dai vv. 1-18 e 19-29, motivando questa articolazione per il cambiamento dell’ambiente (sepolcro / cenacolo). Nella prima parte, la corsa di Pietro e del «discepolo amato» e l’apparizione di Gesù alla Maddalena i racconti sono contestualizzati al sepolcro; nella seconda parte, la doppia apparizione ai discepoli è collocata nel cenacolo[3].
Il racconto giovanneo presenta alcune differenze rispetto alle narrazioni sinottiche. Il capitolo si apre con la figura di una donna «discepola», Maria di Magdala che cerca il corpo morto di Gesù e in seguito incontra il Signore (20,1-2.11-18) e si conclude con la figura dell’apostolo Tommaso, che nell’incertezza vuole verificare l’identità reale di Gesù e alla fine riconosce con una grande esclamazione di fede il Signore Risorto (vv. 24-29). Al centro dell’intera sezione si colloca la comunità apostolica (vv. 19-23) e segnatamente la testimonianza kerigmatica del «discepolo amato» (20,8). La figura del «discepolo amato», caratterizzata da un profondo dinamismo interiore, rappresenta una peculiarità del racconto giovanneo, il cui simbolismo richiama il motivo del discernimento e dell’accompagnamento vocazionale. Accanto al «discepolo amato» l’evangelista presenta tre personaggi che incarnano tre modelli della fede così riassumibili: Maria di Magdala, donna del desiderio; Tommaso, uomo della razionalità; Simon Pietro, cercatore della verità.
- Maria di Magdala, donna del desiderio
Il primo personaggio in ordine di apparizione è Maria di Magdala, donna «dalla quale erano usciti sette demoni» (Lc 8,2) [4]. Nel quarto Vangelo la Maddalena va sola alla tomba di buon mattino, quando era ancora buio (Gv 20,1) [5]. Molte delle annotazioni psicologiche rimandano alla profondità del rapporto discepolare che la donna aveva instaurato con Gesù. La sua presenza solitaria alle prime luci dell’alba davanti al sepolcro fa intuire lo stato emotivo in cui Maria ha vissuto quelle ore e il desiderio di cercare e prendersi cura del cadavere di Gesù. La scoperta della tomba vuota, la corsa da Simon Pietro e Giovanni, il ritorno con i discepoli e il pianto inconsolabile nel «giardino della nostalgia» dicono il movimento interiore della Maddalena e la sua profonda situazione di angoscia. La Maddalena incarna il motivo del «desiderio» e dal profondo del suo cuore è spinta a cercare nella notte il suo Signore. Mentre lei veglia nel pianto l’ultimo luogo dove il Maestro fu deposto, il Risorto si lascia trovare e si fa riconoscere (20,16). In tale contesto la donna di Magdala diventa «testimone e annunciatrice di speranza». Il Risorto le affida il compito di «andare e annunciare ai fratelli la risurrezione di Gesù e la sua ascesa al Padre» (20,17). Questa è l’ultima menzione che i Vangeli riportano di Maria Maddalena.
- Tommaso, uomo della razionalità
Tommaso, menzionato nell’elenco degli apostoli[6], è citato in alcuni episodi del quarto Vangelo. In Gv 11,16 egli esorta ironicamente i Dodici ad accompagnare Gesù in Giudea per «andare a morire» come Lazzaro; in 14,5 egli chiede a Gesù «il luogo dove andrà e se sia possibile conoscere la via»; in 21,2 fa parte del gruppo dei pescatori che incontrano il Risorto mentre sono nel lago di Genezaret. Tuttavia la figura di questo apostolo è contrassegnata dall’atteggiamento dell’incredulità e di dubbio, per via dall’episodio della «prova del Risorto» (20,26-29), che Tommaso rivendica nella sera di Pasqua, dopo la prima apparizione nel cenacolo (v. 24). L’apparizione di Cristo nel Cenacolo e l’invito a sperimentare le sue sofferenze suscita nell’apostolo un radicale cambiamento interiore, che lo porta a confermare pienamente la sua fede pasquale. Egli incarna la dimensione della razionalità del credere, non solo sul piano personale ma anche in rappresentanza del gruppo degli apostoli e dei lettori del Vangelo (v. 29).
