N.02
Marzo/Aprile 2022

Eugenio Enzo Piccinini

Vocazione intreccio di vite

Alla fine degli Anni Sessanta, Reggio nell’Emilia è una tipica città della “Bassa” dove la quiete della pianura con le sue nebbie cede spazio – in un’Italia appena “esplosa” nella contestazione del Sessantotto – a un’inquietudine rischiosa, al perenne limitare del “fuori legge”. A partire poi dall’estate 1969, in “Via Emilia San Pietro, 25” cominciano a riunirsi alcuni ragazzi della FGCI (realtà giovanile del Partito comunista): tra loro, Alberto Franceschini (poi cofondatore delle BR), Lauro Azzolini, inoltre Prospero Gallinari e Franco Bonisoli, nomi che firmeranno il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. In questo appartamento capita anche Eugenio Enzo Piccinini: è allora un diciottenne che si porta dentro un irrisolto vuoto dopo che l’amato fratello Sergio era stato investito e ucciso mentre insieme andavano a Messa. All’appartamento sulla via Emilia, Enzo arriva in un «momento pericoloso»: Franceschini «cominciò a scegliere un piccolo gruppo di fedelissimi e a portarli a esercitarsi sulle montagne, con i mitra». Lo frequentano intanto anche giovani cristiani che hanno iniziato a ruotare attorno alla realtà di don Giussani e cercano un confronto. Roberto Ognibene passò dal fronte cristiano a quello di Franceschini. «Ma c’era anche chi percorreva il cammino opposto». Enzo intuisce infatti in quei volti qualcosa di bello: una tacita promessa. Prova allora a capire, li segue, scopre che nella cripta del Duomo dicono Vespri. Hanno le facce pulite, ma un po’ paura. Enzo la sua fama, frequentando gli espulsi della FGCI, ormai se l’è giocata tutta: e così c’è sempre qualcuno che gli si fa incontro, gli parla, lo trattiene. Allora capisce che serve un atto di umiltà: «Guardate, io non voglio fare niente di male. Voglio solo conoscervi. Tenetemi con voi una volta». Lo tengono, quell’unica volta: non si lasceranno più.

Inizia per Enzo Piccinini un cammino di riavvicinamento alla vita cristiana. Scopre la reale dimensione dell’“appartenere”: è l’essere-insieme, l’aver qualcosa cui fare riferimento per cui – dirà – «il tuo io non è solo un io sbandato e sbandabile», ma ha radici in volti, persone, storie; e con queste persone, tutti insieme, non ci si áncora a se stessi ma all’Altro. Allora queste altre persone – e per lui lo sarà eminentemente don Giussani – possono correggerti, e tu quella correzione la accetti, ci lavori, cresci in essa. La conversione comincia da un incontro. Poi diventa esperienza di docile ascolto, diventa obbedienza del quotidiano: «questa disponibilità completa alla correzione, questo continuo bisogno di confronto, nel corso del tempo portarono cambiamenti visibili in Enzo». «L’Enzo degli ultimi anni era profondamente diverso […]»: era il cammino della “santità”, che armonizza la persona e la fa dono. Ed è anche il metodo che Enzo usa con Fiorisa, conosciuta sui banchi di scuola, sposata giovanissimo e con cui l’esame di coscienza comincia cinque giorni dopo il matrimonio, quando decidono di riflettere sul passo appena compiuto e lo fanno da casa, perché i soldi per la luna di miele non ce li hanno: «Non ci siamo allarmati quando ci siamo accorti che è dura la vita a due […]. Han sempre meno importanza gli ostacoli “psicologici”, non fanno più problema, esiste il perdono, e diventa pratica. In questa ottica le pretese scompaiono». Tale attenzione all’altro, e a sé attraverso l’altro – che Enzo applica negli studi (di Medicina, a Modena) e poi come medico – esige tempo, ma rende veri. Essa libera dall’imitazione sterile, dalla dipendenza infruttuosa: dal suo maestro di Medicina, Enzo per esempio aveva preso anche un “tic”, lo seguiva così tanto da imitarlo anche nel difetto. Servirà una disillusione profonda, sul modo tra loro inconciliabile di intendere la vita, perché il tic, d’un tratto, scompaia: Enzo Piccinini era diventato uomo.

La conversione esige però la pazienza delle ragioni, dopo l’entusiasmo dei primi “slanci”. «Quando mi sono convertito» – racconta – «all’inizio c’erano vari problemi, perché i miei amici di prima […] mi perseguitavano. E il tono era questo: “Ti sei fatto il tuo angolino, eh? Vai anche a pregare. Cosa fai per il Vietnam [tema in quegli anni caldissimo]? Non ti rimorde la coscienza?».

