N.01
Gennaio/Febbraio 2020

Fecondità disarmata e spoglia

Ma voi cosa fate qui? Questa domanda risuona spesso nei gruppi che vengono nel nostro monastero per ascoltare la nostra testimonianza e conoscere la nostra vita. Mi piace rispondere attraverso tre immagini.

Una è quella di Maria di Betania, che rompe il vasetto contenente nardo molto prezioso per ungere i piedi di Gesù. La vita cristiana, e quindi quella monastica, è innanzitutto uno “spreco” d’amore. Non si gioca sui termini dell’utilità o del fare, ma si fonda su un’esperienza d’amore. La nostra realtà, spoglia di tante cose “da fare”, per molti inutile in una società capitalistica, ricorda semplicemente alla Chiesa qual è la sua radice, il fondamento del suo esistere. L’esperienza dell’essere amate e salvate ci ha portato a desiderare di vivere per questo amore e di esserne segno disarmato e spoglio.

La seconda immagine è quella del saio che indossiamo, marrone, come la nuda terra. Segno e allo stesso tempo chiamata a lasciarci spogliare di tutto, perché risplenda in noi la vita di Cristo. Terra che ogni giorno siamo chiamate a disossare, estirpare dai rovi, coltivare, perché la Parola possa mettere radici. È il combattimento spirituale contro il male che abita il cuore dell’uomo, contro tutto quello che ci rende meno essere umani e non ci fa vivere da uomini e donne nuovi. Allora occorre lasciarsi spogliare, perché un uomo vestito non può lottare contro uno nudo, perché presto è gettato a terra chi ha dove essere afferrato[1].

Infine, siamo sentinelle che scorgono i segni della presenza del Signore nell’oggi, il suo continuo venire nella storia e indicano che siamo tutti in cammino verso l’adempimento di una promessa, verso quei cieli e terra nuovi descritti dall’Apocalisse, verso quella pienezza che il cuore di ogni uomo desidera.

L’esperienza spirituale della madre santa Chiara inizia sotto il segno della conversione. Quando andava ad incontrare di nascosto Francesco, questi le diceva che se convertisse a Jesu Cristo[2]. All’origine della sua e della nostra scelta c’è il desiderio di camminare alla sequela di Cristo povero e Crocifisso, di Colui che tutto a noi si è donato[3]. La Forma di vita dell’Ordine delle sorelle povere istituita dal beato Francesco è questa: Osservare il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità[4]. “Semplicemente” vivere il Vangelo.

Per Chiara, come per Francesco, la via maestra è quella della povertà, del non possedere nulla per possedere Colui che nemmeno i cieli possono contenere, ma che prende dimora nell’anima del credente[5]. È una povertà materiale, che ripone ogni fiducia nel Donatore sommo, nel Padre delle misericordie che provvede alle sue creature, e una povertà spirituale. Si tratta della minorità che Francesco chiede ai suoi frati, ai quali dice di essere soggetti ad ogni creatura umana[6].

Il secondo aspetto significativo per la nostra forma di vita è la fraternità. Io con le mie sorelle, questa è l’espressione che Chiara utilizza nei suoi scritti. La grande sfida che ogni giorno viviamo è quella del costruire relazioni che abbiano come fondamento il Vangelo, tenendo insieme le differenze, valorizzando il dono di ciascuna perché tutte possiamo cooperare alla costruzione dell’unico corpo di Cristo e insieme essere nelle chiesa sostegno delle membra fragili e vacillanti[7].

La nostra fraternità di 20 sorelle vive alla periferia di Bergamo. La nostra vita si gioca tra le mura di un monastero e un po’ di verde, vicino a una strada trafficata, all’aeroporto di Orio al Serio e alla ferrovia, immerse in quel rumore che ci fa sentire in comunione con tanti uomini e donne che, consapevolmente o meno, come noi, sono alla ricerca del Regno. Allo stesso tempo, però, il nostro ritmo è diverso, scandito dalla preghiera e dall’anno liturgico. La nostra quotidianità si svolge secondo l’ora et labora della tradizione monastica. Tutto – la preghiera, il lavoro, la condivisione fraterna, gli incontri – cerchiamo di vivere come grazia, occasione per vivere alla presenza del Signore.

Molte sono le persone e i gruppi che chiedono ascolto o testimonianze. Sollecitate da questi e dalle richieste di quanti bussano alla nostra porta, offriamo alcuni momenti di riflessione, di ascolto e meditazione della Parola, di preghiera, donando anche la possibilità di fermarsi nella nostra piccola foresteria per uno o più giorni[8].

Ci sentiamo membra vive della nostra chiesa di Bergamo e cerchiamo di collaborare con le altre realtà ecclesiali. Allo stesso tempo il nostro cuore è spinto dal desiderio di abbracciare tutto il mondo e, se non possiamo arrivare con la nostra presenza fisica, tutti trovano spazio nella preghiera di intercessione.

Crediamo che nel nostro oggi la profezia più grande sia quella di essere autentica fraternità evangelica. Ponendo ogni giorno i nostri occhi sul Crocifisso risorto, impariamo a donare la vita le une per altre, gettando nei solchi dell’umanità il seme di una comunione possibile, di un amore che è fondato in Cristo e, per questo, ha il potere di trasformare il mondo.

 

 

 

[1] 1Lettera ad Agnese di Praga 27 (d’ora in poi indicata con LettAg), in Fonti Francescane (d’ora in poi indicate con FF) 2867.

[2] Processo di canonizzazione XVII.3, in FF3125.

[3] 3LettAg 15, in FF 2889.

[4] Regola di Santa Chiara I,1-2, in FF2750.

[5]3LettAg 21-24, in FF2892-2893.

[6] Rnb XVI,6 FF: 43

[7] Cfr. 3LettAg 8: FF2886

[8] http://www.federazioneclarisse.com/le-nostre-fraternita/monastero-di-bergamo/