- Simon Pietro, cercatore della verità
La terza figura è rappresentata da Pietro, che in compagnia del «discepolo amato», corre al sepolcro (Gv 20,3-5) e verifica lo stato della tomba vuota e l’assenza del corpo del Signore. Simon Pietro entra nel sepolcro e osserva le bende e il sudario, mentre all’altro discepolo basta solo vedere per credere (v. 8). Anche in questo racconto Pietro è preceduto dal «discepolo amato», come nella scena iniziale della chiamata al discepolato (1,35-42), nel corso della Cena pasquale (13,21-30) e presso la casa di Anna (18,15-18). Ugualmente nel lago di Genezaret il «discepolo amato» precederà la fede di Pietro e ne solleciterà la risposta vocazionale (21,1-14). Insieme agli apostoli, Simon Pietro sperimenta la fatica di credere alla risurrezione del suo Signore e il bisogno di sperimentare la sua presenza misericordiosa (20,19-23; 21,15-18). In definitiva il racconto pasquale pone in evidenza tre modalità della fede: la ricerca affettiva di Maria di Magdala, la ricerca razionale di Tommaso e la ricerca condizionata e dubbiosa di Simon Pietro.
Gv 20,1-10: lo sguardo del «discepolo amato»
Nel quadro descritto spicca la figura del «discepolo amato» e la sua profondità contemplativa. Avendo presente la relazione tra le prime due scene pasquali (20,1-10.11-18)[7], ripercorriamo la pagina di 20,1-10 focalizzando gli aspetti letterari e teologici del racconto, con la sua ricchezza simbolica[8]. Il brano si articola in tre unità così tematizzate: una donna tra la notte e l’aurora (vv. 1-2); la corsa per vedere e credere (vv. 3-9); il ritorno a casa tra dubbio e incomprensione (vv. 9-10).
- Una donna tra la notte e l’aurora (vv. 1-2)
Nel presentare l’episodio della «tomba vuota», l’evangelista concentra la sua attenzione non tanto sui dettagli del contesto, quanto sulla meraviglia di fronte alla «scoperta» che Maria fa dell’assenza del cadavere di Gesù. Ella si reca al sepolcro mentre è ancora buio, al mattino presto, il «primo giorno» della settimana (v. 1). Il contrasto simbolico tra le tenebre e il «vedere» della donna, evidenzia lo stato interiore di Maria, provato dall’evento drammatico della passione del suo «maestro e Signore». Maria vede (blépei = scorge) la pietra ribaltata dal sepolcro. Si tratta di un vedere fisico, il semplice scorgere con gli occhi l’assenza del cadavere. Da questa constatazione inizia la ricerca affannosa e angosciata del Signore (v. 2). La donna si muove ancora nel buio[9] e non si preoccupa di ispezionare l’interno del sepolcro aperto, ma si precipita ad avvertire i discepoli. La corsa notturna rivela il movimento intimo della Maddalena, la quale informa i discepoli: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto» (v. 2). Maria sperimenta in quell’istante una «comunione interrotta» dalla privazione del Signore. E’ stato trafugato il corpo del Signore e non si sa «dove» sia. L’accento cade sulla prospettiva spaziale della distanza e del distacco. Maria si sente perduta di fronte all’unica reliquia del Maestro che gli era stata sottratta per sempre: da ciò deriva la sua angoscia.
