Mariam Baouardy
Preparare il cielo per gli altri
Nel 1845 due sposi, provati dalla vita e segnati dalla perdita dei loro primi 12 figli, intraprendono un pellegrinaggio dalla Galilea a Betlemme: chiedono il dono di una nuova vita e promettono di chiamarla come la Madonna, se fosse stata una bambina. La loro preghiera è accolta: il 5 gennaio 1846 nasce Mariam: Mariam Baouardy. Due anni dopo arriva un fratellino, ma la famiglia non potrà mai crescerli. La piccola Mariam ha solo tre anni e il papà muore. Prima di spirare, quest’uomo giusto che del vero cristiano aveva la «tempra forte» ed era «paziente e dolce, lavoratore e caritatevole» prende la figlia tra le braccia e si rivolge a san Giuseppe: «Santo grande e potente, ecco tua figlia. Maria è sua madre, proteggila tu e sii tu suo padre». Quando poco dopo anche la mamma muore, queste parole acquistano ulteriore pregnanza e rappresentano per Mariam tutto il senso della sua vita e della futura missione. Costretta a separarsi dal fratello, viene cresciuta da uno zio che ad Alessandria d’Egitto ne fa una giovane piena di possibilità. Quando però ha 12 anni e le viene imposto il matrimonio con un cugino, lei – memore di una locuzione in cui le era stato detto: «Vedi, è così che tutto passa; ma se vuoi darmi il tuo cuore, io resterò per sempre con te» – osa l’inimmaginabile, si taglia i capelli che avrebbero dovuto ornarla il giorno delle nozze e rifiuta pubblicamente di sottomettersi alla scelta della famiglia. Incompresa dal confessore, che le rifiuta l’assoluzione e la Comunione, Mariam è ridotta al rango di serva. Impara così la dura legge dell’umiliazione, finché scappa. Chi la accoglie – un seguace dell’Islam – si infiamma contro l’ingiusto trattamento che le era stato riservato da gente cristiana e le chiede di diventare sua moglie. Allora Mariam risponde: «Se ho rifiutato un cristiano, a maggior ragione rifiuto un musulmano. Sono figlia della Chiesa e non rinnegherò mai Gesù Cristo». È un attimo: con un colpo di scimitarra, quell’uomo le taglia la gola. Nella notte tra il 7 e l’8 settembre 1858, avvolta in un telo e gettata in strada. Mariam è morta: va in Cielo, incontra i genitori. Vede Maria e i santi, la Trinità tutta, Gesù nella Sua umanità. E ode una Voce che le dice: «È vero, tu sei vergine, ma il tuo libro non è ancora compiuto». Mariam, l’integerrima, per tornare in Paradiso, doveva apprendere come la prudenza che sottrae debba infine cedere alla carità che si china e serve: l’avrebbe fatto per i 20 anni esatti che le restavano da vivere. Si risveglia intanto in una grotta, dove una “suora” in abito azzurro la cura per lungo tempo e le profetizza il futuro. Molti anni dopo, avrebbe ammesso: «Era Maria, mia madre. Ella mi aveva curata e salvata. Così consacrai a lei tutta la mia vita». E Maria è la «serva del Signore». Allora Mariam stessa non scappa più da ciò che prima l’angustiava: esasperata dalle umiliazioni dello zio che l’aveva assegnata – nipote ribelle e ingrata – alla cucina, ora è lei ad andare a servizio. Cerca le famiglie più provate, cura gli ammalati e mendica per loro, facendosi povera per i poveri. Sono «spostamenti continui, […] disagi e […] umiliazioni». Nella Basilica del Santo Sepolcro, dopo l’incontro con Giovanni Giorgio – un giovane misterioso, affascinante e bello – si consacra in forma privata con il voto di verginità perpetua. Cresce intanto nelle virtù care alla Madonna: l’ubbidienza, l’amore per il prossimo, la fiducia in Dio. Desidera farsi religiosa, ma la signora che in quel periodo la tiene a servizio ne parla in modo a lei controproducente, e così viene rifiutata. Accolta poi tra le Suore di San Giuseppe dell’Apparizione a Marsiglia – dove la chiamano “Mariàm l’Araba” – attesta intanto una rilevante fenomenologia mistica. Dal marzo 1867, compaiono alcune «veschichette sanguinee su mani e piedi». Esse un giorno la portano a dire alla suora che l’assiste: «Madre vada a dormire. Non resti troppo qui vicino a me, perché è facile che così prenda la stessa mia malattia». La risposta non si fa attendere: «State tranquilla, figlia mia, non è per niente probabile che anch’io la prenda»: erano i segni della Passione di Cristo, ma Mariam, nella sua semplicità, nemmeno se n’era accorta. E sarà proprio questa suora d’eccezione – che aveva saputo comprenderla profondamente e farle da mamma, madre Veronica – ad aprire a Mariam un futuro quando, dopo due anni tra le Suore di San Giuseppe, la comunità le vota contro e lei se ne deve andare. Madre Veronica era in attesa di entrare al Carmelo di Pau, sempre in Francia: avrebbe portato Mariam con sé. È una mistica, Mariam, ma i difetti non le mancano e autenticano anzi la verità della sua esperienza d’eccezione: parla, senza troppo accorgersene, al momento del silenzio; ha un carattere focoso e lavora con tale intensità da disturbare le altre. Delle anime ardenti Mariam aveva la generosità: ma non sapeva moderarsi. Di sé, arriverà a scrivere: «Non ho umiltà né pazienza, niente mi accontenta. Non credo che ci sia sulla terra una creatura come me. Dico spesso al Signore: “Io non potrei sopportare una creatura come me, e come tu mi sopporti sempre?”».
