Proteso verso ciò che mi sta di fronte (Fil 3,13)
«So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere in Cristo Gesù» (Fil 3,13). Questo versetto tratto dalla lettera ai Filippesi contiene in nuce tutto il dinamismo vocazionale dell’apostolo Paolo. Il «protendersi» è espresso con un verbo greco particolare e molto raro (unica ricorrenza nel Nuovo Testamento): epekteinómenos, cioè «l’essente proteso», si tratta di un participio presente che pone in evidenza la realtà dinamica della relazione con Cristo. Sembra quasi un nome nuovo in grado di riassumere in un’unica parola la vita di un uomo. Sulla via di Damasco, secondo la testimonianza dell’evangelista Luca, «ciò che sta alle spalle» si scontra a duello con «ciò che sta di fronte»: il circonciso all’ottavo giorno, il discendente dalla stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, l’ebreo nato da ebrei, il fariseo quanto alla Legge, il persecutore della Chiesa, l’irreprensibile… è tremendamente abbagliato dalla luce del Risorto. Caduto a terra, nella cecità più oscura, il Saulo del passato si protende verso il Paolo del futuro, come un albero che affonda le proprie radici lungo i corsi d’acqua. L’esperienza quotidiana ci ricorda che «il protendersi in avanti» fa parte della vita: le piante protendono i rami verso il cielo, l’amante tende le braccia verso l’amata, il saggio protende l’orecchio alla sapienza. «L’essente proteso» è colui o colei che si apre costantemente all’eterno Veniente, proprio perché la dinamica rivelativa è sempre graduale e progressiva, in una tensione continua tra presente e futuro, tra il già e il non ancora, tra la parte e il tutto, tra l’insufficienza e la completezza. Questa realtà vissuta dall’Apostolo in prima persona risplende sulla Chiesa di ogni tempo e sulla vita di ogni discepolo.
Aprendo lo scrigno antico e sempre nuovo della sua vita, Paolo lascia intravedere la perla preziosa del suo andare: il Kyrios, Cristo Gesù, direzione, senso e premio della corsa. Dimenticare il passato significa non voltarsi più verso l’illusione di salvezza a basso costo, conquistata con le proprie forze autogiustificanti. Protendersi verso ciò che sta davanti significa ricevere gratuitamente l’amore di Cristo, che pone tutti e tutto nella giusta relazione con Dio.
In questo orizzonte ermeneutico la persona risulta «un’identità aperta e protesa in avanti» che si caratterizza appunto per il proprio orientamento qualitativo, per la direzione verso cui si muove nel suo divenire altro, assieme ad altri. L’incontro con il Signore colloca l’ebreo di Tarso, e ogni credente, in un eterno movimento verso il Mistero nascosto e rivelato: Cristo Gesù. In lui è possibile contemplare l’amato del cuore che come un cerbiatto fugge sopra il monte degli aromi (cf. Ct 8,14). Fugge perché è sempre Altro ed è sempre oltre. L’amore, moto profondo e incessante del cuore, vede l’invisibile e precede la conoscenza, ma soprattutto vede le persone come luogo inesauribile di novità e di scoperte sempre ulteriori. L’essenza di ogni persona non sta dietro nel passato, ma avanti nel futuro. L’amore non si stanca mai di cercare e di spingere le persone verso le vette più alte, disvelando nel tempo quello che esse ancora non sono. È nell’amore incondizionato di Cristo che Paolo trova il suo io più profondo, la sua vera identità, la sua missione. L’amore diventa per lui l’annuncio esperienziale da portare fino ai confini del mondo: «Questa vita la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20).
All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte. Solo così il discepolo del Vangelo, conquistato da Cristo, può incidere nella vita del mondo. Dio è amore e l’amore resterà per sempre la sorgente originaria e creatrice che muove l’universo verso il suo inedito compimento.