- La corsa per vedere e credere (vv. 3-8)
Il movimento della testimone notturna attiva la reazione dei due discepoli e accresce la tensione drammatica del racconto: Pietro esce (v. 3) insieme all’altro discepolo e «corrono» verso il sepolcro. E’ la corsa ansiosa della ricerca, che esprime il bisogno di un incontro che cambia la storia. L’evangelista presenta i due testimoni dell’evento in modo simmetrico[10], così come aveva presentato Marta e Maria nel racconto della risurrezione di Lazzaro (Gv 11,20.29.31): l’altro giunge alla tomba prima di Pietro, vede le bende ma non entra subito perché attende l’arrivo del compagno. La tensione narrativa si placa quando Simon Pietro entra nel sepolcro e scorge le bende che erano servite per fasciare il corpo di Gesù profumato con gli aromi (Gv 19,40) e il sudario «avvolto in un luogo a parte» (v. 7). Le due figure rappresentative del cristianesimo delle origini[11] sono poste di fronte ad una domanda fondamentale del Vangelo: fermarsi solo al segno o credere all’evento che oltrepassa il segno della morte. Il binomio «vedere-credere» fa da filo conduttore dell’intero capitolo Il discepolo «vide e credette» (v. 8: eîden kai epísteusen) [12], la Maddalena riconosce il Risorto e crede (v. 16), i discepoli nel Cenacolo «videro Gesù e gioirono» nella fede (v. 20), a Tommaso incredulo il Risorto richiama la beatitudine della fede per coloro che «pur non avendo visto crederanno» (v. 29). La scena assume un significato simbolico: la fede pasquale necessità di condivisione, interiorizzazione e testimonianza.
- Il ritorno a casa tra dubbio e incomprensione (vv. 9-10)
L’ultima unità del brano evidenzia un contrasto con quanto precede. Mentre si afferma che l’altro discepolo «vide e credette» (v. 8), l’evangelista annota che entrambi «non avevano ancora compreso la Scrittura, che doveva risorgere dai morti» (v. 9). Fede e incredulità caratterizzano i primi passi del cammino ecclesiale[13]. Occorre interpretare questo testo nel più ampio contesto di Gv 20: la Maddalena e Simon Pietro «osservano» il sepolcro vuoto, mentre l’altro discepolo «vede» (= interpreta alla luce della fede) [14] . Il dinamismo spirituale tra ascolto della Scrittura e scelta di vita è presentato come un processo «graduale», vissuto con esiti diversi dalla comunità cristiana. L’episodio termina con l’annotazione: «I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa» (v. 10), che segna la differenza tra lo «stare» di Maria Maddalena nel giardino e il «ritorno» dei due discepoli al Cenacolo. Alcune annotazioni «psicologiche» contrassegnano la narrazione giovannea: il volto angosciato di Maria, la corsa affannosa dei discepoli, il sentimento di vuoto che avvolge la tomba, lo smarrimento di Pietro, la luce della fede interiore dell’altro discepolo, il ritorno silenzioso al Cenacolo. Al dubbio di Pietro si contrappone lo sguardo del discepolo amato, che schiude davanti al lettore la luce pasquale.
Prospettive teologico-pastorali
Fermiamo la nostra attenzione sul messaggio teologico-pastorale che emerge dall’interpretazione del racconto giovanneo. Esso può essere riassunto in prospettiva vocazionale in tre motivi così formulati: a) la sfida di cercare; b) l’arte di accompagnare; c) la gioia di testimoniare.
- La sfida della ricerca
Il «discepolo amato» apre il racconto pasquale del Quarto Vangelo. Egli è associato alla figura autorevole di Simon Pietro, così com’è stato accanto al dolore della Vergine Maria, presso la croce di Cristo. Il suo sguardo contemplativo diventa un modello di discernimento della fede. Le tappe che vanno dalla Cena pasquale alla corsa verso il sepolcro sono scandite dalla presenza qualificante del «discepolo amato». Egli accetta la sfida della ricerca, seguendo il Cristo nell’ora della prova. Vivere la risposta vocazionale significa «entrare» attraverso la morte di Gesù, nel mistero della novità cristiana. Il racconto giovanneo evidenzia la radicale contrapposizione tra morte e vita, ricerca di un cadavere e incontro con il Vivente, esperienza paurosa della notte e gioia nella luce gloriosa, corsa affannosa verso la tomba vuota e missione universale dei credenti. La fede pasquale non consiste nella pretesa razionalistica di «vedere per credere», ma nella docilità di uno sguardo che sa fidarsi, donarsi e dilatare il proprio cuore all’azione dello Spirito Santo. In virtù di questa potenza trasformante, il giovane discepolo affida a noi oggi il cammino di un’autentica fede pasquale che consiste del «credere per vedere» (Gv 11,40)[15].
