N.02
2019 Marzo/Aprile

Annunciazione di Maria

Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. (Rm 4, 4-5)

 

Il fluire della sabbia nella clessidra alle spalle della Vergine dice che il tempo è ormai giunto alla sua consumazione e lascia il posto all’opera inedita di un Dio che sceglie di farsi uomo. Il dipinto di Lorenzo Lotto, realizzato tra la seconda e la terza decade del XVI secolo per la Confraternita dei Mercanti, ora collocato nel Museo Civico di Recanati, riproduce un tema classico della vocazione cristiana: quell’annunciazione alla Beata Vergine Maria che il tratto lottesco elabora in forma originale rispetto al contesto marchigiano, segnato dalla presenza della casa di Maria a Loreto, reliquia e icona del mistero dell’Incarnazione, appena pochi chilometri da Recanati.

Annunciazione di recanati - Lorenzo Lotto

Il dipinto, ricco di simbolismo, mostra Maria, giovane donna dentro un ambiente domestico e familiare, sereno e realistico, un luogo feriale dove la chiamata di Dio la raggiunge, un talamo nuziale pronto a celebrare le mistiche nozze, una camera da letto ben riassettata, che l’autore preferisce a luoghi riccamente adornati, a significare l’irrompere della chiamata di Dio nella quotidianità della vita di una ragazza che mostra quel turbamento  ben compreso da coloro che hanno accolto una vocazione che cresce nel cuore, attraente a tal punto da prendere il posto di quei desideri del tutto buoni e legittimi con i quali spesso si cresce, come Maria “promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe” (Lc 1, 27). Turbamento a cui soccorre l’angelo con quel “non temere, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1, 30), il quale diventa compagno di vita e di strada per coloro che ne accolgono la Parola.

C’è un altro soggetto di cui occorre tener conto in questa Annunciazione, un soggetto etereo eppure tanto concreto: il movimento. Si muove Maria, si muove l’angelo, si muove Dio, si muove il gatto. Il movimento, sottolineato da una luce divina, espressione plastica della forza spirituale che Dio mette nel cuore di Maria, la quale, sappiamo bene, dopo questo episodio si recherà dalla cugina Elisabetta per farsi “cristofora”, portatrice del Messia, nel servizio della carità alla parente dal cui incontro si eleverà il canto di lode al Padre per le grandi meraviglie che compie nella storia e nella sua vita. In questa cornice dinamica, il movimento dell’angelo, appena giunto, egli stesso quasi incredulo del messaggio divino che deve porgere, è sottolineato dai capelli scompigliati e dalla vaporosità del panneggio inchiodato a quell’ombra che ci rimanda alla concretezza della chiamata che viene da Dio. La Parola che egli rivolge a Maria non è una suggestione o un’intuizione ma ha il peso di una realtà che viene da fuori, di un mandato del Padre, che sopraggiunge dentro una nuvola priva di ogni minaccia e vendetta,  pronto a precipitarsi nel di Maria, con un movimento che sembra essere un tuffo nella vita della Vergine. E tra i tre, quel gatto, inarcato dalla paura, minacciato nel suo regno, segno ulteriore della verità della chiamata e per alcuni reazione simbolica del male a quelle parole che mettono fine al dominio delle tenebre ad opera di quella luce vera che viene nel mondo e illumina ogni uomo (cf. Gv 1, 9).

Una luce nuova quella che la chiamata di Dio accende nella vita delle persone e che sostituisce progressivamente ogni altra lanterna, destinata a spegnersi come la candela riposta sullo scaffale che evoca il superamento dell’antica alleanza ora compiuta nella persona stessa di Gesù, “luce del mondo; e chi lo segue, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (cf. Gv 8, 12). E non è questa luce che il cuore dell’uomo cerca per riscaldare e dare senso alla propria esistenza? Non è questa luce che Maria ha cercato nello scrutare le Scritture, nella meditazione della Parola su quel libro aperto davanti a lei? Non è stata questa custodia della Parola che l’ha resa capace di riconoscere il tempo favorevole per lei?

Con san Bernardo di Chiaravalle lottesco: “O Vergine, da’ presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo, anzi, attraverso l’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna. Perché tardi? Perché temi? Credi nell’opera del Signore, da’ il tuo assenso ad essa, accoglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio…Eccomi, dice, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38)[1].

Ma facciamo nostra l’ispirazione del cuore dell’illustre poeta recanatese che certamente questo quadro deve aver visto tante volte e di cui si celebra il bicentenario di queste carezzevoli parole: “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”[2]. Sì, è dolce naufragare nell’oceano di pace che il Padre ha pensato per ciascuno di noi sin dall’eternità.

[1] Bernardo di Chiaravalle, Omelie sulla Madonna, Om. 4, 8-9; Opera omnia, ed. Cisterc. 4, 1966, 53-54.

[2] G. Leopardi, Canti, XII – L’infinito