Giuseppe Quadrio
Dare carta bianca a Dio
Vervio è un piccolo paese di Valtellina: paese di gente semplice e contadina. Un giorno, in questa valle povera dove i legami però sono forti – e le famiglie unite – una mamma si siede lungo il fiume Adda: ha con sé alcune uova da scambiare con un po’ di sale. Quell’anno a casa si è fatta tanta fatica, nemmeno il vitellino è nato. Afferrata dal dolore, lì accanto al fiume, si distrae: le uova cadono. È allora che esclama: «Signore, adesso ho proprio solo Te!». Non sapeva cosa fare per permettere al figlio Giuseppe di iniziare il cammino, tanto desiderato, verso il sacerdozio. Poco dopo, un incontro provvidenziale le offre l’aiuto economico di cui necessitava.
Inizia così il percorso verso la consacrazione di Giuseppe Quadrio, oggi Venerabile, nato il 28 novembre 1921. Bambino, legge – lui figlio di contadini, portato agli studi – I promessi sposi per intero e una biografia di don Bosco. Di essa, dirà che gliela aveva messa in mano la Madonna: bussa così alla porta dei Salesiani di Ivrea. È giovanissimo: emetterà i primi voti a 16 anni. Decenne, aveva intanto emesso spontaneamente – questo ragazzino vivacissimo, definito molto inquieto e persino litigioso, ma dagli occhi limpidi – il voto di verginità perpetua, promettendo alla Madonna di essere «solo tuo e di Gesù per sempre». Scrive anche, nella sua infanzia, un bigliettino: «Io sarò prete. Giuseppe», e lo nasconde in casa dietro a uno specchio. Le cose importanti Giuseppe non le confessa, forse anzi un poco persino se le dimentica (quel suo voto di verginità gli sarebbe tornato in mente alcuni anni dopo, e il padre spirituale per prudenza lo avrebbe sciolto): intanto, però, gli lavorano dentro. Fino a quando il fratello, per errore, quello specchio lo fa cadere: salta fuori il biglietto; a casa capiscono. Giuseppe, al momento giusto, entra tra i Salesiani.
Della casa di Ivrea, conosciamo il suo pensiero al primo contatto: «Dal primo momento in cui mi trovai in quella casa, non ebbi più alcun dubbio o titubanza sulla mia vocazione». Tutta l’irascibilità di prima se ne va: quando sei davvero a casa, le armi puoi deporle. Non servono più.
Il suo diventa così un cammino che attraversa le tappe classiche dell’iniziazione alla vita religiosa, con un accento particolare sugli studi. Trascorrerà molti anni alla Gregoriana di Roma: per la filosofia, dal 1938 al 1941; per la teologia, occupandosi intanto degli “sciuscià”, i ragazzini di strada, dal 1943 al 1949. Definisce lo studio «una genuflessione della [sua] mente di fronte alla verità».
Il 12 dicembre 1946 – non ancora sacerdote, a venticinque anni compiuti da poco – è chiamato a difendere in una solenne disputa, dinanzi ad alcuni cardinali tra cui il futuro Papa Paolo VI, la definibilità del dogma dell’Assunzione (poi proclamato il 1° novembre 1950). Era un teologo chiamato a parlare della Madonna, ma che la sente anzitutto Madre e in precedenza le aveva confidato: «Vieni con me, Mamma, vieni ad abitare nella mia casa […]. Mamma, senza di te non ce la faccio, ho paura!», «Sono ancora un ragazzo!».