- L’arte dell’accompagnamento
Il racconto pasquale evidenzia almeno due aspetti che evocano il motivo dell’accompagnamento vocazionale. Il primo è rappresentato dal ruolo di Maria Maddalena che risveglia la coscienza dei discepoli. La donna vive il suo discepolato insieme alla comunità e si mette alla ricerca del Signore coinvolgendo gli altri discepoli. Accompagnare significa saper coinvolgere i giovani in un cammino di ricerca e di riscoperta dell’amore oblativo. Il secondo motivo è dato dalla corsa che Pietro e l’altro discepolo fanno verso la tomba vuota. L’uno aspetta l’altro e insieme «condividono» la ricerca del Signore crocifisso e risorto. Essa è collegata all’interpretazione dei segni e alla comprensione delle Scritture. Il discernimento spirituale è simboleggiato dalla capacità di «vedere e interpretare» i desideri del cuore umano. Mentre Simon Pietro ispeziona la tomba vuota, il «discepolo amato» legge con gli occhi della fede i segni della risurrezione del Signore[16]. Nel racconto giovanneo si evidenzia come Pietro abbia bisogno del discepolo amato e a sua volta il discepolo riconosce in Pietro l’autorità della comunità ecclesiale.
- La gioia della testimonianza
Circa la necessità della testimonianza, la figura del «discepolo amato» riassume in sè la sintesi del dinamismo vocazionale con tutta la sua potenzialità. Tre aspetti rendono profondamente attuale la testimonianza di questo anonimo personaggio che incarna autenticamente lo stile della sequela giovanile. In primo luogo egli condivide la ricerca del Risorto e vive l’attesa del suo incontro. In secondo luogo egli sa aspettare l’arrivo di Simon Pietro al sepolcro senza anticipare gli eventi. Infine il suo sguardo oltrepassa i segni della morte e si colloca a un livello maturo di fede, che trasforma la logica puramente umana della prassi comune. E’ la forza generatrice di questa testimonianza che deve caratterizzare l’evento vocazionale dei giovani del nostro tempo e deve interrogarci su come camminare accanto a loro nel discernimento della volontà di Dio[17].
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[1] Cf. Mt 27,6; Mc 15,47; Lc 23,55-56.
[2] Cf. Mt 26,61. Per la predizione della risurrezione al terzo giorno: cf. Mt 16,21; 17,23; 20,19; Gv 2,19-22.
[3] Cf. R. E. Brown, Giovanni, Cittadella, Assisi 1979, 1225-1327; R. Fabris, Giovanni, Borla, Roma 2002, 1014.
[4] Cf. R. Vignolo, Personaggi del Quarto Vangelo. Figure della fede in San Giovanni, Glossa, Milano 1998, 144-153; C. Ricci, Maria di Magdala e le molte altre. Donne sul cammino di Gesù, D’Auria, Napoli 1977,14-33; A. Guida, Nel mattino di Pasqua l’incontro con il Cristo risorto (Gv 20,1-18), «Parole di Vita» 6 (2004), 1-17; G. De Virgilio, Donna chi cerchi? Una lettura vocazionale di Gv 20,1-18, Rogate, Roma 2007.
[5] Cf. Lc 24,1-10; Mt 28,1; Mc 16,1-2; cf. R. Vignolo, Le donne della Pasqua, «Parole di Vita» 5 (1994), 22-25.
[6] Cf. Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,15; cf. At 1,13.