Un giorno Enzo è circondato. Comincia una «invettiva durissima». Enzo sta per soccombere, perché gli argomenti gli mancano. Finché arriva, a soccorrerlo, una folgorazione improvvisa: «Io per il Vietnam costruisco la Chiesa, qui»: io inizio dal bene possibile a me, ora, dove sono. Inizio, soprattutto, da Cristo.

Enzo comincia e termina in Cristo come padre di famiglia e come chirurgo, che si forma in Italia e all’estero, raggiunge livelli altissimi e al Sant’Orsola di Bologna si inventa un gruppo di lavoro, un metodo ancora oggi conosciuto e praticato: scrupolo fino all’estremo nella ricerca, nello studio, nell’approfondimento, nel confronto interdisciplinare; ma il paziente, sempre, prima come persona e poi come paziente. «Normalmente nella medicina si dice che per essere oggettivo devi tenere la distanza con il paziente. […] Con Enzo era l’opposto: se vuoi bene al paziente e sei coinvolto, lo curi anche meglio». Enzo Piccinini lo fa con tenerezza e fermezza. È un medico che ha il coraggio di dire di andare a casa e fare testamento. I malati però li va a trovare, anche a casa. Pulisce le ferite. Li comprende profondamente. Quando un giorno allerta a un paziente oncologico – «Bisogna che si prepari» – lui dapprima lo guarda arrabbiato. Poi tuttavia si commuove e fa il paragone con le gocce sulla finestra: «Vede – dice il malato – siamo come quelle gocce sulla finestra. Finché c’è il filo, ci tiene, poi quando si stacca il filo siamo finiti».  Piccinini gli risponde, pronto: «C’è un’unica cosa che tiene quel filo: è Uno che ci vuol bene e tornare da Lui non è male». E l’uomo – senza pancreas e senza vita – si mette a piangere, poi si confessa, si comunica, muore riconciliato pochi giorni dopo. «Di fronte al malato, per lui scattava un compito dove prima veniva l’abbraccio, poi la cura».

Enzo Piccinini opera anche per regalare tempo aggiunto alle persone. Lui medico chirurgo esercita, in punta di bisturi, quella singolare forma di intercessione che consiste nel prendere tra le proprie mani le vite di altri e provare a traghettarle indietro, a riportarle sulla sponda della salute o almeno ad aggiungere un margine per ricomporre rapporti, per aggiustare e riannodare tanti fili. Sa che diventando medici «si ha in mano qualcosa che prima o poi è una licenza di uccidere», ma lui la licenza la usa all’inverso, la usa con senso altissimo della professione e cuore cristiano: scendere negli abissi della sofferenza lo rende icona di Cristo.

È una sofferenza che si dischiude improvvisa anche per la sua famiglia, dalla quale Enzo Piccinini avrebbe voluto tornare quando – nella notte del 26 maggio 1999, dopo un importante incontro al San Raffaele di Milano e l’ennesima giornata senza orari e senza pause – la sua macchina si schianta improvvisamente sulla A1, nei pressi di Fidenza, in un incidente così brutale che anche l’identificazione risulta difficile. Ai suoi funerali, celebrati dal Card. Giacomo Biffi a Bologna, partecipano 7.000 persone. Oggi Enzo è Servo di Dio.

 

 

«Dio si è fatto uomo,
il che vuol dire che ciò che abbiamo sempre cercato,
che io ho sempre cercato,
anche inconsapevolmente nei giochi da bambini,
nella donna che ho amato, nella carriera,
è qui, è presente» 

Enzo Piccinini nel 1995

 

Eugenio Enzo Piccinini nasce a Scandiano il 5 giugno 1951 e muore nei pressi di Fidenza il 26 maggio 1999, a soli 47 anni. Padre di famiglia, medico, esponente di spicco del movimento di CL, riesce in una vita breve e intensissima a rivoluzionare il paradigma della pratica medica, creando un gruppo che farà storia. Oggi molti continuano a rifarsi al suo esempio. Avviato agli onori degli altari, può essere conosciuto da numerosi materiali disponibili in rete (e anzitutto dal sito: https://www.fondazionepiccinini.org/). Marco Bardazzi lo racconta in Ho fatto tutto per essere felice. Enzo Piccinini, storia di un insolito chirurgo (BUR saggi, Milano 2021). Si rinvia anche a: Enzo Piccinini, Il fuoco sotto la cenere (Firenze, 2018) e Emilio Bonicelli, Enzo. Un’avventura di amicizia (Marietti 1820, Genova 2009). Corpi e anime di Maxence van der Meersch è un libro che per lui fu decisivo.