La disputa è un trionfo, ha eco ampia. Commenta: «O Mamma, grazie di avermi concesso la gioia e la gloria di lodarti e difenderti. Spero che sarai contenta, ti ho sentito al mio fianco là su quel podio». Come direbbe il teologo padre François-Marie Léthel, in Giuseppe Quadrio (poi ordinato sacerdote, il 16 marzo 1947) dimensione teologica e mistica si accordano. Ha affermato Benedetto XVI in un discorso spontaneo nel 2011: «[…] la scientia fidei e la scientia amoris vanno insieme e si completano […] la ragione grande e il grande amore vanno insieme, anzi […] il grande amore vede più della ragione sola». Don Quadrio, che diventa docente, poi decano a Torino-Crocetta, sa che solo un incosciente o un santo potrebbe presentarsi in cattedra senza tremare: chi porta se stesso, è destinato a fallire. Scopre però, come Maria, la presenza di una guida d’eccezione: lo Spirito Santo, cui lo lega un’intensa esperienza interiore a seguito della quale sceglie il “nome nuovo” di «Docibilis a Spiritu Sancto». È un’espressione, nella sintetica bellezza della lingua latina, che dice l’arrendevolezza nel lasciarsi plasmare dallo Spirito, l’essere in permanente stato di disponibilità a Lui, l’assecondarlo nelle più intime mozioni. Alla fine – e in Giuseppe Quadrio ciò è evidente – la docenza non si fa a parole, ma con la vita; non la si fa in prima persona, ma la fa un Altro.
Lui, professore, è così l’uomo fatto sorriso, in cui gli altri vedono l’umanità di Cristo e perfino la toccano. È il prete riservato e forse schivo attorno al quale si intreccia però una rete relazionale fitta: l’anima della comunità, che anche nella fatica della “notte oscura” non dimentica gli altri e accoglie sempre. È come la «fontana del paese a cui tutti possono attingere acqua».
Il legame profondo, sponsale, che unisce don Giuseppe Quadrio allo Spirito si fa intanto esperienza di libertà: esperienza del non dipendere dalle cose e in definitiva da se stessi, perché si appartiene a un Altro. Ed è l’Altro a provvedere.
Lascia quindi sconvolti che don Quadrio accolga col sorriso, come dono della Provvidenza e per il suo bene, anche la diagnosi infausta per linfogranuloma maligno: lo porterà alla morte il 23 ottobre 1960. Don Quadrio non aveva ancora compiuto 42 anni. All’inizio di quel mese aveva scritto: «Là lavoro, qui riposo. Ma sono in attesa (1° ottobre 1960)». Aveva ritenuto che la malattia non fosse invano se, come era accaduto, aveva permesso a lui di avvicinare un medico e a questo medico di avvicinarsi ai sacramenti.
Al nipote Valerio, diventato sacerdote diocesano e che anche fisicamente lo richiama – si direbbe come un figlio richiama il padre – aveva fatto tempo a dire: «Ti consegno il mio sacerdozio, ora che sono alla fine». Andato a Lourdes, ne era tornato con il messaggio di «dare carta bianca a Dio»: “carta” un tempo delle lezioni e del suo sacerdozio, ora più che mai del suo stesso corpo, della sua vita e della sua morte.
Dice don Luigi Melesi, che di don Quadrio è stato figlio spirituale: «Il Signore gli ha dato, come figli, noi […] e tutti quanti, per un motivo o per un altro, gli abbiamo pesato sul cuore». «Un amico come don Quadrio io non l’ho più trovato. Eccezionale!». «Chi voleva vedere il Signore, ha potuto contemplarlo in don Quadrio, sentirlo…». La santità, sono gli altri che toccano Cristo in te.
Noi preti dovremmo essere santi.
Se il mondo è quello che è,
la causa è perché i preti non sono santi.
Il prete dovrebbe essere un autentico santo,
altrimenti è un uomo mancato, è un fallito!
Parole di Giuseppe Quadrio riferite da Luigi Melesi
Giuseppe Quadrio nasce a Vervio (Sondrio) il 28 novembre 1921. Inizia nel 1937 il percorso tra i Salesiani di don Bosco e studia anche dai Gesuiti a Roma. Riconosciuto teologo di altissimo livello prima ancora dell’ordinazione sacerdotale, proprio alla docenza i superiori lo orientano: parabola di una vita breve e intensa, stroncata a poco più di quarant’anni da un tumore. Don Quadrio muore il 23 ottobre 1963. Nel 2009 è stato dichiarato Venerabile Servo di Dio. Per approfondire si rinvia ai ricchi materiali e indicazioni bibliografiche presenti in: https://salesianicrocetta.it/don-quadrio/. Molto di lui è stato pubblicato.