Sperimenta, anche, durissime tentazioni. Allora ribatte al maligno riferendosi alla Presenza Reale di Gesù nell’Eucaristia, e al tentatore che le insinua «Non c’è amore» replica sicura: «Io conosco la legge dell’amore in ogni animale. Vedo infatti come la chiocchia raccoglie sotto le ali i suoi pulcini». Forse nemmeno se ne accorge, Mariam, di difendersi con un ritratto cristologico di Gesù che piange su Gerusalemme: ma intanto guarda il libro della natura, dove la tenerezza di Dio si rivela tra i più piccoli dei piccoli.
Missionaria per alcuni anni a Mangalore in India – lei che lotterà per restare una semplice “conversa di velo bianco”, serva delle altre sino a dirsi di lei che «lavorava come un “servo della gleba”» per la sua sistematica ignoranza delle mezze misure –, Mariam Baouardy viene però rimandata in Francia. Sperimenta allora che ci sono luoghi in cui le è usata più misericordia non perché siano migliori, ma perché sono quelli giusti: e Pau era uno di questi.
Ne riparte solo per una seconda, speciale missione: fondare la presenza contemplativa carmelitana nella terra di Gesù. Lo farà a modo suo, «tuffata nella sabbia e nella calce», donna di relazioni e vivo senso pratico. Ma nel caldo soffocante dell’estate 1878, mentre sorveglia l’andamento dei lavori del Carmelo di Betlemme e sta portando due secchi d’acqua fresca agli operai, cade e si rompe un braccio. La necrosi si estende rapidissima e Mariam muore pochi giorni dopo, il 26 agosto.
Il suo Carmelo si staglia oggi – in pietra chiara – bellissimo e inconfondibile per la sua tipica pianta circolare che lo fa assomigliare a una vera “torre davidica”: “torre” di “avvistamento” e luogo per sentinelle dello Spirito, ove ogni stanza guarda in una diversa direzione, tutte però assunte nel dinamismo dell’intercessione corale.
Citata da Edith Stein che le dedica uno scritto, stimata da Giovanni Paolo II che l’ha beatificata, Mariam Baouardy viene canonizzata nel 2015 da papa Francesco. Resta il suo carattere forte ed esuberante, concreto e pieno di poesia: «(Il Signore)», dice, «mi ha posto una cesta di fiori nelle mani; tutti gli amici possono coglierne». Dove gli altri avevano visto una mistica, lei non aveva mai guardato a se stessa, aveva imparato l’umiltà: «Anch’io vivo con Gesù e non intendo Gesù», ammette. Ma non era importante “intendere” Gesù: importante era viverlo, attuare il comandamento della carità. “Prepara al tuo fratello il cielo e lo troverai per te stesso”, ammonisce.
Quel cielo che aveva pensato di raggiungere dodicene dopo un colpo di scimitarra, lo ritrova infine a 32 anni: dopo averlo preparato agli altri più che a se stessa.
«Spirito Santo, ispirami.
Amore di Dio, consumami.
Al vero cammino, conducimi,
Maria Madre mia, custodiscimi.
Con Gesù, benedicimi.
Da ogni male, da ogni illusione,
da ogni pericolo, preservarmi»
Preghiera di Mariam allo Spirito Santo
Era «obbediente fino al miracolo»
Madre Veronica di Mariam
Mariam Baouardy – poi Mariam di Gesù Crocifisso – nasce ad Abellin in Galilea il 5 gennaio 1846 e muore a Betlemme il 26 agosto 1878. Tredicesima figlia di una coppia provata da numerosi lutti e altre dolorose vicende, ripercorre nella propria esistenza semplice e concreta – dove il cuore ardente si impone sull’intelligenza ed è solo la Sapienza dello Spirito a soccorrerne la mancanza di cultura – le misteriose tappe della vita di Maria di Nazareth: dalla Galilea stessa all’Egitto, da Gerusalemme a Betlemme. Dell’anima mediorientale conserva un sentire che si traduce in cantico, lo sguardo profetico che decifra i segni dei tempi. Adottata da uno zio, ferita mortalmente da un musulmano, serva nelle case dei poveri, quindi consacrata, si deve anche a Mariam la nascita del Carmelo missionario di Mangalore in India, e solo a lei e alla sua ostinata intraprendenza – docile alle ispirazioni della Grazia – quelli di Betlemme e di Nazareth. Beatificata nel 1983 e canonizzata nel 2015, insegna che sulla strada per il Paradiso non contano né gli straordinari doni di natura, né i rari doni mistici: ma farsi “pane spezzato”. Per approfondire si rinvia anzitutto al suo epistolario (Mariam di Gesù Crocifisso, Lettere, OCD, Roma 2015); quindi a Beata Mariàm di Gesù Crocifisso Mariàm Baouardy. La piccola araba, Mimep-Docete, Pessano con Bornago (MI) 2014, a cura del Carmelo di Concenedo di Barzio; Pierre Estrate, Il piccolo nulla. Vita di Santa Maria di Gesù Crocifisso, Edizioni Agami, Madonna dell’Olmo (CN) 2001-2015.