[7] Sul piano dell’analisi narrativa si possono individuare tre tappe che compongono la nostra prima sezione: la prima tappa nei vv. 1-2: Maria si reca al sepolcro e torna di corsa da Simon Pietro e dall’altro discepolo; la seconda tappa nei vv. 3-10: i due discepoli al sepolcro; la terza tappa nei vv. 11-18: l’apparizione del Risorto a Maria di Magdala. Dalla descrizione dei personaggi e dall’uso de verbi di movimento osserviamo come l’evangelista fa entrare attori e lettore nel mistero della risurrezione con una certa gradualità. In primo luogo emergono i segni dell’assenza (assenza di luce, assenza del corpo di Gesù, assenza di spiegazioni e di testimonianze) e poi attraverso alcune presenze nella scena: gli angeli, l’apparizione del Risorto e il dialogo che porta al riconoscimento e all’incontro.
[8] Cf. Fabris, Giovanni, 1022.
[9] Giovanni conferisce al tema del buio/notte significati molto densi: cf. Gv 3,2; 6,16-17; 9,4; 11,10; 13,30.
[10] Il sistema giudaico che richiedeva almeno la testimonianza di due uomini; cf. Dt 17,6; 19,15; Gv 8,17.
[11] Segnaliamo le diverse interpretazioni aneddotiche applicate ai vv. 8-9: secondo alcuni le figure di Pietro e Giovanni rappresenterebbero il binomio di istituzione e il carisma, fede e amore, razionalità e intuizione (ecc.). In altra prospettiva, autori come Loisy vedono in Pietro e Giovanni i rappresentanti delle due anime della comunità primitiva: il giudeo-cristianesimo e il mondo etnico-cristiano. Altri commentatori ritengono che i vv. 8-9 sono da considerare come una «parentesi» voluta dall’evangelista, con una funzione didattico-esortativa rivolta alla sua comunità (cf. Brown, Giovanni, 1249-1261; Fabris, Giovanni, 1027-1029).
[12] L’espressione «vide e credette» (v. 9) è stata oggetto di discussione tra gli esegeti. Fabris propone un collegamento tematico con l’episodio di Lazzaro in Gv 11,1-44, mostrando come il segno della risurrezione di Lazzaro costituisce un collegamento con la fede nella gloria di Dio a cui alcuni giudei hanno aderito (cf. Fabris, Giovanni, 1025-1027). In questo senso il «discepolo credente» rappresenta il prototipo di coloro che approdano alla fede anche senza vedere la realtà del corpo di Gesù risorto e verificarne l’identità come sarà per Tommaso.
[13] I. De la Potterie sottolinea come l’espressione indica come in Giovanni sia iniziata l’esperienza del credere: «cominciò a credere» (I. De la Potterie, Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 1986, 197).
[14] Il verbo eîden (= vedere, conoscere) indica una relazione interiore profonda e puntuale, che non è un semplice «scorgere» (blépein: cf. 20,1) né un osservare (theōreín: cf. 20,12.14).
[15] «Ogni percorso vocazionale, affondando le sue radici nell’esperienza di filiazione divina donata nel battesimo (cfr. Rm 6,4-5; 8,14-16), è un cammino pasquale, che implica l’impegno a rinnegare se stessi e a perdere la vita, per riceverla rinnovata» (Sinodo dei Vescovi, Instrumentum laboris della XV Assemblea Generale Ordinaria [19.06.2018], n. 93).
[16] «I giovani sono interpellati dalla realtà sociale a cui si affacciano e che spesso suscita in loro emozioni molto forti: la loro lettura richiede un accompagnamento e può diventare uno strumento per identificare i segni dei tempi che lo Spirito indica all’attenzione dei giovani e della Chiesa» (Ibidem, n. 128).
[17] « Vi è un accompagnamento quotidiano, spesso silenzioso ma non per questo di secondaria importanza, offerto da tutti coloro che con la loro testimonianza interpretano la vita in maniera pienamente umana. Altrettanto fondamentale, anche in prospettiva vocazionale, è l’accompagnamento da parte della comunità cristiana nel suo insieme, che, attraverso la rete di relazioni che genera, propone uno stile di vita e affianca chi si mette in cammino verso la propria forma di santità» (Ibidem, n. 129).