Da cosa dipende la felicità
“Io per la nonna sono un valido appoggio e come farebbe se non ci fossi io a farla sentire utile. Cercherò in futuro di riempire ancora di più la sua vita: vorrò essere voltato più spesso, avrò sete di più e sorriderò maldestro alle sue amiche, e non mi importerà se hanno la fiatella. Davvero non so come potrebbe cavarsela senza di me”.
Michele Cecchini, E questo è niente, Bollati Boringhieri
Giulio ha sedici anni e passa le sue giornate ad ascoltare “i normali”. Studia con curiosità, allegria, e le intuizioni di un antropologo la fauna, familiare e non, che lo circonda e non smette di stupirsi della quantità di problemi di cui tutti paiono lamentarsi, anche quando pare proprio se li vadano a cercare. Per gli altri, lui è “Coso” o “Coso lì”: “Lì perché è facile saper dove mi trovo, così nessuno ha da cercarmi o da badare a me, visto che sono lì dove sto e mi bado da solo”. Giulio è tetraplegico dalla nascita, vive immobile in un letto con le sbarre, accudito dalla nonna molto credente e dal “formidabile” nonno, medico in pensione. Pur nella cura amorevole, nell’Italia degli anni ’60, la malattia è motivo di imbarazzo: quando ci sono ospiti inattesi, il suo lettino è spostato dal tinello alla camera e lì resta. Ma lui non se la prende mai troppo e continua a mettere in fila acute osservazioni su quei “normali”, così complicati rispetto ai “tetra”. Giulio ama la vita, l’ironia è la sua cifra distintiva (“Io ero molto emozionato, ma come al solito non l’ho dato a vedere e sono rimasto impassibile”) e la sua voce ci giunge fresca e cristallina dalla prima riga del romanzo. Non sa cosa siano la malignità, le critiche, o quelle sovracostruzioni che infestano il parlare di chi lo circonda: la sua decodificazione di quel che ascolta è sempre sincera e vera, di quella verità non adulterata da pregiudizi che solo i puri di cuore hanno, senza mai piangersi addosso o indulgere alla pietà. Negli anni, ha saputo costruirsi un’esistenza a propria misura e interpretazione, in cui guarda con tenerezza e indulgenza ai nonni, ai cugini e ai genitori perduti. Così, pur dall’oblò ristretto del suo letto, non gli sfugge la fatica della nonna e il timore che possa lasciarsi andare. E allora anche il suo totale dipendere dalla cura del prossimo diventa strumento per aiutare gli altri: meno male che c’è lui a dare un senso alle giornate della nonna, a darle felicità! Michele Cecchini mette ancora una volta a tema la disabilità con profondità e delicatezza, usando l’invenzione romanzata per introdurre l’elemento di realtà: l’opera di Adriano Milani, medico e fratello di don Lorenzo, che proprio in quegli anni fondò il primo Centro per bambini con paralisi cerebrale infantile, cambiandone la vita per sempre.