Appartenenza
Lo scorso 8 dicembre, in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di san Giuseppe quale patrono della Chiesa universale, è iniziato lo speciale Anno a lui dedicato e sulla sua figura, lo scorso 19 marzo, papa Francesco ci ha fatto dono del suo Messaggio per la 58a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Tra le tre parole chiave che la vocazione di san Giuseppe suggerisce per la vocazione di ciascuno – sogno, servizio e fedeltà – la seconda, declinata nella prospettiva della custodia, intreccia in maniera singolare il tema della nostra annata e di questo fascicolo, in particolare: «Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti» (Francesco, Laudato si’, 202).
«Mi piace pensare a san Giuseppe, custode di Gesù e della Chiesa, come custode delle vocazioni. Dalla sua disponibilità a servire deriva, infatti, la sua cura nel custodire […]. Questa cura attenta e premurosa è il segno di una vocazione riuscita. È la testimonianza di una vita toccata dall’amore di Dio. Che bell’esempio di vita cristiana offriamo quando non inseguiamo ostinatamente le nostre ambizioni e non ci lasciamo paralizzare dalle nostre nostalgie, ma ci prendiamo cura di quello che il Signore, mediante la Chiesa, ci affida!» (Francesco, Messaggio per la 58° Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 19 marzo 2021).
I colori, sapientemente stesi sulla tela, le singole tessere accostate l’una all’altra dal mosaicista sebbene distinti non sono isolati, si appartengono vicendevolmente contribuendo tutti insieme alla realizzazione dell’opera completa. Allo stesso modo, la vita di ognuno è legata alla vita di altri, appartiene ad una fitta rete di relazioni che si snodano negli spazi della storia e si spandono nella geografia del tempo. Ogni donna e ogni uomo appartengono alla vita di tutti, ogni vocazione alla carne dell’umanità, al corpo della Chiesa. «Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto» (J. Donne).
La miglior declinazione del verbo appartenere è quella che assume il colore di custodire, riconoscere, valorizzare, la peggiore, quella che assorbe le tinte dello sfruttare, disprezzare, ignorare. L’una poggia sulla consapevolezza del dono ricevuto, ne sa riconoscere la bellezza e la preziosità: custodisce. L’altra è la tentazione antica, che trasforma il giardino in deserto e avvia il cammino di ritorno, l’opera di rovesciamento compiuta dalla Pasqua di Cristo. Questa è la tela, alla quale apparteniamo, la nostra custodia.