N.02
2019 Marzo/Aprile

Poco meno di un Dio (Sal 8,6)

Aveva chiesto al padre l’eredità, come se il padre fosse ormai morto. Non perché volesse partire – o almeno, questo non è scritto. Ma, dopo non molti giorni, si era dovuto mettere in viaggio. Perché? Si era già perduto; senza il padre, stava già per morire. Era poi arrivato lontano da casa, e dunque lontano da sé. Va’-verso-te-stesso: questa era la sua chiamata originaria. Conosci te stesso, questo viaggio ti porterà dritto al tuo cuore. Ma era finito lontano, dal padre e dunque da sé. Lui, figlio del re, avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci. Chiamato a trovare se stesso, si era perso, aveva dimenticato chi fosse: pensava di essere un maiale.

Ma in una notte fredda, buttato lì, nel cortile dove il branco cerca una pallida quiete ritornando al suo brago, alzò gli occhi da sé, da quella terra fredda e anonima con la quale si confondeva. Lo accolse un cielo terso: opera delle dita di Dio, steso come una pasta lievitata, pronta per il calore del forno. Ed ecco, un indizio di luna appena crescente e poi una selva di stelle – impossibile contarle. La luna, col suo corso ordinato, puntuale come un calendario. E le stelle, anch’esse fissate, che quando si muovono lo fanno tutte in coro, misteriosamente tenute insieme da fili invisibili. Era un cielo bello, grande, ordinato, ma guardando in alto scoprì in sé qualcosa che in quel cielo ancora non c’era. E levò una domanda: che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Chiese chi fosse all’unico che lo conosceva veramente: non poteva trovare se stesso se non nel dialogo con Colui che abita quei cieli. E quella luna e quelle stelle fissate non facevano che rispondere: tu sei di più! Tu non sei infisso qui, tu puoi danzare laggiù, tu puoi restare nella casa del padre – e, ahimè, tu puoi lasciarla. L’uomo, così piccolo sotto quel cielo sconfinato? No: ben più grande di lui. Lui, figlio, liber.

Lasciò quella terra di fame e continuò il suo viaggio: non era stata inutile quella lontananza. Nella povertà, guardare i cieli fu rientrare in sé e trovare il padre, che è nei cieli, perché i cieli sono quelli del cuore. E comprese che, quando partì di casa, senza saperlo, già vi stava tornando. Già aveva sete del padre, ma forse doveva passare per la carestia per sentirne l’arsura.

Partì di nuovo, dunque, ma ciò che l’aspettava era il tratto più tremendo: voleva ritornare al padre, sì, ma aveva perso la memoria della via e della meta. Quanti salariati di mio padre. Non ricordava più cosa volesse dire essere figlio – forse mai l’aveva conosciuto, per questo non lo ricordava. Ecco il dramma: pur con la sua buona volontà, come quando ci si guarda distrattamente allo specchio, aveva dimenticato com’era. E non gli era più possibile accedere a casa; impossibile, impossibile, perché solo i figli entrano in casa, non i servi! Si accasciò a terra, e pianse amaramente. In sé non aveva più il ricordo di chi fosse, perduto per sempre. Come quell’uomo che cantava Beato chi è integro nella sua via e cammina nella legge del Signore, alla fine del suo lungo canto aveva dovuto gridare Mi sono perso come pecora smarrita; cerca il tuo servo! Così restò lì, a belare, solo.

Ma ecco, quando ancora era lontano (ben poca strada aveva percorso!) sentì il rumore dei suoi passi: era lui! Ne sentì il profumo, le braccia intorno al collo, e l’anello e poi la festa. Ecco il segreto. Aveva chiesto a lui che cos’è l’uomo, e a ragione: soltanto il padre aveva custodito la sua identità. Nessuno conosce il Figlio se non il Padre. La mia più profonda identità non è custodita in me: dimora troppo insicura, arrivano presto i ladri e la ruggine. Il segreto del mio ‘io’ è al sicuro, nei cieli, nelle mani del Padre. Lui tiene in serbo la tua dignità come si tiene in un posto speciale il vestito nuovo, quello della festa. È finito il tempo del ‘Dio è morto e noi l’abbiamo ucciso’. Lontano, l’uomo si è scoperto morto e poi di nuovo vivo, perché il Padre ha custodito il suo cuore, la sua immagine, al di là della morte. E sempre gli sussurra: poco meno di un Dio.